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che gli stessi non siano destinati alla vendita al dettaglio, all’interno
dei depositi stessi.
La regolamentazione dei suddetti depositi fiscali viene sancita, almeno
nelle sue linee essenziali, dall’art. 50-bis del d.l. n.331/1993. Questa
norma, introdotta appunto dal provvedimento del 1997, da una parte
stabilisce le regole relative all’istituzione e alla gestione dei
depositi e dall’altra rinvia ad appositi decreti la previsione di
disposizioni di dettaglio afferenti agli obblighi contabili e
amministrativi a cui i depositi stessi sono sottoposti. La specifica
normativa è stata introdotta, in particolare, per evitare che merci di
provenienza comunitaria siano assoggettate a un regime più
sfavorevole rispetto a merci provenienti da Paesi terzi. In effetti,
prima della legge n.28/1997, sussisteva una vera e propria
sperequazione tra le merci di provenienza comunitaria, la cui
introduzione nel territorio dello Stato comportava,
generalmente, un acquisto comunitario soggetto ad i.v.a. e le merci
di provenienza extracomunitaria che potevano essere introdotte in
depositi doganali, con conseguente esclusione dal pagamento
dell’i.v.a.
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Capitolo primo: Le dogane, normativa precedente
1.Funzioni della dogana
I dazi doganali, o imposte di confine, si distinguono in:
a) dazi di esportazione, se colpiscono merci di produzione nazionale
destinati ad essere consumate all’estero;
b) dazi di importazione, se colpiscono merci di produzione straniera
destinati ad essere consumate nell’interno del paese;
c) dazi di transito, se colpiscono merci di produzione straniera le
quali, essendo destinate a mercati stranieri, debbono attraversare il
territorio nazionale.
In relazione allo scopo i dazi doganali si distinguono in dazi
fiscali, se destinati esclusivamente a procurare una entrata alla
pubblica finanza; e dazi economici se, indipendentemente dalla entrata
che essi possono procurare all’Erario, vengono stabiliti con
l’intento di giovare alle industrie nazionali, e, in generale, alla
economia nazionale. I dazi economici, a loro volta, secondo lo
scopo specifico che intendono raggiungere nella funzione
regolatrice dell’interscambio, prendono denominazioni specifiche,
come dazi preferenziali se stabiliti nei rapporti con le colonie, e in
generale, quelli fra nazioni legate da particolari vincoli
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economici, tradizionali o geografici; dazi differenziali se
stabiliti, in aumento dei dazi generali, nei confronti di paesi
nei quali le navi o le merci nazionali vengono sottoposte a
particolari gravezze; dazi antidumping se destinati, con una
maggiorazione dei dazi generali, a fronteggiare il danno che
all’economia nazionale può derivare dalla concessione, da parte di uno
Stato estero ai propri esportatori, di particolari sovvenzioni o premi;
dazi compensatori se stabiliti su determinate merci originarie o
provenienti da paesi, che abbiano stabilito, per talune merci di terzi
Stati, un particolare trattamento di favore che non venga applicato a
merci della stessa specie di produzione italiana.
I dazi doganali in relazione alle modalità di determinazione
dell’imposta si distinguono in dazi specifici, se l’imposta
prende in considerazione la specie del prodotto tassato, e dazi sul
valore, se prende in considerazione il valore.
Tra le molte cause che influiscono sul prezzo di una merce, quella
relativa alla presenza. di una imposta di confine ha un’influenza
certamente rilevante. Il dazio fa sempre aumentare il costo della merce
in misura per lo meno uguale al suo ammontare, non sempre ne fa
proporzionatamente aumentare il prezzo. Il dazio può avere sul
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prezzo tre diversi effetti: o esso si aggiunge interamente al prezzo
preesistente o si aggiunge in parte, o il prezzo rimane immutato.
Come stabilire il prodursi degli effetti anzidetti non è cosa
semplice. Come bene disse il Selingman
1
, un’indagine sugli effetti
reali di un’imposta collocata su di una classe qualsiasi di merci
richiederebbe la completa conoscenza di tutte le forze che
influiscono sulla domanda e sulla offerta delle medesime, non
solo nei due paesi immediatamente interessati, ma anche su tutti gli
altri paesi costituenti il mercato mondiale.
