9
immigrati
1
, ha di fatto reso queste persone oggetto di uno sfruttamento senza fine,
che inizia dal paese di origine e non si sa dove va a finire. In questo contesto
l’aspetto più allarmante è senz’altro la diffusione del razzismo e della xenofobia,
che oramai imperversano nella società italiana, attraversando la penisola da Nord
a Sud, da Coccaglio a Rosarno. Si è passati dall’avversione verso gli stranieri
degli anni Novanta alla paura e al disprezzo dei giorni nostri. I media, dal canto
loro, anziché ridurre le occasioni di attrito, si pongono come amplificatori
dell’insicurezza sociale, alimentando la paura del diverso e le distanze culturali tra
autoctoni e immigrati. Rapine, stupri e violenze riempiono le prime pagine dei
giornali, dando la sensazione di vivere in un clima da far west, e in questo
contesto si fa passare l’idea di una maggior propensione (se non addirittura
predisposizione) degli immigrati alla criminalità.
Dunque, anche in Italia si diffondono sentimenti di insicurezza e di paura,
le persone chiedono maggior sicurezza e identificano nell’immigrato l’origine di
tutti i mali. È in questa fase che si ha la trasformazione del concetto di sicurezza,
intesa non più come garanzia di prestazioni sociali, e quindi come forma di tutela
di uno Stato capace di prendersi cura dei propri cittadini; bensì sicurezza come
ordine pubblico, maggiori controlli e minor compassione, meno accondiscendenza
e più risolutezza: la parola d’ordine diventa repressione e si passa dallo Stato
sociale allo Stato di polizia.
Gli individui si chiudono entro le barriere della propria nazionalità e la
cittadinanza diventa il muro delle fortezze occidentali, il fattore che determina
l’inclusione e l’esclusione degli individui all’accesso di tutti i diritti. Proprio i
diritti della persona, che teoricamente dovrebbero esseri garantiti a tutti gli esseri
umani, vengono meno, essendo sempre più dipendenti dal requisito della
cittadinanza. Nasce una distinzione tra cittadinanze di “serie a” e di “serie b”, e
nel mezzo aumentano le disuguaglianze sociali, determinando l’esclusione dai
diritti fondamentali di una massa di individui che vive il dramma di una “doppia
assenza
2
”: da emigrato e da immigrato.
Purtroppo proprio la privazione di questi diritti indebolisce le basi stesse
del sistema democratico, e mentre i poveri sono impegnati a lottare contro i
1
Intesi come clandestini, ove non diversamente specificato.
2
Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato,
Cortina Raffaello Editore, 2002.
10
poveri, le nuove forme di criminalità attaccano il sistema, sottraendo maggior
potere al popolo. Il problema di fondo sembra essere, dunque, a livello locale, la
crisi della democrazia costituzionale, che non riesce più ad assicurare i principi
costituzionalmente stabiliti, mentre a un livello globale si sviluppa una crisi
ancora più grave, che mette a rischio l’ordine mondiale. Il ritorno alla guerra come
strumento di risoluzione delle controversie e l’ineffettività strutturale delle
organizzazioni internazionali, minano alla base il costituzionalismo internazionale
e, nella mancanza di una sfera pubblica mondiale, gli interessi particolaristici
prendono il sopravvento, relegando la politica a mero strumento dell’economia.
Il presente lavoro nasce dalla convinzione personale che l’immigrazione
sia una fonte di ricchezza, non solo dal punto di vista culturale, ma anche da un
punto di vista economico, basti vedere il contributo degli immigrati regolari
all’economia nazionale. Le paure che circondano la figura degli immigrati, a mio
avviso, sono ingiustificate, nascono dalla mancanza di integrazione e, più in
generale, da una conoscenza distorta del reale contributo degli immigrati nella
nostra società. Credo anche che le ragioni della crisi attuale non dipendano dal
maggiore o minore numero di immigrati presenti sul territorio, quanto da cause
strutturali interne ed esterne al paese, e per questo, completamente indipendenti
dai migranti, che sono a loro volta le vittime del sistema stesso.
