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Il Sole è una stella di sequenza principale, di tipo spettrale G2 (una nana gialla), poco più grande e
calda di una stella di media grandezza. Una stella di tipo G2, prima di esaurire completamente tutto
il suo combustibile, ha una vita di circa 10 miliardi di anni, ed attualmente il Sole ha un'età, stimata
grazie agli studi di nucleocosmologia, di poco superiore ai 5 miliardi di anni. Il fatto che essa
appartenga alla sequenza principale del grafico di Hertzsprung e Russell (che mette in relazione la
temperatura superficiale di una stella con la sua luminosità) è sintomo di una particolare stabilità.
La nostra stella rimarrà in queste condizioni di relativa quiete per altri 5 miliardi di anni, dopodichè
le teorie dell’evoluzione stellare indicano che essa si trasformerà prima in gigante rossa, per poi
diventare una nana bianca. Nei paragrafi che seguono verranno brevemente descritte le diverse
regioni nelle quali viene classificata la struttura del Sole, dal suo interno fino all’atmosfera esterna,
(vedi figura 1) e verrà accennata l’attività solare, ovvero la presenza di fenomeni di variabilità che
si manifestano in un ampio intervallo di scale temporali e spaziali.
1.2 Il nucleo
Il nucleo è la parte più interna
del Sole e si suppone che si
estenda dal centro fino a circa
0.2 raggi solari: in questa zona
avviene il processo di fusione
nucleare. Attraverso le
reazioni nucleari (meglio note
come processo p-p, protone-
protone) l’idrogeno viene
convertito in elio. In questa
fase la materia si trasforma al
ritmo di 4 milioni di
tonnellate al secondo. Il nucleo è l’unica zona del Sole che produce un’apprezzabile quantità di
calore: la rimanente parte della stella è riscaldata dall’energia trasferita dal nucleo verso le regioni
più esterne. Per emergere come luce visibile e sotto forma di particelle, l’energia risale verso la
superficie del Sole assai lentamente, impiegando circa 10 milioni di anni, a causa dell’alta densità
degli strati attraversati e quindi dell’alto tasso di assorbimento e remissione dei fotoni.
Figura 1: struttura del Sole.
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1.3 La zona radiativa
L’energia che si diffonde dal nucleo verso l’esterno del Sole, sotto forma di raggi X e γ, attraversa
una regione interna chiamata zona radiativa. Questa zona si estende da 0.2 a 0.7 raggi solari. Il
nucleo e la zona radiativa presentano elevatissimi valori di temperatura e pressione, e la materia si
trova in uno stato degenere detto plasma.
1.4 La zona di convezione
La zona radiativa è quindi circondata dalla zona di convezione, all’interno della quale i gas,
riscaldati dalla radiazione proveniente dalla zona sottostante, si espandono salendo verso la
superficie del Sole, rilasciando così l’energia assorbita. In questo modo i gas si raffreddano e,
divenuti più densi, ritornano verso il basso, completando il processo.
1.5 La fotosfera
La superficie luminosa del Sole si chiama fotosfera. Essa segna il confine tra la densa e opaca
massa gassosa, che si trova nella regione più interna del Sole, e il materiale più rarefatto e
trasparente, che si trova all’esterno. Osservando un’immagine ingrandita della fotosfera si nota il
suo aspetto granuloso. Questo è determinato dai flussi di gas caldo che salgono verso la superficie e
ridiscendono nella zona convettiva sottostante. La parte superiore di queste colonne di gas forma i
granuli, ciascuno con un diametro di centinaia di chilometri e presenti a milioni sulla fotosfera.
Poiché la vita media dei granuli è di appena 10 minuti, la superficie solare cambia in maniera
continua.
1.6 L’atmosfera solare
La zona al di sopra della fotosfera è chiamata, nel suo insieme, atmosfera solare ed è suddivisa in
diverse zone: la cromosfera, la regione di transizione, la corona e l’eliosfera.
