Introduzione
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caratterizzata da: l'apertura dei confini aziendali al contributo di attori interni ed esterni,
il ripensamento dei tradizionali schemi di collaborazione e relazione funzionali e
gerarchici, la messa in discussione di stereotipi rigidi, tali da spingere le organizzazioni
ad essere più “agili”, produttive ed innovative.
In primo luogo, perciò, si andrà ad analizzare una nuova classe di tecnologie sociali e
collaborative, basate sul “Web 2.0” che, non appena fecero la loro apparizione in Rete,
foraggiarono il successo e la rapida ascesa di comunità virtuali, di social network e
piattaforme collaborative come Facebook e Wikipedia. Da quando, nel 2004, Tim
O'Reilly ha introdotto il concetto di “Web 2.0” (come evoluzione radicale di Internet) e
del “World Wide Web”, si è assistito ad un susseguirsi di articoli, convegni, seminari,
tutti tesi a spiegare come effettivamente ci si stia trovando di fronte a qualcosa di
nuovo e radicalmente diverso dal “vecchio” e sorpassato “Web 1.0”; si tratta di una
rivoluzione destinata a sconvolgere il rapporto tra gli utenti e la rete. Col “Web 2.0”
cambiano in modo sostanziale i modelli di condivisione delle informazioni poiché,
attraverso un sistema paritario di sviluppo e condivisione dei contenuti, di
collaborazione e partecipazione, si realizza un nuovo modello dinamico e interattivo il
cui centro gravitazionale è rappresentato dagli utenti stessi che svolgono, allo stesso
tempo, il doppio ruolo di produttori e fruitori di contenuti (“prosumers” per l‟appunto).
Lamborghini sostiene che i cambiamenti che la rete Internet porterà nella società e nel
modo di fare business sono solo all‟inizio: è il grande fenomeno del mondo che si
appiattisce, che comunica, che è tutto “nello stesso luogo e tempo” (Lamborghini,
2009). Detta tendenza viene definita dai media “Web 2.0” o, anche, “social networking”
e può essere diversamente intesa come un mutamento inarrestabile che le imprese
dovranno imparare a governare e utilizzare per creare valore aggiunto; una spinta
verso una “economia collaborativa” fondata sui valori tipici del “Web 2.0” quali apertura,
peering, condivisione, azione su scala globale (Tapscott, Williams, 2006);
un‟eccezionale opportunità per le aziende di essere i genius loci in cui il saper
movimentare l‟informazione è più importante della distanza fisica tra le persone.
La gestione delle informazioni e della conoscenza è il tema trattato nel secondo
capitolo. Lo sviluppo delle tecnologie di informazione e comunicazione ha contribuito
ad accrescere l‟interesse delle imprese per le attività di “knowledge management”,
considerato la base su cui poggia il fenomeno dell‟Impresa 2.0. Questa considerazione
vuole porre in evidenza come la capacità di gestione della conoscenza e della
comunicazione tramite tecnologie ICT debba essere la prima e più importante “pratica
organizzativa” che impiega il capitale intellettuale come una risorsa gestibile.
Introduzione
iii
Partendo dalle tesi di Nonaka e Takeuchi, secondo i quali il successo delle
organizzazioni produttive si fonda, in un clima di innovazione continua, sulla capacità
ed esperienza di “creazione di conoscenza organizzativa” ovvero la capacità di
un‟organizzazione nel suo complesso di creare nuove conoscenze, diffonderle al
proprio interno e tradurle in output (Nonaka, Takeuchi, 1995), si giunge ai tempi più
recenti della rivoluzione digitale, in cui il knowledge management si concretizza in un
filone di ricerca teorica e applicativa che sviluppa il ciclo della conoscenza all‟interno di
una comunità di pratica o d‟apprendimento tramite strumenti dell‟Information
Technology (Profili, 2004).
Le tecnologie web-based a sostegno della gestione delle relazioni intra-organizzative
tra le diverse unità organizzative si configurano prevalentemente come tecnologie
Intranet (Gambetti, 2005). Trasferire la filosofia, le logiche e i modelli utilizzati da
Internet all‟interno di un‟organizzazione significherebbe realizzare una rete web interna
che, attraverso gli strumenti tipici dell‟Internet working come social network, wiki, blog,
chat, podcasting, ecc. consentirebbe alle imprese di sostenere e capitalizzare l‟unica
fonte inesauribile di innovazione e vantaggio strategico: la conoscenza.
