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Malgrado le persone siano ben consce di aver etichettato questo fenomeno
con un nome tratto da un film, in realtà questa religione non fa altro che
raccogliere diverse richieste provenienti dalla società e conglobarle sotto
un’unica definizione condivisa.
La prospettiva che abbiamo adottato è prettamente sociologica, ma consci
dei limiti di questo approccio abbiamo cercato di integrarlo e ampliarlo.
Così accanto ai classici della sociologia quali Weber, Durkheim, Parsons,
Simmel, abbiamo voluto accostare sia sociologi contemporanei esperti in
sociologia delle religioni, quali Peter Berger e gli italiani Roberto Marchisio e
Enzo Pace, ma anche studiosi che operano in campi differenti, quali Vittorio
Girotto, docente di Psicologia Cognitiva, Telmo Pievani, docente di Filosofia
della Scienza e Giorgio Vallortigara, docente di Neuroscienze Cognitive.
Non solo: abbiamo dovuto evidenziare l’apporto determinante dei media
nella nascita e diffusione di questa religione, chiamando in causa Denis
McQuail. Infine abbiamo voluto cercare di inquadrare il fenomeno per
cercare di capire se si potesse classificare o meno alla stregua di una setta
religiosa.
Il lavoro è stato essenzialmente suddiviso in due parti: la prima, teorica,
cerca di illustrare i punti di vista di alcuni autori esperti di sociologia delle
religioni, sociologia dei processi culturali e sociologia dei media.
La seconda parte è tutta incentrata sullo studio del fenomeno soprattutto
considerandolo da un punto di vista esterno e distaccato, ma non
disdegnando di cercare di comprendere a fondo le motivazioni che
spingono gli accoliti ad abbracciare una religione siffatta.
Il primo capitolo è una panoramica generale sullo studio delle religioni e
sull’approccio sociologico, cercando di capire il significato di parole come
religione, religiosità, di sacro e profano.
Il secondo capitolo è un excursus sui maggiori teorici e teorie nel campo
della sociologia delle religioni, andando a scomodare autori e paradigmi
importanti che potessero essere utili per lo studio del nostro caso.
Il terzo capitolo parla delle dimensioni della religiosità, così come vengono
comunemente misurate dai sociologi, ma anche del conflitto che si crea
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usando i vecchi apparati dottrinari nell’applicarli alle nuove forme religiose
che meno si prestano a essere conteggiate e classificate, in quanto fatte
maggiormente di spiritualità interiore e meno di forme esteriori.
Il quarto capitolo avrebbe l’ambizione d’illustrare come nascono, crescono e
progrediscono le religioni, individuando i meccanismi e le istituzioni che
vengono a crearsi a supporto di questi fenomeni.
Il quinto capitolo tratta lo spinoso problema del conflitto fra religione e
modernizzazione, evidenziando come la secolarizzazione non abbia
sconfitto le religioni, ma abbia soltanto cambiato il loro modo di esprimersi
nella società.
Il sesto capitolo va a evidenziare l’odierno coinvolgimento dei mass media
in tutti i fenomeni di aggregazione, ivi comprese le religioni, che se da una
parte vengono messe in difficoltà dal pluralismo creatosi, d’altro canto si
avvantaggiano grazie alla capacità comunicativa e in termini di diffusione
che i media permettono.
Il settimo capitolo si occupa essenzialmente della teodicea, ossia del modo
in cui le religioni, dopo aver postulato l’onnipotenza di un Dio o di una
qualsiasi entità metafisica, si spiegano l’esistenza del bene e del male nel
mondo.
L’ottavo capitolo parla delle sette e del loro continuo proliferare nel mondo
moderno dovuto al malessere che viene generato dall’eccessiva libertà di
cui godono gli uomini.
Nel nono e decimo capitolo si passa all’analisi del fenomeno di Star Wars e
delle caratteristiche del Jedismo e della Forza così come sarebbero
presentate nell’esalogia.
L’undicesimo capitolo fa una panoramica del fenomeno reale, andando a
valutare gli insegnamenti, i tentativi di ammantare il tutto anche con teorie
pseudo scientifiche e le implicazioni pratiche e di vissuto reale del
fenomeno, mostrando anche dei casi pratici.
Il dodicesimo capitolo cerca di mostrare quanto sia indispensabile il web per
una religione che ha avuto una genesi così repentina ed estesa in tutto il
mondo.
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Infine, nel tredicesimo capitolo abbiamo cercato di inquadrare meglio il
Jedismo dal punto di vista sociologico, cercando considerarlo sia come
fenomeno religioso che di fandom.
Completano il lavoro le conclusioni, un’appendice che descrive tre figure di
Jedi che abbiamo avuto il modo di conoscere in modo un poco più
approfondito e una lunga lista di siti e blog che abbiamo visitato e
analizzato.
