6
contesto del rapporto con il Partito Comunista, l'interlocutore del loro
racconto autobiografico.
Si assume fondamentalmente, facendo ancora riferimento al numero
citato di "Memoria", che:
“compito dello storico è rendere comprensibile e chiaro il quadro
complessivo, nell'intrico dei suoi nessi e dei suoi effetti, dei trascinamenti
del lungo periodo e degli scarti di eventi che vanno riconosciuti e registrati
nella loro significatività”2.
L'evento politico che viene qui "riconosciuto" è l'avvio della costruzione
del nuovo stato democratico, di cui strumento principe sono i partiti
politici, o meglio il loro strutturarsi come partiti di massa.
Mantenendo la validità di questo quadro di riferimento, si parte dal
presupposto che:
“criterio dell'analisi storiografica (...) è restituire agli esseri umani
studiati il carattere di soggetti, anche se devono fare i conti con le
determinazioni del contesto, dunque soggetti capaci di prendere decisioni
sulla propria vita così come di articolare visioni del mondo che includono
tratti sia immaginari che realistici”3.
L'obiettivo è quello di evitare un "modello" di militante da dilatare
serialmente in tipi dotati di reciproca interscambiabilità, consapevoli del
fatto che l'individuo è “insieme insostituibile e sociale, unico e
generalizzabile”4 e che non è deducibile dal contesto, per quanto le storie
individuali siano leggibili anche in relazione ai legami instaurati da esse
con il contesto che le accoglie. Anzi, questa operazione sembra l'unica in
grado di fronteggiare i rischi della frammentazione cui può indurre
l'attenzione agli individui.
Particolarmente fecondo sembra a questo proposito il criterio
interpretativo della 'generazione', messo in luce da Dianella Gagliani
recentemente al I Congresso della Società Italiana della Storiche, tenutosi
2
Paola Gaiotti De Biase, ivi, p.37.
3
Luisa Passerini, Storie di donne e femministe, Torino, Rosenberg & Sellier, 1991, p.
189.
4
id., Storia e soggettività. Le fonti orali, la memoria, Scandicci, La Nuova Italia,
1988, p. 119.
7
a Rimini nel giugno del 1995. Esso consente di cogliere i nessi che legano
un individuo al suo tempo ed alla collettività di cui fa parte, e che lo
portano a porsi in relazione, a confrontarsi non solo con i fatti che
avvengono durante la sua vita, ma anche con chi insieme a lui li vive, con
chi lo ha preceduto ed ha lasciato esempi e modelli di comportamento, con
la memoria di sè che egli vuole lasciare, o lascia suo malgrado, a chi verrà
in futuro.
In un'area che sconfina con la sociologia, la psicologia, l'antropologia,
dunque, il rapporto tra soggettività e politica risulta particolarmente
importante per le donne, che per la prima volta sono chiamate in massa ad
entrare nella sfera del politico, come soggetti attivi, portatrici di diritti, ma
anche come militanti di partito, impegnate in una vera e propria missione, e
come appartenenti ad associazioni di massa o comunque soggetti pubblici,
alla conquista della società civile.
L'appartenenza al genere femminile dei soggetti che qui si studiano
richiede di precisare ulteriormente le premesse metodologiche della
ricerca: è ancora molto difficoltoso per le 'storiche' far proprio un
distacco critico da 'storici', nel tentare cioè la
“ricomposizione dell'unità della storia umana attraverso il
riconoscimento della storicità del campo di esperienza femminile, del
carattere di evento che connota anche la sua esperienza”5.
Se ci si muove entro prospettive in cui è oramai assodato il
superamento di letture secondo il modello della subordinazione o secondo
logiche annettive, ci sembra che comunque nelle motivazioni fondanti la
storia delle donne risiedano vive tentazioni. Tra queste, Paola Di Cori ha
messo acutamente in luce l'insidia proiettiva:
“(...) l'eccessiva preponderanza dell'elemento proiettivo può portare in
alcuni casi a ritenere scontati in partenza i risultati raggiungibili e a
costituire un forte impedimento alla prosecuzione di ricerche già avviate”6.
