Mi è sembrato interessante analizzare il programma della villaggizzazione attraverso le chiavi di
lettura della territorializzazione (Turco, 2002). A mio avviso la metodologia che la
territorializzazione propone, che verrà analizzata nel proseguo, è particolarmente indicata allo
studio di tali programmi, che incorporano uno scheletro preciso e definito, composto da organi
essenziali con ruoli specifici, i quali mettono in moto una catena di strutture, determinanti per il
compiersi della villaggizzazione.
Così come la villaggizzazione è un programma costituito da una progressiva disposizione di un
sistema socio-organizzativo, parimenti la territorializzazione consiste nella produzione di
territorio, attraverso un graduale ma costante processo di modifica-adattamento-creazione e
legittimazione dello spazio circondante, al fine di ottenere delle strutture legittime ed
organizzate, in cui sia possibile vivere in comunità, grazie a categorie e sistemi riconosciuti e
fatti propri.
La scelta dell’Etiopia mi è parsa adeguata all’analisi della territorializzazione, date le pratiche
coercitive di villaggizzazione ivi attuate, durante il regime degli anni ottanta ed il nuovo progetto
tutt’oggi in opera, ma anche per le caratteristiche complessive del paese, che lo rendono unico e
particolare rispetto al continente africano.
Per questo motivo, il primo ed il secondo capitolo introducono il particolare contesto geografico,
storico, socio culturale ed economico, con le rispettive riforme economiche dell’Etiopia, per
capire perché, in quale situazione, per quali problemi, si è ricorso alla villaggizzazione. L’Etiopia
vanta una storia millenaria, che, purtroppo, è caratterizzata tutt’oggi da rivolte interetniche e da
conflitti lungo i confini, a causa della non ancora fissata delimitazione del suo territorio e dei
suoi bordi. Inoltre, l’importanza della particolare situazione economica (le carestie, il settore
principale dell’agricoltura) ed il contesto delle riforme sono necessari per focalizzare l’attenzione
sui problemi di sviluppo di cui il paese soffre. Infatti, si esplica velocemente la strategia di
sviluppo rurale integrato, politica di sviluppo ben apprezzata e condivisa dalla comunità
internazionale. In questo particolare contesto, necessitando l’appoggio internazionale per
finanziamenti e scambi commerciali, il programma di villaggizzazione veniva spesso proposto
(vedi Mengistu, negli anni Ottanta) come un mezzo preciso, nonché come condizione necessaria,
per l’applicazione della strategia multi-settoriale di sviluppo.
In secondo luogo, si vuole spiegare il processo di villaggizzazione, elencando la strategia di
applicazione, i mezzi ed i caratteri, le politiche che lo incorporano, nonché le varie tipologie
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(programma volontario o imposto). Per meglio comprendere il fenomeno nella sua analisi, viene
presentata una breve overview su diverse esperienze, in Africa, in America Latina ed in Asia, per
infine fare una valutazione comparata delle diversità e delle uguaglianze riscontrabili, a seconda
dei diversi paesi e delle diverse politiche attuate.
Il quarto capitolo introduce le chiavi di lettura utilizzate ed applicate all’analisi del fenomeno
studiato. Ho spiegato quindi la nozione di territorializzazione e le varie dinamiche di produzione
del territorio, per poi, nel paragrafo successivo, rileggere la villaggizzazione ed i suoi caratteri,
attraverso l’analisi delle strutture proposta dalla territorializzazione.
Intendendo quindi la villaggizzazione come uno specifico esempio di produzione di territorio, si
propone una breve riflessione sull’aspetto autocentrato od eterocentrato del fenomeno, rispetto al
carattere volontario o coercitivo del programma. A questo proposito, viene riportato un breve
excursus sullo sviluppo partecipativo, una teoria di sviluppo che promuove il capitale umano
come destinatario e protagonista attivo di un qualsiasi progetto, a cui i sostenitori della
villaggizzazione hanno fatto ricorso per la legittimazione delle pratiche in corso.
Nel capitolo quinto, si presenta il programma di villaggizzazione durante il periodo Derg, gli
obiettivi delle guide linee e il quadro della situazione politica (socialismo e collettivizzazione),
promosse da Mengistu. Si dà una rilettura del programma attraverso le chiavi di lettura
presentate nel capitolo precedente, per confermare l’esistenza di particolari strutture necessarie
alla pratica della villaggizzazione. Particolarmente interessanti sono le presentazioni di due
programmi praticati in diverse regioni dell’Etiopia, sostenute e finanziate da due paesi europei: il
progetto ARDU dalla Svezia, il progetto TANA BELES dall’Italia. Infine si è voluto concludere
il capitolo con un quadro riassuntivo degli effetti negativi e di quelli positivi riscontrati dalla
villaggizzazione durata quasi un ventennio (1985-1990).
L’ultimo capitolo presenta il nuovo programma tutt’oggi in atto in Etiopia, creato con la
collaborazione della Banca Mondiale, che, nel definire i punti guida del progetto, si è
preoccupata e concentrata sul determinare una buona amministrazione e gestione, ma in
trasparenza e in cooperazione con le persone coinvolte.
Si propone quindi un’analisi comparata dei due programmi, tramite le chiavi di lettura proposte
precedentemente, al fine di valutare se le strutture della villaggizzazione criticata e contestata di
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Mengistu, siano state riprese, modificate, legittimate od eliminate nella recente pratica di
insediamento.