Pertanto ho cercato di osservare la questione dell’immigrazione da una
prospettiva diversa, cercando di valutare volta per volta le accuse rivolte agli
immigrati, andando a verificare se potevano essere reali o solo il frutto di
pregiudizi e campagne discriminatorie. Il risultato è un percorso che inizia con un
approfondimento sull’attuale normativa, facendo qualche passo indietro per
meglio delineare quello che abbiamo definito una “progressione repressiva” delle
norme sugli immigrati; un’analisi della realtà italiana attuale, che, ahimè, si è
conclusa con la constatazione dell’esistenza di razzismo in Italia, un fenomeno
che non ha risparmiato neanche le istituzioni. Da questo momento in poi il
percorso si è spostato sulla ricerca di risposte, in particolare sul perché della paura
nei confronti degli immigrati. Ne è nata un’osservazione delle politiche attuali,
che mi ha portato a ritenere il securitarismo la spiegazione dell’ostilità verso gli
immigrati. A questo punto ho cercato di capire quali potevano essere le cause
profonde di cui parlavo prima, ovvero i fattori che originavano realmente il
malessere sociale, e sono arrivata alla conclusione che siano le crisi che investono
11
da un lato la democrazia costituzionale e dall’altro il costituzionalismo
internazionale.
Prima di entrare in medias res, però, è opportuno fare qualche precisazione
sulla nascita delle ostilità verso gli immigrati in Italia, perché può aiutarci a capire
come contestualizzare il fenomeno migratorio e i diversi approcci che sono stati
seguiti nel corso del tempo.
Nei discorsi degli allarmisti, ovvero di coloro che denunciano i pericoli e
le minacce dell’immigrazione, si usa spesso parlare di improvviso e incontenibile
afflusso di clandestini, come se l’Italia di punto in bianco si fosse risvegliata e
ritrovata invasa da immigrati. La sensazione, quindi, è quella di essersi ritrovati
inaspettatamente immersi in una nuova realtà, senza aver avuto la possibilità o il
tempo materiale per abituarsi ai nuovi cambiamenti. In effetti gli italiani si sono
accorti relativamente tardi di quello che stava accadendo nel paese, agli occhi di
molti l’immigrazione è iniziata alla fine degli anni ’70 in seguito alla chiusura
delle frontiere degli altri Stati europei; in realtà i primi movimenti di
extracomunitari cominciarono molto tempo prima, ovvero nei anni ’50 e ’60, nel
periodo del boom economico.
Gli italiani, dunque, è come se avessero scoperto l’immigrazione solo
vent’anni fa, come se si fossero risvegliati da un lungo sonno e improvvisamente
si fossero ritrovati circondati dagli immigrati. Ciò ha portato a vivere la
trasformazione della società inizialmente con rifiuto, ovvero con la negazione di
quanto stava avvenendo, con la convinzione che si trattasse, appunto, di un
fenomeno transitorio. Successivamente, quando è stato chiaro che la situazione
sarebbe stata diversa, ovvero che l’immigrazione sarebbe stata una costante nel
tempo, gli individui hanno cominciato a vivere il fenomeno migratorio con paura.
L’Italia, per più di 50 anni, è stato un paese di emigrazione e scoprirsi
all’improvviso paese di immigrazione è stato un trauma antropologico.
L’intolleranza verso gli stranieri, quindi, ha cominciato a farsi sentire a
partire dalla fine degli anni Settanta, quando la presenza degli immigrati sul
territorio si è fatta più visibile. Negli anni Ottanta, infatti, cominciarono ad
arrivare dall’Africa i marocchini, impiegati nell’agricoltura e nel commercio
ambulante, i senegalesi che si dedicavano anch’essi al commercio ambulante, e
infine i nigeriani e i ghanesi. Negli anni Novanta, invece, cominciarono ad
12
arrivare gli albanesi, per la caduta del regime di Hoxha nel 1991, i polacchi per la
caduta del regime comunista nel 1989, i rumeni, gli ucraini e i moldavi.
A differenza delle immigrazioni precedenti, in cui gli stranieri erano quasi
invisibili, con le nuove migrazioni si riversò sulle strade un’enorme quantità di
persone, che a quel punto, non passavano più inosservate. Gli immigrati
dormivano ovunque, nei parchi, nei cimiteri, nelle case abbandonate e si
inventavo i lavori più strani, da i lavavetri a i venditori di ombrelli.
Di fronte alle prime manifestazioni di immigrazione, in Italia non emerse
un dibattito per adottare misure adeguate o per stabilire una politica
dell’immigrazione, si procedeva con l’adozione di circolari a livello nazionale e di
misure di emergenza a livello locale; solo a partire dal biennio 1977-78 cominciò
a cambiare qualcosa. La disoccupazione aumentava, la stampa continuava a
parlare di assunzioni di stranieri al Nord Italia e nascevano i primi episodi di
razzismo.
