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Il museo ricorre ai cinque sensi per ottenere un impatto di tipo
sensoriale; un museo capace di far gustare, a tuttotondo, l’universo valoriale e
sensoriale della marca, mediante l’utilizzo di suoni, sensazioni, prodotti e
oggetti figurativi che affascinano e incuriosiscono costantemente il turista
facendogli percepire un’esperienza unica.
Ho quindi suddiviso il mio lavoro in cinque capitoli:
Il primo capitolo è una panoramica su alcuni importanti studi di autori
che hanno approfondito le implicazioni della visione esperienziale nel
mondo artistico-culturale: per questo ho preso in considerazione, in
particolare, le teorie degli economisti Ferraresi e Schmitt per i loro studi
sul marketing esperienziale, che comprendono assunti e metodologie
finalizzate a creare esperienze olistiche; l’analisi di Holbrook e
Hirschman degli aspetti esperienziali del consumo edonistico e il
confronto con la teoria utilitaristica in particolare per alcune aree di
interesse: disposizioni mentali, classi di prodotti, uso del prodotto,
differenze individuali; il contributo di Pine e Gilmore sull’applicazione
pratica del marketing esperienziale nell’arte che sottolinea quanto sia
importante per l’azienda artistico-culturale conoscere e potenziare le
quattro dimensioni dell’esperienza: intrattenimento, educazione, estetica,
evasione, con l’obiettivo di soddisfare la richiesta di esperienze di
consumo memorabili ad elevato contenuto simbolico che appaghi il
soggetto nella sua continua ricerca di emozioni e di consumi soggettivi e
personalizzati.
Nel secondo capitolo analizzo il consumatore nell’era postmoderna, l’era
in cui vive quella che Lifton2 definisce “generazione proteiforme”, una
2
Lifton, R. J., The protean self: human resilience in an age of fragmentation, Basic Books, New
York, 1993.
Introduzione |
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generazione di uomini e donne abituati all’accesso rapido alle
informazioni, con una soglia d’attenzione molto labile e una vita segnata
da un grado di mobilità e di precarietà sempre più elevato. Il nuovo
consumatore, riprendendo le parole di Fabris3, è esigente, scaltro,
selettivo, autonomo, competente, pragmatico, proattivo, infedele alla
marca e che ha cambiato pelle in cerca di esperienze più che prodotti, di
emozioni e sensazioni più che valori d'uso, generando, in tal modo,
inediti modelli di consumo, più simili al patchwork che alla linearità e
alla prevedibilità del passato, di cui è necessario apprendere le regole. Le
nuove tendenze del marketing (relazionale, estetico, tribale, esperenziale)
prendono avvio proprio da questa nuova realtà. Nella postmodernità il
consumo assume una crucialità simile a quella riconosciuta alla
produzione nella fase della modernità.
Il terzo capitolo è un’introduzione al mondo della birra Guinness, la
Stout più famosa al mondo e simbolo della verde Irlanda, spillata per la
prima volta nel 1759; in particolare, ho ricostruito la storia, le diverse
versioni della birra e le forme di comunicazione del brand: i celebri
poster di Gilroy, gli spot televisivi e il below-the-line.
Nel quarto capitolo ho analizzato la struttura della Guinness Storehouse,
che rappresenta un’evoluzione dei classici musei aziendali. Nato nel
2000, si è affermato, fin dal primo anno, come la prima attrazione
dell’Irlanda, raggiungendo, in tre anni di vita, la quota di due milioni di
visitatori. Esso è il frutto di un’esperienza partita nel 1966, con la
creazione del primo museo di Guinness, che ha saputo adeguarsi,
nell’arco degli anni, ai cambiamenti del mercato, diventando da semplice
3
Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano, 2003.
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luogo dove poter ammirare la storia dell’azienda e comprare, al massimo,
qualche gadget, un vero e proprio parco a tema della marca, dove si può
ammirare il mondo fantastico creato dalla Guinness a 360°, entrare a far
parte di un gruppo selezionato con cui la marca comunica in modo
confidenziale ed amichevole. In Italia, forse, la risonanza del marchio
non è ancora così presente come nel suo paese d’origine, ma sicuramente
la strategia del brand è da notare. Far entrare i consumatori all’interno
dei propri stabilimenti e costruire attorno a loro un intero mondo,
contribuisce a creare un mito, una leggenda vivente. Ciò che rimane al
consumatore non è più solo una birra, ma un’esperienza, un ricordo
vivido e presente, che lo accompagnerà per tutto il resto della vita.