E poiché non tutte le cause che agiscono sul prezzo sono facilmente
identificabili e valutabili, non si può, nemmeno in via approssimativa
indicare la misura nella quale ciascuna causa influisce.
Possiamo fin d’ora dire che quanto più mite è l’imposta, tanto più è
probabile che essa venga interamente trasferita sul consumatore; la
lieve differenza tra il prezzo antico e quello nuovo può o non
influire affatto sulla domanda della merce oggetto di
tassazione, o influirvi n misura trascurabile. Infatti, quanto più
basso è il saggio dell’imposta, tanto più aumenta la possibilità di
resistenza del produttore marginale.
1 E.SELINGMAN , La transazione e l’incidenza delle imposte ,Torino ,1920, p.242 s.
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Se invece la domanda si riduce sensibilmente, allora é molto
probabile che l’imposta incida, totalmente o parzialmente, il
profitto del produttore.
Ora è ovvio che non tutti i produttori possono sottoporsi a tale
sacrificio: non solo i produttori extra-marginali, ma, col progredire
della contrazione, anche i produttori marginali
(particolarmente se l’imposta è molto elevata) saranno costretti a
ritirarsi dall’industria, provocando così la graduale contrazione
dell’offerta.
Ristabilitosi l’equilibrio tra la domanda nuova e l’offerta nuova, il
prezzo può anche diventare uguale al prezzo antico più
l’imposta. Dunque, perché l’imposta si trasferisca interamente o
parzialmente, o non si trasferisca affatto sui consumatori, dipende
anche dalla maggiore o minore facilità e rapidità con cui l’offerta può
seguire le contrazioni verificatesi nella domanda. Però è necessario
tener presente che negli scambi internazionali, l’offerta è costituita da
tutta la merce che, in un dato momento, i paesi esportatori tengono a
disposizione dei paesi importatori. Pertanto la modificazione della
offerta da parte di uno dei paesi esportatori può influire sul prezzo solo
a condizione che la modificazione sia rilevante nei confronti
dell’offerta globale.
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Parimenti una modificazione della domanda da parte di un paese
importatore può influire sul prezzo della merce domandata solo
quando la modificazione risulti rilevante anche in rapporto alla
domanda globale. Dunque, quando si parla di ampliamento o
di contrazione dell’offerta o della domanda, bisogna sempre riferirsi
alla offerta globale e alla domanda globale del mercato mondiale.
Queste brevi considerazioni di carattere generale ci guideranno
nell’esame delle diverse imposte di confine.
I dazi di esportazione hanno scopo principalmente fiscale. Tutte le
volte che si cerca di connotarli di una finalità economica si
dimostrarono non solo inefficaci, ma talvolta anche contrari allo
scopo che si proponevano.
I dazi di esportazione vengono ordinariamente applicati:
o su materie prime che l’industria interna non può assorbire o non può
interamente assorbire; o su generi alimentari prodotti in quantità
eccedente il consumo interno del paese di produzione; o su articoli
di lusso sulla cui produzione presente o accumulata il paese
esportatore gode di un certo monopolio.
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L’applicazione fiscalmente utile di tali dazi richiede:
a) Che il saggio dell’imposta non sia molto elevato;
b) Che la merce tassata sia soggetta a domanda poco elastica e non sia
facile sostituirla con un succedaneo;
c) Che la merce tassata sia prodotta soltanto dal paese che la
sottopone a dazio.
Se queste condizioni sussistono, e finché esse si verificano, i dazi di
esportazione possono costituire fonte anche cospicua di pubblica
entrata. Se queste condizioni mancano o vengono a cessare, i dazi di
uscita possono diventare un ostacolo gravissimo per il commercio di
esportazione.
I dazi di esportazione hanno goduto molto favore in passato,
perché si riteneva che il venditore potesse agevolmente trasferire
l’imposta sul consumatore straniero. Certamente il fatto che questi
dazi, in generale, colpiscono merci che i paesi importatori
non posseggono o posseggono in quantità insufficiente alle proprie
esigenze, favorisce la traslazione del tributo; ma tale circostanza, per
se sola, non basta ad assicurarla. Ci vuole il concorso di altre
circostanze e, soprattutto, ci vuole che la domanda della merce
tassata sia poco elastica, e che il venditore possa dominare il
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prezzo. Ora il dominio del prezzi presuppone che l’industria
venga esercitata in regime di monopolio. Però è facile osservare
che il monopolista, anche quando trovi conveniente di
aggiungere l’intera imposta al prezzo, dovrà, per altri motivi
risentire gli effetti dell’imposta; cioè, in conseguenza del tributo,
il profitto sarà inferiore a quello che egli avrebbe goduto in regime
di esenzione tributaria.