La cromosfera (dal greco, sfera-colorata), di spessore medio pari a circa 2.000 Km, osservata in
luce visibile presenta un colore rossastro. La cromosfera è difficile da osservare poiché si trova
adiacente all’abbagliante fotosfera; tuttavia può essere studiata durante le eclissi totali (durante le
quali la fotosfera viene oscurata dalla Luna) attraverso le righe di emissione nel visibile (Hα 6536
Å, CaII, H, K, FeXIV 5303 Å) e dallo spazio nell’ultravioletto. I gas della cromosfera non sono
distribuiti uniformemente, ma sono concentrati in alcune regioni, quelle che circondano le macchie
solari, che sono zone più fredde, dove formano dense nubi di gas chiamate facole. Altrove i gas si
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concentrano in fiamme sottili e luminose, dette spicole. Si tratta di getti gassosi che si innalzano
fino a 10.000 Km dalla fotosfera per non più di 5 minuti. Le spicole circondano enormi bolle di gas,
conosciute come supergranuli, ampie anche 30.000 Km, che si espandono e sprofondano come i più
piccoli granuli, ma che hanno una vita più lunga, di circa 12 ore. Dalla cromosfera possono venire
eiettate nello spazio gigantesche masse di gas incandescente, lunghe mediamente più di 100.000
Km. I flares o brillamenti sono fenomeni provocati da improvvise emissioni di energia che
riscaldano e accelerano la materia presente nell’atmosfera solare, scagliando una quantità enorme di
radiazioni e particelle cariche elettricamente. I flares sono classificati in funzione del flusso di
energia rilasciata. Le classi a cui appartengono sono A, B, C, M e X. Gli eventi più deboli sono di
classe A, quelli più energetici di classe X.
La regione di transizione è una sottile zona di separazione tra la cromosfera e la corona e presenta
uno spessore di poche centinaia di chilometri. Le osservazioni effettuate nelle righe spettrali
dell’idrogeno, dell’elio e di ioni pesanti nell’ultravioletto (ad esempio nel Fe XV, Mg IX, Ne VII,
OVI e OIV), hanno mostrato che in questa regione la temperatura cresce rapidamente muovendosi
verso l’esterno, come evidenziato nella figura 2. Lo strato più esterno del Sole, detto corona solare,
è la parte più esterna e rarefatta dell’atmosfera solare, è costituita principalmente da elettroni,
protoni ed idrogeno molto rarefatto, sono anche presenti atomi di elementi più pesanti in stati
altamente ionizzati a causa della temperatura che supera il milione di gradi K. La corona solare è
stata storicamente osservata in occasione delle eclissi totali di Sole e più recentemente utilizzando
un apposito strumento chiamato coronografo, che consiste di un apposito occultatore artificiale.
Varie sono le teorie proposte per spiegare il problema del cosiddetto riscaldamento della corona
(coronal heating), a causa del quale la temperatura assume valori decisamente più elevati rispetto
alla fotosfera. Una delle possibilità prevede che onde sonore, gravitazionali e
magnetoidrodinamiche siano prodotte nella zona di convezione a causa della turbolenza. Queste
onde viaggiano verso l’alto e depositano energia nella corona. Una seconda teoria afferma che
l’energia magnetica è continuamente sviluppata a partire dall’attività fotosferica e rilasciata
attraverso riconnessioni del campo magnetico sotto forma di grandi flares e di molti altri eventi più
deboli. Il problema del coronal heating non può pero dirsi risolto e costituisce argomento di molti
studi attuali.
Infine la regione di spazio che si estende fino ai confini del Sistema Solare è detta eliosfera.
All’interno dell’eliosfera viaggia il vento solare, costituito da un flusso continuo di particelle
ionizzate emesse dal Sole. Questo flusso di particelle assume un’intensità molto variabile,
generalmente associata all’attività delle macchie solari ed è responsabile di molti fenomeni, come
16
l’orientazione della coda delle comete o dei fenomeni di interazione di queste particelle con il
campo magnetico terrestre, meglio noti col nome di aurore.
Figura 2: andamento della temperatura (linea rossa) e della densità delle particelle (linea blu) nelle regioni
precedentemente descritte. Si osservi l’aumento della temperatura (di circa due ordini di grandezza) a partire
dalla regione di transizione fino alla corona solare.
1.7 L’attività solare
Le osservazioni del numero di macchie solari, registrate a partire dal XVII secolo, mostrano che il
Sole è caratterizzato da fasi di quiete, seguite da periodi di elevata attività. La regolarità nel
comportamento delle macchie solari fu osservata per la prima volta nel 1844 dall'astrofilo tedesco
Heinrich Schwabe. Il ciclo venne poi esaminato in maniera sistematica negli anni ‘50 dell'Ottocento
dall'astronomo svizzero Rudolf Wolf, che introdusse l’omonimo numero per la caratterizzazione
dell'attività solare. Il ciclo solare è il periodo, la cui durata media è di undici anni, che intercorre tra
un periodo di minimo dell'attività solare e il successivo minimo.
