4 I. 1 La ex capitale e i suoi intellettuali
Le vicende artistiche o culturali in genere, che maturarono a
Napoli dopo l’Unità, riflettono il travagliato, contraddittorio e
disperante susseguirsi degli eventi politici, economici e sociali
che segnarono e condizionarono profondamente, spesso con
effetti dolorosi e devastanti anche sul piano civile, la vita delle
città fino ad anni recenti, con conseguenze avvertibili ancora
ai giorni nostri.
La caduta della Destra storica e il conseguimento dei
principali risultati politici ricercati dall’iniziativa dei vari
gruppi durante il Risorgimento (unità, libertà, indipendenza,
nazionalità) coincisero con il definitivo esaurimento delle
tematiche romantiche e dei loro principali rappresentanti
(Mazzini e Gioberti), anche se alcune delle loro idee-guida,
dal concetto di “primato” a quello di nazione come unità
spirituale, continuarono a sopravvivere a lungo sia pure in
forme spesso distorte o esasperate.
Il gruppo intellettuale che forse con maggior consapevolezza e
modernità si pose il problema di saldare la fase eroica – ideale
5 del Risorgimento ai problemi insorti con la costruzione dello
Stato unitario, fu costituito dagli hegeliani di Napoli, che in
questa città fecero rivivere i fasti di una tradizione culturale
che, contrastata duramente dalla repressione dei governi, fu
vivacissima (da Vico e Giannone a Genovesi a Galiani a
Cuoco): ne furono principali rappresentanti Bernardo
Spaventa, e soprattutto l’irpino Francesco De Sanctis, che
compirono il tentativo audace di sottrarre la cultura filosofica
e letteraria italiana al provincialismo ancora imperante,
innestandola sul tronco robusto dello storicismo dialettico,
come l’aveva elaborato il grande maestro di Jena, ma al tempo
stesso si preoccuparono fortemente di ritrovare la matrice
nazionale di questa tendenza verso la modernità, individuando
nella storia della nostra filosofia e della nostra letteratura il
ritmo organico dialettico che, attraverso tutele conquiste ideali
ed umane del Risorgimento, doveva portare adesso a nuove
assunzioni di responsabilità da parte del ceto intellettuale
italiano
1
.
Tuttavia, questo ceppo culturale napoletano non riuscì in
questa fase ad espandersi e a crescere oltre un certo limite,
probabilmente perché esso andava, nonostante certe sue
1
A. Asor Rosa, La cultura, Storia d’Italia, vol. IV, tomo II, Einaudi,
Torino, 1975, pp. 821 – 838; N. Coppola, Gli hegeliani di Napoli, Istituto
per la storia del Risorgimento italiano, Roma, 1964, p. 477.
6innegabili aperture verso il realismo e il positivismo, in
direzione contraria all’indirizzo culturale e ideologico allora
dominante, che era di sempre più netta impronta scientista e
materialista (mentre l’hegelismo restava ovviamente una
dottrina idealistica, sempre intesa a mettere al primo posto i
prodotti concreti del pensiero umano, quali: la politica, la
letteratura, l’arte, l’ideologia).
Dal travaglio confuso degli anni ‘60-‘70 emerse invece una
classe colta dai caratteri abbastanza netti e delineati, che, dopo
aver scontato negli anni immediatamente successivi al Settanta
l’estrema illusione di proseguire senza lacerazioni interne il
processo iniziato con il Risorgimento, si pose il problema di
fornire alla giovane Nazione forme di ideologia e di cultura
adeguante al nuovo ruolo europeo, autonomo ed autorevole,
dell’Italia
2
.
Dunque la battaglia di questa nuova classe colta da una parte
era diretta contro le teorie anarchiche antistataliste, dall’altra,
si concentrò sulla difesa del Risorgimento, come la grande
rivoluzione italiana che aveva dato vita allo Stato unitario non
come effetto di impetuosi interessi economici o di fanatica
religione ed orgoglio di stirpe
3
, ma mosso e animato da dignità
2
B. Croce, La vita letteraria a Napoli 1860-1900, ora in La letteratura
della nuova Italia, Laterza, Bari, 1915, p. 492.
3
B. Croce, La storia del regno di Napoli, Laterza, Bari, 1925, p. 125.
7morale, rischiarato da luce intellettuale, non angusto nella sua
rivendicazione della patria, benevolo e fraterno verso gli altri
popoli, amici e nemici, e solo desideroso che gli italiani
riprendessero tra di essi e con essi il loro posto nell’opera
comune della civiltà moderna.
Nel campo delle arti, una delle situazioni più sconcertanti ed
evidenti procurate dal succedersi degli eventi post-unitari,
accanto al generale impoverimento qualitativo e quantitativo
della produzione locale, fu la condizione di progressivo
isolamento ed emarginazione in cui vennero a trovarsi gli
artisti napoletani rispetto al costante e rapido evolversi delle
tendenze che maturarono in altre città italiane, in Europa e, più
tardi, finanche in vari centri d’oltreoceano: una condizione
d’isolamento, che risultava in forte contrasto proprio con le
costanti aperture internazionali e le feconde inclinazioni
cosmopolite che le arti a Napoli manifestarono fin dai primi
decenni dell’ottocento
4
. La critica anche recente ha motivato
questa diffusa e persistente condizione di emarginazione e
arretramento delle arti a Napoli tra Ottocento e Novecento con
la dismissione, dopo l’Unità nazionale, del tradizionale ruolo
di capitale di un regno indipendente che la città raggiunse con
i Borbone alla metà del settecento; la corte borbonica poi,
4
G. Pugliese Caratelli, Storia e civiltà della Campania. Otto e
Novecento, Electa, Napoli, 1995.