Infine, il mio lavoro di tesi, termina, nel quinto capitolo, con l’analisi
della Guinness Storehouse come esempio riuscito di marketing
esperienziale. Si parla di esperienza perché tutti i sensi vengono
stimolati: la vista della stupenda struttura dell’edificio ristrutturato
mantenendo parte dei vecchi impianti e la struttura originaria in travi di
acciaio, l’udito con lo scroscio dell’acqua, ingrediente fondamentale
della birra, il gusto ed il tatto del malto tostato a disposizione e l’olfatto
della prova di degustazione di una Guinness appena spinata. La Guinness
Storehouse non è solo un luogo dove poter conoscere i cicli produttivi o
analizzare le antiche attrezzature, ma uno spazio nel quale il consumatore
può apprendere gli aspetti intangibili della marca, interagire con essa ed
entrare a far parte di quella élite di consumatori che possono vantare la
loro appartenenza alla sua comunità. La Guinness, in questo modo, può
far emergere la sua personalità, diventando per il visitatore un organismo
caratterizzato da una grande personalità e capace di condividere
emozioni e sensazioni con i suoi utenti.
L’importanza dell’esperienza nel consumo |
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1. L’IMPORTANZA DELL’ESPERIENZA NEL CONSUMO
Questo primo capitolo dedicato al marketing esperienziale cerca di
analizzare in quale modo e perché le esperienze sono diventate cosi
importanti nella società contemporanea e come mai attorno all’esperienza
sembra oggi giocarsi l’ultima battaglia condotta dall’economia liberale per
sopravvivere a sé stessa e per assicurarsi il futuro.
1.1. Il marketing tradizionale
Con marketing tradizionale si fa riferimento a concetti e metodi
approfonditi e adottati a partire dall’ultimo trentennio del Ventesimo secolo,
che si rifanno a una visione determinata e analitica del mercato e dei suoi
soggetti, visione spesso non sperimentata sul campo. Il consumatore è visto
solo nella sua razionalità, come soggetto che sceglie il prodotto in base alle
specifiche caratteristiche del prodotto preso in considerazione e a quelle
offerte dagli articoli della concorrenza. Queste teorie sviluppate riguardo la
natura dei prodotti, il comportamento dei consumatori e l’attività competitiva
nel mercato sono state usate per sviluppare merci, pianificare linee di prodotto
ed estensioni della marca nonché per progettare risposte alle attività
competitive.
Sono quattro i cardini attorno ai quali ruota il marketing tradizionale:
tutto si basa sulle caratteristiche e sull’utilità del prodotto. Le caratteristiche e
i benefici di una merce sono, secondo Kotler4, elementi che vanno a integrare
la funzione primaria del prodotto ed è in base a questi che il consumatore fa le
sue scelte ponderate; sono quindi strumenti chiave per differenziare le offerte
delle varie marche in competizione tra loro. La funzionalità, cioè il beneficio
4
Philip Kotler: (Chicago, 27 maggio 1931) è S.C. Johnson & Son Distinguished Professor of
International Marketing presso la Kellogg School of Management della Northwestern University di
Evanston, Illinois. La sua opera principale è Marketing Management (prima edizione nel 1967).
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del prodotto, si basa sulle caratteristiche, ed è in sostanza la performance che il
cliente cerca nel prodotto; per esempio non cerca un dentifricio qualunque ma
uno che renda i denti sempre più bianchi. Cerca insomma caratteristiche
prettamente fisiche e tangibili.
Le categorie di prodotto sono ben definite e il mercato concorrenziale è
limitato. Nel mondo del marketing tradizionale i profumi di grandi marche
come Dior competono solo con quelli di altre grandi marche come Chanel e
non con profumi a buon mercato venduti nei normali supermercati. La
competizione è principalmente tra prodotti definiti vicini, allo stesso livello e
tra categorie analoghe.
Il consumatore agisce razionalmente, l’acquisto è una decisione
ponderata intrapresa per soddisfare al meglio il bisogno utilitaristico. E’
possibile riassumere il processo decisionale in cinque fasi: identificazione del
bisogno, ricerca di informazioni sul prodotto in questione, valutazione delle
alternative, acquisto e consumo. La teoria tradizionale si interessa soprattutto
delle prime tre fasi del processo, tralasciando le ultime due, rivalutate come
vedremo dal marketing esperienziale.
