2
opera brasiliana2 ovvero l’acquisizione della casa automobilistica tedesca Opel,
da parte della azienda italiana, sfumata con un accordo, da parte del governo
tedesco, con la società austro-canadese Magna.
Altro evento mediatico e storico è stata la trattativa Chrysler – Fiat3: nel gennaio
2009, le due aziende avevano firmato un agreement il quale prevedeva che Fiat
Group diventasse proprietario del 20% di Chrysler; il Gruppo torinese, in
cambio, doveva cedere know how alla Casa americana per aiutarla nel
risanamento industriale post crisi.
Il 10 giugno 2009, come preannunciato, Fiat diviene holding controllante di tutto
il Gruppo Chrysler, con una quota di partecipazione del 20%, potenzialmente
elevabile al 35% (al 51%, se, dopo la restituzione del prestito al governo
americano, decide di rilevare la maggioranza delle azioni)4.
Cosa indicano, quindi, tutte queste trattative e acquisizioni?
Il mercato globale è il nuovo mercato locale: internazionalizzare, quindi, sia
che si parli di delocalizzare parte dei processi industriali sia che ci riferiamo alla
creazione di joint venture o di sedi di rappresentanza estera.
Le motivazioni intrinseche a questa decisione vanno dall’abbattimento dei costi
di manodopera alla necessità di una presenza globale per introdursi e insediarsi
stabilmente nei mercati stranieri.
In questo lavoro, dopo aver ipotizzato una relazione fra le aziende
automobilistiche e la loro collocazione geografica, verranno presentati alcuni
2
Griseri, P., Opel, c'è l'accordo tra Gm e Magna Marchionne: "E' una soap opera", 29 Maggio 2009,
http://www.repubblica.it/
3
Ferrari, G., Ultimo sì alle nozze Fiat-Chrysler, 29 Aprile 2009, http://www.corriere.it/
4
Valsania, M., Fiat-Chrysler, c'è l'intesa. Marchionne al volante, 10 Giugno 2009,
http://www.motori24.ilsole24ore.com/
3
esempi di imprese del settore, nate in quelli che oggi chiameremmo distretti
industriali. 5
Di contro, all’ipotesi appena citata, citeremo le argomentazioni di un recente
revisionismo che vorrebbe la fase dei distretti conclusa e pronta a lasciar posto ad
un quadro totalmente nuovo, dettato dalle forze della crisi economica e dai nuovi
assetti internazionali. 6
Secondariamente, verrà analizzata la posizione dell’industria automotive
piemontese, osservando il ruolo di Torino come città della’auto e la posizione
della Fiat all’interno del suo territorio.
Descriveremo il contesto piemontese: dalla presenza dei carrozzieri di fine 1800,
ancora legati all’artigianato puro, fino al progetto della Camera di Commercio di
Torino, il From concept to car7, nato con l’obiettivo di far conoscere anche
all’estero il distretto piemontese dell’auto e sviluppare un’identificazione nello
stesso per le piccole e medie imprese.
Del progetto, oltre Fiat, fanno parte le pmi del territorio che sono attive nel
settore interessato, producendo componentistica, sistemi CAE, sistemi di
automazione. Vedremo chi sono questi soggetti e qual è il loro ruolo nella filiera
dell’auto.
Nel terzo capitolo, introdurremo i nuovi poli geografici coinvolti dal settore
automobilistico, che si configurano principalmente nei BRIC – Brasile, Russia,
India e Cina – ma anche nel Sud Africa, nei Paesi dell’Est Europa e in quelli del
Medio Oriente.
Nei capitoli quarto e quinto, concluderemo il discorso iniziato precedentemente,
analizzando con maggiore attenzione due dei Paesi coinvolti nella relativamente
5
Becattini G., Distretti industriali e Made in Italy -Le basi socioculturali del nostro sviluppo, Torino,
Bollati Boringhieri, 1998.
