al miglioramento quotidiano, allo sviluppo delle personali qualità, per metterle al
servizio del gruppo.
È necessario che un atleta possa sperimentare un processo similare, in mancanza
del quale non risulterebbe spontaneo concepire un personale impegno, da porre al
servizio della squadra.
Quella che ho visto muoversi ed agire, affrontare problemi, è una società
sportiva che gode di un terreno su cui vivere, differente dal suolo in cui altre discipline
operano. La diversità dell’ambiente si concretizza nel metodo di gestione delle proprie
risorse, nella filosofia che scaturisce dal gioco e che contagia aspetti quotidiani lontani
dal contesto sportivo: la stessa concezione del gruppo, senza il quale non si avanza,
inculca nell’individuo la capacità della condivisione, dinamica che si pone alla base
della socializzazione.
L’analisi che propongo nel mio elaborato, deriva da un’esperienza personale che
mi ha portato a riflettere su cosa potesse render così diversi gli ambienti sportivi,
specialmente quelli in cui avevo sempre operato, da quello rugbistico esplorato di
recente.
Dal rugby ho appreso un nuovo modo di lavorare assieme, sono stata invitata a
dividere problematiche e successi con gli altri membri del gruppo, ho appreso uno stile
di vita.
Il trasferimento di queste nuove acquisizioni, di una visione più autentica di
gruppo e l’esaltazione del lavoro di squadra in altri ambiti sportivi è risultato un
tentativo fallimentare.
La cultura che viene impartita non solo nella pallavolo, ma nelle restanti
discipline olimpiche, non si sposa con la tradizione del rugby, dove non c’è possibilità
di successo esclusivo per il singolo, ma solo di crescita e vittoria per l’individuo
all’interno di una struttura “gruppale”.
A sostegno della mia convinta ipotesi del rugby come un modello migliore di
comportamento per un soggetto che vive in una realtà collettiva, la mia mente richiama
un episodio, che ancora oggi mi emoziona, dato che non ho sempre vissuto in questo
ambiente.
Assistevo al match tra due formazioni under 18 che si contendevano il posto per
accedere al campionato elite del centro Italia. La tensione come in ogni partita era alta,
2
perché l’imperativo in campo è sempre “vincere”. Nel corso di un’azione confusa, tra
due ragazzi si accese una rissa immediatamente conclusa dagli stessi protagonisti. Il
pubblico delle due squadre, riunito sulla stessa stretta gradinata, risentendosi
dell’episodio, iniziò a rumoreggiare verso i due giovani e qualcuno alle mie spalle urlò:
“ Via ragazzi, che fate? Giochiamo a rugby noi!”.
Per dare forma alla mia riflessione, propongo nel primo capitolo un quadro
generale che spieghi il complesso rapporto tra lo sport e la società.
La nascita dello sport moderno, viene ripercorsa attraverso l’elaborazione del
pensiero di N. Elias e il contributo di N. Porro, che mettono in evidenza i fenomeni
all’origine del processo di sportivizzazione dei passatempi di una volta.
L’utilizzo che la politica fece dello sport, è elemento chiave per evidenziare i
cambiamenti che esso ha subito durante il secolo scorso, in particolar modo per mano
dei regimi dittatoriali. Come avremo modo di chiarire, lo sviluppo del rugby in Italia fu
negativamente influenzato dalle scelte politiche del paese nel periodo fascista. Proprio
da tale regime lo sport della palla ovale ha ereditato una scomoda associazione: nella
cultura comune il rugby venne identificato come incarnazione dell’ideologia fascista,
categoria politica allora non più gradita agli italiani usciti dalla guerra.
Nel 2° capitolo viene ricostruita la storia di questo sport. Fin dai tempi più
remoti era usanza dilettarsi con giochi di palla, caratterizzati da regole più o meno
diverse da quelle proprie del rugby.
