Da queste curiosità ha preso origine il desiderio e la voglia di approfondire una
tematica quanto mai attuale e controversa circa la natura, le modalità di azione, la validità
degli aiuti erogati dai Paesi Industrializzati, alla ricerca di una spiegazione scientifica e
documentabile al problema. Lungi dal voler scrivere in queste pagine, la formula magica per
risolvere il problema, si è cercato di costruire, nel primo capitolo, un quadro essenziale dello
status degli aiuti, passando attraverso alcuni passaggi obbligati – quelli imposti
dall’evoluzione storica e documentabile degli studi economici, per giungere ad osservare con
maggiore libertà le estensioni degli approcci più moderni e ancora confutabili delle nuove
teorie dello sviluppo. Gli spunti da cui far partire le analisi non sono mancati: tanti, tantissimi
e appassionanti sono gli interventi che affollano soprattutto la rete informatica e il web;
attuale e vivace è il dibattito che trova nel mezzo informatico un valido supporto al confronto
costante ed eterogeneo di idee e realtà tutt’altro che virtuali e obsolete. L’analisi parte tuttavia
dalla storia, quella classica, recuperata dagli scaffali pieni di saggi e trattazioni, per conoscere
meglio la “vita” della povertà, le origini, il divenire del male del millennio. Si comprende così
che la povertà non è una e sola, non è nettamente identificabile entro determinati margini, non
è solo questione classificazione statistica.
Nella sfera delle scienze economiche, tuttavia, la povertà è stata per lo più facilmente
descritta come “mancanza di sviluppo” e contemporaneamente assenza di quegli elementi che
favoriscono il passaggio ad un livello qualitativamente migliore dello standard di vita.
L’analisi svolta in questo lavoro ha dovuto quindi passare necessariamente a considerare,
anche se velocemente, le diverse teorie dello sviluppo approntate dagli economisti nel tempo
per giungere contestualmente a soffermarsi con maggiore attenzione sul mutare delle politiche
dell’aiuto adottate dalla Cooperazione Internazionale nella quale tali teorie si sono
concretizzate.
Nel secondo capitolo, si evidenzia in particolare come nella presentazione dei soggetti
che partecipano alla fase attiva degli aiuti, l’analisi dell’economia dell’aiuto possa essere
seguita attraverso un duplice approccio: il primo, quello che più a lungo ha dominato lo
scenario della Cooperazione, che si sostanzia nei modi e nei mezzi propri dell’orientamento
macroeconomico volto a modificare con interventi strutturati ora il funzionamento
dell’economia locale ora l’organizzazione politica interna attraverso forme “coercitive” si
sostegno per collegare l’economia locale alle leggi del mercato internazionale e del suo libero
funzionamento; il secondo, più recente e morbido, quello microeconomico che cerca
attraverso l’intervento mirato sulle status della singola persona, del nucleo familiare, del
6
piccolo contesto geografico e culturale la molla che faccia scattare quel meccanismo proprio
dell’avanzamento economico che conduca ad un generale miglioramento delle condizioni di
vita. Due metodiche che si ritrovano nel percorso evolutivo delle stesse politiche di aiuto delle
quali si cercherà di evidenziare i risvolti positivi e i concreti cambiamenti, più o meno
positivi, apportati nei paesi beneficiari.