Le metodologie di ricerca sono analitiche, quantitative e verbali. Si
pensi ai modelli che consistono nella raccolta di valutazioni verbali ottenute
durante interviste o indagini di mercato. Il filone tradizionale prevede di
ottenere vantaggi competitivi apportando dei miglioramenti a ciò che il
consumatore prende in esame durante la valutazione del prodotto, e di
guadagnare una percezione strategica esaminando la posizione della propria
marca rispetto a una rivale lungo le estese e generiche dimensioni di una
mappa di posizione studiata a tavolino.
Una delle litanie che accompagna la definizione del consumatore
postmoderno, cantata soprattutto all’interno della sociologia del consumo,
ripete che oggi il consumatore è eclettico, individualista nelle scelte, poco
L’importanza dell’esperienza nel consumo |
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fedele alla marca e in grado di costruirsi con le pratiche di consumo un proprio
personale profilo di identità, non linearmente prevedibile5.
Naturalmente questo comporta numerose difficoltà. Non è facile,
infatti, comprendere i desideri di un tal consumatore. Il marketing, insieme
con la customer satisfaction e il Customer Relationship Management sembra
non riuscire a rispondere adeguatamente alle esigenze del consumatore
postmoderno. Tutti e tre questi strumenti stanno, infatti, evidenziando un
deficit di risposta alle richieste e alle crescenti esigenze del consumatore. Il
marketing classico si concentra, per esempio, sulle quattro “P” di Kotler,
quindi sempre e soltanto sul prodotto, non sul cliente.
D’altro canto, la customer satisfation è semplicemente un modo per
comprendere se il cliente è soddisfatto o meno in relazione alle performance
del prodotto. Si tratta di una valutazione funzionale, dove l’aspetto
esperienziale è, però, lasciato da parte. La customer satisfation non risponde,
infatti, alle domande: in che cosa consiste questa soddisfazione? Quali stati
d’animo reca con sé? Quanto è intensa? E soprattutto: come si è prodotta?
Anche il Customer Relationship Management non gestisce in realtà le
relazioni con i clienti, a dispetto del nome che porta. Il CRM si limita a
misurare le transazioni, vale a dire i contatti e le risposte dei clienti. Ma questi
sono puri dati quantitativi che non parlano della qualità di queste relazioni e di
questi contatti. La persona può contattare un’azienda, per esempio attraverso
un call center, per lamentarsi o per tessere gli elogi riguardo a un prodotto o un
servizio. Ma quanti altri pensieri, riflessioni, avvenimenti o fatti, esperienze,
sono precedenti o fondanti quella scelta finale che fa prendere il telefono per
lamentarsi o per congratularsi? Il CRM questo non lo prende in
considerazione, né lo valuta.
5
Fabris G., Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, FrancoAngeli, Milano, 2003.
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1.2. Dal consumo di beni materiali al consumo di esperienze
Nella new-economy sono le idee, i concetti, le immagini – non le cose
– i componenti fondamentali del valore. “Mentre il concetto di accumulo
perde valore”, spiega Jeremy Rifkin6, “assistiamo ad uno spostamento dalla
produzione industriale a quella culturale. Una quota sempre crescente di
scambi economici sarà riferibile alla commercializzazione di una vasta gamma
di esperienze culturali, più che di beni e servizi prodotti industrialmente”.
“I nuovi colossi del capitalismo industriale – Time-Warner, Disney,
Virgin, Seagram, Microsoft, Viacom – stanno prendendo il posto dei vecchi
giganti dell’era industriale – Exxon, General Motors, Shell, IBM.
Viaggi e turismo globale, parchi e città a tema, centri specializzati per il
divertimento e il benessere, moda, ristorazione e sport professionistico, gioco
d’azzardo, musica, cinema, televisione, oltre che il mondo virtuale del
ciberspazio e dell’intrattenimento elettronico stanno diventando rapidamente il
nucleo di un nuovo ipercapitalismo fondato sull’esperienza.
Mentre l’era industriale era caratterizzata dalla mercificazione del
lavoro, l’era post-industriale è caratterizzata dalla mercificazione delle
esperienze. Oggi il quarto più ricco della popolazione mondiale spende per
acquistare esperienze da consumare nel tempo libero quasi quanto spende per
acquistare beni e servizi. Nella nuova era la gente organizzerà la propria vita
frazionandola in minuscoli segmenti dotati di valore commerciale”7.
