10 Introduzione
Ciò ha comportato da un lato l’abbandono della regola generale a favore del
particolare, incentivando la nascita di una miriade di strumenti urbanistici
alternativi,e dall’altro all’apertura del processo di piano alla società civile, grazie a
nuove forme di partecipazione diretta come i comitati di quartiere o le Società di
Trasformazione Urbana in cui i cittadini diventato a tutti gli effetti “comproprietari”
dell’ente che si occupa dell’urbanistica nel loro territorio.
L’importanza della popolazione locale nelle scelte è d'altronde insita nella disciplina
che include nel termine “urbano” le tre dimensioni della città: civitas, urbs e polis
(rispettivamente la città come struttura fisica e funzionale, la città come società che la
abita e vive, la città come politica).
La buona urbanistica funziona, i miglioramenti delle condizioni di vita nelle città e nei
territori si manifestano, le buone leggi e le buone pratiche si sviluppano, quando
quelle tre realtà s’incontrano, quando la città incontra la società e la politica
4
.
Ecco perché la molteplicità di strumenti e soluzioni unita a un unico soggetto
referente, in cui entra a parte la cittadinanza locale, non deve essere interpretata
come un limite della nostra epoca ma al contrario La risorsa che “con l’ottimismo
della disperazione”, come direbbe Cervellati, può trasformare la crisi in un occasione
di miglioramento e crescita.
L’intenzione dell’elaborato è di far emergere tramite una panoramica sulla disciplina
e alcuni casi specifici il contributo positivo e innovativo che la varietà e l’apertura del
recupero urbano hanno apportato in generale all’urbanistica e, in particolare, alla
rinascita delle città portuali mediterranee.
L’analisi è condotta alla luce delle tendenze sopra emerse: il peso dato agli spazi
comuni e di relazione, la sostenibilità ambientale, la qualità della vita, le modalità di
programmazione e gestione degli interventi ( sia dal punto di vista degli enti
competenti sia della cittadinanza). Si evidenziano inoltre le eventuali incongruenze
tra la realtà odierna e i nuovi strumenti, cercando di dare alcune indicazioni per la
risoluzione di tali conflitti.
Nel capitolo primo, ad esempio, si traccia a grandi tratti la storia del recupero urbano
a livello europeo e nazionale dando particolare rilievo agli strumenti propri della
disciplina e all’evoluzione che essi hanno subito nel tempo.
4
Scrive il Camagni: <<Dal punto di vista urbanistico […] la sostenibilità è data da un processo (e non da
un modello precostituito e fisso) in cui i tre sistemi che compongono la città - sociale, economico e
fisico-ambientale - coevolvono attraverso la massimizzazione delle interazioni positive e la
minimizzazione di quelle negative, realizzando un livello non decrescente di benessere collettivo di
lungo periodo per la popolazione locale e contribuendo in questo modo ad processo di riequilibrio
ambientale globale>>. In CAMAGNI R., Economia e pianificazione della città sostenibile, Bologna, Il
Mulino,1996, p.13
11 Introduzione
Partendo dai Programmi Pilota Urban, nati per favorire l’armonizzazione tra la
pianificazione territoriale degli Stati UE, si arriva al programma JESSICA, che
abbandona le sovvenzioni di URBAN I e URBAN II a favore di strumenti finanziari che
supportano il progetto. Si analizzano inoltre l’evoluzione del concetto di “spazio
comune europeo” e le conseguente dell’espansione verso l’Est.
In ambito nazionale s’illustrano le ragioni storiche che spingono il recupero italiano
verso gli aspetti della riqualificazione ( la dipendenza dalla conservazione, le
peculiarità culturali e ambientali, il conflitto di tra governo centrale e autonomie
locali,ecc.) e si fa una carrellata delle normative che si sono succedute negli anni.
Insieme alle norme si analizzano anche i principali strumenti del recupero da esse
istituiti come i Programmi di Recupero Urbano (PRU), i Programmi di Riqualificazione
Urbana (PRIU), i Contratti di Quartiere (CdQ) e i Programmi di Riqualificazione Urbana
e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (PRUSST), solo per citarne alcuni.
Il primo capitolo si conclude con alcune riflessioni sulle difficoltà che l’Italia ha
incontrato nell’inserire gli strumenti del recupero urbano all’interno della
pianificazione ordinaria.
