2profondo nell’attuazione delle pari opportunità. Il
raggiungimento del principio paritetico è quindi un
obiettivo fondamentale di democrazia, nonché “un
diritto, un valore, una necessità”
1
.
Qualsiasi disparità di trattamento è contraria allo
spirito civile di un Paese e comporta, inevitabilmente,
l’obbligo morale di porvi rimedio, soprattutto, nei
confronti delle diseguaglianze. Fintanto si porranno in
essere condotte discriminatorie, si avrà un deficit di
democrazia, e fino a quanto permarrà tale difetto, il
principio di uguaglianza non troverà mai piena
applicazione.
L’analisi giuridica di questa trattazione, imprenderà,
dunque, la disamina congiunta, da un punto di vista
gnoseologico ed euristico, della normativa
antidiscriminatoria comunitaria e di quella nazionale.
Sulla base dei rilievi giuridici riscontrati, cercherò di
evidenziare i caratteri epistemologici dell’effettività del
diritto antidiscriminatorio
2
, con l’intento di fornire
spunti di riflessione e di analisi per delle prospettive di
miglioramento.
1
Tale espressione è stata inserita all’interno dei piani quinquennali dell’Unione Europea concernenti
l’attuazione delle politiche paritetiche;
2
Una efficace definizione di diritto antidiscriminatorio è quella proposta da Barbera, M., L’effetto
trasversale del principio di non discriminazione, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza
sociale, 2008, fasc. 4, pp. 469-480: “quel corpus di norme volte a impedire, attraverso obblighi di natura
negativa, che il destino delle persone sia determinato da status naturali o sociali ascritti (il sesso, la
razza, l’origine etnica e via dicendo) e, al tempo stesso, a consentire, attraverso obblighi di natura
positiva, che identità soggettive differenti siano tutte egualmente riconosciute e tutelate”;
3Sulla base di tali premesse, ho strutturato il mio
elaborato in otto parti: la prima (Introduzione) con il
precipuo di fornire alcuni elementi sulla modalità
adottata in tale trattazione, la seconda ( Capitolo I),
affrontando, attraverso la comparazione della normativa
comunitaria con quella nazionale, il difficile problema
della tutela antidiscriminatoria, la terza (Capitolo II)
invece, comprende la disamina delle singole fattispecie
discriminatorie in ambito lavorativo, la quarta (Capitolo
III)si propone, di contro, di illustrare le varie azioni
esperibili dai soggetti discriminati, la quinta ( Capitolo
IV) dedicata all’approfondimento del regime probatorio,
indispensabile corollario di una tutela effettiva ed
efficace, la sesta (Capitolo V) include la disamina delle
soluzioni conciliative, mentre la settima (Capitolo VI)
dedicata all’approfondimento di alcuni rilievi dottrinari
in applicazione alla realtà della Consigliera di parità
Provinciale di Milano, ed infine, l’ottava parte,
(Osservazioni conclusive) che rappresenta una sorta di
giudizio prognostico sulla effettività del diritto
antidiscriminatorio.
4CAPITOLO I
LA TUTELA ANTIDISCRIMINATORIA
1. Introduzione
Il diritto antidiscriminatorio vede, nel corso di più di
un decennio, un’espansione, quasi esponenziale,
dell’ambito della sua applicazione. Questo è stato
causato sia, dal sempre più crescente ruolo legislativo
svolto dall’Unione Europea sia dalla comparizione di
nuove fattispecie discriminatorie di reato poste in essere
per motivi correlati al genere, alla razza, all’etnia di
appartenenza, alla religione, alle convinzioni personali,
alle disabilità, all’età, all’orientamento sessuale, ma
anche in ragione di altri fattori discriminanti quali lo
status di detenuto o ex detenuto, nonché l’eventuale
trattamento di disparità riservato alle persone affette da
HIV.
