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Gli scarsi risultati ottenuti nel sistema della Convenzione di Lomè rispetto all’evoluzione in questi accordi
della clausola di “condizionalità”, ha portato a capire che un atteggiamento troppo aggressivo e di
imposizione difficilmente stimola effetti positivi; per questo, l’Unione Europea ha finito con l’insistere su
clausole intese a promuovere il dialogo, nonché il sostegno comune alla democrazia e ai diritti umani.
Il concetto di “condizionalità”, seppur sia rivolto ad aiutare i Paesi più poveri che presentino squilibri nella
bilancia dei pagamenti, presenta obiettivi diversi a seconda che sia oggetto di attività del Fondo oppure
dell’Unione Europea.
La “condizionalità” nell’Unione Europea si presenta diversa dagli obiettivi dei principi di “condizionalità”
previsti dal Fondo per il fatto che, l’Unione Europea faccia riferimento a tutte quelle politiche volte a
migliorare il commercio all’interno dei Paesi più poveri nonché, mira al regolamento di tutte le attività volte
a garantire l’ingresso dei prodotti realizzati in questi Paesi, all’interno dei Paesi industrializzati.
I principi di “condizionalità” del Fondo Monetario Internazionale invece, sono rivolti a fornire ai Paesi in
difficoltà, i necessari aiuti finanziari per far fronte agli squilibri della bilancia dei pagamenti. Gli aiuti forniti
dal Fondo, sono strettamente relativi ad un’attività di sorveglianza la quale, a sua volta necessita di
consultarsi con gli Stati membri, di analizzare le politiche economiche e finanziarie degli Stati beneficiari
nonché, del dialogo tra le autorità degli Stati membri e gli organi dell’Organizzazione. L’attività del Fondo
però, è anche rivolta all’assicurare ai Paesi membri, la disponibilità temporanea delle risorse del Fondo e di
ridurre gli squilibri della bilancia dei pagamenti.
In definitiva, si ritiene che per poter valutare correttamente l’efficacia di questi accordi, nonché le strategie
con essi messi in pratica bisogna attendere i responsi che verranno nel tempo.
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Sarà quindi necessario determinare, nel momento in cui avverranno le violazioni dei diritti umani e dei
principi democratici, se gli accordi stessi e le clausole siano stati sufficienti per ristabilire la situazione o se
invece, abbiano avuto scarso effetto.
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CAPITOLO PRIMO
ORIGINE ED EVOLUZIONE DELL’ISTITUZIONE
1.1 IL DOPOGUERRA: LE RAGIONI CHE HANNO PORTATO ALLA COSTITUZIONE DEL FMI
Il FMI è stato definito da qualcuno un “miracolo politico” volto a stabilire un ordine monetario e finanziario
che si occupasse di favorire la ricostruzione e la crescita economica mondiale dopo la Grande depressione
degli anni ’30 ed il secondo conflitto mondiale.
Con un passo indietro è possibile esaminare il sistema monetario internazionale che caratterizzava il
periodo precedente alla prima guerra mondiale e alla sua evoluzione, al fine di comprendere al meglio le
origini e la natura del FMI.
L’ultima parte del XIX secolo fino allo scoppio del primo conflitto mondiale, fu caratterizzato da una forte
stabilità dei prezzi e dei rapporti di scambio tra le valute delle principali potenze industriali; inoltre, in
questo periodo crescevano anche i flussi finanziari tra le nazioni, tanto che un’ingente massa di capitali
proveniente per lo più dal Regno Unito, si muoveva verso il nuovo mondo e l’Austria, per finanziare la
costruzione di nuove infrastrutture (come le ferrovie). In particolare, gli scambi economici e finanziari
internazionali, venivano regolati dal “sistema monetario internazionale” , denominato “gold standard”
perché utilizzava l’oro come unità di conto delle transazioni internazionali e come forma di detenzione della
ricchezza. Nel “gold standard” vi era uno stretto rapporto con l’oro, proprio perché le monete stesse erano
di oro ed il loro valore era pari alla quantità di oro in esse contenute; pertanto, i rapporti di cambio tra le
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valute erano fissi, in quanto determinati dall’oro. Questo stretto rapporto con la moneta metallica era
presente anche per quella cartacea, tanto che i Paesi si impegnavano a convertire su richiesta, con l’ausilio
delle loro banche centrali, le banconote con l’equivalente in oro (convertibilità aurea).