Figura 3: i grafici a sinistra rappresentano il numero di macchie solari osservate dal 1700. L’immagine a destra è
una sequenza di immagini del Sole osservato dalla sonda Yohkoh nei raggi X, nel periodo 1991-1995 (da sinistra
a destra), durante la fase discendente del ciclo.
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I principali meccanismi che regolano l’attività solare sono l’evoluzione del campo magnetico e la
rotazione solare. Il Sole, non essendo un corpo rigido, è soggetto ad una rotazione differenziale : le
zone ruotano a velocità diverse in funzione della latitudine (le zone equatoriali, per esempio,
ruotano più velocemente dei poli). Nelle fasi di quiete le linee di campo magnetico sono pressoché
parallele alla linea che unisce i poli N-S, dopo un certo periodo, la maggiore velocità di rotazione
all’equatore causa l’allungamento e l’avanzamento delle linee di campo. Nelle fasi di massima
attività, il campo magnetico assume elevati valori di intensità e andamenti complicati delle linee, in
corrispondenza delle quali si osservano le macchie solari.
Figura 4: il campo magnetico e la rotazione differenziale del Sole sono i meccanismi che stanno alla base
dell’attività solare.
Il campo magnetico e la sua deformazione, a causa della rotazione differenziale, determinano la
formazione delle regioni attive che possono essere sorgenti di flares (brillamenti), i quali a loro
volta, possono dare origine ai Coronal Mass Ejection (CME) che costituiscono l’argomento
principale di questa trattazione. I CME possono verificarsi anche in corrispondenza di zone più
quiete, in seguito all’evoluzione di una protuberanza in una protuberanza eruttiva. Lo studio
dell’attività solare e la correlazione tra i diversi fenomeni osservati sono al centro dell’attuale
interesse scientifico, anche per l’importanza che riveste la comprensione della relazione esistente tra
il ciclo undecennale del Sole e il clima sulla Terra.
18
Capitolo 2
Eventi CME (Coronal Mass Ejection)
2.1 Cenni storici
Sebbene siano stati scoperti attorno ai primi anni ’70 (Mac Queen, 1974), gli effetti dei CME sono
stati avvisati indirettamente sulla Terra per alcune migliaia di anni. Curiosamente, le prime
osservazioni potrebbero essere state effettuate durante un’eclisse totale di Sole, infatti in alcuni
disegni effettuati durante l’eclisse del 1860 sono evidenti alcune strutture che allora non vennero
opportunamente interpretate, ma che oggi possono essere considerate come eventi CME. L’avvento
dell’era spaziale ha visto il perfezionamento dei coronografi in luce bianca, dispositivi che
permettono di osservare la corona solare utilizzando un occultatore che permette di bloccare
l’intensa luce proveniente dal disco del Sole. Più recentemente lo strumento UVCS, che verrà
presentato successivamente in dettaglio, ha consentito lo studio di questi eventi anche nelle righe di
emissione nell’ultravioletto.
Negli anni recenti è quindi stato possibile studiare l’atmosfera del Sole e i fenomeni che vi
avvengono in diverse lunghezze d’onda utilizzando laboratori orbitanti (Skylab), sonde spaziali
(Ulysses, SMM, SOHO, STEREO), palloni sonda, telescopi e radiotelescopi posti a terra.
2.2 Gli eventi CME
I CME, durante i quali si osservano espulsioni di plasma in larga scala, sono i più spettacolari
fenomeni che caratterizzano la corona solare. Durante questi eventi vengono emessi circa 1013-
1016g di plasma nello spazio interplanetario, con energie cinetiche comprese tra 1027-1032 erg∗. Il
plasma emesso contiene principalmente elettroni, protoni e tracce di elementi più pesanti come elio,
ossigeno, carbonio e ferro. Per stimare il contenuto di massa di un evento si determina la densità
elettronica media del plasma coronale attraverso la misura dell’aumento di luminosità della corona
osservata in luce visibile al tempo dell’evento. La relazione tra l’intensità in luce bianca e la densità
elettronica è:
dxNI eWL ∫
∞
⋅=
0
cost
∗
1 erg = 10-7 J
19
dove WLI è l’intensità della corona in luce bianca e eN è la densità elettronica, che deve essere
integrata per tenere conto dei vari contributi lungo la linea di vista (line of sight, l.o.s). Per stimare
la regione lungo la l.o.s. che contribuisce all’emissione dovuta al CME, si considera
l’approssimazione di simmetria radiale, per cui la larghezza del CME (“width” che rappresenta una
stima dell’apertura radiale del CME) è la stessa sul piano del cielo e nella direzione lungo la l.o.s.