Si comprende, quindi, la complessità e la vastità della
materia antidiscriminatoria, anche in ragione del
parallelismo con i diritti fondamentali e di altri precetti
giuridici indispensabili per l’ottenimento
dell’armonizzazione normativa
3
. Nonostante ciò, alla
luce della disamina che seguirà nelle pagine seguenti, è
utile, quanto meno indispensabile, ripercorrere alcuni
3
Calafà, L., Le direttive antidiscriminatorie di “nuova generazione”: il recepimento italiano, in Studium
iuris, 2004, fasc. 7-8, pp. 873-881;
5punti salienti che hanno caratterizzato il diritto
antidiscriminatorio comunitario e nazionale, venendo a
costituire i prodromi per un corpus normativo
imperniato nell’attuazione delle politiche di pari
opportunità a prescindere dalla posizione sociale e dallo
stato giuridico
4
.
Nel proseguo di tale elaborato, si troverà, dunque, la
disamina congiunta, da un punto di vista gnoseologico
ed euristico dei principiali provvedimenti del legislatore
comunitario, i.e. la direttiva 2000/43/CE, la direttiva
2000/78/CE, la direttiva 2002/73/CE e la recente
direttiva 2006/54/CE ed i principali provvedimenti
adottati dal nostro legislatore, i.e. il decreto legislativo
215/2003 e il decreto legislativo 216/2003, il decreto
legislativo 145/2005, nonché il decreto legislativo
198/2006.
Passiamo, pertanto, all’analisi dei singoli
provvedimenti, iniziando dal diritto comunitario e
proseguendo, poi, con il diritto nazionale, senza
tralasciare alcune osservazioni fatte da chi scrive,
tendenti alla disamina concreta delle disposizioni al fine
di rendere edotto l’operatore di diritto, ma non solo,
dell’effettività degli stessi, nonché della tutela da essi
apprestata. Infatti, “se si vuole introdurre
4
Per uno specifico commento si veda Vettor, T., Uguaglianza e diritto del lavoro, in Le ragioni
dell’uguaglianza. Atti del VI convegno della Facoltà di Giurisprudenza. Università degli Studi di Milano -
Bicocca. 15-16 maggio 2008, a cura di Cartabia, M., Vettor, T., Giuffrè ed., Milano, 2009, pp. 199-208;
6nell’ordinamento una nuova forma di tutela occorre
darsi carico delle questioni tecniche che una simile
operazione comporta”
5
.
Questo significa che il grado di effettività della tutela
antidiscriminatoria è valutabile solo in considerazione
dell’attuazione, in termini concreti, del principio di
uguaglianza inteso nella sua più alta concezione di
strumento volto all’attuazione della parità senza
distinzioni. A tal proposito è stato segnalato da una
dottrina
6
autorevole, come in realtà, i provvedimenti
comunitari contengano una “stratificazione di significati”
del principio di uguaglianza. E’ inevitabile, quindi, che
tale tecnica legislativa comporti, mutatis mutandis,
molteplici, quanto mai unitari, modelli prescrittivi non
allineati alla concreta e tangibile parità di trattamento.
In termini di effettività della tutela, dunque, il
principio di uguaglianza postula sia la inderogabilità di
un intervento normativo tendente alla parità di
trattamento, sia la soggettività della situazione a cui
l’intervento normativo fa riferimento. In altre parole, il
principio paritetico è effettivamente tale, solo laddove
esso imprende un trattamento uguale per situazioni
equivalenti ed al contempo un trattamento diversificato
5
Proto Pisani, Sulla tutela giurisdizionale differenziata, in Rivista di diritto processuale, 1979, p. 539;
6
Barbera, M., Il nuovo diritto antidiscriminatorio: innovazione e continuità, in Il nuovo diritto
antidiscriminatorio. Il quadro comunitario e nazionale, a cura di Barbera, M., Giuffrè ed., Milano, 2007,
parte introduttiva;
7modellato sulle soggettività e sulle sperequazioni per
situazioni diverse.