5
Paola Gaiotti De Biase, Quattro domande sulla storia politica, cit., p. 21.
6
Paola Di Cori, Unite e divise. Appunti su alcuni problemi di storia della
solidarietà tra donne, in Lucia Ferrante, Maura Palazzi, Gianna Pomata (a c.),
Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazione nella storia delle donne,
Torino, Rosenberg & Sellier, 1988, p. 492.
8
E' dunque necessario prestare grande cautela, non solo nel dare risposte,
ma anche nel porre domande, al materiale esaminato.
Prima di procedere, vorrei esprimere tutta la mia riconoscenza e
gratitudine verso chi mi ha accordato fiducia e collaborazione, prima fra
tutti a Francesca Stabellini, nel suo duplice ruolo di archivista dell'Archivio
Storico della Federazione ferrarese del PCI7 e di bibliotecaria dell'Istituto
"A.Gramsci" di Ferrara, per la sua disponibilità illimitata; alle amiche
dell'UDI, in particolare Ansalda Siroli e Liviana Zagagnoni, e a Delfina
Tromboni e Viola Ferrioli del Centro Etnografico Ferrarese per la
collaborazione e le preziose informazioni.
7
L'Archivio Storico della Federazione ferrarese del PCI verrà d'ora in poi citato come
APCI-Ferrara.
CAPITOLO I
LE MILITANTI FERRARESI
ATTRAVERSO LE FONTI
DEL PARTITO COMUNISTA
1.1 La presenza femminile nel PCI di Ferrara nel secondo
dopoguerra
La ricerca è stata condotta sulle 57 schede personali di donne iscritte al
PCI di Ferrara che nell'immediato dopoguerra sono state segnalate alla
Federazione come candidate alla frequenza delle scuole di partito da parte
delle sezioni e, per una parte minore, dalle Commissioni di lavoro federali.
Si sa poi che tali schede potevano essere compilate anche in occasione del
rinnovo dell'iscrizione al partito, o in altre occasioni in cui il partito lo
richiedeva e che non c'è modo di specificare con più certezza.8
Il fondo comprende anche 403 schede maschili. Esse sono state
reperite sotto la voce "Varie. Commissione Quadri. Biografie"
dell'Archivio Storico della Federazione del PCI di Ferrara, e costituiscono
materiale ricco ed interessante, anche se non sempre di agevole
consultazione per la varietà dei documenti compresi. Si tratta di schede
prestampate fatte compilare dal partito, per ottenere informazioni
anagrafiche e sulla formazione personale e politica del militante, cui
risultano aggiunti in molti casi, al momento della compilazione o in
momenti successivi, autobiografie autografe dei militanti, ma anche lettere
della sezione in cui il militante è iscritto, che descrivono le caratteristiche
della persona.
I singoli fascicoli risultano anche molto diversi fra loro: quando
esistono, gli stessi documenti allegati differiscono in quanto a estensione,
spessore del contenuto, caratteristiche formali; non di rado si trova solo
8
cfr. intervista a Remo Bacilieri, presso APCI-Ferrara.
10
qualche notazione manoscritta stereotipata, ma vi sono anche racconti
ricchi di particolari e di riflessioni.
Il terreno su cui ci muoviamo è già ampiamente dissodato: è
quantomeno doveroso ricordare che Mauro Boarelli9 e Paola Zappaterra10
hanno esaminato lo stesso tipo di materiale nell'ambito di Bologna, e le
loro ricerche sono state per questa tesi un punto di riferimento
imprescindibile. Pur trattando dell'area ferrarese infatti, i criteri
interpretativi utilizzati nelle ricerche citate sono risultati estremamente
utili.