6Foresti, G., Guelpa, F.,Trenti, S., “Effetto distretto”: esiste ancora?, Intesa Sanpaolo, Servizio Studi e
ricerche, Gennaio 2009, http://www.group.intesasanpaolo.com.
7
Per maggiori dettagli, si rimanda al sito http://www.fromconcepttocar.com.
4
recente avanzata economica globale, due nuovi potenziali protagonisti del settore
dell’auto, accomunati da un passato fatto di condivisione di ideali ed aspri
allontanamenti: la Cina e la Russia.
Dapprima, descriveremo il contesto economico-politico di questi Paesi, poi
vedremo chi, fra le imprese piemontesi dell’automotive, ha deciso di investire e
cooperare con loro, quali fasi del processo produttivo sono state delocalizzate,
che tipologia di presenza in loco è stata preferita (joint venture, sedi di
rappresentanza) e quali sono stati i risultati raggiunti.
La Cina, dopo la open door policy8 ovvero la politica di apertura che ha coinvolto
il Paese e che è culminata nell’ingresso nel WTO - World Trade Organization -
nel 2001, ha continuato la sua crescita con tassi impensabili per le altre nazioni,
con un PIL che oggi è dell’8.7 %.9
Colpita, seppur marginalmente, dalla crisi finanziaria del 2008, la Cina prosegue
il suo percorso di conquista del podio di potenza economica mondiale,
stimolando l’ingresso degli IDE – Investimenti diretti esteri – sul suo territorio e
investendo a sua volta in Paesi in via di sviluppo quali l’Africa10.
La Russia, paese inserito, fino a poco tempo fa, fra le nazioni in transizione
economico-politica, dopo disastrose politiche sostenute dall’IMF - International
Monetary Fund - sembra essersi incamminata sulla via dell’ascesa economica.
Come la Cina, la Russia presenta un territorio vastissimo e un passato politico di
chiusura verso l’esterno, con un governo centralizzato e una economia
statalizzata.
8
Taube M., Ögütçühttp M., Foreign Investment in China’s regional development: Prospects and Policy
Challenges, OECD China Conference, Xi’an, China, 11-12 Ottobre 2001, http://www.oecd.org
9
Anon., China GDP grows by 8.7 percent in 2009, 20 Gennaio 2010, http://www.cnn.com
10
Anon., La mappa dell'invasione cinese in Africa, 3 novembre 2006, http://www.ilsole24ore.com
5
Per entrambi i Paesi, dal 2000, l’economia ha mostrato tassi di crescita non
raggiungibili nelle altre nazioni, sebbene la recente crisi finanziaria non abbia
risparmiato neanche loro.
Infine, per ciascuno di questi due Paesi, stileremo un vademecum per le aziende
che decidano ivi di investire: quali sono gli enti regionali e non ai quali rivolgersi
per un sostegno sia economico che di consulenza, quali sono i rischi da prendere
in considerazione quando si opta per l’internazionalizzazione, quali sono le
possibili strategie di successo per accedere ai mercati in oggetto, accrescendo le
nostre opportunità di successo nel lungo periodo.
6
Capitolo Primo
L’industria dell’autoveicolo:
un’analisi del settore fra distretti,
crisi del modello distrettuale e spoiling-melting corporation
Nel capitolo che segue, dopo aver definito dei concetti fondamentali per la
comprensione dell’intero lavoro, verrà esposta una breve introduzione relativa
alla nascita dell’industria automobilistica, analizzando questa evoluzione
soprattutto dal punto di vista geografico e storico; si leggerà, quindi, il contesto
nel quale le aziende della filiera produttiva in oggetto sono nate in chiave di
distretti o “regioni dell’auto”11.
Verrà presentata, quindi, una breve panoramica relativa alla definizione di
distretti industriali e alla spiegazione di cosa include il settore automotive, dal
singolo componente al prodotto finito.