6
Rufkin J, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano, 2000.
7
Bassani M., Sbalchiero S., Brand Design. Costruire la personalità di marca vincente, Alinea,
Firenze, 2002.
L’importanza dell’esperienza nel consumo |
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1.3. Il marketing esperienziale 8
Secondo Ferraresi e Schmitt, l’impostazione di fondo del marketing
esperienziale si basa su due assunti:
Da un lato, in modo certo deterministico ma del tutto chiaro e semplice,
vengono individuati cinque ambiti di manovra. L’esperienza può cioè essere
classificata in cinque differenti tipologie, ognuna delle quali ha proprie
strutture e propri processi intrinseci. Si tratta di Moduli Strategici
Esperienziali (SEM, Strategic Experiential Module), i quali fungono anche da
obiettivi e indirizzano le strategie delle iniziative di marketing esperienziale
che possono essere intraprese. Le cinque tipologie sono il Sense, il Feel, il
Think, l’Act e il Relate. Queste cinque tipologie possono e debbono diventare
anche cinque branche differenti di marketing e di azioni strategiche che
cercano di costruire esperienza basandosi su uni dei cinque moduli.
- sense
- feel
- think
- act
- relate
Dall’altro lato abbiamo i cosiddetti Fornitori di Esperienza (ExPro), che
sono gli strumenti che attivano i moduli strategici. Il Fornitore di Esperienza
può essere un componente del communication mix, un commercial, un
annuncio stampa, un packaging, un’affissione, ma anche un punto vendita, un
evento.
8
Ferraresi M., Schmitt B.H., Marketing esperienziale. Come sviluppare l'esperienza di consumo,
Franco Angeli, Milano, 2006.
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1.4. I Moduli Strategici Esperienziali 9
1.4.1. Il Sense
Il marketing del Sense fa ricorso ai sensi e ha l’obiettivo di creare
esperienze sensoriali attraverso la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’olfatto.
Esso può essere usato per differenziare le aziende e i prodotti, per motivare i
clienti e per aggiungere valore ai prodotti. Il marketing del Sense richiede una
comprensione riguardo come ottenere un impatto di tipo sensoriale.
Un esempio significativo è costituito dalla campagna “5 Sensi” di
Magnum (Fig. 1), sviluppata dall’agenzia McCann Erickson di Milano con la
partecipazione di un team internazionale. Gli ottimi risultati conseguiti nel
2003 con i “Peccati Capitali” e nel 2004 con i “Cornetto Love Potion” hanno
spinto Algida a produrre un’altra edizione limitata e ad affidare all’agenzia
McCann Erickson il compito di promuoverla. È nata così una campagna
incentrata sui cinque sensi, oltre che sulle tradizionali dimensioni di desiderio
e voluttà che connotano il gelato ormai da anni.
Negli spot televisivi, andati in onda dal marzo al settembre del 2005,
vengono presentate le cinque versioni: Vision, Sound, Touch, Taste e Aroma.
Lo scopo è quello di fornire stimoli di natura eterogenea (visivi, uditivi, ecc.)
che richiamino sì le caratteristiche del gelato in questione, ma soprattutto che
risveglino uno dei cinque sensi attraverso un caleidoscopio d’immagini
altamente sensuali. Ogni spot si apre con un’immagine del prodotto aperto in
due che, oltre a rivelare la crema al suo interno, simboleggia una sorta
9
Ibidem.
Fig. 1. Alcune sequenze dello spot "5 Sensi" di Magnum.
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d’ingresso nel viaggio sensoriale. Le immagini successive variano a seconda
dello spot; in ogni caso, però, si tratta d’immagini suggestive, caratterizzate da
una serie specifica di colori e materiali. A scandire il tutto è una calda voce di
donna, alla quale si affiancano istanti di silenzio e suoni particolari. In Touch,
per esempio, vengono mostrate mani che passano tra i capelli e che toccano la
pelle in più punti del corpo, per poi immergersi in una ciotola colma di
nocciole. Il cioccolato al latte è un altro tra gli ingredienti richiamati: vengono
inquadrate, infatti, dita che accarezzano una pancia formando disegni con del
cioccolato fuso, e una piuma bianca mentre sfiora leggermente un volto. In
Vision, invece, si cerca di stimolare la vista attraverso giochi di forme e colori,
nonché effetti ottici di varia natura. Ecco il volto di una donna che appare
deformato perché dietro a un vaso d’acqua, o unghie smaltate di rosso che si
mimetizzano tra fragole. Il cioccolato bianco, poi, viene evocato dai colori
neutri dello sfondo, mentre la forma ondulata del gelato è richiamata dalla
sinuosità dei corpi esibiti.