Il secondo capitolo dell’elaborato è invece focalizzato sugli aspetti innovativi del
recupero urbano nelle città portuali mediterranee, analizzati attraverso tre casi
studio: Genova, Marsiglia, Cagliari.
La scelta è stata orientata dalla condivisione, da parte dei tre centri, delle stesse
problematiche nel campo delle relazioni tra centro storico e porto, quali la forte
infrastrutturazione del lungo mare e lo spostamento delle attività portuali in ambito
extraurbano, e dalla rappresentazione efficace degli stadi evolutivi di una città
portuale in riconversione: Genova è la città URBAN già coinvolta da Grandi Eventi,
Marsiglia è la città URBAN coinvolta a breve da un grande evento e, infine, Cagliari è
la città URBAN che ha riconosciuto da poco la sua identità metropolitana e aspetta
timidamente un grande evento.
Ogni città è analizzata ponendo in evidenza i legami con il territorio circostante,
l’evoluzione insediativa, il quadro operativo per la pianificazione, l’integrazione delle
politiche urbane e le modalità con cui i progetti URBAN e i grandi eventi si inseriscono
nell’urbanistica locale.
Nel caso dei Grandi eventi sarebbe più corretto parlare delle modalità con cui essi
non si inseriscono nell’urbanistica locale, dato che gli interventi ,compresi quelli di
recupero, prendono forma senza una Valutazione Ambientale Strategica e senza
l’adeguamento ai piani sovraordinati (v. Genova).
12 Introduzione
La parte finale dell’elaborato si concentra proprio su quest’aspetto proponendo come
soluzione la creazione di nuovo ente, costituito dai rappresentanti delle comunità
locali ma indipendente dalle stesse nello svolgimento del suo operato. L’ente così
concepito sarebbe responsabile:
• della redazione da parte dei Comuni degli strumenti attuativi;
• dell’emissione dei bandi per gli interventi di recupero;
• della formazione dei parternariato locali, una volta approvati gli interventi;
• della proceduta VAS ex ante, durante ed ex post , qualsiasi sia l’origine degli
interventi di recupero (programmi europei, normative nazionali o grandi
eventi);
I principali benefici sarebbero l’alleggerimento delle amministrazioni locali da ulteriori
adempimenti burocratici, la partecipazione degli attori locali direttamente dalla fase
decisionale e la messa a disposizione degli enti locali di una guida qualificata per la
gestione delle operazioni di recupero.
Capitolo 1
Breve storia
del recupero urbano
in Europa e in Italia
Una panoramica sul recupero urbano
15 Una panoramica sul recupero urbano
1.1 Per una definizione di recupero urbano
Il recupero urbano è la disciplina che si occupa, in egual misura, della rigenerazione e
della riqualificazione urbana, ove per rigenerazione intendiamo l’insieme di interventi
che si rivolgono in prima battuta al patrimonio umano per favorire un inclusione
sociale specifica, e per riqualificazione urbana l’insieme di interventi orientati al
miglioramento del quadro fisico in cui la partnership è legata all’opera congiunta
dell’agente pubblico e privato.
Il recupero urbano ha quindi come obiettivo la proposta di modelli di ri-uso dello
spazio urbano che risolvano due dei principali problemi che il Movimento Moderno
ha lasciato in eredità: l’esistenza di aree degradate e l’eccessivo consumo di suolo
5
.
Il recupero urbano tenta, infatti, di porre rimedio al paradigma di sviluppo
modernista, basato su una buona progettazione di per sé portatrice di crescita,
benessere e qualità ambientale, accompagnando la strutturazione fisica del territorio
con adeguate politiche sociali ed economiche che riducano le sacche di povertà
urbana.
La riqualificazione e la rigenerazione urbana assumono quindi un peso diverso
all’interno dei progetti in base alle peculiarità geografiche delle “aree difficili”,
sempre influenzate dalla struttura ed estensione della marginalità territoriale, dai
fenomeni di esclusione e immigrazione, dai caratteri dei mercati e delle economie,
dai diversi modelli di welfare e di politica sociale che, dal ruolo dello Stato e degli enti
locali ai vari livelli.
La prima che si prende in analisi è la ristrutturazione del mercato del lavoro.
Estendendo il pensiero sulle periferie di Andrè Corboz
5
all’intero spazio umanizzato,
possiamo sicuramente affermare che la consapevolezza del fallimento modernista ha
dato il via alle due attività con cui il recupero urbano si manifesta: la riqualificazione e
la rigenerazione.