8proprio nel campo delle arti, assunse, fino alla metà
dell’ottocento, con varie iniziative di rilievo, un ruolo decisivo
nella promozione delle attività artistiche e culturali
5
.
Dunque, Napoli fu per secoli capitale di un regno o vice regno,
se non florido, abbastanza vasto rispetto agli altri della
penisola, e non secondario negli equilibri geo-politici
continentali; centro politico e culturale, la capitale ospitò
artisti come: Bellini, Leopardi, un antiquario come Hamilton e
un pittore come Hackert; senza dimenticare il ruolo svolto dal
teatro di San Carlo, uno dei lirici più rinomati d’Europa.
All’indomani dell’unità, la città si trovò ad una fase di svolta;
si trattava di far sorgere un centro culturale sulle ceneri di una
ex-capitale. Lo stesso Benedetto Croce, nel notissimo saggio
sulla vita letteraria post-unitaria, elogiando la ricchezza
speculativa regionale, negò invece una vita letteraria che la
collocasse al centro della scena nazionale o europea
6
.
E’ vero che a Napoli tra Ottocento e Novecento non
spiccarono grandi personalità culturali; ma certo non può dirsi
che la città non riscontrasse un fervore culturale di un certo
interesse: tra questi, i giovani intellettuali ritratti nei brevi
5
G. Galasso, Napoli nell’Unità italiana, in Immagine e città, Electa,
Napoli, 1981; G. Galasso, Tradizione metamorfosi e identità di un’antica
capitale, Laterza, Napoli, 1987
6
B. Croce, La vita letteraria a Napoli tra il 1860 e il 1900, in La
letteratura della nuova Italia, vol IV, Laterza, Bari, 1966.
9affreschi della notissima inchiesta di Ugo Ojetti, Alla scoperta
dei letterati
7
, Bracco, Scarfoglio, Cafiero, Verdonois, Di
Giacomo, Serao. La loro presenza testimoniava i fermenti non
quietati di una città la cui storia, pur frustata dalla recente
unificazione, si trasferiva sul piano culturale, e resisteva oltre
il processo di marginalizzazione. Non per nulla, le istituzioni
culturali, da Capodimonte all’Università, conservarono una
loro autorevolezza; in ambito creativo fiorì l’avanguardia
wagneriana di Van Westerhout.
All’interno di questo panorama, ruolo non secondario svolse,
all’alba del nuovo secolo, la “Critica” di Benedetto Croce,
luogo aperto di dibattito sia filosofico che letterario. Proprio
nella “Critica”, Croce pubblicò il citato ritratto della Vita
letteraria a Napoli. Il filosofo evidenziò come, tra il 1883-85,
dopo la morte di alcuni grandi uomini come Spaventa, De
Sanctis, Tari, Fiorentino, Imbriani, fosse successo un periodo
oscuro per tutta la cultura meridionale. Qualche barlume di
luce, scrisse il Croce, si poteva individuare: nell’ideazione di
una Società di storia napoletana; nel sorgere di una letteratura
d’arte il cui esponente più rappresentativo fu Vittorio Pica;
nello sviluppo della lirica dialettale con Salvatore Di
Giacomo; infine nell’affermazione del giornalismo quotidiano
7
U. Ojetti, Alla scoperta dei letterati, Le Monnier, Firenze,1957 [1895].
10
(“Il Corriere di Napoli”, “ Il Mattino”, “La Tavola Rotonda”,
“Il Fortunio”)
8
.
Croce, quindi, nel suo articolo intendeva, attraverso una serie
di interventi, critici ed editoriali, recuperare sia una parte della
cultura precedente la stagione giornalistico - letteraria, sia a
distinguere, in quest’ultima, quanto egli riteneva ancora vivo,
capace di fruttare in una prospettiva non di “storia piccola”,
cioè regionale, ma di “storia grande”, ovvero nazionale
9
.
In questo nuovo fervore artistico e filosofico, restava acceso il
dibattito sul realismo che trovava in De Sanctis, il maggiore
interprete. Sia pure mitigato dalle forti radici idealistiche che
vedevano proprio a Napoli una roccaforte dell’hegelismo, il
realismo regionale e più ancora la poetica del vero di
ispirazione naturalista-positivista, trovò una feconda
declinazione nel verismo napoletano. Ebbene, non si può
escludere che De Sanctis fosse specialmente motivato da una
letteratura regionale ove era diffusa una forma di realismo
così “spontanea”, assimilabile al regionalismo veristico di
Capuana, ben familiare alla cultura napoletana dell’epoca.
8
B. Croce, La vita letteraria a Napoli, in La Critica, Anno I, fasc. III, 20
maggio 1903, pp. 226 – 228.
9
Cfr. E. Candela, Prefazione in Letteratura e Cultura a Napoli tra Otto e
Novecento, Napoli, Liguori, 2003, pp. 1-2.