In tale direzione, il knowledge management vuole far collaborare su base paritaria la
tecnologia con la cultura e i processi aziendali per innescare quella che è stata definita
la “spirale della conoscenza organizzativa”, considerato un must per le organizzazioni
che vogliono eccellere ed essere competitive.
L‟Impresa 2.0 tuttavia si spinge ben oltre il semplice desiderio di mettere a fattore
comune esperienze, competenze e conoscenze organizzative.
Il terzo capitolo è strutturato con lo scopo di evidenziare come l‟adozione di un modello
di business da parte delle organizzazioni secondo le logiche di un‟Impresa 2.0
permetta a quest‟ultime di gestire e valorizzare al meglio la conoscenza e l‟innovazione
attraverso una collaborazione emergente tra tutti gli attori coinvolti all‟interno e
all‟esterno dell‟azienda, di attivare una comunicazione interna volta a ridurre i costi e
alla ricerca di una maggiore efficienza attraverso l‟utilizzo di social media e di canali di
comunicazione informali, di riconfigurare gli schemi e le gerarchie organizzative
attraverso un‟apertura dei propri confini verso l‟esterno e un cambiamento di cultura
d‟impresa necessario a supportare tale apertura.
In questa sede, l‟attenzione viene posta soprattutto sul livello di comprensione del
concetto di “Impresa 2.0” sondato su un campione di imprese sia italiane che
internazionali e sul grado di adozione degli strumenti tipici del nuovo web in azienda. In
particolare, si farà riferimento ai rapporti di ricerca svolti da associazioni e istituti di
Introduzione
iv
ricerca sia nel panorama italiano (rapporto dell‟Osservatorio Enterprise 2.0) sia
mondiale (le ricerche e i report di AIIM, Gartner Group, Gilbane Group, Awarness, Ziff
Davies Enterprise) tesi a studiare la portata del fenomeno all‟interno delle
organizzazioni e i conseguenti vantaggi e svantaggi che un tale approccio può portare
alle imprese. Il punto di partenza è rappresentato dagli obiettivi di business
(innovazione, aumento dell‟efficienza, capitalizzazione della conoscenza, aumento
della connettività, miglioramento dei processi di sviluppo dei prodotti, efficacia e
ampliamento dell‟iterazione comunicativa) e dalla predisposizione culturale degli utenti
verso gli strumenti del “Web 2.0”. Un simile approccio risulta oggi piuttosto naturale se
si considera come le richieste di strumenti di collaboration, social networking,
communication, ecc. non provengano più solamente dai dipartimenti IT, ma, per la
prima volta, anche dalle altre linee di business (specialmente comunicazione interna,
marketing, risorse umane, ricerca e sviluppo, relazioni pubbliche). In tutte le aree
aziendali la dimensione informale dell‟organizzazione (comunità di pratica, social
networking, comunità di apprendimento) mostra un ruolo crescente nella costruzione
del risultato. Anche il management comincia, effettivamente, ad occuparsi della
dimensione informale, rivedendo profondamente i modelli di leadership e di governo.
Tutto questo pone nuove sfide alla gestione dei saperi aziendali, ai sistemi manageriali,
al marketing e alla comunicazione, alla formazione.
Per rincorrere una sempre più frenetica evoluzione tecnologica e mantenere una
posizione di vantaggio sul mercato, le aziende riprogettano i propri schemi
organizzativi interni trasformando la propria struttura da rigida e gerarchica a flessibile,
multipolare, organica, decentrata, a rete, adattandola alla complessità e ai repentini
cambiamenti dell‟ambiente secondo le logiche dell‟Impresa 2.0. Si vengono così a
configurare delle imprese aperte, sociali, adattative in funzione di bisogni emergenti
quali l‟apertura, la condivisione, la conoscenza in rete, la collaborazione, le reti sociali,
la mobilità globale, l‟innovazione dal basso, che permetteranno la realizzazione di
“wikinomics” (un sistema economico caratterizzato dall'utilizzo dei social media da
parte di aziende, organizzazioni e consumatori grazie all'impiego di strutture
organizzative e tecnologie dedicate a sistemi di collaborazione di massa e di co-
creazione dei contenuti) attraverso forme di peer-production e crowdsourcing secondo
il modello della “Wikimpresa”. Si tratta di un modello di impresa che apre le porte al
mondo, collabora con tutti ai fini dell‟innovazione, condivide risorse che prima venivano
tenute sottochiave, fa leva sul potere della collaborazione di massa e non si comporta
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come una multinazionale ma come un‟entità del tutto inedita: un‟azienda realmente
globale, che sta riscrivendo le regole della concorrenza (Tapscott, Williams, 2006).