Ogni spot si chiude con il celebre “primo morso”. Un’inquadratura
ravvicinata mostra una bocca che assapora il gelato, accompagnata dal suono
inconfondibile della copertura di cioccolato che si spezza. Questo a ribadire,
ancora una volta, l’invito a lasciarsi perdere dai sensi e lasciare spazio
all’istinto.
La campagna “5 Sensi”, così come quelle delle altre edizioni limitate, è
stata scaglionata nel tempo. Gli spot televisivi, infatti, sono stati lanciati in
corrispondenza dell’uscita sul mercato di ognuna delle cinque versioni del
gelato. A essi, inoltre, sono state affiancate numerose attività below the line
concepite a livello locale. In Irlanda, per esempio, è stato organizzato un
evento con uno scultore di fama internazionale: Duncan Hamilton. Assistito da
cinque Magnum girls, l’artista ha fornito la propria interpretazione dei cinque
sensi scolpendo cinque giganteschi blocchi di ghiaccio. In Grecia, invece, è
stato realizzato uno spazio, all’interno di un piccolo albergo, in cui i visitatori
potevano fare esperienza di ognuno dei cinque sensi.
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Un’idea simile è stata quella della campagna di promozione “In tutti i
sensi” dell’Università degli Studi di Teramo 2007/2008 (fig. 2) in cui sono
rappresentati i 5 corsi di laurea offerti dall’Ateneo – Giurisprudenza, Agraria,
Medicina Veterinaria, Scienze Politiche e Scienze della Comunicazione – a
ognuno dei quali corrisponde un senso: per Giurisprudenza abbiamo l’udito,
con l’immagine di un orecchio di una statua, per Agraria abbiamo il gusto,
rappresentato da una ragazza che “azzanna” un peperoncino, per Veterinaria
l’olfatto, con l’immagine del naso di un cane, per Scienze politiche il tatto, con
una mano che sfiora l’acqua e infine per Scienze della Comunicazione
abbiamo la vista, con un’immagine astratta in cui però è chiaro il disegno di
un occhio.
Fig. 2 Campagna di promozione 2007/2008 dell’Università degli studi di Teramo
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1.4.2. Il Feel
Il marketing del Feel richiama i sentimenti interiori dei clienti e ha
l’obiettivo di creare esperienze affettive che vadano da umori leggermente
positivi collegati a una marca (ad esempio un bene di largo consumo non
coinvolgente né durevole, un servizio o un prodotto industriale) a emozioni
forti di gioia e orgoglio (ad esempio, un bene durevole, un prodotto
tecnologico o una campagna di marketing sociale). La maggior parte delle
emozioni ha luogo durante il consumo. Per questo la pubblicità emozionale
tradizionale è spesso inappropriata, dal momento che non si rivolge ai
sentimenti durante il consumo. Ciò di cui c’è bisogno per far funzionare il
marketing del Feel è, allora, una profonda comprensione degli stimoli che
possono suscitare certe emozioni, così come della volontà del consumatore
d’impegnarsi in un cambio di prospettiva e in un
atteggiamento empatico.
Un esempio di marketing del Feel è secondo
Schmitt e Ferraresi, la fragranza Clinique chiamata
«Happy». I video nei punti d’acquisto rinforzano il
messaggio del nome, richiamando il packaging
arancio acceso del prodotto e mostrando la figura
saltellante e sorridente della modella Kylie Bax.
Gli annunci televisivi abbinano al movimento e
alla musica un utilizzo vivace della macchina da presa.
Nell’organizzare la campagna «Happy» (fig. 3), la Clinique ha cavalcato
l’onda crescente anti-grunge che ha visto affermarsi la tendenza verso mode
più allegre. Come tie-in, la Clinique ha prodotto in edizione limitata un CD di
canzoni spensierate, inserendo “Get Happy” di Jury Garland e “Happy
Together” dei Turtles10. «Happy» fa sentire più felici.
10
Elliott S., Clinique is introducing scent in bid for share of premium market, New York Times,
September 30, p. 6.
Fig. 3. Clinique Happy