Nella terza parte, infine si cercherà di inserire nel quadro così ricostruito, l’ultimo
approccio emerso dagli studi economici, ultimo solo in senso temporale, non di risultati visto
che promette di indicare un ulteriore e più efficace strumento per la risoluzione dei mali del
mondo. Come qualsiasi novità che si voglia inserire in un contesto già collaudato, la nuova
frontiera dell’economia basata ad esempio sul giusto utilizzo degli “incentivi” e sull’uso della
“motivazione” agli operatori – presentata da William Easterly – che parla altresì della
necessità di una nuova ottica nell’approccio degli aiuti, basata sulle modalità di analisi e
programmazione propria dei moderni “ricercatori” piuttosto che dei tradizionali
“pianificatori”, o quella ancor più avanguardista, applicata da una giovane docente di
economia francese, Esther Duflo, non sono privi di punti di contrasto con l’ortodossia seguita
dalla maggior parte degli studiosi e degli economisti che pur si sono fregiati di titoli e
riconoscimenti per tesi poi rivelatesi, in buona parte, poco efficaci. La giovane ricercatrice
francese, insignita del titolo di “genius” dell’economia per aver lasciato gli approcci classici
dello studio di economia fatto di calcoli a tavolino, ed aver messo piede, e toccato con mano
la terra dei popoli a cui venivano destinati gli aiuti, più che soffermarsi sul “cosa fare” per
sconfiggere la povertà, suggerisce, dopo averlo testato in prima persona con i risultati del suo
gruppo di lavoro, che la strada giusta da intraprendere sarebbe piuttosto quella che parte dal
“come valutare” il grado di efficacia degli interventi già attuati tanto dai governi che dalle
ONG. Operazione questa che richiede capacità di analisi e pazienza certosina per un
approccio scientifico al singolo progetto, ai singoli aiuti che vanno poi rapportati ai vari
contesti in cui sono stati attuati.
Dopo decine di anni passati a sviluppare la gigantesca macchina della Cooperazione
Internazionale abituata ormai a muoversi con destrezza sulle autostrade dei grandi progetti di
risanamento economico, la nuova frontiera degli aiuti internazionale si avvia per i più tortuosi
e meno individuabili sentieri dello sviluppo sostenibile e dei progetti sul campo, in
condivisione con le reali prospettive e capacità delle economie e delle popolazioni coinvolte.
Ne risulta, in conclusione un quadro di massima delle ultime ideologie alla base della politica
degli aiuti dirette a svincolare la Cooperazione Internazionale dai risvolti contemporanei della
7
globalizzazione dei sistemi. Idee che ci si auspica trovino presto un sostanzioso sbocco nella
operatività dei fatti. ………
8
CAPITOLO 1
DALLA DEFINIZIONE DI POVERTÀ
AGLI AGGIUSTAMENTI DELLE POLITICHE DI AIUTI ALLO SVILUPPO
1.1
QUALE POVERTÀ
Il nuovo millennio ha tra i tanti, un compito difficile e impellente da svolgere, un
compito che nei secoli passati è stato a più riprese affrontato, ma mai definitivamente risolto.
Un compito che ha un nome pesante: povertà. Quante domande ci si può porre in merito!
Cosa si intende oggi con il termine “povertà”, chi sono i poveri oggi, che forme assume la
povertà nei diversi paesi del mondo, la povertà ha sempre mantenuto una dimensione costante
nel corso dei secoli, o ha conosciuto fasi di crescita o decrescita, come si è modificata a
seguito dei disparati interventi di correzione attuati dagli agenti internazionali degli aiuti allo
sviluppo? Per conoscere cosa sia la povertà, o la si vive, o la si studia. E studiandola,
analizzandola, capendola, si può meglio valutare l’essenza dello strumento maggiormente
impiegato per combatterla: la Cooperazione allo Sviluppo, una macchina gigantesca fatta di
uomini, istituzioni, mezzi, distribuita sull’intero pianeta. Una macchina che tra poco meno di
cinque anni dovrà affrontare “un giro di boa” importantissimo costituito dai riscontri che si
analizzeranno circa gli impegni assunti all’inizio del nuovo millennio per combattere proprio
la povertà. È indispensabile quindi, in questa fase iniziale del lavoro, capire bene l’entità del
problema per meglio valutare le azioni intraprese per contrastarla.
Nelle osservazioni fatte successivamente all’attuazione dei programmi di aiuto propri
della Cooperazione allo Sviluppo, allorché è stato possibile quantificare il valore delle
reazioni dei PVS agli aiuti ricevuti, sembra infatti che una delle cause della loro limitata
efficacia, risieda in parte proprio nella divergenza di interpretazione del termine “povertà”,
dei suoi parametri di valutazione, sui quali di conseguenza sono stati creati modelli di
sviluppo non concordanti con le reali necessità delle economie esaminate.