Nella società c’erano, da un lato, gli economisti che si schieravano contro
l’immigrazione e rifiutavano di accettare i cambiamenti in atto, dall’altro i
sindacati e la Chiesa cattolica che si battevano per garantire la parità di diritti agli
immigrati. Quest’ultima, in particolare, divenne ben presto il punto di riferimento
per gli immigrati, lavorando a livello politico tramite la Fondazione Migrantes,
che vigilava contro l’intolleranza e la xenofobia, e a livello di interventi sul
territorio tramite la Caritas, che si occupava di aiutare gli immigrati praticamente,
con mense, centri di ascolto, dormitori.
In realtà, però, i primi a capire l’importanza del fenomeno migratorio
furono proprio i sindacati, Cgil, Cisl e Uil, i quali maturarono una posizione
comune a favore degli immigrati. Perciò, contrariamente a quanto succedeva in
Europa, dove i sindacati si erano schierati per la protezione dei lavoratori
nazionali e per la chiusura delle frontiere, in Italia accadeva l’esatto contrario.
Questa decisione dipese da due fattori: innanzitutto fu una scelta dettata da ragioni
di convenienza, poiché un eccessivo indebolimento dei lavoratori stranieri,
attraverso la riduzione delle paghe e l’assenza di tutela previdenziale e
assistenziale, avrebbe alla lunga indebolito la categoria stessa dei lavoratori,
limitandone i diritti e il potere contrattuale; e poi per ragioni di solidarietà. Per
tanto tempo, infatti, gli italiani erano stati un popolo di emigranti e solo fino a
qualche decennio prima, avevano rivendicato all’estero quei diritti che adesso gli
13
immigrati stavano rivendicando in Italia; le battaglie erano più o meno le stesse,
contro «lo sfruttamento lavorativo, la precarietà nell’occupazione e nel soggiorno,
l’assenza di diritti, le espulsioni arbitrarie e senza diritto di ricorso», e i
responsabili sindacali, che per lungo tempo si erano battuti contro le
discriminazioni a favore degli italiani, non potevano adesso ignorarle nel caso
degli immigrati.
Dunque, in seguito ai cambiamenti avvenuti negli anni Ottanta e Novanta
si decise di intervenire sulla questione dell’immigrazione con una nuova legge,
ma «l’opposizione della Chiesa e della società civile impedì l’approvazione in
Parlamento di qualsiasi testo percepito come lesivo dei diritti degli immigrati,
creando una situazione di stallo. Cgil, Cisl e Uil chiedevano l’approvazione di una
legge che non si limitasse a misure di polizia e che includesse anche una
sanatoria
3
». Finalmente si riuscì a trovare un accordo e nel 1986 fu adottata la
prima legge in materia di immigrazione, ad opera dell’ex Ministro del Lavoro, il
democristiano Franco Foschi. Era una legge tutto sommato a favore dei diritti
degli immigrati, che nasceva sulla spinta delle raccomandazioni della Chiesa
cattolica e dei sindacati.
Essa fu, però, solo la prima di una lunga serie, poiché in seguito ai
cambiamenti avvenuti in Italia in seguito allo scandalo di Tangentopoli, nuovi
attori si affacciarono sulla scena politica italiana. Come vedremo tra poco, il loro
modo di affrontare la questione degli immigrati cambiò radicalmente,
abbandonando gli intenti solidaristici che avevano caratterizzato i dibattiti
precedenti, e spostandosi progressivamente verso politiche più restrittive orientate
all’espulsione piuttosto che all’accoglienza. Nel capitolo che segue cercheremo di
analizzare i momenti più importanti di questo percorso: partendo dallo studio
delle leggi più significative in materia, ci concentreremo sugli aspetti che via via
hanno costruito la repressione dell’immigrazione.
3
Ivi, pag.119.