In un sistema monetario assume importanza la “bilancia dei pagamenti” che è il conto in cui si registrano
tutte le transazioni di un Paese con il resto del mondo; tale conto si suddivide a sua volta in due conti,
quello delle “partite correnti” nel quale si riportano le esportazioni ed importazioni di beni e servizi, nonché
alcuni trasferimenti monetari, e quello dei “movimenti di capitale”, nel quale vengono registrati i prestiti
bancari e gli investimenti finanziari (azioni ed obbligazioni). Qualora il saldo delle “partite correnti” è in
avanzo (surplus) vuol dire che l’economia sta accumulando crediti verso il resto del mondo (al netto dei
debiti), il che comporta un avanzo del conto capitale e/o un aumento delle dotazioni delle valute
internazionali del Paese (riserve).
Nel periodo relativo al sistema monetario aureo gli squilibri della “bilancia dei pagamenti” erano di breve
durata; in particolare, i saldi della “bilancia dei pagamenti” venivano regolati tra i Paesi in oro. Per tale
motivo, si verificarono delle fuoriuscite (in caso di deficit) o afflussi (in caso di surplus) di oro, nonché una
riduzione o un aumento delle monete in circolazione nel Paese. Era necessario, allora, un meccanismo
equilibratore “automatico” dei soldi della bilancia dei pagamenti, secondo il quale ad ogni aumento dello
stock di oro corrispondeva un aumento dei prezzi interni, che non erano altro che il riflesso della “teoria
quantitativa della moneta” secondo la quale, ad ogni variazione dello stock di moneta presente in una
economia corrisponde una variazione nello stesso senso dei prezzi.
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Il successo dell’allora sistema a-aureo non fu dovuto ad una serie di elementi all’epoca presenti quali,
l’elevata flessibilità dei prezzi interni, l’alto grado di mobilità dei flussi di oro e di capitali da un Paese
all’altro, il fermo impegno delle autorità monetarie a convertire in oro la moneta cartacea e ad assecondare
l’aggiustamento della bilancia dei pagamenti orientando al meglio i tassi d’interesse interni. Elemento
importante fu anche la mancanza di incentivi per i governi e ricorrere alla svalutazione; questo in quanto,
né i sindacati né i partiti politici erano ancora sviluppati, il diritto di voto era limitato e la piena occupazione
non era uno degli obiettivi principali dei governi.
Al termine della prima guerra mondiale tutte questi fattori vennero meno e con questi anche il sistema
monetario aureo. Quello che seguì fu un periodo di grande instabilità per l’intera economia mondiale, al
quale si aggiungevano i problemi relativi alle riparazioni postbelliche. Durante gli anni ’20 le tensioni
andavano via via crescendo portando a quella che sarebbe stata la Grande depressione. Il quadriennio
1929-1932 fu il periodo più forte della crisi nel quale, il commercio mondiale vide un crollo drastico, pari al
63% del valore in oro; la caduta generale dell’attività produttiva accompagnò una pesante deflazione e i
prezzi dei manufatti dei Paesi industriali si ridussero del 40%, comportando appunto conseguenze negative
sulle relative bilance dei pagamenti.
I Paesi industrializzati nel tentativo di eludere gli effetti negativi delle bilance dei pagamenti, ricorsero a
misure restrittive delle proprie importazioni, in particolare, nel 1930 gli Stati Uniti approvarono lo “Smoot-
Hawley Tariff Act” che stabilì l’aumento dei dazi sulle proprie importazioni. Inoltre, i Paesi avevano un forte
incentivo a svalutare il cambio al fine di favorire le proprie esportazioni, ricorrendo pertanto, alle
“svalutazioni competitive”; questo fece fallire due tentativi di ristabilire il sistema aureo internazionale nel
1925 e nel 1936.