Le misure effettuate con il coronografo LASCO, operativo a bordo della sonda SOHO, indicano che
le velocità tipiche di questi eventi, con cui il plasma si espande nella corona, sono comprese tra 20
Km s-1 e 3000 Km s-1, mentre le la velocità media è di circa 483 Km s-1 (Gopalswamy, 2004;
Yashiro et al., 2004). I CME con velocità molto elevate (detti fast CMEs) possono causare onde
d’urto durante la loro propagazione; in questi casi (come dimostrato recentemente) l’onda d’urto
può essere rivelata anche nelle lunghezze d’onda metriche grazie a radiotelescopi situati sulla Terra.
Figura 5: sequenza di immagini ottenute con LASCO C2 che mostra l’evoluzione temporale del CME del 6
Luglio 2006.
20
Figura 6: massa (a sinistra) ed energia cinetica (a destra) dei CME osservati da SOHO nel periodo 1996–2005.
Gopalswamy, 2006.
Quando il CME raggiunge la Terra, esso interagisce con la magnetosfera creando, in certi casi,
danni ai satelliti artificiali, blackout delle comunicazioni e fenomeni spettacolari come le aurore.
Attualmente questi fenomeni vengono studiati anche per evitare inconvenienti agli astronauti
durante le attività extraveicolari.
Figura 7: rappresentazione artistica dell’interazione di un CME con l’eliosfera.
Esiste inoltre una correlazione tra la velocità e l’accelerazione di un CME. L’analisi dei dati
osservati dal 1996 al 2005 mostra che i CME lenti (v < 450 Km s−1) hanno un’accelerazione
21
positiva, quelli con velocità intermedie (v ≈ 450 Km s−1) non hanno un’accelerazione significativa,
mentre i fast CME (v > 450 Km s−1) hanno un’accelerazione negativa.
Figura 8: velocità (sinistra) e accelerazione (destra) di tutti i CME registrati dal 1996 al 2005. Lo spettro delle
accelerazioni è molto diffuso, ma c’è un trend che indica che i CME veloci decelerano, mentre quelli lenti
accelerano. Gopalswamy, 2006.
2.3 Fisica dei CME
Un tipico CME ha una struttura di tre parti che è composta da una cavità caratterizzata da una bassa
densità di elettroni, un nucleo denso racchiuso in questa cavità e una zona luminosa anteriore
(Hundhausen, 1999). Tuttavia è possibile osservare eventi in cui non sono presenti alcune di queste
strutture. La maggior parte dei CME ha origine dalle zone attive (dove sono presenti gruppi di
macchie solari associate a flares). Queste regioni hanno delle linee di campo magnetico chiuse,
dove l’intensità del campo è abbastanza grande per permettere il contenimento del plasma. Per
potere allontanarsi dal Sole deve verificarsi l’apertura delle linee del campo magnetico. Gli eventi
possono avere origine anche dalle zone quiete, anche se in realtà queste zone possono essere state
attive in precedenza.
Gli studi recenti sulla cinematica dei CME mostrano che un evento tipico inizia con una fase
iniziale di pre-accelerazione caratterizzata da un lento aumento della velocità, seguito da un periodo
di rapida accelerazione fino a quando viene raggiunta una velocità costante. Alcuni CME,
caratterizzati da basse velocità, non seguono questa fase evolutiva a tre stadi, ma sono caratterizzati
da una lenta e continua accelerazione. In alcuni casi, però, lo stadio di pre-accelerazione è spesso
assente (o probabilmente non è osservabile).
22
Figura 9: rappresentazione schematica (Forbes et al., 2000) del modello di CME a tre parti.
2.4 Frequenza dei CME
L’attività solare si alterna tra fasi di attività ridotta e momenti in cui l’attività è più intensa. Questo
periodo è noto come ciclo solare. La sonda SOHO, negli anni della sua attività (dal 1996 ad oggi),
ha permesso di osservare in modo continuativo un ciclo solare completo, classificato come il 23-
esimo, evidenziando come il numero di CME sia legato all’attività solare: durante le fasi di minimo
si può verificare mediamente un evento ogni due giorni, mentre nelle fasi di massima attività si
sono osservati circa 4 CME al giorno con un picco massimo di 13 CME in un giorno.