In seguito, saranno illustrati dei casi di regioni dell’auto presenti a livello
internazionale: dalle aree tedesche a quelle inglesi, per giungere poi, nel capitolo
successivo, all’oggetto principale di questo lavoro: il distretto piemontese
dell’automotive.
Si osserverà, inoltre, l’attuale presenza dei distretti: più che voler smantellare
totalmente la fiducia in questo approccio, si tenderà a limarla, ponendo come
spunto di riflessione l’anacronisticità di alcuni presupposti del modello
distrettuale.
11
AA.VV, Step, Le regioni europee dell'auto, ed. Franco Angeli, Milano, 1996.
7
Proseguendo, a livello di mercato globale è indiscutibile la drastica riduzione, dal
punto di vista quantitativo, delle aziende del settore, colpito duramente dalla crisi
economica, più di altri: nulla di nuovo, ciò accade ed è accaduto, a livello ciclico,
anche nel passato. La lotta darwinistica per rimanere in vita ha visto ieri vincitori
e vinti nel passaggio dall’artigianato delle carrozzerie all’industrializzazione dei
processi, e oggi la medesima selezione naturale si sta vivendo con le crisi
economiche, la globalizzazione e l’avanzata dei Paesi affamati di potere e
ricchezza.
1. Definizioni e teorie: breve introduzione ai distretti industriali in Italia
e al campo di azione del settore automotive
1.1. La teoria marshalliana dei distretti
Il distretto industriale. Oggi si fa un gran parlare di questo concetto, coniato per
la prima volta dall’economista inglese Marshall, nel 1870, e ripreso, in seguito,
dall’italiano Giacomo Becattini.12
Forse si abusa anche di questo termine: sembrano essere fioriti improvvisamente
una moltitudine di distretti, di zone geografiche da sempre dedite ad un certo
settore quando, in realtà, molte si autoproclamano tali solo per attrarre
investimenti dall’esterno.
Facciamo un passo indietro prima di approcciarci in modo critico alla questione.
Il distretto, secondo l’idea marshalliana, si configura come un’entità socio
economica costituita da un insieme di imprese, facenti generalmente parte di uno
12
Becattini G., Distretti industriali e Made in Italy -Le basi socioculturali del nostro sviluppo, Torino,
Bollati Boringhieri, 1998
8
stesso settore produttivo, localizzato in un’area circoscritta, tra le quali vi è
collaborazione ma anche concorrenza.13
Probabilmente, nelle dichiarazioni dello stesso Marshall, il quale matura la sua
idea di distretto riferendosi alle zone del Lancashire e di Sheffield, in Inghilterra,
è rintracciabile uno spunto di riflessione per l’attuale confusione sul tema.
Egli, infatti, distingue fra semplice localizzazione14 e distretto tout court : la
prima sarebbe legata alla presenza di risorse naturali o, più in generale, di
condizioni strutturali, che incentivano la nascita e lo sviluppo di un particolare
settore mentre, per parlare del secondo termine, di distretto, tali condizioni
devono essere durature. Quest’ultima peculiarità del distretto è necessaria per far
si che si creino sia situazioni di ereditarietà di conoscenze che di
complementarietà di azioni, ad esempio, un certo bagaglio di know how
tramandato da padre in figlio o la nascita di laboratori che producano componenti
diverse di uno stesso prodotto finale.
Il tempo, quindi, e la cumulazione dell’esperienza si configurano, in quest’ottica
marshalliana, come la chiave di volta per la nascita e il successo dei distretti.
Data l’ampiezza del tema dei distretti, permanente fucina di nuovi studi e
dibattiti, ci limiteremo a citarne le caratteristiche principali, in modo da
comprendere al meglio il tema del distretto piemontese dell’automotive.