14
1 La Legislazione italiana sull’immigrazione
L’evoluzione della normativa in materia di immigrazione ben riflette i
cambiamenti sociali avvenuti in Italia dagli anni Novanta a oggi. Inizialmente le
prime leggi sull’immigrazione furono ispirate da sentimenti di solidarietà e
comprensione nei confronti degli immigrati, soprattutto per il passato di paese
emigrante dell’Italia. La Chiesa, i sindacati, i partiti di estrema sinistra e le
associazioni, si battevano in prima linea per vedere riconosciuti i diritti agli
immigrati, non solo per l’aspetto dell’ingresso e del soggiorno, ma anche per i
diritti civili e politici, come ad esempio il diritto di voto nelle amministrazioni
locali. Se in un primo momento questa tendenza ebbe la meglio, come dimostrano
le leggi Foschi, Martelli e Turco - Napolitano, successivamente la situazione
cambiò e la predisposizione verso gli immigrati pure. Una serie di sconvolgimenti
politici e storici a livello nazionale ed europeo determinarono un cambiamento
della scena politica italiana e l’aumento dei flussi di immigrazione; in breve
tempo l’Italia divenne una meta preferenziale per gli immigrati provenienti da
ogni parte del mondo. Non solo, con gli scandali di Tangentopoli un’intera classe
politica scomparve e al suo posto subentrarono nuovi attori politici; con l’avvento
di partiti xenofobi e populisti divenne difficile per la Chiesa e i sindacati portare
avanti le battaglie pro-immigrati e l’opinione pubblica si convinse ad abbandonare
l’atteggiamento caritatevole a favore di misure più severe. Il dibattito politico si
fece più serrato, a partire dai primi anni Novanta la sinistra dovette abbandonare
le sue posizioni per adottare misure più radicali: gli sbarchi erano diventati sempre
più frequenti e l’assenza di una politica unitaria che ne regolasse la gestione, si era
fatta insostenibile. È in questo contesto che nasce l’esigenza di una nuova legge,
la Turco - Napolitano, che unisce il rispetto dei diritti agli obblighi di dovere.
Il passo dalla Legge Martelli al “pacchetto sicurezza” è breve; in appena
vent’anni la situazione in Italia cambia drasticamente; il legislatore sceglie la
strada della “progressione repressiva”: ridimensiona via via i diritti degli
immigrati, favorendone l’espulsione piuttosto che l’integrazione. Nasce il reato di
immigrazione clandestina e le espulsioni diventano lo strumento principale di
gestione dei flussi migratori. Insomma, dalla benevolenza si passa alla riluttanza e
15
le leggi cominciano a farsi repressive, rendendo praticamente impossibile il
soggiorno regolare in Italia.
Subentra la suddivisione degli immigrati in categorie: i regolari (dotati dei
requisiti per soggiornare sul territorio), gli irregolari (precedentemente regolari,
hanno perduto i requisiti e non sono più in regola con la normativa in vigore), i
clandestini (non sono mai stati regolari e sono entrati nel territorio illegalmente).
Dunque, per mettere in evidenza questa tendenza all’inasprimento delle
norme, passeremo in rassegna le tappe fondamentali di questo percorso: dalla
Legge Martelli (L. 39/1990) al Testo unico sull’immigrazione (DLgs 286/1998),
dalla Legge Bossi - Fini (L. 189/2002) al “pacchetto sicurezza”. Inoltre, ove
possibile, cercheremo di operare una contestualizzazione delle leggi, indicando gli
avvenimenti più importanti del periodo e i cambiamenti storici e politici più
rilevanti, in modo da avere un quadro dell’insieme e, possibilmente, un’idea più
chiara del clima che ha consentito la loro adozione.
1.1 I mutamenti degli anni Novanta e la Legge
Martelli
In realtà, prima della Legge Martelli
4
c’era stato un altro tentativo per
disciplinare la presenza degli immigrati sul territorio, ovvero la Legge Foschi del
1986. Questa però fallì rapidamente, perché nonostante fosse ispirata da uno
spirito solidaristico nei confronti degli immigrati e rispettoso dei loro diritti, si
ritrovò di fatto bloccata dai complessi obblighi burocratici che gli individui
dovevano adempiere per assumere gli immigrati. Le complessità riguardavano
soprattutto l’assunzione dall’estero dei lavoratori stranieri, per cui i datori di
lavoro preferivano continuare ad assumere gli immigrati irregolari già presenti sul
territorio.
Gli anni dal 1986 al 1990 furono particolarmente importanti per la
trasformazione dell’immigrazione italiana, in quanto si verificarono importanti
cambiamenti. Da un punto di vista interno, da una crescita economica
relativamente elevata e una maggioranza politica solida, si passò a una
destabilizzazione economica, dovuta alla svalutazione della lira nel circuito Sme,
4
Legge 28 Febbraio 1990, n. 39:
http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_15.wp?previsiousPage=mg_14_7&contentId=LEG49623.