5
<<Una tale mutazione del nostro rapporto con lo spazio è tanto più necessaria in quanto i problemi
della città-che-si-sta-costruendo non sono più quelli dei centri ma quelli delle zone,delle appendici, dei
margini e delle ecnlaves coestensivi a questa “città”, cioè in ciò che chiamiamo periferia. Perché se il
tempo della tabula rasa è finito,lo è anche quello del ritorno al centro,che si tratti di salvaguardarlo
(perché storico)o di ricostruirlo (perché danneggiato dalla guerra o dal rinnovamento
urbano).L’estetica dell’armonia che informava finora tutte le politiche d’intervento urbano e di cui lo
spazio assoluto era il modello ideale, non permette di afferrare la natura di questa periferia e quindi
non può far altro che commettere errori nei suoi confronti,cioè condannarla. In compenso […] gli attori
del nuovo spazio saranno meglio equipaggiati per capire il preteso disordine della periferia,che
tratteranno come un ordine da indovinare>>. In CORBOZ ANDRÉ (1993), "Avete detto spazio?",
Casabella - il disegno degli spazi aperti, n.597/598, pp.20-23.
16 Una panoramica sul recupero urbano
Infatti, dalla crisi industriale degli anni Ottanta, si sono diffuse soluzioni d’impiego
basate sulla precarietà che, oltre a ritardare la continuità tra l’accesso al lavoro e
l’integrazione sociale (e viceversa), hanno favorito l’allentamento delle relazioni
sociali, tanto da mettere in crisi il modello stesso di famiglia.
È un dato ormai consolidato l’aumento del numero di famiglie composte da single o
persone separate, nonché di disabili, anziani ed immigrati che vivono in estrema
difficoltà sia perché non trovano occupazione e/o assistenza sia perché il mercato
degli alloggi non soddisfa la domanda povera.
La seconda concausa del disagio urbano è per l’appunto la cessione dell’edilizia
popolare ai privati. L’intento iniziale degli stati nazionali di ridurre la spesa pubblica
affidando gli alloggi sovvenzionati (strutture di bassa qualità con tipologie rigide e alti
costi di manutenzione) a società in grado di gestirli secondo criteri manageriali
(efficacia,efficienza), ha comportato molto spesso la costruzione di immobili con fitti
o prezzi di vendita al di sopra delle possibilità economiche degli utenti iniziali, con
conseguenti perdite economiche per la gli enti locali (immobili sfitti o invenduti),
incapaci di fare da tramite tra la pubblica amministrazione ed il mercato immobiliare
per la riduzione dell’ammortamento con finanze statali, e una domanda di alloggi non
soddisfatta.
In merito alle politiche urbane e sociali di sostegno alle fasce deboli, il quadro è
analogo poiché il welfare degli stati nazionali è messo continuamente alla prova
dall’aumento degli adulti non protetti (per la fragilizzazione di ceti e gruppi
sopradescritta ) e dalle famiglie che, a differenza del passato, mantengono a stento il
ruolo di filtro tra le generazioni in termini di armonizzazione del il reddito.
La ristrutturazione del marcato del lavoro, la cessione dell’edilizia popolare ai soggetti
privati e l’assenza dello Stato nelle politiche di sostegno alla popolazione in difficoltà
assumono un peso ancor più rilevante se si considera che spesso agiscono
simultaneamente, conferendo al disagio circolarità causale, cioè la capacità di
ripresentarsi nello stesso ambito anche a distanza di tempo con caratteristiche nuove.
Per far fronte all’eterogeneità e concentrazione del disagio, il recupero urbano
utilizza pertanto programmi caratterizzati da:
• Orientamento regionale: è fondamentale perché consente di superare le
limitazioni economiche e spaziali delle municipalità e al contempo garantisce
la risoluzione dei problemi a piccola-scala favorendo la prossimità tra le realtà
che lo stato nazionale vuole realizzare
6
.
• Approccio integrato: riguarda non solo l’attenzione verso le politiche sociali
ed economiche della rigenerazione urbana ma anche il sistema operativo degli
organismi coinvolti che spesso uniscono le loro competenze in unico soggetto
17 Una panoramica sul recupero urbano
referente
7
per velocizzare la realizzazione delle operazioni e i meccanismi di
controllo/revisione.