Dare qui una definizione univoca ed esaustiva della povertà, che metta d’accordo tutti,
per quanto appassionante possa essere l’argomento, è tuttavia impossibile e comunque fuori
tema. La letteratura prodotta in materia nel corso dei secoli è smisurata ed in continuo
divenire, poiché la stessa “linea della povertà” è oggetto di continue revisioni. Per dirla con le
9
parole di Martin Brofenbenner che la paragonò ad una brutta persona, “la povertà….è “più
facile da riconoscere che da descrivere”
1
. Qualsiasi descrizione della povertà, può risultare
arbitraria, mutevole, soggettiva, perché soggettiva è la percezione che l’individuo ha della
povertà. Filosoficamente potremmo dire che non esiste “la povertà”, bensì le povertà, una per
ogni essere umano che ne percepisca l’esistenza.
Abbiamo tuttavia bisogno di dare ad essa un riferimento monetario, perché la povertà
è considerata per lo studio economico, sebbene non in maniera esaustiva, soprattutto la
conseguenza di una carenza di mezzi finanziari che permettano al singolo individuo e alla
comunità di concretizzare le scelte e le prospettive di una vita dignitosa.
Non potendo quindi dilungarci sul senso etimologico del termine, più semplice e
opportuno ai fini di questo lavoro è richiamare in una rapida rassegna la definizione,
l’evoluzione e l’ampliamento del termine “povertà”, partendo dall’approccio classico, sino
alla rivoluzionaria tesi di Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, passando per una
molteplicità di visioni e classificazioni che, nel tempo, hanno contribuito allo sviluppo di
diverse modalità di approccio e tentativi di risoluzione al problema della povertà di massa.
1.1.1
LA POVERTÀ SECONDO L’APPROCCIO CLASSICO
La riflessione sul tema della povertà e delle sue forme ed espressioni, ha ricoperto
buona parte del XX secolo, un periodo particolarmente fervido per l’analisi del fenomeno dal
punto di vista economico, della filosofia, della sociologia, della letteratura. Molti sono stati gli
studiosi che si sono potuti fregiare di importanti riconoscimenti per le loro ricerche circa le
implicazioni della povertà nei campi più disparati del vivere umano. Tutti hanno avuto un
proprio approccio, un proprio modello, una propria soluzione da proporre. Per tutti è rimasta
valida una denominazione essenziale della povertà che viene dagli studi classici. Una
classificazione, che ancora viene utilizzata dalla maggioranza degli economisti, è quella che
secondo l’approccio classico individua la povertà in base alla posizione del campione
analizzato (persona, nucleo familiare, economia locale) rispetto alla “linea della povertà”, e
che opera quindi una distinzione di base tra povertà assoluta e povertà relativa:
10
1
http://www.sociologia.unical.it/daedalus/PDF20/7_20-STRANGES.pdf
Il concetto di POVERTA’ ASSOLUTA, così come sottoscritta al vertice mondiale
delle Nazioni Unite sullo sviluppo sociale, nel 1995
2
, risulta essere
“la condizione caratterizzata da privazioni gravi dei bisogni umani
fondamentali, che comprendono il cibo, l’acqua potabile,l’igiene,la salute,
l’istruzione, un’abitazione e l’informazione”. (Zupi, 2003)
La loro situazione di povertà assoluta è indipendente e non influenzabile dagli
standard di vita delle persone che non appartengono al loro medesimo gruppo. Il grado
di povertà è fissato dal rapporto del proprio reddito col valore di un paniere di beni
definiti indispensabili E’ imprescindibile da questa definizione la problematica della
individuazione della linea di demarcazione che permetta di distinguere le situazioni di
povertà da quelle di non povertà, essendo comunque la risultante di una
identificazione arbitraria del paniere di beni di riferimento.