2. Il diritto comunitario
L’opera legislativa di definizione e di codificazione
della materia antidiscriminatoria prende avvio grazie ai
molteplici interventi delle istituzioni comunitarie,
nell’ambito dei piani di sviluppo in tema di parità di
trattamento e delle pari opportunità tra uomini e donne
nel mondo del lavoro e dell’occupazione, con l’intento di
favore lo sviluppo e l’applicazione di politiche integrate
e coerenti
7
.
Il prodromo imprescindibile del diritto
antidiscriminatorio è ravvisabile nel divieto di qualsiasi
forma di discriminazione. Tale divieto è stato codificato
con l’emanazione, nel 1998, del Trattato di Amsterdam,
il quale sancisce, per la prima volta, il divieto di porre in
essere condotte discriminatorie in ragione “del sesso, la
7
Dichiarazione del Consiglio del 19 dicembre 1991, relativa all’applicazione della raccomandazione
della Commissione sulla tutela della dignità della donne e degli uomini nel mondo del lavoro, compreso il
codice di condotta volto a combattere le molestie sessuali;
8razza, l’origine etnica, la religione o le convinzioni
personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”
8
.
L’importanza della norma de quo è tale per cui essa è
stata ripresa ed inserita nella Carta di Nizza
9
sui diritti
fondamentali all’articolo 21, il quale riprende l’originaria
formulazione, ma ne amplia l’ambito di applicazione,
vietando: “qualsiasi forma di discriminazione fondata, in
particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o
l’origine etnica sociale, le caratteristiche genetiche, la
lingua, la religione, o le convinzioni personali, le
opinioni politiche o di qualsiasi altra natura,
l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il
patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze
sessuali”.
Dello stesso periodo è il riconoscimento del principio
di parità di trattamento in ambito lavorativo, grazie al
quale, in virtù della modifica apportata all’ ex art. 119
( ora art. 141 ) Trattato CE, si estende in tutto il settore
lavorativo ed occupazionale, l’applicazione del principio
di eguaglianza di genere, ed infatti: “allo scopo di
assicurare l’effettiva e completa parità tra uomini e
8
Il Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i Trattati che istituiscono le
Comunità europee ed alcuni atti connessi, firmato il 2 ottobre 1997. A seguito dell’entrata in vigore del
Trattato di Amsterdam, si modifica l’art. 13 del Trattato sull’Unione Europea con la seguente statuizione:
“Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da esso conferite
alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa
consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le
discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli
handicap,l’età o le tendenze sessuali”;
9
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( Nizza, 7 dicembre 2000), Art. 21;
9donne nella vita lavorativa, il principio della parità di
trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga
o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a
facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte
del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o
scompensare svantaggi nelle carriere professionali”. Per
comprendere la ratio di tale disposizione si cita a titolo
esemplificativo una sentenza emanata dal Tribunale
costituzionale polacco
10
, la quale chiarisce e specifica la
formulazione della norma in commento
contestualizzandola: “sino a quando nella realtà sociale
le donne hanno, di regola, posizioni più deboli, c’è una
giustificazione costituzionale per l’adozione di
disposizioni che conferiscano specifici vantaggi alle
donne, perché questo è un modo per assicurare oggi
l’uguaglianza alle donne”.
Il riferimento alla sfera lavorativa, come una tra le
prime in cui il principio paritetico ha trovato la sua
codificazione, non è casuale se si pensa alle finalità
della Comunità Europea, ossia la creazione del mercato
unico, per cui un sistema socio-economico in cui i
soggetti, non sono individui, ma sono lavoratori e
lavoratrici
11
.