• Apertura ai processi partecipativi: si definiscono processi partecipativi le
iniziative che consentono ai destinatari del progetto e agli attori economici di
prendere parte alla creazione del modello di ri-uso, e che forniscono alle
pubbliche amministrazioni le conoscenze e le tecniche necessarie per la piena
operatività all’interno del soggetto referente
8
.
• Metodologia di lavoro in itinere: si sviluppa in corso d’opera tramite l’attività
di monitoraggio che permette di seguire i progressi tecnici ed economici, il
rispetto delle scadenze e di riconoscere le difficoltà incontrate nelle varie fasi
in modo che queste diventino materia di studio per le iniziative future.
In concreto un progetto di recupero urbano inizia con la redazione di un dossier
informativo da parte dell’ente promotore, sia esso a capitale pubblico, privato o
misto. Nel dossier vengono descritte le invarianti strutturali (cioè i vincoli da
rispettare nel piano di lavoro), i trends locali (demografici, occupazionali,ecc.), i casi
“analoghi” con cui confrontarsi, i punti di forza, le debolezze, le opportunità e le
minacce per il territorio considerato (analisi SWOT).
Ciascun attore chiamato a partecipare riceve il dossier informativo e crea in
conformità a questo la sua visione futura, cioè una descrizione sintetica delle proprie
aspettative in merito al progetto.
Il confronto tra i vari attori è poi regolato dalla partnership o partenariato, cioè un
soggetto esterno al progetto (un forum, un comitato locale o un’agenzia) che cerca di
risolvere i conflitti emersi nel dibattito. Si dice che la soluzione dei conflitti sia
raggiunta quando si crea idea forza, cioè una visione comune per lo sviluppo futuro
del territorio che si traduce in un aumento dell’offerta di beni e servizi del progetto,
garantisce l’efficienza delle procedure per la produzione di beni, incrementa
l’accessibilità dell’intervento per i suoi destinatari e crea reti stabili tra gli attori del
progetto.
La fase successiva è la definizione della strategia, ovvero del percorso che s’intende
6
L’orientamento regionale è uno dei motivi per cui i programmi di recupero urbano sono difficilmente
esportabili in contesti analoghi.
7
Ne sono un buon esempio il Structure Plan Joint Committee di Glasgow e l’Oficina de Gestió del
Programa de Barris in Catalogna.
8
A tal proposito è bene ricordare che gli interventi di recupero urbano sono spesso condizionati dalla
durata limitata degli incarichi pubblici e che in assenza di scelte condivise l’avvicendamento ai diversi
livelli amministrativi (primo tra tutti, quello regionale) può portare ad una periodica revisione dei
criteri di base dei programmi inficiandone la continuità.
18 Una panoramica sul recupero urbano
seguire per realizzare la visione comune, attraverso:
1. la definizione delle linee di sviluppo tramite il clustering
9
e lo scoping
10
degli
ambiti d’intervento;
2. la definizione della logica di intervento tramite gli obbiettivi progettuali e delle
azioni di piano;
3. analisi dei rischi in base alle variabili di rottura, ossia quegli accadimenti più o
meno probabili che possono compromettere in modo più o meno grave la
realizzazione del progetto;
4. ridefinizione delle azioni in base ai rischi emersi;
5. definizione degli indicatori di fattibilità con cui si stima l’avanzamento del
progetto nel tempo e redazione del crono programma e del piano finanziario.
Definita la strategia e approvato il piano di recupero urbano, si entra nella fase di
gestione in cui si coordinano una serie di dimensioni trasversali al progetto come la
tempistica, le relazioni,le attività conoscitive e la comunicazione.
9
Il Clustering o analisi dei cluster (dal termine inglese cluster analysis introdotto da Robert Tryon nel
1939), o analisi dei gruppi, è un insieme di tecniche di analisi multivariata dei dati volte alla selezione e
raggruppamento di elementi omogenei in un insieme di dati. Tutte le tecniche di clustering si basano
sul concetto di distanza tra due elementi. Infatti la bontà delle analisi ottenute dagli algoritmi di
clustering dipende molto dalla scelta della metrica, e quindi da come è calcolata la distanza. Gli
algoritmi di clustering raggruppano gli elementi sulla base della loro distanza reciproca, e quindi
l'appartenenza o meno ad un insieme dipende da quanto l'elemento preso in esame è distante
dall'insieme stesso.