Supponiamo infatti che, prima della imposizione del dazio,
il monopolista abbia, per il suo prodotto, stabilito il prezzo di lire 10
per unità. Si ritiene che questo prezzo sia quello che gli assicura il
profitto più alto e che qualunque altro prezzo, più alto o più basso, gli
avrebbe dato un profitto globale minore.
Se, successivamente, sul detto prodotto viene stabilito un dazio di
esportazione nella misura di lire 2 per unità, il monopolista potrà bene
aggiungere l’imposta al prezzo, ma difficilmente gli riuscirà di
conservare il profitto fino allora goduto. Invero l’aumento del prezzo
non potrà non cagionare una contrazione della domanda che sarà
tanto più forte quanto più alto sarà il saggio dell’imposta, o
quanto più alto sarà il grado di elasticità della domanda della merce
tassata. L’ipotesi di una domanda che si mantenga
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assolutamente rigida di fronte a qualsiasi variazione del prezzo è da
escludere, perché allora non si spiegherebbe come mai il monopolista,
in regime di esenzione fiscale, abbia adottato il prezzo di lire 10, se
poteva, con suo vantaggio, adottarne uno più alto.
Se la merce tassata è sottoposta a domanda molto elastica, oppure se
l’imposta eleva considerevolmente il costo della merce, il monopolista
dovrà bene esaminare se gli conviene lasciare il prezzo inalterato
ovvero aggiungere al prezzo l’intera o parte dell’imposta.
La decisione è strettamente subordinata alla legge economica che
governa l’industria.
Ne consegue da quanto dianzi esaminato che non sempre riesce
facile agli esportatori di trasferire l’imposta sui consumatori.
L’opinione dunque che il dazio di esportazione venga sempre
pagato dai paesi importatori, è una opinione senza solido
fondamento, giacché - come abbiamo visto - le maggiori possibilità
sono a favore dell’incidenza dell’imposta sul profitto degli
esportatori.
Del resto anche nella ipotesi che la domanda della merce tassata si
mantenga rigida, sicché possa ritenersi che il dazio ricada sui
consumatori stranieri, anche l’economia generale del paese esportatore
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potrà esserne danneggiata perché, quando anche non diminuisse la
domanda della merce tassata, può diminuire la domanda di altre merci.
Tale conseguenza
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è molto probabile, perché la capacità di
acquisto dei paesi importatori viene diminuita dall’aumento
di spese per comprare l’art. tassato. E poiché tutti i commerci
internazionali sono fra loro collegati dall’azione dei cambi esteri, la
perdita della nazione che impone il dazio può magari farsi sentire
nel commercio con paesi che non importano la merce tassata, ma i
cui rapporti con essa sono alterati dalle modificazioni che l’effetto del
dazio produce nei fattori generali del cambio.
Molto più importanti, sia dal punto di vista finanziario che dal punto
di vista economico, sono i dazi d’importazione, che oggi, nei
moderni sistemi tributari, occupano quasi sempre, un posto
preminente.
Nello studio dei dazi d’importazione fondamentale è la distinzione tra
dazi fiscali e dazi economici; mentre per i primi abbiamo il fatto
normale di un’imposta che, uniformandosi al principio della
generalità, grava su tutta la merce destinata al consumo di un paese,
per i dazi economici, invece, si ha il fatto singolare di un’imposta che
2 C.F. BASTABLE, Teoria del commercio internazionale, Torino, 1921, p. 96 s.
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colpisce solo una parte della merce che è consumata nel paese, quella
cioè proveniente dall’estero. Onde la traslazione del tributo è
accompagnata da fenomeni di ripercussione e di diffusione così
numerosi e così vasti che per nessun’altra imposta si verificano.
