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1 INTRODUZIONE
1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEI MARGINI
CONTINENTALI
I margini continentali e le relative regioni di scarpata rappresentano la
zona di confine tra la piattaforma continentale e il mare aperto (Thomsen
et al, 2002).
I margini possono essere distinti dal punto di vista geologico in:
• margini continentali passivi, tettonicamente inattivi (come ad
esempio la Penisola Iberica occidentale) che si sono originati da fratture
delle placche continentali;
• margini continentali attivi, caratterizzati da forte instabilit . Sono
margini formati dalla convergenza di due placche continentali, con
conseguente formazione di fosse e archi insulari (ad esempio il Pacifico
orientale).
I margini continentali europei sono per la maggior parte tettonicamente
inattivi, rientrando quindi nella categoria di margini passivi .
Si estendono per circa 15000 Km dall Artico fino al Mar Nero, ad una
profondit che varia dai 200 m ai 4000 m delle piane abissali.
Sono zone caratterizzate da gradienti latitudinali molto marcati, che
riguardano parametri come la produttivit primaria, differenze
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geomorfologiche e livelli di biodiversit che variano da zona a zona .
(Rex et al, 1993).
Le caratteristiche geomorfologiche e idrodinamiche della scarpata,
unitamente alla presenza di elevati apporti di acque dolci continentali,
rivestono un importante ruolo nei processi sedimentari e di export di
materia organica nei sistemi di margine (Thomsen et al, 2002).
Recenti studi hanno messo in evidenza che i margini continentali
rivestono un ruolo chiave nei cicli biogeochimici e sulla produttivit
biologica su scala globale (circa il 25 % del totale) (Jahnke, 1996).
Inoltre Ł stato visto che nei sedimenti profondi associati alle aree di
margine, circa il 90% del carbonio organico che sedimenta viene infossato
permanentemente, con risvolti importanti sul sequestro di CO2
atmosferica (Harnett et al., 1998).
I sistemi bentonici delle aree marginali sono caratterizzati da
concentrazioni di carbonio organico significativamente piø elevate
rispetto ai sistemi oceanici, con tassi di remineralizzazione del carbonio
organico di 5-10 volte superiore (Anderson et al, 1994), con un elevata
attivit di nitrificazione (Balzer et al, 1998).
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1.2 IL GOLFO DEL LEONE
Il Golfo del Leone Ł margine continentale nel nord-ovest del
Mediterraneo, con una grande piattaforma continentale. E un margine
passivo che si Ł formato nel periodo che coincide con l Eocene
superiore-Oligocene (circa 40 milioni di anni fa), durante un apertura
dello Stretto di Gibilterra e la formazione di un micro-oceano che
separava il blocco sardo-corso dal continente.
Durante il Miocene (25 milioni di anni fa) Ł caratterizzato da un iniziale
progressione, seguita da una riduzione per erosione durante la famosa
Crisi del Messiniano (5.6 Ma, Krijgsman et al., 1999), dove il livello
del mare si Ł ridotto di circa 1500 metri (Ryan, 1976), importante anche
per il processo di formazione dei numerosi canyon che intagliano la
scarpata continentale del margine franco-iberico.
La piattaforma Ł caratterizzata da un regime idrodinamico di elevata
energia e dominato da intensa attivit ondosa.
La circolazione generale delle masse d acqua all interno del Golfo del
Leone Ł sotto l influenza della circolazione generale anticiclonica del
Mediterraneo (Millot, 1990), e della corrente liguro-provenzale che
scorre lungo la scarpata continentale da est ad ovest.
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Inoltre queste forzanti idrodinamiche regolano la struttura sedimentaria
dei depositi della piattaforma e la distribuzione delle zone caratterizzate
da elevata sedimentazione.
Piø di 10 fiumi con un bacino imbrifero di oltre 125000 Km2 di
superficie sfociano nel golfo e il fiume Rodano nel nord-est del Golfo
apporta, da solo, circa l’80% di tutti gli input di acqua dei fiumi (Van de
Broeck et al., 2002).