C’è da dire che i distretti moderni godono di aspetti innovativi rispetto a quelli
del passato. Oltre ad una sinergia di cooperazione e concorrenza, grazie alle quali
vengono trasferite reciprocamente le tecnologie e ad una condivisione di
strategici spazi geografici, oggi si è diffusa, infatti, la cosiddetta visione open
knowledge – “A piece of knowledge is open if you are free to use, reuse, and
redistribute it”15 - che, spesso, si configura anche a livello di software libero,
13
Marshall A., Principles of Economics, London, Macmillan and Co., Ltd, 1920.
14
Ibidem
15
http://www.opendefinition.org/
9
adottato per contrastare gli elevati costi di adozione da parte delle pmi. Rispetto
al passato, inoltre, con la crescente consapevolezza del fenomeno, i distretti
moderni possono poggiare spesso su politiche di sostegno da parte delle Regioni,
delle Università, delle grandi aziende e dei venture capitalist16; questi soggetti,
infatti, forniscono sia un sostegno finanziario-legislativo che un flusso di
conoscenze, accumulate con l’esperienza.
A seconda dal contesto di nascita del distretto, alcune caratteristiche risultano più
o meno rilevanti di altre, ad esempio non sempre vi è la presenza di una grande
azienda che può guidare le imprese più piccole del distretto o, in altri casi, il
ruolo delle politiche regionali può essere di maggiore sostegno in alcune zone
invece che in altre.
Come vedremo, il caso del Piemonte è contraddistinto da diverse iniziative
eccellenti e la presenza della Fiat che, fino ad oggi, ha fatto da apripista per le
pmi del settore, è affiancata dal sostegno strategico del Politecnico,
dell’Università e di Enti, come la Camera di Commercio, che hanno saputo
muoversi in direzioni proficue per l’intero sistema economico regionale.
1.2. L’Italia e i distretti industriali
Il tessuto industriale del nostro Paese è, perlopiù, composto da piccole e medie
imprese17 le quali, spesso, condividono spazi geografici e risorse. Tali situazioni
hanno permesso, con il sostegno delle autorità e, in alcuni casi, con la presenza in
loco di una grande impresa, la creazione di filiere, fiorite su una esperienza
artigianale consolidata.
16
http://www.fondosocialeuropeo.it/venture-capital.htm e Sau, L., Effetti del venture capital sulle
gerarchie di finanziamento delle imprese innovative, Modena, 2003, W.P. convegno: Innovare per
competere. Come finanziare l’innovazione?.
17Di Somma, P., I distretti industriali: punti di forza e prospettive di sviluppo, 4 Giugno 2007,
http://www.pmi.it/lavoro-e-imprenditoria/articoli/949/i-distretti-industriali-punti-di-forza-e-prospettive-
disviluppo.html
10
Importante caratteristica è il connotato sociale18 di queste concentrazioni di pmi:
vengono a crearsi rapporti di fiducia fra i soggetti partecipanti, relazioni che
stanno alla base di un processo di disseminazione della conoscenza, del “sapere
come” e, quindi, si delinea, così, un ciclo potenzialmente fertile per
l’innovazione.
Dal punto di vista geografico, in Italia, i distretti sono fioriti, almeno in un primo
momento, nel nord della Penisola19, forti della presenza in loco di risorse
naturali- sociali quindi di una maggiore ricchezza e di un superiore potenziale di
sviluppo rispetto ad altre zone d’Italia. Ad oggi, i distretti industriali sono diffusi
su tutto il territorio nazionale: nel nord ovest, in Piemonte e Liguria, con aree
specializzate in settori che vanno dalla rubinetteria, la meccanica alle ICT o nel
Sud con zone attive nell’agoralimentare o nella produzione di mobili e nella
conceria.