10
Tribunale polacco, sentenza 5/1997;
11
Caretti, P., Uguaglianza e diritto comunitario, in Le ragioni dell’uguaglianza. Atti del VI Convegno
della Facoltà di Giurisprudenza. Università degli Studi di Milano - Bicocca. 15-16 maggio 2008, a cura di
Cartabia, M., Vettor, T., Giuffrè ed., Milano, 2009, pp. 209-220;
10
Proprio l’attuazione del principio di parità di
trattamento ha portato all’emanazione di taluni
provvedimenti diretti all’ampliamento della tutela
antidiscriminatoria
12
. Mi riferisco, in modo precipuo, alla
direttiva 2000/43/CE che attua il principio della parità di
trattamento fra le persone indipendentemente dalla
razza e dall’origine etnica, alla direttiva 2000/78/CE che
stabilisce un quadro generale per la parità di
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di
lavoro, alla direttiva 2002/73/CE inerente l’applicazione
del principio della parità di trattamento tra uomini e
donne nell’ambito lavorativo con specifico riferimento
all’accesso al mondo del lavoro, alla formazione e alla
promozione professionale, nonché, alle condizioni di
lavoro, ed infine alla recentissima direttiva 2006/54/CE
contenente le principali disposizioni in materia di
occupazione e impiego riguardanti l’attuazione del
principio paritetico. Direttive chiamate anche di seconda
generazione poiché comportano delle novità rilevanti sia
nel diritto comunitario sia in quello nazionale,
ampliando la tutela antidiscriminatoria a diversi fattori di
rischio
13
. La scelta di tali fattori non è casuale, ma
rappresenta il risultato ottenuto dall’influenza esercitata
12
L’ampliamento della tutela antidiscriminatoria è innegabile, ciò nonostante è importante sottolineare
che il grado di effettività della tutela non è completo, data la carenza di una normativa ad hoc, specifica
per quei fattori di rischio che esulano dalla sfera lavorativa;
13
Calafà, L., Le direttive antidiscriminatorie di “nuova generazione”: il recepimento italiano, in Studium
iuris, 2004, fasc. 7-8, pp. 873-881;
11
nel diritto antidiscriminatorio dalla redazione della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dalle
raccomandazioni della Commissione e del Consiglio in
merito all’adozione da parte degli Stati membri di
politiche occupazionali tendenti all’elaborazione di un
piano d’azione unitario contro le discriminazioni.
L’adozione di un programma comune consentirà
l’adozione di misure di prevenzione e di contrasto alla
discriminazione semplice e multipla, anche attraverso
attività di informazione e sensibilizzazione
14
.
Nelle pagine che seguiranno, si procederà, di
conseguenza, all’analisi dei singoli provvedimenti ora
citati.
2.1 La direttiva 2000/43/CE
La direttiva 2000/43/CE attua il principio della parità
di trattamento fra le persone indipendentemente dalla
razza e dall’origine etnica
15
. Si tratta di un
provvedimento posto in essere dal legislatore
comunitario nell’ambito attuativo dell’art. 13 del
Trattato sull’Unione Europea, nonché un intervento
normativo indispensabile a seguito dei fenomeni
migratori che hanno caratterizzato l’Europa ed anche in
14
Calafà. L., opera citata in precedenza;
15
Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000;
12
considerazione della creazione dell’economia e del
mercato globale.
Con tale direttiva, l’ambito di applicazione della tutela
antidiscriminatoria è estesa anche alle condotte
discriminatorie attuate in considerazione della razza e
dell’origine etnica con il precipuo di rendere effettivo il
principio paritetico. Ed infatti, l’art. 1 della presente
direttiva dispone che: “La presente direttiva mira a
stabilire un quadro per la lotta alle discriminazioni
fondate sulla razza o l’origine etnica, al fine di rendere
effettivo negli Stati membri il principio della parità di
trattamento”.
Tale premessa è necessaria ai fini della comprensione
dell’ambito di applicazione assai ristretto e compresso
della direttiva stessa. Ed infatti, le disposizioni ivi
contenute sono specifiche per l’ambito lavorativo, anche
se ovviamente, il fenomeno discriminatorio così come
quello razziale va ben oltre la sfera occupazionale.
13
Tant’è vero che l’art. 3, comma 1
16
impone il divieto di
discriminazione sia al settore pubblico, sia al settore
privato, ma al contempo, introduce espressamente al
comma 2 una clausola derogatoria in funzione della
nazionalità: “La presente direttiva non riguarda le
differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non
pregiudica le disposizioni e le condizioni relative
all’ingresso e alla residenza di cittadini di paesi terzi e di
apolidi nel territorio degli Stati membri, né qualsiasi
trattamento derivante dalla condizione giuridica dei
cittadini dei paesi terzi o degli apolidi interessati”.