La linea di costa Ł fortemente urbanizzata (circa 1,5 milioni di abitanti)
con la presenza di una grande citt francese, Marsiglia (800.000 abitanti)
situata a nord-est della foce del Rodano.
L’apporto di nutrienti dal continente tramite i fiumi e il trasporto eolico Ł
significativo, come hanno dimostrato Minas & Minas (1989), l’apporto
di nutrienti del Rodano influenza la produzione primaria della
piattaforma continentale.
1.3 IL CANALE DI SICILIA
Il Canale di Sicilia, situato tra la Sicilia e la Tunisia nord-orientale, e
unisce il Mediterraneo occidentale con quello orientale giocando inoltre
un ruolo fondamentale nella circolazione dell interno Mar Mediterraneo
(Molcard et al., 2002)
Il Canale Ł il risultato delle interazioni che negli ultimi 25 milioni di anni
hanno regolato i rapporti tra la placca continentale africana ed europea.
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La convergenza Nord-Sud tra questi due continenti ha prima costruito il
segmento siciliano della catena alpina (catena a falde appenninico-
maghrebide) e poi, sul bordo nord del paleo-continente africano, in
corrispondenza di una zona a crosta continentale assottigliata (20-22
km), ha aperto il canale.
Si tratta una vasta struttura geologica allungata in direzione NW-SE,
obliqua quindi rispetto al fronte di collisione tra l’Africa e l’Europa (N-
S).
Lo sviluppo di questa struttura Ł controllato da tre gruppi di faglie
orientate, rispettivamente NW-SE, NE-SW e N-S e rinvenute sia sul
fondale del Canale di Sicilia sia sulla terraferma.
Lungo l’asse del canale, tra il Messiniano ed il Pliocene inferiore (5-6
Ma), l’attivit delle faglie ha generato le depressioni tettoniche di
Pantelleria, Linosa e Malta, profonde fino a 1700 m e riempite da
depositi torbiditici plio-pleistocenici (oltre 2000 m nel bacino di Linosa).
Queste importanti subsidenze dei bacini sono da mettere in relazione con
la vivace attivit delle discontinuit tettoniche che li governa e che
genera tuttora una diffusa attivit sismica.
Pertanto il contesto tettonico e geodinamico del Canale di Sicilia,
oggettivamente complesso e di difficile lettura, Ł ancora deficitario di un
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modello funzionale univoco; le ipotesi sinora formulate interpretano
questa struttura come:
1) un tipico rift continentale, sottoposto ad estensione NE-SW,
perpendicolare al suo asse;
2) come una zona di taglio, attivata dagli sforzi collisionali N-S
(Boccaletti et al., 1987).
Un’ulteriore ambiguit riguarda anche l’interpretazione della
contemporanea attivit , tettonica e vulcanica dei sistemi di
discontinuit , orientati NW-SE (direzione del canale, lungo cui si
sono sviluppati i bacini) e circa NS (direzione della convergenza
continentale).
Queste ipotesi sono lacunose e comportano elementi di discussione e
problematiche aperte.
1.4 I CANYON SOTTOMARINI
I canyon sottomarini sono valli sommerse che fanno parte del sistema di
drenaggio dei margini continentali, sono viste come hot spot di
diversit di specie ed endemismi, (Bouillon et al., 2000, Gili et al.,
2000), e giocano un ruolo importante nella struttura di popolazione e sui
cicli della fauna planctonica e megafauna bentonica (Mussi et al.,2003).
La caratteristica piø importante dei canyon sottomarini Ł quella di essere
un collegamento tra la zona costiera e la zona profonda degli oceani, e
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fungono da condotti per il trasporto di materiale sedimentario verso il
fondo del mare (Fabres et al., 2005).