I dati che emergono da una ricerca condotta dal Centro Studi Intesa San Paolo20
mostrano la situazione critica del sistema italiano dei distretti: quelli che
sembrano essere stati maggiormente virtuosi, rispetto alla media, sono stati il
distretto delle macchine agricole di Reggio Emilia e Modena, quello della
calzatura sportiva di Montebelluna o ancora quello metalmeccanico del Basso
Mantovano; gli andamenti peggiori, invece, si sono registrati nel distretto orafo
di Valenza, nel Triangolo del salotto di Matera-Altamura-Santeramo
(accompagnato da un parallelo calo dell’export della Regione Puglia).
Come si può osservare nei grafici sottostanti, prodotti dall’Unioncamere
Piemonte, la crisi internazionale ha colpito duramente il settore manifatturiero
piemontese, con un recente crollo della produzione.
18
Dei Ottati G., Il mercato comunitario, in: Becattini G. (a cura di), Mercato e forze locali. Il distretto
industriale, Franco Angeli, Milano, 1987, pp.117-141.
19
Rosini R., Il Distretto Industriale in Italia: origini storiche ed analisi del sistema distrettuale,
Dicembre 2005.
20
Foresti, G., Guelpa, F.,Trenti, S., “Effetto distretto”: esiste ancora?, Intesa Sanpaolo, Servizio Studi e
ricerche, Gennaio 2009, http://www.group.intesasanpaolo.com
11
Se negli anni Novanta il successo delle imprese distrettuali aveva suscitato
l’interesse degli esperti del settore, con la fine del decennio assistiamo ad un
rallentamento dell’effetto, in concomitanza con la crisi dei mercati asiatici.
Dal 2001, come mostra il grafico, l’andamento della variazione percentuale della
produzione manifatturiera è oscillatorio con riprese e crolli più o meno graduali.
Notiamo il boom nel primo semestre del 2006 e la stabilità positiva fino al 2007,
anno in cui ha inizio il lento declino.
Figure 1 - Unioncamere Piemonte, “Indagine congiunturale sull'industria manifatturiera piemontese", da Il Sole 24
ore, 25 Novembre 2008.
12
Questi dati negativi hanno fatto parlare di una fine del miracolo dei distretti, in
buona parte legato alla crisi dell’export, fattore questo di traino per la reti di pmi.
Sempre secondo lo studio della Intesa San Paolo, le reti si sono oggi dipanate su
territori più vasti e i distretti, pur mantenendo il proprio comparto di competenza,
non sono più legati ad un ristretta zona di azione ma ciascuna di queste, in
qualsiasi zona d’Italia, viene assorbita in uno dei quattro cluster delineati dalla
Federazione che li coordina:
1) Abbigliamento-Moda;
2) Arredo-Casa;
3) Alimentare-Agroindustriale-Ittico;
4) Automazione-Meccanica (in questo sono coinvolte, ad esempio, aziende
sia liguri – La Spezia, che siciliane – Siracusa a altre).
Quali sono, secondo gli autori dello studio, le possibili strade da percorrere?
Come abbiamo più volte detto, l’innovazione è un fattore cruciale per il corretto
funzionamento dell’economia di un Paese: sono necessari maggiori investimenti
in R&D, in formazione del capitale umano, in ICT, massicci interventi pubblici e
privati, un flusso continuo di informazioni fra Università e imprese, una
internazionalizzazione intelligente, attenta ai rischi e pronta a cogliere, in
anticipo, le opportunità offerte dagli altri mercati.
Da non sottovalutare, infine, sono gli intangibile asset come il fattore branding
ovvero la valorizzazione del marchio e la sua protezione con le politiche di
proprietà intellettuale, e il know how. Servono, inoltre, politiche di governo più
propense a sostenere le pmi, con una burocrazia più snella e un maggiore
impegno nel “far sistema”, premiando chi reinveste gli utili nella ricerca.
Le banche, anello di notevole importanza per l’aspetto creditizio, dovrebbero
provare a mantenere stabile il rapporto di fiducia con le pmi, sebbene il distretto,
13
proprio per la solidità delle interrelazioni che intercorrono fra i soggetti
partecipanti, può implicare una non facile tracciabilità dell’impiego del credito.