La concatenazione logica attraverso il tempo di alcuni elementi comuni tra i
giochi, portano la ricerca fino all’Hurling, che appare il più simile al rugby,
specialmente per versione giocata nelle campagne. È probabile che l’evoluzione di
queste attività ludiche sia stata determinata da fattori ambientali, i quali comportavano
restrizione al gioco e tecniche esecutive particolari.
Nella tradizione del rugby è inoltre profondamente rispettata la leggenda di
Webb Ellis, che fa della nascita di questo sport, un significativo esempio di ribellione.
Fatto accertato fu, invece, la successiva scissione della disciplina del rugby dal
football,
il quale mantenne la rotondità della palla, proprio per la facilità con la quale si
governava coi piedi. La forma ovale della palla da rugby favorisce contrariamente
l’impiego di questa in scambi da gestire con le mani.
3
I capitoli 3°, 4°, 5° e 6° sono dedicati all’analisi di alcuni elementi utili a
delineare l’identità sportiva e il valore formativo di cui il rugby è portatore.
Come attraverso una lente d’ingrandimento, viene messa in risalto la struttura
del gioco. Questa si regge su dei principi che stanno alla base della vita sociale: la
convivenza in gruppo, l’appartenenza a questo, la cooperazione, la lealtà.
Il fenomeno naturale che porta un soggetto ad identificarsi con un gruppo, è
determinato dal bisogno di appartenenza ad una collettività, ed ha origine nella
coscienza dell’inadeguatezza dell’essere umano a vivere da solo. La necessità biologica
di appartenenza ad un gruppo è alla base della sopravvivenza del gruppo stesso.
Va, però, sottolineato il conseguente perfezionamento che l’uomo può ottenere
grazie al percorso evolutivo di cui diviene protagonista. Una delle capacità primarie che
si modificano è l’abilità di integrazione sociale, la quale a sua volta, porta allo sviluppo
di altre capacità, come il decidere di trasmigrare da un gruppo all’altro, perché spinti da
bisogni di altra natura, ovviamente non più riconoscibili con quelle del precedente
gruppo.
I gruppi sportivi sono organizzazioni formali e in quanto tali si definiscono come
“mezzi creati per raggiungere obiettivi la cui realizzazione è al di là delle possibilità di
azione e intervento dei singoli individui1”. Il termine stesso di “organizzazione” deriva
dal greco “òrganon”, cioè “strumento”. L’uomo sceglie liberamente di condividere i
propri bisogni, necessità e aspettative, con un insieme di suoi “simili”, così definibili
non solo per natura biologica, ma per quegli intenti che si ricercano con la formula della
cooperazione all’interno del gruppo generato2.
Max Weber, economista e sociologo tedesco, viene considerato il padre
fondatore della teoria dell’azione organizzativa. Secondo l’autore l’organizzazione è
definibile:
- una forma dell’agire sociale
- un agire umano (di uno o più individui) dotato di senso intenzionato
Definisce anche le componenti dell’agire umano che appare:
- caratterizzato da razionalità intenzionale
- orientato allo scopo in base al senso intenzionato degli attori ed alle loro conoscenze
ed aspettative
1
V. Cesareo (a cura di) “Sociologia” Ed. Vita e Pensiero Milano 2006 p. 98
2
Cfr V. Cesareo p. 98
4
- diretto all’attuazione di un ordinamento
Possiamo perciò identificare l’agire sociale come un ordine di regole nell’azione
collettiva.
Inoltre l’azione organizzativa, essendo una forma di agire razionale commisura sempre i
mezzi ed i fini e quindi pone i suoi traguardi su obiettivi raggiungibili.
L’organizzazione per i teorici dell’azione è un insieme di elementi oggettivi e
soggettivi: da un lato ci sono vincoli oggettivi determinati da forze esterne (ambiente,
tecnologie); dall’altro ci sono però le azioni e decisioni degli individui.
Bernard (1886-1961) sosteneva nella sua opera “The Function of the Executive”
a riguardo della cooperazione nel sistema aziendale, che gli uomini lavorano assieme
per cercar di superare i limiti individuali.