Per ottenere dei benefici concreti dall‟Impresa 2.0 è necessario comprendere a fondo
la portata del fenomeno e sostenerlo durante il suo ingresso in azienda poichè non si
tratta di un pacchetto software da acquistare ed installare quanto un nuovo modo di
pensare, lavorare e concepire l‟azienda. I manager devono rinunciare a parte del
controllo che un tempo esercitavano sui propri sottoposti ottenendo in cambio quella
creatività, capacità d‟innovazione e flessibilità ormai indispensabili per rispondere alle
sfide del mercato.
Nel quarto capitolo si tratterà della comunicazione interna 2.0. L‟argomento è risultato
particolarmente interessante e in linea con le considerazioni che verranno elaborate
nel suddetto capitolo partendo da alcune considerazioni tratte dal seminario
interaziendale “Comunicazione Interna 2.0” organizzato dalla Indesit Company sulle
modalità innovative della comunicazione interna. A tal proposito l‟azienda sarà trattata
al termine del lavoro come caso di organizzazione di successo che ha messo in atto
iniziative per far fronte alla crescente necessità di comunicare internamente all‟azienda
mediante strumenti e tecnologie innovative e allargando il proprio campo anche a
partner ed interlocutori esterni.
Per prima cosa verrà delineato il panorama della comunicazione interna
presentandone i tratti distintivi e l‟evoluzione all‟interno delle organizzazioni, che
porterà a sottolineare quanto oggi sia limitante utilizzare il solo termine “interna”
rispetto a tale aspetto della comunicazione. Si parla, in effetti, sempre più di
comunicazione organizzativa in un‟accezione allargata che coinvolge membri interni,
collaboratori interni ed esterni e tutti i soggetti in qualche modo coinvolti nella vita
dell‟organizzazione, i quali condividono informazioni e valori all‟interno della rete di
relazioni che costituisce l‟essenza dell‟organizzazione stessa e ne sancisce la sua
collocazione nell‟ambiente di riferimento (Invernizzi, 2000).
In ultima analisi si andranno ad analizzare i cambiamenti che la rete ha portato
nell‟utilizzo di nuovi strumenti e nuovi linguaggi della comunicazione aziendale e ci si
soffermerà soprattutto sui nuovi strumenti collaborativi e interattivi web based quali
corporate blog, enterprise wiki, rete Intranet, chat e messaggistica istantanea, web e
video conferenza, business tv, ecc.
Infine si tenterà di giungere ad un concetto di “comunicazione unificata”, intendendo
con questa espressione l‟integrazione e l‟interazione in tempo reale tra i diversi sistemi
di comunicazione aziendale e di collaborazione. “Unified communication &
Introduzione
vi
collaboration”, come si vedrà, è proprio il settore di investimento individuato nel terzo
capitolo al cui sviluppo e adozione le imprese si sono dedicate maggiormente negli
ultimi anni.
Capitolo I. Web 2.0: il web sociale e la dimensione collaborativa
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CAPITOLO I. WEB 2.0: IL WEB SOCIALE E LA
DIMENSIONE COLLABORATIVA
1 – Contesto 2.0. Origine ed evoluzione del web: verso la
centralità dell’utente
Nel 1960 lo psicologo, scienziato e informatico Licklider pubblicò un documento
intitolato “Simbiosi Uomo - Computer”, in cui trattava lo sviluppo dell‟interazione
cooperativa fra gli uomini e i computer elettronici. Veniva presentata l‟idea di un
network di computer collegati in rete i quali fornivano informazioni avanzate,
archiviazione e recupero[1].
Il contributo che Licklider diede allo sviluppo di Internet consisteva più di idee che non
di invenzioni ma tale contributo fu essenziale nel concepire, gestire e finanziare i
progetti che portarono alla nascita dei personal computer e della rete Internet.