16
e a una crisi del sistema politico dovuto all’emergere della corruzione. In questo
contesto, che portò di lì a breve allo scandalo di Tangentopoli, emersero «una
serie di partiti locali antisistema
5
» come la Lega Nord, che introdussero nel
dibattito politico l’idea dell’immigrazione come elemento conflittuale. Inoltre,
l’Italia, grazie alla legge Foschi e la sanatoria da esse prevista, cominciò ad essere
inserita tra le mete degli emigranti dei Paesi in via di sviluppo e, in breve tempo, il
numero degli immigrati aumentò. Infine, con la caduta del muro di Berlino e la
fine della Guerra fredda nel 1989, fu rimosso l’ultimo ostacolo all’emigrazione
dei paesi dell’Europa - orientale, e giunsero in Italia anche gli stranieri provenienti
dall’Ucraina, la Polonia, l’Albania e la Jugoslavia; contemporaneamente si
verificavano i primi episodi di razzismo.
In questo contesto, nell’agosto del 1989 a Villa Literno, fu ucciso Jerry
Masslo, un rifugiato sudafricano molto conosciuto nell’ambiente
dell’associazionismo e dei sindacati, ad opera di delinquenti per futili motivi. La
morte dell’africano fu la goccia che fece traboccare il vaso, dando il via a
numerose manifestazioni antirazziste, che portarono l’opinione pubblica a
chiedere una nuova legge. Fu così che il socialista Claudio Martelli si occupò
della questione, definendo gli obiettivi principali delle nuove disposizioni, ovvero:
sanatoria per i lavoratori già presenti in Italia; abolizione della riserva geografica
(la ridefinizione del diritto di asilo politico e dello status di rifugiato); revisione
della legge Foschi; programmazione dei flussi di immigrazione
6
.
Dunque, cosa cambiava rispetto alla legge precedente? Innanzitutto veniva
affrontata la questione della situazione dei rifugiati. Venivano abolite le riserve
alla Convenzione di Ginevra del 28 Luglio 1951
7
, che stabilivano il diritto di asilo
solo per i rifugiati provenienti da Paesi europei; veniva preso l’impegno di
riordinare gli organi e le procedure atte a valutare le richieste di riconoscimento
dello status di rifugiato; ed era chiarito quando non era possibile chiedere tale
riconoscimento
8
(art. 1).
Si affrontava la questione dell’ingresso dei cittadini stranieri
extracomunitari (di seguito solo stranieri) nel territorio dello Stato. L’ingresso era
consentito per motivi di: studio, turismo, lavoro autonomo o subordinato, per
5
Einaudi L., op. cit., pag. 133.
6
Ivi, pag. 142.
7
Ratificata dall’Italia con la legge del 24 Luglio 1954, n.722.
8
Cfr art. 1, comma 4.
17
motivi di cura, ricongiungimenti familiari e ragioni di culto (voluto dal Vaticano).
La novità più importante, però, stava nella programmazione dei flussi d’ingresso,
che nasceva dalla collaborazione dei Ministri degli Affari Esteri, dell’Interno e del
Lavoro e nonché il CNEL e le organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative. Con questo programma il Governo decideva quanti stranieri
potevano entrare nel territorio e nel farlo teneva conto: dell’esigenze di economia
nazionale, delle risorse finanziarie, delle disponibilità delle strutture
amministrative predisposte all’accoglienza, degli obblighi internazionali e delle
richieste di permesso di soggiorno avanzate dagli stranieri già presenti sul
territorio (art. 2) (lo strumento delle quote, con le dovute modifiche, è ancora oggi
utilizzato dal Governo per stabilire il numero massimo di ingressi degli stranieri
sul territorio).
Per quanto riguarda, invece, i requisiti per l’ingresso, la Legge Martelli
prevedeva: passaporto o documento equipollente, visto, mezzi di sostentamento
che garantissero la sussistenza dello straniero per la durata del permesso di
soggiorno (in alternativa la disponibilità in Italia di beni o di un’occupazione
regolarmente retribuita). Il permesso di soggiorno per motivi di turismo durava
massimo tre mesi, per gli altri motivi massimo due anni. Doveva essere richiesto
al questore della provincia in cui lo straniero si trovava entro otto giorni dal suo
ingresso sul territorio dello Stato e, una volta verificati i requisiti, veniva concesso
entro otto giorni dalla richiesta (art. 3).
Il permesso di soggiorno poteva essere utilizzato anche per motivi
differenti da quello per cui era stato inizialmente concesso, ciò avveniva nel caso
di permesso per lavoro subordinato, autonomo, famiglia o studio. In quest’ultimo
caso, in particolare, con la possibilità di conversione, il numero di studenti calò
rapidamente, segno che molti utilizzavano il permesso di studio solo come
copertura per entrare legalmente in Italia. Inoltre, il permesso era prorogabile,
anche se lo straniero doveva dimostrare di disporre di un reddito minimo pari
all’importo della pensione sociale; mentre se era scaduto o non valido lo straniero
non poteva più soggiornare sul territorio e diventava irregolare. (art. 4).