10
L'analisi preliminare, detta anche scoping, ha la finalità di definire i riferimenti concettuali e operativi
attraverso i quali si elaborerà la valutazione ambientale. In particolare, nell'ambito di questa fase
vanno stabilite indicazioni di carattere procedurale (autorità coinvolte, metodi per la partecipazione
pubblica, ambito di influenza, metodologia di valutazione adottata, ecc.) e indicazioni di carattere
analitico (presumibili impatti attesi dall'attuazione del Piano, analisi preliminare delle tematiche
ambientali del contesto di riferimento e definizione degli indicatori).
La fase di scoping può prevedere un processo partecipativo che coinvolga le autorità potenzialmente
interessate dall'attuazione del piano, affinché condividano il livello di dettaglio e la portata delle
informazioni da produrre e da elaborare, nonché le metodologie per la conduzione dell'analisi
ambientale e della valutazione degli impatti.
Sinteticamente, è possibile definire i seguenti contenuti della fase di scoping, che si conclude con la
redazione di un rapporto preliminare:
- Obiettivi strategici generali di sostenibilità;
- Ambiti di influenza del Piano e orizzonte temporale;
- Definizione dell’Autorità con competenze ambientali (ACA),del pubblico coinvolti e delle modalità di
consultazione;
- Analisi preliminare di contesto e indicatori;
- Individuazione di aree sensibili e di elementi di criticità;
- Presumibili impatti del Piano e descrizione del metodo di valutazione.
19 Una panoramica sul recupero urbano
La gestione del progetto è compito dell’ente promotore che di norma coincide con la
Municipalità, con le società miste o con le regie di quartiere. I fattori di successo per
quest’attività sono il supporto politico, la qualità del gruppo di lavoro, l’accesso ai
finanziamenti, la visibilità dei risultati e la credibilità dell’ente locale per il suo
radicamento nel territorio. I problemi maggiori sono invece legati alle scadenze
temporali, alla molteplicità di relazioni in gioco, alle cattive politiche di valutazione e
alle logiche di separazione della pubblica amministrazione aggravate dalla carenza di
risorse e personale e dall’instabilità della guida politica.
Per quanto riguarda le azioni di piano possono essere votate alla domanda (si basano
su analisi dei bisogni) oppure all’offerta (si basano sugli interventi più diffusi in loco) e
riguardare la produzione di beni materiali (infrastrutture) o immateriali (servizi). La
loro selezione avviene in base all’entità del progetto e dell’ente promotore, agli
aspetti immateriali che hanno orientato il progetto, agli aspetti finanziari, all’impatto
sul territorio e alla qualità del contenuto, intesa come tipologia, motivazioni e
contesto (di lavoro) del progetto.
Il rischio maggiore è legato alla fase di revisione che si attiva ogni qualvolta
sopraggiunge una nuova informazione operativa sul progetto; può infatti verificarsi
che a seguito delle continue modifiche le azioni di piano possano alla fine dimostrarsi
incongruenti con l’idea forza iniziale.
20 Una panoramica sul recupero urbano
1.2 Il panorama europeo
1.2.1 Un po’ di storia
L’estensione dell’impegno tradizionale relativo alla pianificazione dell’assetto fisico,
alle iniziative di sviluppo economico a favore del territorio e degli approcci integrati
nelle politiche di coesione sociale, è un impegno che l’Unione Europea porta avanti
da almeno vent’anni.
I primi finanziamenti comunitari risalgono, infatti, al periodo 1989-1999 e coincidono
con il Programma Pilota Urban, nato per favorire l’armonizzazione tra la
pianificazione territoriale degli stati membri e le politiche comunitarie per la
promozione economica e la coesione sociale.
Prendendo a prestito un’immagine di M. Cremaschi, è possibile rappresentare
l’Europa di quel periodo divisa da una diagonale.
Da un lato, Francia, Inghilterra, Olanda paesi centralizzati e con un’immigrazione ex
coloniale integrata nello statuto di cittadinanza che un modello orientato al sociale,
legato a: iniziative strategiche di sviluppo economico e fondiario di intere città o
regioni, collaborazione e/o iniziativa delle realtà locali, riforma strutturale
dell’impiego e di sostegno alla disoccupazione.
Dall’altro lato, Italia, Portogallo, Spagna e Germania, paesi a prevalente orientamento
fisico delle azioni locali (trasformazione dell’ambiente), a rilevante decentramento e
localismo radicato (realtà urbane vivaci e solide, collaudata capacità gestionale dei
comuni nella gestione urbana e riqualificazione edilizia), immigrazione più recente e
non ancora integrata nello statuto dei diritti,della cittadinanza e del welfare.