La “linea della povertà” è oggi convenzionalmente fissata intorno al valore di $ 1,08 al
giorno di reddito secondo la compensazione operata sulla valuta locale dal metodo
della Parità del Potere di Acquisto, per cui colui che abbia un reddito giornaliero
uguale o inferiore a questo valore, è riconosciuto come in una situazione di povertà
estrema. Tale valore, come vedremo unitamente ad un determinato livello di PIL pro-
capite, è stato l’indicatore di sviluppo più adottato dalla Banca Mondiale, dal Fondo
Monetario Internazionale e dall’ONU per la classificazione dei paesi in gruppi: paesi
economicamente sviluppati, paesi a livello intermedio, paesi meno sviluppati.
In conformità a tale parametro, le più recenti stime realizzate e mostrate dalla Banca
Mondiale, presentano il dato sconcertante di più di un miliardo di persone che vive,
appunto, ancor oggi con meno di un dollaro al giorno. Ad un simile risultato è giunto
anche il lavoro esposto dall’United Nations Development Report dell’ONU del 2007,
secondo cui il numero di persone che vive con meno di 1 $ al giorno è sì e diminuito
negli ultimi anni, ma rimane comunque elevato passando da 1,25 miliardi del 1990
fino a 980 milioni del 2004.
La POVERTA’ RELATIVA, all’opposto, è il risultato della messa a confronto della
posizione degli individui, delle famiglie con un determinato standard, un livello di vita
medio che costituisce “la normalità” nel contesto di riferimento; dipende da una o più
11
2
http://www.centrodirittiumani.unipd.it/a_temi/conferenze/copenaghen5/social_summit_1995.pdf
variabili non esclusivamente di carattere monetario e non può essere scissa dagli
standard di vita prevalenti all'interno di una data comunità, dal suo ambiente sociale,
economico e culturale ed è quindi un valore che varia nel tempo e nello spazio. Anche
in questo caso è necessario proceder con una quantificazione della soglia di povertà
relativa che convenzionale, a livello internazionale, adotta la misura
dell’International Standard of Poverty Line
3
secondo cui “povera è una famiglia di
due adulti che abbia un consumo totale inferiore a quello medio pro capite
nazionale”. Il concetto della povertà relativa, intesa come discordanza di un livello
pro capite di reddito dal livello medio pro capite nazionale, può essere poi a sua volta
relativizzato, rispetto alla percezione dello status personale in comparazione al
contesto in cui si vive. Povero è sicuramente chi vive uno stato di deprivazione sociale
per conseguenza di un reddito bassissimo rispetto alla media, che non permetta il
soddisfacimento di bisogni essenziali, ma povertà è anche inadeguatezza psicologica
di chi si riconosce in un status sociale elevato e che si ritrovi improvvisamente privo
dei mezzi finanziari di cui disponeva in precedenza, tale da inquadralo in una
situazione di “normalità”, percepita però dal soggetto come di generale
impoverimento.
Per completezza di analisi, il concetto di povertà relativa viene spesso accostato e
completato da quello di disuguaglianza: il primo, abbiamo detto indica la soglia che
separa i poveri dai non poveri; il secondo indica la misura della distanza da tale soglia
configurando quindi posizioni di povertà superiori o inferiori alla media. Azioni volte
ad eliminare la povertà, si risolvono generalmente in un restringimento della forbice di
disuguaglianza, il che non equivale comunque a dire che la povertà sia stata eliminata.
La stessa disuguaglianza è a sua volta del tutto annullabile, essendo di fatti
caratteristica (e per alcuni necessaria) di qualsiasi contesto economico, anche in quelli
definiti di benessere. Le due misure non vanno pertanto confuse per quanto
strettamente connesse: la povertà comporta necessariamente una disparità di
distribuzione dei mezzi e delle risorse, quindi una certa disuguaglianza. La
disuguaglianza, al contrario non implica necessariamente, una condizione di povertà.