Il materiale organico ed inorganico che viene convogliato dai canyon Ł
di diversa natura, da quella originatasi nella colonna d acqua sovrastante
a quella che arriva dai sistemi fluviali terrestri.
Il materiale fluisce lungo l asse del canyon e si infossa negli accumuli di
sedimento nel bacino profondo sotto la scarpata (Canals e al., 2004).
La sedimentazione Ł regolata principalmente dalle correnti che fluiscono
lungo l asse del canyon e che hanno prevalentemente direzione verticale
al fondo (Durrier de Madron et al, 1996), e recenti studi di circolazione
dentro i canyon hanno mostrato interessanti fenomeni di upwelling e
downwelling che influenzano i processi di trasporto e deposito di
sedimento lungo l asse del canyon (Signorini et al, 1997).
Tutti questi processi aiutano a creare un biotopo speciale caratterizzato
da elevate densit locali e diversit bentoniche e pelagiche non presenti
in altri habitats della piattaforma e della scarpata continentale (Gage &
Tyler, 1992; Vetter, 1995).
Origine e caratteristiche dei canyon sottomarini: Due sono le
interpretazioni principali proposte per spiegare l’esistenza dei canyon che
intagliano i numerosi margini continentali del globo.
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Queste possono essere riassunte "dall’alto verso il basso" e "dal basso
verso l’alto" (BernØ et al., 2005).
La prima ipotesi (dall’alto verso il basso) Ł basata sull’osservazione
secondo la quale numerosi canyon della scarpata continentale possono
essere associati a sistemi fluviali continentali.
A volte si pu notare nella morfologia sottomarina la continuit della
foce di alcuni sistemi fluviali, le loro valli incise durante il basso livello
marino sulla piattaforma continentale e i canyon sulla scarpata.
Per quanto riguarda il meccanismo di accrescimento dei canyon, i primi
autori pensavano che ci implicava una fase d’emersione, con erosione
diretta della scarpata continentale da parte dei fiumi.
Tuttavia i canyon detti "messiniani" non hanno niente a che vedere con i
canyon che osserviamo oggi, le cui tracce non corrispondono alle
incisioni sub-aeree formate in quel periodo.
L’analisi sismica della piattaforma esterna mostra che Ł nel Pliocene
superiore che appaiono le prime grandi incisioni, in relazione ad un
aumento del flusso sedimentario e dell’estensione dei giacimenti glacio-
eustatici (Lofi, 2002); queste incisioni sono state mantenute e
progressivamente ingrandite dalle correnti di torbidit , capaci di erodere
e di trasportare importanti volumi sedimentari.
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La seconda ipotesi (dal basso verso l’alto) invoca la formazione di
smottamenti iniziali (ad esempio frane sottomarine) a livello della
scarpata continentale, che si possono evolvere verso l’alto sottoforma di
smottamenti regressivi.
In una fase successiva, queste incisioni si possono connettere a delle
sorgenti sedimentarie situate sul bordo della piattaforma, e le correnti di
torbidit aumenteranno il processo di erosione del canyon.
I fattori morfo-batimetrici mostrano che questi due processi sono
entrambi presenti nel Golfo del Leone.
Alcuni canyon potrebbero, in effetti, essere connessi a sistemi fluviali
dormienti, come dimostrano le analisi morfologiche della piattaforma
continentale (Tesson et al., 2005). L’incisione assiale meandriforme nella
testa del canyon Bourcart, ad esempio, suggerisce una diretta
connessione di un fiume con questo canyon in un periodo di
abbassamento del livello marino (Tesson et al., 2005).
Al contrario,si Ł osservato in maniera molto netta, ad esempio a est del
Canyon Pruvot, delle zone da scivolamento che tagliano il margine, ma
che non hanno ancora oltrepassato la scarpata.
Un terzo caso, intermediario, mostra che i canyon non costituiscono solo
una zona d’erosione, ma anche dei luoghi di accumulo sedimentario.