Il nostro studio è stato effettuato cercando di mantenere un certo equilibrio
e distacco nei confronti di questa religione, ma abbiamo anche cercato di
immedesimarci e di comprendere i punti di vista delle persone che
spendono parte del loro tempo libero e molta della loro credibilità personale
per portare avanti un progetto che a molti profani appare insensato.
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Parte 1 – Teoria sulla sociologia delle religioni.
1. Studiare le religioni.
1.1 Introduzione.
Parlare e scrivere oggi, nell’anno 2010, di religioni, sette religiose,
spiritualità, può sembrare anacronistico, addirittura antiquato. La modernità
e i fenomeni di secolarizzazione, scientificizzazione, tecnologizzazione e
pluralismo ci hanno spinto a considerare la religiosità come qualcosa di
legato al nostro passato remoto, argomento che riguarda l’uomo primitivo,
poco evoluto o premoderno.
Troviamo segni della religiosità umana fin dai nostri tempi più remoti, dal
neolitico e ancora prima. L’archeologa lituana Marija Gimbutas, nella sua
opera “Il linguaggio della dea” (1990), cerca, infatti, di ricostruire in modo
sistematico, anche se poetico, le sembianze della Grande Dea del neolitico
regnante in Europa. Dalle le pagine dell’opera traspare la spiritualità dei
nostri antenati, che veneravano questa Dea Madre, tutta al femminile, nella
cornice di una società matristico – gilanica e pacifica.
In questa religione si venerava l’universo come fosse il corpo vivente della
Grande Dea e tale fenomeno era legato a doppio filo alla società che
l’aveva generato e coi suoi simboli mostrava le ciclicità del tempo, le fonti di
energia della terra (sole, luna, sorgenti, umidità), cercava anche di spiegare
il mistero della nascita, della morte e il rinnovamento del cosmo.
Questa religione, secondo le ipotesi della scrittrice, sarebbe stata distrutta a
opera della civiltà Kurgan che, partendo dalla Russia meridionale dal 5500
a.c., avanzò inesorabilmente in tutta l’Europa con i suoi tratti di
patrilinearità, patriarcalità e violenza.
I tratti della religione appena descritta li ritroviamo, seppur in modo
frammentario, in molte delle religioni attuali.
Modernità, secolarizzazione, tecnologizzazione e pluralismo hanno quindi
minato fortemente le basi di tutte le nostre credenze religiose, tuttavia le
religioni e il sacro continuano a popolare gli anfratti della nostra società.
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La sociologia, scienza di recente formazione, fin dalla sua nascita,
nell’analisi delle dinamiche che sottendono alle diverse società a cui l’uomo
ha dato origine, si è sempre confrontata con il fenomeno religioso.
L’approccio sociologico, non può, però, da solo dare ragione dei molti
perché delle religioni, ed è per questo che per analizzarle in modo
esaustivo occorrerebbe un approccio multidimensionale e multidisciplinare
comprendente psicologia, storia, antropologia, genetica e neuroscienze
(Pace, 2007).
1.2 La religione e l’approccio sociologico.
La religione è fenomeno multiforme al quale è difficile cercare di dare delle
definizioni univoche1. Esprime un sentimento interiore, apparentemente
condiviso da intere comunità di persone e società.
L’interpretazione più semplicistica farebbe pensare a un credo comune, a
entità superiori e ultraterrene dalle quali in qualche modo proveniamo, che
dominano o condizionano la nostra vita e con le quali, soprattutto, dovremo
fare i conti al termine del nostro cammino terreno. Non si tratta però
soltanto di questo, ma anche di magia, animismo, o religioni “new age”, che
puntano anche alla riuscita e al benessere terreno, prima ancora che a
quello dell’anima.
Avremo modo di vedere che l’idea di una dimensione comunitaria della
religione si sta per certi versi sgretolando, creando anche gruppi di persone
di dimensione sempre più limitate che condividono lo stesso credo.
Capire a cosa si rifà un sentimento religioso e se il suo oggetto è veramente
comune a tutti è impresa non facile.
Molti sono stati i tentativi di definire il fenomeno religioso e si tratta di un
lavoro difficile perché esiste una straordinaria variabilità sia spaziale che
diacronica delle religioni.
Marchisio opera una distinzione fra credenze basate sull’anima, più diffuse
in società di piccole dimensioni e con poca differenziazioni, credenze
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Il presente paragrafo è stato elaborato facendo riferimento a Marchisio, 2000.
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monoteistiche, che hanno l’idea dell’esistenza di un unico Dio creatore,
credenze politeistiche, che postulano l’esistenza di varie divinità talvolta con
caratteri simili all’uomo e in conflitto fra loro e religioni senza divinità,
fondate sull’idea di un’armonia universale ultraterrena.