Tale situazione è brevemente riassunta anche dalla Commissione Europea: << Le città
d’oggi sono principalmente focalizzate sullo sviluppo e sulla crescita economica,
sull’innovazione tecnologica e sui servizi pubblici. Al contempo però, forniscono troppo
spesso i peggiori esempi di congestione, inquinamento, decadimento industriale ed
esclusione sociale. È vero che i centri nelle aree periferiche e sottosviluppate, così
come le aree urbane in declino, stentano per raggiungere lo sviluppo economico ma è
anche vero che aree di povertà acuta e di degrado urbano esistono perfino all’interno
della più prospera città dell’UE>>.
In questo contesto la Commissione Europea decide di gestire direttamente i negoziati
con gli stati membri, le città e le regioni per identificare le migliori modalità di spesa
dei Fondi ERDF entro le singole realtà urbane in relazione al supporto per gli studi e
gli schemi pilota e al finanziamento dei progetti stessi.
Essendo una fase ancora sperimentale gli argomenti progettuali sono ancora legati
alla pianificazione territoriale, in particolare alla riqualificazione di spazi pubblici e alla
21 Una panoramica sul recupero urbano
sistemazione a verde di aree dismesse, ma è evidente lo sforzo compiuto dalle
municipalità nella definizione di una strategia d’azione integrata e globale per
massimizzare gli effetti fisici degli investimenti, generandone di nuovi (sia pubblici sia
privati). I risultati e le “buone pratiche” di questi progetti sono raccolti nel Rapporto
Annuale sui Progetti Pilota Urban del 1996, pubblicato per conto della Direzione
Generale per la Politica Regionale e di Coesione della Commissione europea per
favorire la divulgazione e conoscenza delle attività svolte.
I successi del primo bando incoraggiano gli enti locali di tutta Europa nella
partecipazione a Urban I, la seconda fase di progetti pilota indetta dalla Commissione
Europea nel 1995. Presso gli uffici competenti degli stati membri arrivano ben
cinquecentotre proposte di partecipazione.
Il programma Urban I ha come obiettivo principale il contrasto al disagio urbano, in
tutte le sue varianti (isolamento, povertà, esclusione) grazie a interventi che
migliorino l’entourage fisico e sociale dei quartieri cosicché essi abbiano
effettivamente le condizioni per aumentare il benessere individuale.
Si arriva perfino a formulare delle target areas per descrivere il contesto operativo
del programma:
• Inner-city: quartieri nel cuore del distretto urbano ma che sono esclusi dai
flussi principali della vita cittadina.
• Centri storici: aree centrali di valore culturale e patrimoniale che sono state
abbandonate e lasciate al loro lento declino.
• Aree periferiche: quartieri di periferia degli agglomerati urbani, difficilmente
accessibili, costituiti per lo più da edilizia pubblica sovvenzionata o da aree
industriali dismesse.
I progetti attuati nelle inner-city coprono quartieri di grandi dimensioni e riguardano
principalmente Francia, Regno Unito e Spagna, mentre quelli relativi ai centri storici
coinvolgono i piccoli borghi di Italia e Spagna. Le aree periferiche sono invece oggetto
dei programmi tedeschi, olandesi e inglesi.
La definizione di una casistica areale per la definizione degli interventi è un dato
positivo se si considera che una delle novità principali di Urban I è proprio l’approccio
area-based, fondato su un raggio d’azione a livello di vicinato (grass-roots level):
ciascun programma comprende circa 5,8 km
2
di un quartiere o di un singolo distretto
amministrativo e solo nel 10% dei casi sono presenti diversi settori all'interno di un
programma. Inoltre il 90% dei progetti è applicato in città con poco più di centomila
abitanti.
Altro aspetto innovativo del progetto Urban I è il metodo di lavoro dinamico, tipico
della pianificazione integrata, che prevede nella fase attuativa dei progetti: una
22 Una panoramica sul recupero urbano
verifica intermedia, un resoconto finale riguardo ai lavori eseguiti, ai risultati ottenuti
e alle difficoltà incontrate, nonché un bollettino periodico on line, pubblicato secondo
le tempistiche degli enti locali, su interventi successivi o sui risultati raggiunti a lavori
conclusi (v. tabella 1).