È da questo bisogno che nascono le organizzazioni formali. Tali organizzazioni
possono generarsi in differenti settori della vita sociale interessando campi come la
cultura (musei), la comunicazione, il tempo libero attraverso la formazione di gruppi
sportivi e lo sviluppo di occasioni di socializzazione.
Lo sport ha insite nella sua natura le caratteristiche per esser concepito come
canale d’eccellenza per la costruzione di ambienti di socializzazione. Per tale capacità
oggi è considerato uno strumento valido a fini educativi, grazie alla sua popolarità e
democraticità: ai blocchi di partenza di una gara nessuno è sicuro di aver già vinto.
Un altro aspetto di stampo pedagogico dello sport è sicuramente la sua
similitudine con il “gioco”; con esso, infatti, lo sport condivide sia una vocazione ad
estraniarsi dalla vita vera per creare un mondo a sé stante, con tempi, regole, simbologie
proprie, sia una profonda pulsione per il suo lato competitivo che racchiude al suo
interno un prezioso valore educativo.
La peculiarità dello sport di esprimersi prevalentemente attraverso la
manifestazione corporea, è un ulteriore caratteristica che lo rende adeguato agli obiettivi
educativi. La manifestazione corporea risulta essere funzionale allo sviluppo del
fanciullo per due motivi: da un lato la necessità di favorire una completa formazione
corporea, nell’intento anche di svolgere un ruolo di salvaguardia della salute; dall’altro
l’intento di promuovere un’educazione che non sia solamente legata a valori astratti, ma
che si faccia carico, attraverso lo sport, di tradurre in azione questi stessi valori.
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Lo sport, infatti, racchiude tra i suoi principi fondamentali e costitutivi, il
rispetto delle
regole e dell’avversario; valori che confermano una funzione etica dello sport e di cui
l’educazione è chiamata a servirsi per promuovere i suoi obiettivi pedagogici.
Scuderi, interessatosi dell’aspetto formativo dello sport e del rugby in
particolare, chiarisce l’importanza dell’attività fisica al servizio dello sviluppo sociale
dell’individuo, con queste parole: “Oggi sembra inconfutabile che per i termini
‘educazione fisica’ e ‘sport’ la latitudine semantica debba estendersi al di là degli spazi
lessicali di un tempo. Così l’educazione fisica non può esser intesa semplicemente in
funzione salutistica e igienica, come non può esser considerato lo sport nel senso di
‘diporto’, secondo la dimensione empirica anglosassone, in verità molto lontana nel
tempo, se già nel secolo scorso lo sport aveva acquistato importanza determinante nel
processo formativo del cittadino britannico, implicante ampi risvolti sociali. Su questo
piano è posto il concetto di educazione fisica nel mondo odierno: è un piano
pedagogico che vede l’educazione fisica quale componente essenziale del processo
educativo, data l’evidenza della correlazione esistente tra le attività psichiche e quelle
fisiche nel contesto della vita umana.3”
Qualsiasi tipologia di gioco sportivo ha gli elementi necessari per garantire
processi di socializzazione e di formazione della persona. Quello che ne determina la
differenza è la modalità, l’entità e lo spirito con cui esso è in grado di proporli,
l’immediatezza con cui questi possono esser vissuti e raggiunti.
Da tale presupposto nasce l’idea di ricercar quale, tra le forme organizzate di
giochi, potesse essere uno sport in grado di offrire un ampio bagaglio di elementi
formativi, che tocchino tutte le sfere della personalità di un individuo.
L’interesse di questa ricerca è diretto ad individuare grazie a quali principi e
mezzi uno sport possa fornire la più immediata e sensata mediazione tra obiettivi
formativi e obiettivi tecnici individuali, quanto societari ai vari livelli agonistici in cui si
possono sviluppare.
3
G. Scuderi “Sport e personalità. Valore educativo dello sport- il gioco del rugby.” Ed La Scuola 1982
p. 37
6