Non esistono, purtroppo, opere generali sul Partito Comunista a Ferrara
dal secondo dopoguerra, e si è così fatto capo, per inquadrare la tematica,
a dati rinvenuti frammentariamente nei documenti dell'Archivio Storico
della Federazione ferrarese. In particolare, sono stati consultati i verbali
del III e IV Congresso Provinciale (rispettivamente 6-7 dicembre 1947 e
23-25 gennaio 1951) e la busta "Commissione Femminile" (anni 1948-
54), oltre che l'organo della locale Federazione, il settimanale "La Nuova
Scintilla" per gli anni dal 1945 al 1949, i più rilevanti al fine della presente
analisi. Estremamente utili, infine, sono stati gli atti del seminario svoltosi
nel 1982 presso l'Istituto "A.Gramsci" di Ferrara su "I verbali della
Federazione, 1945-50".
Si deve premettere comunque che i fascicoli personali esaminati non
erano destinati, al momento della loro produzione, a costituire un fondo
specifico. Sono stati catalogati entro l'operazione di riordino del materiale
documentario della Federazione, che giaceva complessivamente presso il
centro "A.Gramsci" di Ferrara, avvenuta tra il 1984 e il 1985, ripresa nel
1991 e terminata nel 1993. Anche la catalogazione, ancora in corso, è stata
iniziata nel 1991, mentre l'Archivio Storico è stato aperto al pubblico nel
1991.
9
Mauro Boarelli, La memoria e la speranza. Autobiografie di militanti comunisti
bolognesi negli anni '50, Bologna, Università degli Studi, Facoltà di Lettere e
Filosofia, Tesi di laurea, rel. Prof. M.Legnani, AA 1989/90, e id., Il mondo nuovo.
Autobiografie di comunisti bolognesi 1945-1955, in "Italia contemporanea", n. 182,
marzo 1991.
10
Paola Zappaterra, Presentarsi al Partito. Autobiografia e vocazione alla politica
delle dirigenti comuniste Bolognesi, 1945-1954, Bologna, Università degli Studi,
Facoltà di Lettere e Filosofia, Tesi di laurea, rel. Prof. D.Gagliani, AA 1993/94.
11
Sino ad allora l'accesso e la consultazione non erano regolamentati da
alcuna forma di controllo, e sarebbe azzardato considerare completa la
raccolta dei fascicoli. Non esistendo inventari di riferimento, è
impossibile sapere di quanti quadri di base manchi la scheda biografica, e
se i singoli fascicoli contengano tutta la documentazione esistente relativa
al singolo quadro. In altre parole, non si può avere la certezza che quanto
sopravvive corrisponda a tutto ciò che è stato effettivamente prodotto.
E' noto quanto sia complessa la questione del rapporto tra costruzione
della memoria e sua conservazione documentaria nel Partito Comunista,
non solo italiano, che non si può sviscerare interamente in questa sede11. E'
interessante però riportare le osservazioni di Giorgio Orlandi:
“(...) la generale difficoltà di avere serie abbastanza complete di
documenti della fine degli anni '40 e dei primi anni '50 si spiega non con la
mancanza di interesse per la conservazione o con una scarsa sensibilità, ma
con le difficoltà e le incertezze di una situazione politica generale che
imponevano estrema cautela nella protezione dei documenti interni e
riservati, i quali venivano spesso nascosti in luoghi diversi dalle sedi di
partito e a volte anche distrutti nel timore che cadessero in mano alla
polizia: quanti documenti di estremo interesse sono infatti andati dispersi
negli anni in cui la polizia assaliva e "sgomberava" le case del popolo e le
sedi comuniste? Quelle vicende si riflettono puntualmente sulla
consistenza degli archivi che, proprio per quel periodo, hanno grosse
lacune”12
Sarà indagato più avanti il problema del divario tra vissuto e sua
codificazione nel documento autobiografico da parte dei protagonisti. Per
ora va ricordata la necessità di attenzione e cautela cui deve attenersi chi
intende risalire dalla parte di realtà di cui ci restano soltanto le tracce al
'tutto' del passato. D'altronde, è abbastanza plausibile che gli eventuali
ammanchi non siano da considerare tali da inficiare totalmente l'esito
dell'indagine.