12
3
http://www.un.org/esa/sustdev/natlinfo/indicators/isdms2001/isd-ms2001socialA.htm
Numerose altre classificazioni, sono evidenziabili da un rapido excursus attraverso la
moderna letteratura in materia: in via esplicativa ed esemplificativa l’efficace ricorso alle
classi dicotome ci permette di distinguere così il concetto di povertà in:
a) Unidimensionale vs multidimensionale
b) Oggettiva vs soggettiva
c) Quantitativa vs qualitativa
d) Statica vs dinamica
e) Latente vs manifesta
La classificazione potrebbe trovare oggi ulteriori altri termini di suddivisione: lo
studio stesso della povertà continua a trovare nuove dimensioni e ambiti di approfondimento
che vanno ben oltre la sola visione economico-monetaria abbracciando aspetti sempre più
personali e individualistici – fino ad analizzare la personalità del singolo soggetto che versi in
una situazione di povertà. Al di là delle possibili definizioni e classificazioni, la povertà
conserva un suo nucleo centrale identificabile in qualsiasi contesto. Come afferma il premio
Nobel Amartya Sen, «dove c’è fame, al di là di qualsiasi dimensione relativa, lì c’è povertà»,
Allo stesso tempo la povertà comporta un sua veste psicologica in funzione del livello di
sviluppo della società di riferimento: in qualsiasi paese, la qualità della vita del 10% della
popolazione che dispone di minor reddito verrà considerata e percepita come di povertà .
1.1.2
LA DIMENSIONE MODERNA DELLA POVERTÀ
Negli studi che si sono susseguiti nel XX secolo, la povertà è stata maggiormente
presentata come fenomeno relativo e multidimensionale, strettamente correlato alla situazione
sociale ed economica del paese di riferimento, portando così ad un fiorire di indagini
divergenti tra loro per metodologia, oggetto e risultati. A maggior espressione e chiarezza
illustrativa della immagine multidimensionale della povertà, richiamiamo su tutte la teoria di
Baulch. Essa utilizza lo strumento di una piramide all’interno della quale l’economista
colloca in maniera sempre più espansa tutte gli elementi che, uniti al solo e principale
elemento del consumo, del reddito, contribuiscono ad identificare situazioni più complesse
ma definibili, allo stesso modo, di povertà. Al vertice della piramide ritroviamo la definizione
di povertà come risultante del livello di reddito ovvero della capacità di consumo del soggetto
o gruppo in esame. Una definizione di facile individuazione e soprattutto univoca, ferma
13
all’espressione numerica del valore indicato. Man mano che si procede dall’apice verso la
base della piramide, il concetto di povertà acquista una sempre maggiore ampiezza
includendo elementi di carattere soggettivo e sociale per cui diventa automaticamente più
complesso darne una misurazione univoca che non lasci spazio ad altre interpretazioni.
FIGURA 1.1 Piramide di Baulch
Consumo
Consumo + risorse comuni
Consumo + risorse comuni + servizi pubblici
Consumo + risorse comuni + servizi pubblici + attivi personali
Consumo + risorse comuni + servizi pubblici + attivi personali + dignità
Consumo + risorse comuni + servizi pubblici + attivi personali + dignità + partecipazione
Fonte:Biggeri & Volpi (2006), Teoria e politica dell’aiuto allo sviluppo,
Nella interpretazione che Biggeri e Volpi danno della piramide di Baulch, viene
inserito un ulteriore elemento, la partecipazione intesa come la possibilità/capacità di
partecipare ai processi sociali, politici ed economici. Allo stesso modo si parla di esclusione
sociale, termine che si presta ancora una volta ad una molteplicità di definizioni e che
sostanzialmente individua diverse “forme di difficoltà che l’individuo può sperimentare nel
corso della sua esistenza – disagio, marginalità, povertà, precarietà, instabilità,
vulnerabilità”. (Stranges M.).
In questo filone la posizione di Amartya Sen, Premio Nobel per l’economia,
costituisce un apripista dei più attuali approcci allo studio delle politiche di aiuto allo sviluppo
che ha contribuito profondamente ad innovare attraverso uno spettro di analisi più ampio. In
particolare si evidenzia come la definizione dei concetti di sviluppo e di benessere debbano
procedere ben oltre il mero possesso di beni o la disponibilità di servizi, focalizzando
l’attenzione su ciò che essi permettono agli individui di fare. Il possesso di beni e la
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Minore ampiezza
del concetto di povertà
Maggiore facilità di
misurazione
Maggiore ampiezza
del concetto di povertà
Minore facilità di
misurazione