L’art. 7 prendeva in esame i diversi casi di espulsione: qualora lo straniero
avesse riportato una condanna per uno dei delitti previsti dall’art. 380 del codice
di procedura penale, oppure qualora avesse violato le disposizioni in materia di
ingresso e soggiorno, oppure per delitti contro la libertà sessuale. In realtà si
18
trattava di “espulsioni virtuali
9
”, perché consistevano in un’intimazione scritta a
lasciare il territorio entro il termine di 15 giorni, e quasi mai gli stranieri
obbedivano. La debolezza dello strumento di espulsione era dovuto, in realtà, a tre
fattori: oltre alla discrezionalità dell’interessato nell’eseguire o meno il
provvedimento, c’era anche il problema della scarsità di risorse, sia in termini di
forze di polizie, sia di soldi; e l’opposizione delle forze politiche che le ritenevano
lesive dei diritti umani e pericolose per gli immigrati.
Altra novità importante era la sanatoria prevista dall’art. 9, che si rivolgeva
agli immigrati ma anche ai loro datori di lavoro. L’intento era quello di
regolarizzare la posizione degli irregolari invitandoli a recarsi personalmente nelle
questure o nei commissariati di pubblica sicurezza anche se sprovvisti di
documenti, assicurandogli la non punibilità. Stesso discorso valeva per i datori di
lavoro e per coloro i quali avessero offerto ospitalità agli stranieri. Non sarebbero
stati soggetti a sanzioni purché avessero effettuato la denuncia dei suddetti entro
120 giorni dall’entrata in vigore della legge. Il Governo era poi tenuto a presentare
una relazione al Parlamento entro il 31 Dicembre di ogni anno, con la quale
doveva riferire sull’attuazione del decreto. Infine venivano predisposti contributi
per la creazione di centri di prima accoglienza e per servizi agli immigrati (art.
11).
La Legge Martelli ebbe il merito di migliorare le condizioni di vita degli
immigrati e di introdurre strumenti utili nella gestione dell’immigrazione, ovvero i
visti e la programmazione dei flussi; allo stesso tempo, però, provocò l’arrivo di
nuovi flussi illegali, per due ragioni: per la pubblicità alle regolarizzazioni, che
fecero arrivare altri individui con la speranza di essere messi in regola facilmente;
e per la debolezza degli strumenti di espulsione (verso gli irregolari e i
clandestini) e di sanzioni (verso i datori di lavoro che assumevano personale non
in regola). Perciò, malgrado la le legge fosse stata da poco approvata, agli occhi
dell’opinione pubblica c’erano ancora dei nodi irrisolti: il problema
dell’ineffettività delle espulsioni e della chiusura delle frontiere.
9
Einaudi L., op. cit., pag. 156.
19
1.2 I limiti della normativa precedente e
l’approvazione del Testo unico sull’immigrazione
10
Il dibattito sull’ipotesi di una nuova legge vedeva da un lato gli esponenti
del centrosinistra restii ad adottare misure repressive contro gli immigrati;
dall’altro il centrodestra che riteneva irresponsabile la normativa vigente, perché,
di fatto, premiava l’illegalità e l’elusione delle norme. L’attenzione sul fenomeno
migratorio calò relativamente per un certo periodo di tempo, dal 1991 al 1995.
Infatti, la divergenza di opinioni sul tema, gli scandali di Tangentopoli e la crisi
finanziaria dello Stato fecero sì che per sei anni non venne prese nessun
provvedimento a riguardo.
Nel frattempo, però, sulle coste italiane erano cominciati gli sbarchi di
clandestini provenienti dalle coste albanesi. Nel 1991, la grave crisi economico
politica dell’Albania, portò all’emigrazione di massa verso l’Italia. I momenti
principali di questo esodo furono due: marzo 1991 e agosto dello stesso anno. La
prima volta, il governo italiano accolse i 25.700 albanesi, arrivati in tre giorni,
come profughi, concedendogli un permesso di soggiorno temporaneo e
ridistribuendoli sul territorio nazionale; la seconda volta, invece, la reazione fu di
tutt’altro tipo. «Si trattava di alcune decine di migliaia di persone, ma un arrivo in
particolare catalizzò l’attenzione e fornì l’immagine più terribile e impressionante
dell’esodo […] si trattava dell’arrivo del mercantile Vlora
11
a Bari il 9 agosto
1991, carico di una marea umana di 10.000-12.000 persone, stipate fino
all’inverosimile sul ponte, sui tetti e persino sugli alberi della nave
12
». Il governo,
in quel caso, decise di non accogliere i clandestini, inizialmente li raccolse nello
Stadio della Vittoria
13
a Bari e poi successivamente li rimpatriò.