11
cfr. il recente volume curato da Linda Giuva Guida agli Archivi della Federazione
Istituti Gramsci di Roma, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Ufficio
centrale per i Beni Archivistici, 1994.
12
Giorgio Orlandi, Gli archivi del Partito Comunista italiano in Emilia e Romagna,
in Pierpaolo D'Attorre (a c.), I comunisti in Emilia Romagna, Bologna, Tip.
Graficoop, 1981, pp. 30-31.
12
Occorre tuttavia tener presente che non avremo di fronte un campione
vero e proprio da cui operare proiezioni 'matematiche', ma piuttosto un
insieme di dati con una loro significatività anche quantitativa. Questo per
quanto riguarda i dati biografici presenti sulle schede prestampate, senza
scendere nel merito delle narrazioni dei protagonisti.
A questo proposito, come Mauro Boarelli e Paola Zappaterra, si giudica
indispensabile mantenere anonime le identità delle singole protagoniste,
che non potevano certo prevedere un uso storiografico dei loro dati
personali: esse si presentano soltanto al partito, ed è corretto proteggere la
riservatezza di questo rapporto. Modificando i nomi si rendono
irriconoscibili i soggetti, senza per ciò invalidare il criterio della
soggettività. Per quanto riguarda i racconti, i brani estratti sono stati
riportati letteralmente, mantenendo intatta la forma anche se scorretta
grammaticalmente.
Prima ancora di analizzare i documenti, ricordando che si tratta per lo
più di quadri di base, è bene delineare sommariamente i caratteri della
presenza femminile nel PCI di Ferrara, anche a fronte dei dati nazionali.
Poiché la maggioranza delle militanti di cui sussiste la scheda si è iscritta
tra il 1945 e il 1949 (38 su 57, ben il 66,6%), si è ritenuto più pregnante
riferirsi maggiormente a questi anni.
Rispetto alla quota di iscritti al PCI che fanno dell'Emilia-Romagna una
regione 'rossa', che non solo si mantiene tale ma va anzi rafforzando questo
suo carattere negli anni considerati13, la media degli iscritti ferraresi sulla
popolazione si colloca adeguatamente in questo contesto, passando dal
7,5% del 1945 al 13% circa, costante tra il 1946 e il 1948. Le donne
iscritte passano dal rappresentare il 26,6% degli iscritti nel 1945, al
28,8% nel 1946, a circa il 32% negli anni successivi, mostrando uno
scarto minore nel tempo, ma una quota maggiore sul totale rispetto ai dati
13
Tra il dicembre 1947 e l'agosto 1948 gli iscritti al PCI in Emilia -Romagna sono
passati da 435.588 a 450.324, il 12,7% della popolazione, secondo il documento del
Comitato Regionale Emiliano PCI, I nostri compiti di lavoro e di lotta, 11 settembre
1948, riportato in Pierpaolo D'Attorre (a c.), I comunisti in Emilia Romagna, cit., p.
64.
Inoltre, Paul Ginsborg ricorda che a livello elettorale i comunisti “anche al culmine
della guerra fredda non corsero mai il pericolo di perdere la maggioranza”, in Paul
Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, Torino, Einaudi, 1989, p. 270.
13
nazionali. Secondo quanto emerge dal n. XXI degli "Annali" della
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, infatti, nel decennio 1945-55 le
donne crescono dal 15,48% al 26,85%.