Questa valutazione è necessaria per la conclusione dello studio effettuato, volendo capire se le
strutture predisposte dalle linee guida del programma, oltre a creare una produzione di territorio
precisa, siano oggetto della legittimazione della popolazione insediata nei villaggi, oppure se alla
predisposizione del sistema socio organizzativo formulato, senza la partecipazione attiva degli
insediati, ne consegue una illegitimità ed un rifiuto della comunità.
L’ipotesi si basa sull’evidenza dei caratteri della villaggizzazione che possiamo così riassumere,
grazie all’analisi proposta delle esperienze in Etiopia. L’adesione allo spostamento nel villaggio
non è volontaria, ma controllata rigidamente. Le strutture non sono costruite secondo le reali
necessità degli insediati, che non danno legittimazione e non si appropriano dello spazio
costruito “artificialmente” attorno a loro, per la composizione etnica diversa, per le differenze
tradizionali e dato l’alienamento da quel particolare e preciso sistema organizzativo imposto
dallo stato centrale, senza perlopiù constatare, almeno nel tempo breve, nessun miglioramento
del livello di vita.
Tale alienazione dei piccoli contadini insediati e coinvolti nel progetto di sviluppo, di cui
teoricamente sono i principali destinatari, non presenta dunque una forte e mera contrapposizione
rispetto agli obiettivi di partenza su cui viene fondato il programma?
La villaggizzazione può essere un valido mezzo per una produzione di territorio razionale,
rispetto allo sostentamento ed al benessere della famiglia, e congiuntamente coerente, con la
legittimazione del gruppo, necessaria per il fondamento di un sistema socio-organizzativo
funzionante?
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CAPITOLO I: ANALISI DEL CONTESTO DELL’ETIOPIA.
Figura 1 – Cartina dell’Etiopia
Fonte: www.cia.gov
1.1. Geografia dell’Etiopia.
L’Etiopia occupa una buona parte del Corno d’Africa. Il paese copre all’incirca 1.127.127 km2
(circa l’Italia) e confina con il Sudan a nord-ovest, con il Kenya a sud-ovest, con la Somalia a
sud-est e con l’Eritrea a nord-est.
Le prevalenti caratteristiche fitografiche sono principalmente un complesso di montagne
massicce e di pianure, divise dalla Great Rift Valley, circondate da bassopiani. L’Etiopia occupa
la massa di altipiano più estesa dell’Africa, passando dalla depressione della Dancalia, a 110 m
sotto il livello di mare, nella regione Afar (a nord-est), ai circa 4.620 m delle montagne Simiena
a nord di Condared ed agli oltre 4.000m del gruppo montagnoso di Arsi-Bale, a sud-est di Addis
Abeba.
Solo una piccola parte dell’estensione dei confini sono definiti da una configurazione propria,
infatti l’Etiopia ha sempre dovuto accordare i suoi confini tramite trattato, soprattutto quelli con
la Somalia, per cui le dispute sono durate per più anni. Nel 1950, venne firmato un trattato
tramite le Nazioni Unite, in cui si definivano i confini tra le due nazioni. Ma, nel 1960, quando
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l’Etiopia divenne indipendente, la Somalia rifiutò di riconoscere il trattato stipulato con il regime
coloniale inglese. Tutt’oggi il paese non dispone di una cartina geografica definita dallo stato,
data l’imprecisione dei confini.
La maggior parte del continente è compreso nella Great Rift Valley. L’altitudine generale
raggiunge dai 1.500 ai 3.000 metri sopra il livello del mare. Nel mezzo del paesaggio sorgono
alte montagne da coni craterici, di cui il più alto è il ras Dashen Terra, con 4.620 metri, nel
Gonder.
La parte più settentrionale della pianura è il centro della storia dell’Etiopia, sito dell’impero
Aksum. La capitale Addis Abeba è localizzata nel centro del paese, all’estremità del plateau
centrale.
Millenni di erosione hanno colpito l’Etiopia nelle sue vallate, per una profondità di circa 1.600
metri ed estesa per molteplici chilometri. In queste valli scorrono fiumi, inadatti alla
navigazione, ma utili come fonte di forza idroelettrica e di acqua per l’irrigazione.
Gli altopiani che caratterizzano il paese sono spesso compresi nel plateau etiopico e sono
suddivisi in quelli a nord e quelli a sud. Nel vocabolario geografico, esse sono tagliate in due
dalla Great Rift Valley nelle montagne del sud-est e sono divise in sezioni nord e sud dalla valle
dell’Abay, ovvero il Blue Nile.
Al nord di Addis Abeba, la superficie dell’altopiano è disseminato da montagne dominanti e da
profondi burroni, che creano una varietà complessa del clima, della fitografia e della vegetazione
selvaggia. Il plateau contiene una catena di montagne, come le Chercher e le Aranna. Data la
natura frastagliata delle montagne e dei circondanti tavolati, gli stranieri possono farsi
un’impressione sbagliata della topografia rispetto agli etiopici, che parlano della loro terra come
di un plateau. Poche di queste cime sono piatte, ad eccezione delle montagne sparse qua e là,
chiamate Ambas.
A sud-ovest della capitale, il plateau è anche irregolare, ma la sua altitudine è leggermente
minore rispetto alla sezione nel nord. Dietro le montagne dell’Ahmar e del Mendebo, l’altopiano
si espande dolcemente fino al sud-est. La terra qua si presenta arida, secca e rocciosa, e di
conseguenza, abitata con densità irregolare, sparsa qua e là.
La Great Rift Valley si distende nel centro dell’Etiopia, segnata al nord dalla depressione Denakil
e dai bassopiani, denominati Afar Plain. Al sud, approssimativamente al 9° latitudine nord, la
Great Rift Valley diviene un profondo “fosso”, che incide l’altopiano da nord a sud per circa 50
km.
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