Questi episodi fecero crescere sentimenti di paura nelle persone, le
immagini del Vlora erano la dimostrazione che la legge Martelli sulla
programmazione dei flussi era insufficiente e che necessitava una nuova politica
dell’immigrazione con una nuova legge. L’opinione pubblica, criticava i
respingimenti, ma a differenza del passato, era favorevole ai rimpatri. Il governo
si adoperò soprattutto attraverso una politica di contenimento dei flussi nel paese
10
Il testo integrale è riportato in allegato in appendice.
11
Per le immagini dello sbarco: www.youtube.com/watch?v=8bmqqbKBxb8&feature=related.
12
Einaudi L., op. cit., pag. 179.
13
Per una breve ricostruzione di quanto avvenne quel giorno allo stadio:
www.youtube.com/watch?v=So3lxBTGlFw&feature=related.
20
di origine, investendo circa 353 miliardi di lire per aiutare lo sviluppo in Albania e
incentivare le persone a rimanere. Inizialmente funzionò, ma con la nuova crisi
che investì il paese nel 1997, gli sbarchi di clandestini verso l’Italia
ricominciarono.
Nel frattempo, nel 1993, l’Italia aveva ratificato l’accordo di Schengen
14
,
che sarebbe entrato in vigore di lì a poco, ovvero nel 1995; pertanto nel 1994,
proprio in vista di ciò, il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea adottò una
risoluzione per bloccare l’immigrazione per lavoro nell’Unione da parte di
cittadini provenienti da paesi non Ue. Si trattò di una svolta nelle politiche
migratorie condotte fino ad allora in Italia, perché per la prima volta il diniego di
ingresso veniva posto dall’alto, ovvero dall’Ue.
Dunque, cinque fattori incisero sull’esigenza di una nuova legge, portando
alla nascita della legge Turco - Napolitano
15
:
1. gli sbarchi dei clandestini albanesi;
2. la partecipazione all’accordo di Schengen, che impose all’Italia una
maggiore responsabilità nel controllo delle frontiere;
3. il cambiamento di atteggiamento del centrosinistra, che si rese conto della
necessità di nuovi strumenti di regolamentazione dei flussi di immigrazione;
4. la pressione della Lega Nord, che chiedeva a gran voce una vera politica
dell’immigrazione;
5. nuovi episodi di razzismo, violenze e proteste contro gli extracomunitari
nell’estate del 1995.
Il dibattito riprese alla fine del 1995, la discussione si focalizzò sui limiti
della Legge Martelli, ovvero sulla «mancanza di una procedura realistica e ben
14
L'accordo fu firmato a Schengen il 14 giugno 1985, inizialmente riguardava solo il Belgio, la
Francia, la Germania, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Successivamente l’accordo fu esteso anche
agli altri 10 paesi europei, ovvero l'Italia (che ha firmato gli accordi nel 1990), la Spagna e il
Portogallo (nel 1991), la Grecia (nel 1992), l'Austria (nel 1995) e la Finlandia, la Svezia e la
Danimarca (con uno statuto adattato, nel 1996). L'Irlanda e il Regno Unito, invece, parteciparono
solo parzialmente all'acquis di Schengen, poiché mantennero i controlli alle loro frontiere. In
seguito l’accordo entrò a far parte della normativa europea, prima con il Trattato di Amsterdam e
poi con il Trattato di Maastricht. L’accordo nasce con l’obiettivo di eliminare progressivamente i
controlli alle frontiere comuni e introdurre un regime di libera circolazione per i cittadini degli
Stati firmatari, degli altri Stati membri dell’Unione o di paesi terzi. Oggi 28 Stati aderiscono allo
spazio Schengen.
15
Legge 6 Marzo 1998, n. 40: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/98040l.htm.