La lacuna principale del programma Urban I riguarda piuttosto il coinvolgimento
diretto degli attori locali (città, regioni) che, seppur previsto Quadro Comunitario di
Sostegno (QSC) per il periodo di programmazione 1994-1999, è stato molto spesso
trascurato a favore di un rapporto esclusivo tra Stato membro e Commissione
Europea.
Si possono citare come esempio le procedure di partecipazione a Urban I incluse nella
regolamentazione
11
, ove il ricorso obbligato al partenariato per ogni fase della
programmazione ha generato una certa confusione sul ruolo e la competenza di
ciascun componente, finendo per favorire la procedura semplificata in cui le autorità
a livello locale, regionale o nazionale e le parti economiche e sociali vengono
interpellate solo in ultima istanza (v. tabella 2).
Arricchendosi dell’esperienza, la Commissione europea riesamina le politiche
comunitarie da una prospettiva urbana e il 28 ottobre 1998 approva il Quadro
d'azione per uno sviluppo urbano sostenibile dell’Unione Europea, nel quale si
afferma che : <<l’efficiente gestione urbana e il rafforzamento dei poteri locali sono
aspetti fondamentali per il miglioramento della qualità della vita nelle città e per
assicurare metodi di gestione delle città più sostenibili. La gestione urbana può essere
perfezionata con una migliore integrazione verticale degli interventi ai vari livelli
amministrativi e una migliore integrazione orizzontale tra i vari organismi che
operano a livello locale, nonché attraverso il coinvolgimento dei cittadini e dei
soggetti responsabili delle politiche urbane >> (cap. 3 punto 4.1).
Con questa dichiarazione d’intenti parte finalmente l’opera di omogeneizzazione
delle rappresentazioni culturali e degli strumenti amministrativi che la Commissione
Europea porta avanti in prima persona, dando il via al Progetto Pilota sull’Audit
Urbano
12
e approvando già nel Maggio 1999 lo Schema di Sviluppo dello Spazio
Europeo (SSSE), un documento che fornisce le linee guida per lo sviluppo territoriale
11
Cfr. SCOTESE A., Sviluppo di Nuovi Strumenti dei Fondi Strutturali per le Politiche Regionali: il caso
della Regione Basilicata, Potenza, Consiglio Regionale della Basilicata, 2001, pp. 57-59
12
Il Progetto Pilota sull’Audit Urbano è una straordinaria opera d’indagine, svolta su tre livelli
geografici (cittadino, sub-cittadino e metropolitano) che ha costituito il nucleo di conoscenze
necessarie per la redazione dello SSSE, per la scelta delle città o regioni del programma Urban II (2000-
2006) e, infine, per il raffronto del le diverse realtà urbane (aiutando così gli operatori meno esperti
quali i sindaci o le associazioni di cittadini).
23 Una panoramica sul recupero urbano
PROCEDURA CLASSICA PROCEDURA SEMPLIFICATA
• Piano di sviluppo presentato dallo
Stato membro;
• Quadro comunitario di sostegno
(QCS): stabilito dalla Commissione
sulla base del piano e in
concertazione con lo Stato membro e
le regioni interessate;
• Intervento sul campo, generalmente
sotto forma di programma operativo.
• Piano di sviluppo presentato dallo
Stato membro;
• Documento unico di
programmazione (DOCUP)
Tabella 2 - Procedure di partecipazione nella regolamentazione per il periodo ’94-’99
13
Fondo Sociale Europeo
DATI GENERALI Estremi della decisione europea
Responsabile amministrativo
Enti locali coinvolti
Descrizione generale delle relazioni tra la target area ed il resto
dell’abitato
Caratteristiche socio-economiche
Abitanti interessati
% sulla popolazione totale
Tasso di disoccupazione
Altre indicazioni
PIANO
FINANZIARIO
GLOBALE
Fondi europei (ERDF, ESF
13
)
Stato membro
Regione
Municipalità
Contributi privati
Cifra spesa per abitante
STRATEGIA
ADOTTATA
Lanciare nuove attività economiche
Supportare l’occupazione della popolazione locale
Incrementare i servizi pubblici e le politiche sociali
Ambiente
Miscellanea
RISULTATI
OTTENUTI
Attività economiche create
Supporti all’occupazione della popolazione locale
Servizi pubblici e le politiche sociali creati o migliorati
Ambiente
Miscellanea
Tabella 1 - Bollettino on line: rappresentazione schematica dei contenuti