Va comunque rimarcato che nel 1949 il partito vede calare
notevolmente, a Ferrara, il numero degli iscritti (dai 56.650 del 1948 a
54.344), fatto attribuito ai risultati elettorali del 18 aprile; anche la
percentuale femminile scende dal 33,4% al 32,2%, mentre gli iscritti
uomini crescono dal 66,5% al 67,7%. Si tratta di un momento molto
critico per la Federazione ferrarese, che proprio in relazione a questi dati
profonderà maggiore impegno nel tentativo di elevare il livello ideologico
degli iscritti.
Le nostre schede sono però 57 contro 403 maschili, per un totale di
460, il che significa che tra le donne poco più del 12% figura come quadro
di base proposto per frequentare una scuola di partito. Questo dato, per
quanto non esattamente coincidente con la realtà, può tuttavia rivelarsi
attendibile se lo si riallaccia alla divaricazione, da più parti rilevata e valida
anche per Ferrara, tra la percentuale delle iscritte e quella dei quadri
femminili dirigenti.
La scarsità di quadri femminili risulta infatti una caratteristica basilare
della Federazione ferrarese di questi anni. Nel 1945, il Comitato Federale
conta solamente 5 donne su 28, ovvero il 17,8%, che passano a 4 nel 1947
(sono il 10,8% sul totale di 37 membri) e a 6 nel 1951 (pari al 13,3% su
45 membri), mentre nelle varie commissioni di lavoro si mantengono su
una media attorno al 3-4% (tranne che nella commissione femminile: nel
1951 sono 21 su 27). Va comunque sottolineato che è presente almeno
una donna in ogni commissione, in contrasto col dato che Paola Zappaterra
riporta per Bologna, dove, se si fa eccezione per l'unica donna eletta nel
1950, le donne risultano complessivamente assenti nelle varie
commissioni federali di controllo.
I dati relativi alla Federazione di Ferrara divergono anche in altri punti:
le schede di militanti a Bologna sono 96 su un migliaio, circa il 10% del
totale, mentre le donne elette nei Comitati Federali sono il 14% nel 1945
e circa il 20% negli anni successivi, fino al 195414.
14
Paola Zappaterra, Presentarsi al Partito, cit., pp. 5 e 6.
14
I nomi di queste donne che a Ferrara ricoprono ruoli dirigenti sono in
realtà quasi sempre gli stessi (del resto accade anche per quelli maschili,
che abbiamo visto però costituire una rosa più ampia) e non tutti tra l'altro
compaiono tra i nominativi delle nostre schede. Ci sembra poi rilevante
che le uniche due donne elette nel Consiglio Comunale di Ferrara nel 1946
(che conta 50 componenti), Luisa Gallotti e Maria Testa, compaiano
proprio tra le dirigenti del Partito Comunista (sono anche a capo di
organizzazioni di massa); una delle due, Luisa Gallotti, sarà eletta sindaco
della città nel 1950, venendo a rappresentare la prima "sindachessa", come
veniva chiamata, di un capoluogo di provincia nell'Italia del secondo
dopoguerra.
Si devono leggere questi dati come spie polivalenti: viene certamente
confermata la strozzatura che le donne incontrano nell'avanzamento lungo
la scala gerarchica interna all'organizzazione del partito, che le distilla con
criteri più selettivi di quanto non avvenga fra gli uomini (dato peraltro
trasversale agli organismi politici ed istituzionali a livello nazionale). Ma
non solo: sembra riscontrabile anche uno scollamento qualitativo tra una
base, relativamente estesa, ed un vertice non semplicemente esiguo ma
altresì molto 'forte', specializzato, la cui formazione è arricchita dalla
frequentazione continuativa con la pratica politica.
E' un aspetto indubbiamente dovuto a meccanismi e dinamiche tutti
interni al mondo dirigente, che in quanto tale lascia le militanti distanti e in
certo modo slegate, scarsamente 'rappresentate'. Come ha osservato Paola
Gaiotti De Biase
“La duplice funzione su cui si è costruito il modulo organizzativo del
partito moderno, la mobilitazione del consenso elettorale e la
legittimazione del potere degli organi dirigenti vede così, in tutti i partiti,
la prevalenza del rapporto discendente su quello ascendente. Lo spazio
delle donne nella dirigenza politica e il carattere che assume il discorso
alle donne fa parte anche di questa logica, secondo la quale un vizio
"centralista democratico" traverserà, pure in forme statutariamente assai
diverse, tutti i partiti”15.