Figura 10: numero di CME (sinistra) e velocità media (destra). La mancanza di dati nelle figure è dovuta alla
temporanea inattività della sonda nel periodo Giugno-Ottobre 1998. Il picco pronunciato nel grafico della
velocità media è dovuto ai CME del 31 Ottobre 2003.
23
Le osservazioni hanno confermato la correlazione tra il numero di macchie solari (SSN) e il numero
di CME osservati. Un’altra caratteristica, legata all’attività solare, è la velocità media che, dalle
osservazioni, appare raddoppiare nella fase di massima attività. È possibile osservare un picco in
corrispondenza del famoso evento (noto come “evento di Halloween”) verificatosi il 31 Ottobre
2003, quando si osservò un numero elevato di CME in corrispondenza di tre regioni attive con
conseguenze dirette per tutta l’eliosfera.
2.5 Classificazione morfologica dei CME
I CME sono eventi di grande varietà e possono essere classificati a seconda della struttura
morfologica. Una prima categoria è quella dei CME che si sviluppano principalmente sul piano del
cielo. Una seconda è rappresentata dai cosiddetti “Halo CMEs”. Vengono così chiamati perché
sembrano circondare il disco occultatore del coronografo; i CME di tipo Halo possono essere diretti
sia verso la Terra che nella direzione opposta al nostro pianeta. Tuttavia le immagini ottenute con i
coronografi non sono sufficienti per stabilire con certezza la direzione di propagazione di questi
eventi (per cui sono molto utili le eventuali osservazioni spettroscopiche dello stesso evento).
Figura 11: esempi di CME di tipo Halo ottenuti da osservazioni con SOHO/LASCO e distribuzione di velocità
misurate tra il 1996 e il 2005. Le prime due immagini in alto sono immagini di differenze di un CME di tipo Full-
halo (front-side –a sinistra-, back-side –a destra-). La figura in basso a sinistra è quella di un Asymmetric Halo,
quella di destra di un Partial Halo.
24
Gli Halo CMEs possono essere classificati in:
• Full Halos (tipo F): questi sono i tipici CME che sembrano circondare completamente il disco
occultatore; generalmente hanno origine nella regione prossima al centro del disco (frontside
halo) o nelle regioni prossime al bordo solare (backside halo).
• Asymmetric Halos (tipo A): si tratta di CME estesi e che hanno origine dal bordo solare.
Questi CME si trasformano in Halo nella parte finale dell’evento.
• Partial Halos (tipo P): si tratta di CME aventi un’ampiezza maggiore di 120° e che non
sembrano mai circondare completamente il disco del coronografo.
2.6 Modelli di CME
Inizialmente si pensava che i CME fossero provocati dall’energia termica di un brillamento. In
seguito apparve evidente che questa tesi non poteva essere soddisfacente. Le osservazioni mostrano
infatti che molti CME non sono associati con i flares e che spesso i CME iniziano prima
dell’apparizione del brillamento. Inoltre la relazione tra i CME ed altri eventi che si verificano nella
atmosfera solare è in fase di studio grazie alla grande mole di dati attualmente a disposizione.
Poiché i CME hanno origine nella corona solare, la loro sorgente di energia deve essere strettamente
legata alla configurazione del campo magnetico, in quanto, a causa della bassa densità di materia, la
struttura topologica coronale è determinata dal campo magnetico stesso. La maggior parte dei
modelli (Mann, 2006) prevede che l’energia risulti confinata nel campo magnetico della corona
solare per un periodo di tempo abbastanza elevato, dopodichè, a causa della perdita di stabilità e
dell’equilibrio, si verifica l’evento CME.
2.7 Osservazioni radio del Sole
Le onde radio emesse dal Sole furono rivelate per la prima volta nel Febbraio 1942, durante la
Seconda Guerra Mondiale, dai radar britannici utilizzati per il controllo dell’attività dell’aviazione
nemica. Il segnale appariva simile ad un rumore di fondo che, in seguito, James S. Hey attribuì al
Sole, il quale scoprì che il rumore di fondo seguiva il percorso del Sole nel cielo (e che quindi era
assente di notte).
Le osservazioni radio del Sole sono sostanzialmente diverse da quelle ottenute in luce visibile, in
quanto sostanzialmente diversi sono i meccanismi di emissione e di propagazione di queste
radiazioni. Il gas che compone la corona, che è trasparente alla radiazione visibile, è opaco alle
onde radio. Nel caso della corona solare, i gas ionizzati impediscono che le onde radio si
25
propaghino dai livelli più bassi nell’atmosfera solare. In base alle lunghezza d’onda utilizzata,
questo effetto limita le osservazioni solo ai livelli più esterni della cromosfera e alla corona.