Il termine latino religio, dal quale deriva la parola religione, può assumere
due differenti accezioni:
o “Religio come religare” (Marchisio, 2002, 15) ossia legare con
significato oggettivo e si tratta di un rapporto che vede dipendenza
dalla divinità e atti, riti e culti obbligatori;
o “Religio come relegere” (Marchisio, 2002, 15) ossia avere cura,
osservare con scrupolo, con significato soggettivo e rimanda
all’attenzione che il singolo deve prestare a patti, obblighi e
giuramenti.
La religione esprime due tipi di legami:
o uno di tipo orizzontale, fra coloro che condividono i patti con Dio;
o uno verticale fra le persone e Dio.
Ogni religione avrebbe la pretesa di essere diversa dalle altre, superiore,
completa e anche pura e incontaminata (Pace, 2008).
1.3 Sacro e profano.
Sebbene il mondo occidentale abbia tentato di dare una definizione univoca
al termine religione, molti studiosi sottolineano che questo sforzo sia vano e
illusorio2.
Per Mircea Eliade, il termine religione è utile se si fa riferimento
all’esperienza del sacro in generale, ma da solo non è in grado di contenere
tutte le forme che vedono un qualche tipo di contatto fra l’uomo e le entità
soprannaturali.
Anche il termine sacro si riferisce a una serie di significati che disorientano.
Sacrum, in latino, significava “ciò appartiene agli Dei” in quanto a essi
dedicato. Profanum, invece, indicava ciò che stava davanti al fanum, che
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Il presente paragrafo è stato elaborato facendo riferimento a Marchisio, 2000.
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era il recinto del tempio, pertanto era ciò che stava fuori dal recinto del
tempio.
Sono comunque molte le differenze fra i termini sacro e profano a seconda
delle varie fonti etimologiche.
Sacro può essere presenza divina, qualcosa il cui contatto è proibito
all’uomo, oggetti e spazi possono divenire sacri e poi tornare “normali”.
Quando una realtà diviene sacra, il comportamento umano nei suoi
confronti si modifica in quanto essa può divenire intoccabile, proibita o
venerata. Il sacro ha due quindi facce:
o paura e terrore, essendo mistero che esprime potenza e superiorità;
o fascino, un mistero attraente, ricco di significati nascosti.
Il linguaggio riesce a esprimere i concetti sacri soltanto parzialmente, con
metafore, ma non riesce mai a rendere appieno il loro significato.
Secondo lo storico Mircea Eliade (1976), nelle religioni vediamo parecchie
ierofanie (manifestazioni di cose sacre nella realtà profana). Si tratta di
realtà non appartenenti al nostro mondo che ivi si manifestano. Sottolinea la
contrapposizione fra l’uomo religioso delle società arcaiche, che cercava di
vivere in un cosmo sacro e l’uomo moderno, che ha scelto di vivere in un
mondo profano.
La differenza fra esperienza sacra e profana è osservabile anche in
relazione alla percezione di spazio e tempo: se per il laico lo spazio fisico
appare come uniforme e omogeneo, per l’uomo religioso lo spazio è in
parte sacro e in parte profano.
Lo strumento per eccellenza, per entrare nel tempo sacro è il rito. Eliade
rimarca che ogni festa sarebbe la ritualizzazione di un evento che stava al
principio. Al cuore del fenomeno delle religioni c’è un insieme di esperienze
molto speciali e la religione comporta una serie di atteggiamenti, credenze
e azioni particolari di fronte ad esse.
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1.4 Lo studio delle religioni.
Fino al 1800 lo studio della religione è legato al cristianesimo, religione per
eccellenza, mentre la teologia era lo studio sulla natura di Dio3.
Successivamente lo studio prende un carattere storico e filologico,
allontanandosi dallo studio teologico.
La storia delle religioni è un po’ la madre di ogni indagine sulla religione e
usa fondamentalmente due metodi: l’analisi storico descrittiva, che è uno
studio approfondito di ciascuna religione, la quale ha il limite di consentire lo
studio di pochi casi in quanto per ogni religione vi sono quantità enormi di
documenti da tradurre, fonti, testimonianze e quant’altro; la ricerca storico
comparata che invece confronta, descrive e interpreta, sia sincronicamente
che diacronicamente, tradizioni diverse cercando di cogliere differenze e
analogie (es. comparando riti e preghiere).
Altra branca di studi è la fenomenologia della religione, che è il tentativo di
comprendere a fondo i valori delle religioni cercando l’essenza del
fenomeno. Per cogliere la verità religiosa si deve considerare anche
l’esperienza vissuta, con uno sforzo di immedesimazione con chi vive la
religione.
La filosofia della religione indaga invece sul senso e sul fondamento di
questo importante fenomeno.
Infine troviamo la teologia delle religioni, la quale parte da un punto di vista
cristiano per il confronto con altri punti di vita.
Molte branche scientifiche non trattano la religione in modo diretto, ma
avendo come oggetto l’uomo e la sua mente non possono tralasciare di
considerarla (es. psicologia, sociologia, antropologia socioculturale).
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Il presente paragrafo è stato elaborato facendo riferimento a Marchisio, 2000.