15
Paola Gaiotti De Biase (a c.), La donna nella vita sociale e politica della
Repubblica: 1945-1948, Milano, Vangelista, 1978, p. 64.
15
Nel contempo, questo indice di rappresentatività è sintomo di una
sperequazione maggiormente incidente nella porzione femminile che in
quella maschile.
Ci si può riallacciare a questo proposito anche alle osservazioni
contenute in una relazione sul lavoro svolto dalla Commissione Femminile
Federale datata 1948, in cui si lamenta:
“I quadri sono quelli che sono, pieni di buona volontà ma pochi. (...) gli
altri problemi e iniziative che si sono affacciati con urgenza [costringono]
le stesse persone a svolgere un lavoro in una direzione e in un'altra”.
Queste osservazioni rivelano così il carattere di punta avanzata delle
responsabili, di contro ad una base di cui vedremo tra poco le
caratteristiche.
1.2 Fisionomia d'insieme delle militanti attraverso i dati
biografici
E' interessante a questo punto cercare di tracciare un ritratto
complessivo del gruppo di militanti che ne evidenzi i tratti più salienti e
caratterizzanti. Ci possiamo avvalere delle indicazioni contenute nella
relazione Quadri PCI a scuola di Partito che Anna Maria Quarzi e Delfina
Tromboni presentano al seminario del 1982 su "I verbali della Federazione,
1945-50". In essa le due storiche utilizzano tutte le schede allora reperite
(410 sulle 460 catalogate dopo il riordino dell'archivio; le schede
femminili erano 53) intrecciandole con fonti "istituzionali" (alcune
relazioni clandestine della Federazione Comunista di Ferrara relative allo
stato del Partito tra la fine del '44 e i primi del '45, e documenti presso
l'Archivio di Stato sui movimenti sovversivi nei primi anni del fascismo dal
1923 al 1925), per ricostruire il quadro di base del partito tra il '45 e il '50.
Le due autrici procedono ad un'indagine statistica che consente una
feconda operazione di raffronto con la porzione maschile, sempre
limitatamente ai dati ricavati dalla scheda prestampata.
Esistono quattro tipi di schede, che nella sostanza richiedono le
medesime informazioni sulla vita dei militanti: la denominazione varia da
16
"Biografia di Militante" (lo stesso tipo visto da Mauro Boarelli e Paola
Zappaterra), "Biografia", "Biografia per Dirigenti di Sezione", "Biografia
per Dirigenti di Organizzazioni di Massa". Le differenze strutturali
maggiori sono tra il primo tipo e gli altri tre. Già nell'intestazione infatti la
"Biografia di Militante" riporta: "Direzione del P.C.I.-Delegazione per
l'Italia del Nord", mentre gli altri tipi di schede: "Partito Comunista
Italiano-Federazione Provinciale Ferrarese-Commissione Quadri". Ci
soffermeremo più oltre sulla struttura interna del documento; per ora
interessa vedere che, guardando la data di compilazione, si tratta grosso
modo di due 'scaglioni': uno, meno corposo, di "Biografie di Militanti"
compilate a fine '45 (oltre a due non datate, una del gennaio 1946, una del
maggio 1948 e una dell'aprile 1949), e l'altro, che raggruppa gli altri tre
tipi di biografie, compreso tra metà del 1950 e inizio del 1951 (più una del
marzo 1952 ed una del marzo 1954), probabilmente raccolte in occasione
di particolari corsi: si sa ad esempio che si tenne a Ferrara in Federazione
una scuola di Partito nel 195016. Si sa pure, come si è detto sopra, che le
schede furono fatte compilare anche in altre occasioni.