Un’altra differenza è che lo spettro delle onde radio è continuo (prodotto da variazioni di correnti
elettriche e dal moto oscillatorio degli elettroni) diversamente dallo spettro visibile e da quello
nell’estremo ultravioletto, le cui righe di emissione e assorbimento sono causate dalle transizioni
atomiche.
Una differenza delle osservazioni radio è dovuta alla bassa risoluzione angolare dei radiotelescopi
rispetto a quella dei telescopi ottici, anche se questo problema può essere risolto utilizzando
tecniche interferometriche, basate sull’insieme congiunto di più radiotelescopi in fase tra loro. I
principali meccanismi che provocano la formazione delle onde radio nella corona solare sono tre:
• Le emissioni a piccole lunghezze d’onda (<1 cm) sono dovute all’emissione termica,
corrispondente alla temperatura di corpo nero di circa 6×104 K.
• I meccanismi che causano la formazione di onde radio a lunghezze d’onda maggiori di 1 cm
sono dovuti alla radiazione di frenamento (Bremsstrahlung). Questo fenomeno avviene quando
un elettrone veloce passa in prossimità di un nucleo atomico: l’elettrone decelera, passando da
uno stato energetico alto a uno a più bassa energia, con conseguente emissione di radiazione.
• Il terzo meccanismo è dovuto alla frequenza di ciclotrone : in condizioni di alta temperatura e
bassa densità (che possono essere trovate nella corona), gli elettroni possono percorrere un
cammino senza che si verifichino delle collisioni con altre particelle e, a causa del campo
magnetico, essi accelerano lungo una traiettoria circolare di raggio R, con frequenza data dalla
seguente equazione:
mc
qB
R
v
g pipi
υ
22
==
Dove m è la massa relativistica ( 0 mγ ) di una particella di carica q, di velocità v perpendicolare
al campo magnetico B e c è la velocità della luce nel vuoto.
Le onde radio possono propagarsi solo se la loro frequenza supera un valore noto come frequenza di
plasma, che è legata alla densità del gas della corona (espressa in 3−cm ) dalla relazione
KHznf epe 9= . Di conseguenza una qualsiasi onda elettromagnetica che attraversa il plasma della
corona con una frequenza minore della pef risulta soppressa. Inoltre, poiché la densità decresce con
l’aumentare della distanza, la frequenza misurata diminuisce in seguito alla propagazione del fronte
26
nello spazio. Questo ultimo effetto permette, dopo avere definito un modello di densità, di stabilire
la distanza del fronte in istanti successivi.
I CME con velocità molto elevate possono produrre shocks o radio burst che si propagano nella
corona e nell’eliosfera; questi eventi possono essere classificati nelle diverse categorie riportate
nella tabella 2.
TIPO DURATA FREQUENZA FENOMENI ASSOCIATI
I ore-giorni 80-200 MHz regioni attive, flares, protuberanze eruttive
II 3-30 minuti 20-150 MHz flares, emissioni di protoni
III minuti-ore 10 KHz-1GHz regioni attive, flares
IV ore-giorni 20 MHz-2 GHz flares, emissioni di protoni
30 minuti-2 ore 20-400 MHz protuberanze eruttive
3-45 minuti 25-200 MHz flares, emissioni di protoni
V 1-3 minuti 10-200 MHz regioni attive, flares
Tabella 2: classificazione dei radio burst.
In particolare, i type III radio burst sono causati da fasci di elettroni accelerati a velocità
relativistiche dal flare, che eccitano oscillazioni di plasma a frequenze progressivamente più basse
quando gli elettroni si propagano successivamente tra gli strati coronali a più bassa densità.
I type II bursts sono invece originati da uno shock che, propagandosi in corona a una velocità
superiore a quella del CME, eccita oscillazioni di plasma alle frequenze corrispondenti alla densità
locale ed alla sua armonica. Le oscillazioni di plasma, convertite in onde elettromagnetiche per via
delle interazione con gli ioni, si propagano poi nel mezzo interplanetario e possono essere osservate
con i radiotelescopi a terra.
Una tipica immagine di un radio-spettrografo è riportata in seguito: lo spettro dinamico è stato
ottenuto da HiRAS (Hirasio Radio Spectrograph) il quale effettua misure su un range di frequenze
compreso tra 25 e 2500 MHz. In particolare è ben visibile la traccia provocata da un Type II radio
burst.