Si nominano dazi fiscali d’importazione non già quelli che, per
l’elevatezza del saggio dell’imposta o per la larghezza del
consumo della merce che ne è colpita, possono dare una forte
entrata alla pubblica finanza, bensì quelli che, gravando su merci
che sono non prodotte nell’interno del paese importatore, non
possono esercitare alcuna influenza sulla produzione di questo
paese. Pertanto sono dazi fiscali quelli che gravano:
a) su merci che il paese importatore non può produrre per
ostacoli naturali invincibili, quali il clima, la configurazione
oroidrografica e geologica del paese, ecc.;
b) su merci che il paese importatore non può produrre perché difese
all’estero da brevetto industriale o da altro diritto di riservata
produzione;
c) su merci che il paese importatore potrebbe produrre, ma non
produce per ragioni di costo comparativo.
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La tassazione di queste merci, nei paesi protezionisti, ha
generalmente lo scopo di stimolare il capitale nazionale a dare vita ad
un’industria che nell’interno manca; finché l’industria non è sorta,
l’imposta mantiene il carattere di dazio fiscale, impiantata
l’industria, il dazio acquista portata economica.
Questa trasformazione dei dazi fiscali in dazi economici si presenta
più probabile nei paesi nei quali più densa è la popolazione e più larga
è la disponibilità dei capitali. La densità della popolazione è
condizione essenziale per assicurare un mercato interno sufficiente per
assorbire quel minimo di produzione indispensabile perché
un’industria nuova possa sorgere e prosperare. La mancanza di capitali
non è un vero ostacolo perché essi, quando mancano nell’interno del
paese, possono essere importati dall’estero.
I dazi fiscali, poiché hanno esclusivamente lo scopo di procurare
un’entrata alla pubblica finanza, devono soddisfare a due requisiti:
gravare su merci di largo consumo, e essere stabiliti con un saggio
molto basso, onde sia impedita una forte contrazione della
domanda. Un dazio troppo alto può determinare una larga
rinuncia al consumo, o spingere i consumatori alla ricerca di un
succedaneo non tassato o meno tassato.
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Sono dazi economici quelli stabiliti sulla importazione di merci che
vengono prodotte anche nell’interno del paese importatore, qualunque
sia l’entrata che essi possono procurare alla pubblica finanza. Questi
dazi hanno lo scopo di mettere le industrie nazionali in grado di
vincere la concorrenza straniera. La difesa, comunemente chiamata
protezione, è determinata dal fatto che ove si concedesse alla
importazione di alcune merci la franchigia doganale o una tassazione
troppo mite, non solo le industrie nazionali sarebbero destinate a
morire, ma sarebbe anche ostacolato il sorgere di nuove industrie. I
dazi economici hanno dunque o lo scopo di proteggere le industrie
nazionali dalla concorrenza straniera. Essi raggiungono tale
scopo accrescendo, sul mercato importatore, il costo della merce
offerta dall’industria straniera: qualora, nonostante la presenza
del dazio, si verifica l’importazione, ciò può significare o che a favore
del produttore straniero sussiste ancora un margine tra il costo e il
prezzo, oppure che la produzione straniera è ancora necessaria a
soddisfare la domanda del mercato importatore. Se invece il margine
tra il costo e il prezzo scompare e la produzione interna è
sufficiente a coprire il fabbisogno del mercato importatore, allora
l’importazione della merce tassata cessa. In questo ultimo caso
diciamo che il dazio ha raggiunto pienamente il suo scopo, mentre
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nel primo caso diciamo che il dazio non è ancora riuscito ad
eliminare la concorrenza straniera, e che perciò esso è capace di
produrre un’entrata alla pubblica finanza.
Se per dazio fiscale devesi intendere quello che ha per oggetto una
merce che nel paese importatore non si produce — qualunque sia la
causa della mancata produzione — è superfluo aggiungere che esso
non può esercitare alcuna azione sulla economia del paese, nemmeno
nell’ipotesi che il dazio fosse stabilito con lo scopo di stimolare il
capitale nazionale alla produzione di quella merce, perché, come ab-
biamo già detto, finché l’industria non è sorta, il dazio rimane fiscale
o, per meglio dire, il dazio, potenzialmente economico, praticamente
ha risultato fiscale. Quando invece il dazio è stabilito sopra una merce
che è prodotta anche all’interno del paese importatore, esso —
qualunque sia l’entrata che l’Erario possa averne — è da ritenere dazio
economico perché, cagionando un incremento del costo della merce
proveniente dall’estero, assicura ai prodotti nazionali un profitto più
elevato.
I dazi economici sono quindi da preferire a quelli fiscali dato che
quelli economici oltre ad arricchire le casse statali rilanciano
l’industria.