Anagraficamente, le militanti costituiscono un gruppo abbastanza
omogeneo. Per la maggior parte infatti sono nate tra il 1920 e il 1933:
sono ben 47, ossia l'82%. Delle rimanenti, una è nata nel 1899, si passa poi
ad una nel 1909, una nel 1910, una nel 1911, due nel 1913, tre nel 1915,
due nel 1916 ed una nel 1919. Tale omogeneità nelle classi di età della
maggior parte è già un dato caratterizzante, soprattutto in quanto indice di
una serie di esperienze comuni: vivono ancora quasi tutte nella famiglia
d'origine, ma il loro destino di persona non è ancora totalmente da
tracciare. Dal punto di vista delle vicende politiche, generalmente hanno
vissuto il periodo del regime da bambine o al massimo da adolescenti, e
sono ancora giovani durante la guerra e la Resistenza. Si iscrivono al PCI
(ma in realtà molte sono iscritte alla FGCI al momento del rilievo) per la
parte più consistente tra i 14 e i 25 anni: in 28 (il 49,1%) tra i 14 e i 19
anni, e in 18 (il 31,5%) tra i 20 e i 25. A seguire, in due si iscrivono a 26
anni, una a 27, due a 28, una a 29, una a 30, una a 32, una a 33, due a 34, una
a 35.
16
cfr. intervista a Remo Bacilieri, cit.
17
Si può leggere questo dato in relazione alla ricerca vitale di quadri da
parte del partito, che cerca nelle forze giovani elementi attivi da
addestrare. Ma è interessante notare che la giovane età sembra una
peculiarità delle iscritte. Infatti, secondo l'analisi di Anna Maria Quarzi e
Delfina Tromboni, la maggioranza degli iscritti totali figura iscriversi tra i
25 e i 34 anni (il 39,02%), il 35,36% fino a 24, e il 20,73% dai 35 ai 45
anni. La parte maschile mostra di coprire in modo più uniforme le diverse
fasce d'età. Non va tralasciato il fatto che praticamente nessuna delle
nostre militanti si è iscritta ad un'età superiore ai 35 anni.
Anche rispetto all'indice di scolarità il gruppo è fortemente connotato:
escludendo le due di cui non compare l'indicazione sul titolo di studio, il
73,6% dichiara di aver frequentato le scuole elementari, da chi arriva alla II
a chi arriva alla V classe, mentre una arriva alla VI. Sono in tutto 42. In due
frequentano le medie inferiori (ma una diventerà infermiera), in due le
"complementari", una ha frequentato scuole "industriali", 3 hanno seguito
studi commerciali e in 3 studi musicali.
Appare chiaramente il basso livello scolare, e la quasi totale assenza di
licenze professionali. Queste non appaiono prerogative del gruppo
femminile, se nel complesso degli iscritti il 20% ha frequentato alcune
classi elementari e il 55,8% ne ha concluso il ciclo. Sono però di meno le
militanti con titoli di studio superiori alla licenza elementare, mentre
nessuna è compresa nella percentuale dell'1,7% di laureati.
E' abbastanza significativo poi scomporre il dato sulla frequenza delle
scuole elementari: solo 22, poco più della metà, sono arrivate alla quinta
classe. Questi dati vanno integrati con le osservazioni che a questo
proposito alcune delle protagoniste esprimono: leggiamo di frequente
storie di interruzioni obbligate, di rinunce cui si deve sottostare per varie
esigenze. Si cita ad esempio Viviana E.:
“O fatto la IV classe la mia famiglia qualche volta trovava difficoltà
finanziarie per i miei studi”
o Roberta A.:
“(...) ho fatto pochi studi solo la terza elementare, perché i miei genitori
non avevano la possibilità di mandarmi alla scuola”.