Sebbene esistano dei casi di eccellenza fra i distretti, la via fin qui percorsa
potrebbe comportare la scomparsa totale di queste aziende di ridotte dimensioni,
a meno che queste non optino per una crescita dimensionale e di livelli di
capacità produttiva: l’abbattimento dei costi è divenuto un fattore estremamente
basilare per poter competere e la produzione di nicchia, sovente peculiarità dei
distretti, potrebbe non essere più sufficiente per la sopravvivenza di queste pmi.
Quali potrebbero essere le debolezze del sistema dei distretti?
L’essere “limitati” non sembra potersi adattare con semplicità alle pressanti
spinte della globalizzazione: conservare l’esperienza, i rapporti di mutua fiducia
ma, magari, traslarli in reti di soggetti che, seppur non concentrati in uno stesso
luogo, si occupino della progettazione comune di uno stesso bene tramite
pratiche di comakership e codesign, potrebbe configurarsi come una delle
soluzioni per superare questo periodo critico.
1.3. Presentazione del settore automotive
Prima di addentrarci nel mondo dei distretti industriali dell’automotive e
provarne a delineare una mappatura quanto più completa possibile, è importante
capire cosa stiamo andando ad analizzare, da cosa è composto il settore
interessato, quali sono i livelli produttivi nei quali è suddiviso.
Il prodotto finito è l’auto, nelle sue mille forme, modelli, prestazioni e colori, ma
il tutto è fatto di parti e così anche l’automobile lo è: progetti, componenti,
sistemi, tutti questi elementi sono necessari alla produzione finale di
quell’aggregato magico di meccanica, elettronica e design, di quel punto di
incontro fra arte e industria, dal quale può nascere sia una semplice utilitaria per
14
tutti – come la Nano della Tata, low cost car progettata dal colosso indiano – sia
un prodotto di lusso, un sogno a quattro ruote, come un modello Ferrari.
L’industria automobilistica comprende vari livelli di progettazione e produzione,
diverse tipologie di imprese che producono tutto ciò che andrà a costituire il
prodotto finale, l’auto - relating to cars or the car industry (dal Longman
Business English Dictionary)21: dalla produzione di gomma per pneumatici, di
compressori e batterie alle componenti elettroniche, fino a quelli che sono
definiti optional ovvero airbag o rivestimenti interni22.
L’automobile è, quindi, un insieme di elementi aggregati fra di loro, prodotti
distintamente e assemblati per svolgere, in modo interdipendente, un comune
compito: il corretto funzionamento dell’auto. I settori coinvolti vanno dal
siderurgico e chimico all’elettronico, passando, ovviamente, per il meccanico; i
mercati di sbocco, invece, sono quello dell’OE – Original Equipment o Primo
montaggio e quello dell’AM – After Market o di Ricambio (mercato questo più
resistente nelle situazioni di crisi del settore)23.
Enrietti, in Il settore dei componenti auto: struttura e dinamica, riporta un
quadro chiaro e dettagliato dei rapporti di fornitura nell’industria automobilistica.
Dal punto di vista dell’organizzazione del rapporto fornitori-case
automobilistiche, si è passati da una prima fase (fino agli anni Novanta) nella
quale il potere era totalmente nelle mani di quest’ultime – sistema di acquisto del
big stick 24 ovvero del “grande bastone”- con:
1. un elevato numero di fornitori il cui compito si espletava nella sola
esecuzione dei progetti forniti dalla casa automobilistica;
21
Sito del Financial Times: http://lexicon.ft.com/term.asp?t=automotive
22Per una dettagliata descrizione, International economic and social classifications su
http://unstats.un.org/
23
Enrietti A., Il settore dei componenti auto: struttura e dinamica, Quaderni di ricerca n.14 – ed. IRES,
Novembre 1994
24
Ibidem
.