21
oliata di ingresso legale per lavoro
16
» e sulla questione delle espulsioni, in
particolare la crescita della criminalità e la debolezza delle espulsioni come
strumento di allontanamento degli immigrati pericolosi. Queste, infatti,
avvenivano per intimazione, e praticamente non avevano alcun valore, perché gli
espulsi continuavano a rimanere sul territorio. Uno dei problemi principali era la
difficoltà di stabilire l’identità dello straniero, che utilizzava più documenti
contraffatti per sfuggire ai controlli. Inoltre «per coloro che venivano identificati e
che ricevevano l’intimazione a lasciare il paese entro 15 giorni, vi era la
possibilità di ricorrere al Tar. I ricorrenti potevano ricevere un permesso di
soggiorno rinnovabile di tre mesi per motivi di giustizia, in attesa della sentenza.
Inoltre serviva il nullaosta del magistrato per espellere immigrati con pendenze
giudiziarie e il lasciapassare del consolato del paese di origine per permettere la
riammissione in tale paese. Alcuni consolati evitavano di collaborare, per far
scadere i termini e obbligare la polizia italiana a rimettere in libertà lo straniero da
espellere
17
». Infine, un altro ostacolo era la mancanza di centri di trattenimento
che ospitassero gli stranieri per i dovuti accertamenti, soprattutto nei finesettimana
quando gli uffici erano chiusi.
Dopo un periodo di instabilità, nel 1996 si crearono le condizioni ideali per
affrontare una volta per tutte la questione dell’immigrazione in Italia. Il governo
era sostenuto da una maggioranza stabile di centrosinistra e Prodi si impegnò a
elaborare una nuova normativa che tenesse conto di tutte le disposizioni adottate
fino a quel momento sull’immigrazione. Inizialmente, dunque, fu adottata la
Legge Turco Napolitano, successivamente il DLgs 286/1998. Infatti, così come
annunciato da Prodi e così come stabilito dalla legge
18
stessa, l’obiettivo era
quello di creare una legge organica sull’immigrazione, che mettesse fine «ai
continui interventi normativi parziali e attuati in condizioni di emergenza
19
».
Il Testo Unico
20
, quindi, rappresenta ancora oggi il pilastro della disciplina
sull’immigrazione, e pur essendo stato oggetto di numerose modifiche e
integrazioni successive, rimane pur sempre la normativa di riferimento in materia.
16
Einaudi L., op. cit., pag. 174.
17
Ibidem.
18
Art. 47 comma 1 della Legge Turco - Napolitano (L. 40/1998) «il Governo è delegato ad
emanare, entro il termine di 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, un
decreto legislativo contenente il Testo Unico delle disposizioni concernenti gli stranieri».
19
Einaudi L., op. cit., pag. 209.
20
Decreto legislativo 25 Luglio 1998, n. 286:
http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/98286dl.htm.
22
Come vedremo più avanti, sia la Legge Bossi - Fini, sia alcune disposizioni del
pacchetto sicurezza, vanno a modificare proprio le disposizioni del presente Testo.
Pertanto, data la centralità del DLgs nella regolamentazione dell’immigrazione, è
opportuno analizzare il testo articolo per articolo, in modo tale da avere una
visione globale delle norme sull’immigrazione. Per facilitare l’analisi è stata
rispettata la suddivisione in 6 Titoli del Testo, per cui ciascuno verrà analizzato
separatamente (il lettore volendo può trovare il testo completo in appendice):
1. Principi generali
2. Disposizioni sull’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio
dello Stato
3. Disciplina del lavoro
4. Diritto all’unità familiare e tutela dei minori
5. Disposizioni in materia sanitaria, nonché di istruzione, alloggio,
partecipazione alla vita pubblica e integrazione sociale
6. Norme finali
1.2.1 Principi generali (Titolo I – DLgs 286/1998)
Partiamo innanzitutto dall’analisi dei Principi generali. Viene subito
specificato chi sono i destinatari della normativa, ovvero gli stranieri, intesi come
cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e apolidi (art. 1). Oltre al
rispetto dei diritti umani, garantiti a prescindere che si tratti di stranieri regolari o
irregolari, vengono sanciti altri diritti per gli stranieri regolari, come ad esempio i
diritti civili, la tutela giurisdizionale, l’accesso ai pubblici servizi. Non solo, per i
lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio vengono assicurati la
parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani e la
partecipazione alla vita pubblica locale. Inoltre, i provvedimenti riguardanti
l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione sono tradotti in una lingua comprensibile
allo straniero, e quando questo non sia possibile, in inglese, francese o spagnolo.
Infine allo straniero, salve gravi ragioni, viene garantita la protezione diplomatica
e viene agevolato a prendere contatti con le autorità del paese di cui è cittadino
(art. 2).
La Legge Martelli aveva introdotto la programmazione dei flussi di
ingresso per contenere il numero degli immigrati, ma senza definire in che modo.