18
Livia V., che è arrivata alla III:
“(...) non ho avuto la possibilità di continuare la scuola causa la morte
del padre, di cui le miserevoli condizioni famigliari richiedevano la mia
partecipazione al lavoro”.
Bettina A. racconta:
“La scuola era una passione ma non potevo frequentarla. (...) Nei miei
primi anni di scuola avevo altri miei due fratelli e i genitori non potevano
sostenere per tutti e 3 le spese di scuola”.
Anche chi ottiene la licenza elementare si rammarica infatti di non poter
continuare gli studi, vissuti spesso con pieno entusiasmo e pura passione,
come ci fanno capire alcune testimonianze, quella di Elisa G.:
“Studiai fino alla V classe non avendo i mezzi di proseguire”
o quella di Silvana L.:
“Terminate le elementari il mio desiderio era sempre stato quello di
studiare, ma gli ostacoli non mancavano, impossibile dal lato finanziario”.
Tina G. afferma:
“(...) ero portata particolarmente verso lo studio, unica aspirazione che
non ha mai avuto una concreta realizzazione”.
A far luce su questi aspetti soccorrono particolarmente i dati sulla
residenza e sulla collocazione sociale e professionale delle protagoniste,
che sembrano però in proporzione maggiore, rispetto ai compagni maschi,
fare le spese degli impedimenti economici e familiari. La maggior parte
delle militanti è iscritta in sezioni della provincia, nei comuni della
campagna: sono il 68,4%, ossia 39, distribuite abbastanza uniformemente
tra i vari centri; solo in 18 sono iscritte in città. Questo contrasta con il
dato complessivo, che vede poco più della metà del complesso dei
militanti provenire dalla provincia.
19
Bisogna sottolineare poi che in molti casi (circa la metà) il luogo di
residenza è diverso da quello di nascita, con una prevalenza della mobilità
tra comuni della provincia, mentre solo poche si inurbano. Anche in questo
caso, soccorrono le informazioni reperibili nelle autobiografie più
dettagliate, a chiarire i motivi degli spostamenti. Troviamo che questi
avvengono per seguire la famiglia d'origine alla ricerca di migliori
condizioni di lavoro, spinte da condizioni economiche disagiate molto
acute che arrivano anche allo stato di miseria. Si richiama il caso di
Eleonora R., il cui padre era fruttivendolo nel modenese, ma:
“(...) noi non eravamo più capaci di vivere con quel po di lavoro che
faceva mio padre perché la roba aumentava sempre. Così siamo venuti su
della terra qui a Cento (...) ma frutava poco”.
Alcune devono sfollare in seguito ai bombardamenti. Tina G. ricorda:
“(...) dovetti abbandonare il lavoro nel gennaio 1944, per seguire la mia
famiglia, che era sfollata in seguito al primo bombardamento di Ferrara nel
dicembre 1943”.
In un caso, il padre della protagonista, Elda V., viene minacciato di
essere mandato al confino in quanto antifascista:
“Fu necessario cambiare casa una seconda volta e ci trasferimmo in
Argine Ducale e mio papà riesce a passare nell'industria ma mi ricordo che
dopo due mesi che era a lavorare lo licenziarono perché ritenuto un
sovversivo”.
E' ipotizzabile, comunque, dato il quadro di grande povertà e
disoccupazione17, che ci si sposti per trovare i mezzi di sussistenza più che
per una speranza di carriera o promozione sociale.
Escludendo le 3 che non specificano la professione, le nostre militanti
sono nella maggioranza braccianti e operaie agricole: in tutto 20, poco più
17
Dalla Relazione sul lavoro svolto dalla Commissione Femminile (in APCI-
Ferrara, Commissione Femminile, Busta 41, Fascicolo A: Sezione Femminile 1948-
1964) risulta che i disoccupati nell'agricoltura sono 54.071, di cui 33.870 donne, e
25.400 nell'industria, di cui le donne sono 8.000.