Analizzando la disposizione de quo è possibile
affermare che, in virtù di una tale restrizione normativa
ed in considerazione del contesto circoscritto al solo
ambito lavorativo, il principio paritetico è concepito in
funzione del divieto di discriminazione preso ad oggetto
dalla stessa direttiva, incidendo inevitabilmente, di
16
Art. 3, comma 1, direttiva 2000/43/CE: “Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente
direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, compreso gli
organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
a) alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro sia indipendente che autonomo, compresi i
criteri di selezione e le condizioni di assunzione, indipendentemente dal ramo d’attività e a tutti i
livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;
b) all’accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e
riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
c) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la
retribuzione;
d) all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o di datori di lavoro o in
qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle
prestazioni erogate da tali organizzazioni;
e) alla protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria;
f) alle prestazioni sociali;
g) all’istruzione;
h) all’accesso a beni e servizi a alla loro fornitura, incluso l’alloggio”;
14
conseguenza, sul piano dell’effettività della tutela
17
. A
tal riguardo, merita di essere segnalato, come la
presente direttiva, in realtà estenda ben oltre la sfera
lavorativa il suo ambito di applicazione. Ed infatti, con
l’art. 3 la tutela è applicata anche a settori e rapporti
quali la protezione sociale, la sicurezza sociale e
l’assistenza sanitaria, le prestazioni sociali, l’istruzione,
l’accesso a beni e servizi ed allo loro fornitura, incluso
l’alloggio.
In aggiunta, e sempre facendo riferimento alla
effettività della tutela antidiscriminatoria cui il presente
elaborato mira a porre in rilievo, si segnala il pregevole
contributo, almeno in linea teorica, della volontà
legislativa di attuazione del principio paritetico. Mi
riferisco, in modo precipuo al considerando n.6 della
direttiva in commento, per il quale: “L’Unione europea
respinge le teorie che tentano di dimostrare l’esistenza
di razze umane distinte. L’uso del termine “razza” nella
presente direttiva non implica l’accettazione di siffatte
teorie”
18
.
Proseguendo con la disamina giuridica del
provvedimento comunitario, è possibile effettuare alcune
riflessioni in merito al significato meta-fisico del
17
Chieco, P., Le nuove direttive comunitarie sul divieto di discriminazione, in Rivista italiana di diritto
del lavoro, 2002, fasc. 1, pt.1, pp. 77-117;
18
Chieco, P., opera citata in precedenza; L’autore parla in propositivo di significatività solo sul piano
politico, introducendo perplessità sull’identificazione e individuazione delle condotte discriminatorie
vietate dalla direttiva;
15
precetto discriminatorio. Ed infatti, il divieto imposto dal
legislatore del 2000 è costruito sulle condotte lesive
poste in essere direttamente con l’intento di
discriminare e/o indirettamente. Ciò si evince,
precipuamente all’art. 2 dove si introducono le nozioni
di discriminazione diretta ed indiretta. La prima opera
quando “a causa della sua razza od origine etnica, una
persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia,
sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione
analoga”, di contro la seconda sussiste allorquando “una
disposizione, un criterio o una prassi apparentemente
neutri possono mettere persone di una determinata
razza od origine etnica in una posizione di particolare
svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale
disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente
giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati
per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Analizzando il dispositivo da un punto di vista
euristico, è possibile affermare, data l’ariosità della
tecnica di formulazione, che il giudizio prognostico
sull’evento discriminatorio postula una fase di
valutazione e comparazione in via equitativa di
situazioni anche ipotetiche. D’altro canto tale statuizione
imprende anche, tout court, l’ordine di discriminare.
Non si tratta di una semplice previsione aggiuntiva,
poiché essa incide sul piano dell’effettività della tutela,