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Si arrivò, quindi, alle porte del secondo conflitto mondiale in una situazione di completa anarchia nei
rapporti economici internazionali e con politiche di “accattonaggio a spese dei vicini” che erano ormai
all’ordine del giorno.
Ovviamente questo era un sistema di rimbalzo in quanto, se un Paese svalutava il cambio per favorire le
proprie esportazioni, anche gli altri Paesi erano spinti ad agire in questo modo per salvaguardare la propria
competitività; come d’altro conto, alle misure protezionistiche adottate da un Paese per limitare le
importazioni di merci corrispondevano contromisure da parte degli altri Paesi. A tutti ciò, si aggiunse la
guerra, che comportò la cessazione della maggioranza dei flussi internazionali del commercio e dei capitali
privati.
Su questo scenario negli anni ’40 si cominciò a riflettere su come riportare ordine nelle relazioni
economiche internazionali e far riprendere i flussi di beni e capitali, si pensò di definire dei luoghi
permanenti di incontro nei quali assicurare una concertazione delle politiche economiche, evitando il
disordine caratterizzante il periodo interbellico.
Le prime proposte di riforma furono avanzate nel 1941, e da queste presero spunto due principali piani di
riforma formulati da H. A. White per gli Stati Uniti e da J. M. Keynes per il Regno Unito; questi due piani
definivano in linea generale la struttura che avrebbe avuto il nuovo ordine internazionale. In particolare,
Keynes aveva previsto l’istituzione di una Cleaning Union internazionale con sede a Londra, presso la quale
le banche centrali dei Paesi avrebbero mantenuto i loro depositi; cioè, sarebbe stata una sorta di banca
centrale delle banche centrali, all’interno della quale si sarebbero effettuate le operazioni di liquidazione
dei debiti e dei crediti ufficiali; a loro volta, tali depositi sarebbero stati ridefiniti in una nuova moneta
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internazionale “bancor” da porre al centro del sistema. Il valore di tale “bancor” sarebbe stato fissato in oro
mentre quello della valute in bancor: pertanto, i Paesi membri avrebbero potuto scambiare bancor e
utilizzarlo a sua volta per far fronte ai propri impegni di pagamento. Quindi, il piano di Keynes prevedeva un
crollo sui movimenti di capitali, al fine di scoraggiare i flussi speculativi, sia di evitare indebite fuoriuscite di
fondi.
Al contrario, il piano di White prevedeva la creazione di un Fondo di stabilizzazione, al quale avrebbero
potuto accedere tutti i membri nel caso in cui ne avessero avuto bisogno; si differenzia dalla Cleaning Union
per il fatto che la capacità del credito sarebbe stata determinata dal capitale versato e quindi le quote
contributive sarebbero state versate in base ad una serie di variabili quali il reddito del Paese, la
popolazione e la dotazione di oro.
Anche White aveva previsto una moneta internazionale definita “unitas” che però sarebbe stata usata solo
come unità di conto.
Questi due piani furono messi a confronto nel 1943, da una commissione composta da una delegazione
statunitense guidata da White ed una britannica guidata da Keynes, con lo scopo di pervenire ad un piano
finale. Tale commissione si ritrovò in disaccordo sul ruolo della nuova moneta internazionale in quanto,
mentre il “bancor” risultava come un elemento centrale nella riforma di Keynes, “l’unitas” veniva
considerato come un elemento accessorio. Il piano di White cominciò a prevalere da subito su quello di
Keynes sia per la maggior importanza riconosciuta al “bancor” rispetto all’ “unitas”, sia per la posizione
dominante degli Stati Uniti che uscivano vittoriosi dalla guerra mondiale rispetto all’Inghilterra che risultava