Grazie alla progettazione e sperimentazione di ARPANET[2], una rete di computer,
progenitore dell‟attuale rete Internet, sviluppata e implementata nel 1969 negli USA
dall‟agenzia incaricata del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ARPA (Advanced
Research Projects Agency) e grazie alla definizione della suite di protocolli TCP/IP
(Transmission Control Protocol / Internet Protocol) nel 1981, standard indispensabili
per far comunicare diverse reti separate, si arrivò nel 1989 alla definizione del “World
Wide Web” per merito di Tim Berners-Lee, informatico britannico del CERN di Ginevra.
Disse Berners-Lee: “Il Web è una creazione più sociale che tecnica. L’ho progettato
per un effetto sociale - aiutare la gente a lavorare insieme - e non come un giocattolo
[1]
Cfr. Licklider J.C.R. “Man-Computer Symbiosis”, in IRE Transaction on Human Factors in
Electronics, 1960.
[2]
Lo scopo di questa rete era quello di mantenere in contatto i centri strategici militari americani in caso
di attacco con armi nucleari. ARPAnet non venne mai pienamente utilizzata per scopi militari ma da
uffici governativi e università. I primi 4 nodi ARPAnet furono: l‟UCLA, SRI, l‟UC Santa Barbara e
l‟Università dello Utah. Alla fine del 1972 tale rete aveva 37 nodi e la sua crescita avveniva a velocità
esponenziale.
Capitolo I. Web 2.0: il web sociale e la dimensione collaborativa
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tecnico. Lo scopo finale del Web è quello di sostenere e migliorare la nostra vita in rete
nel mondo”.
Tale ideale trovò supporto nell‟aprile del 1993 quando il CERN rese di pubblico
dominio il codice sorgente del World Wide Web, in modo tale che chiunque avrebbe
potuto usare o sviluppare il software senza nessuna somma da pagare.
L‟invenzione del Web, con la posta elettronica, i browser per la navigazione in rete e i
sistemi ISP[3] hanno segnato la “prima rivoluzione di Internet”. Un mix di geniali
intuizioni e invenzioni tecnologiche, definite nel loro insieme “primo Web” o “Web 1.0”,
che attraverso il desiderio di comunicare e condividere esperienze hanno portato allo
sviluppo di decine di strumenti e servizi.
Nato inizialmente come strumento circoscritto ad un ambito, prima militare poi
accademico ristretto, il Web, di pari passo con l‟evoluzione di fattori tecnologici aventi
l‟obiettivo di fornire una connettività capillare e veloce tra i nodi della Rete (si pensi
all‟ADSL, al wi-fi, al bluetooth) e una maggiore disponibilità di risorse hardware e
software, è diventato uno strumento di comunicazione di massa parimenti (e a volte
con un valore aggiunto rispetto a questi) alla tv, alla radio, alla carta stampata, al
telefono[4].
L‟obiettivo comune che ha saputo aggregare gli sforzi di moltissime persone sparse per
il mondo ma unite dalla rete non era l‟affermazione dei propri interessi particolari ma la
realizzazione collettiva di una rete sempre più utile ed efficiente. In tale ottica ogni
software sviluppato e messo a disposizione degli altri non era un mero prodotto
commerciale ma un libero contributo ripagato dalla possibilità di utilizzare il lavoro
prodotto da altri.
Il passaggio dal “Web 1.0” al “Web 2.0”[5] nel primo decennio del nuovo millennio è
stata la logica conseguenza di questa evoluzione. Se il “primo Web” è stato
[3]
ISP (Internet Service Provider), chiamato anche IAP (Internet Access Provider), è una compagnia o
azienda che offre ai propri utenti l‟accesso alla rete Internet in dial-up o banda larga e altri servizi
correlati (caselle di posta elettronica, spazi web, registrazione domini, ecc.). I maggiori ISP italiani sono:
Telecom Italia, Infostrada, Tiscali, Tele 2, Fastweb.
[4] Cfr. Storia di Internet – Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Internet (consultato in data:
20 Ottobre 2009).
[5]
Il termine fu coniato e utilizzato per la prima volta nel 1999 da Darcy DiNucci nel suo articolo
“Fragmented Future” in cui l‟autrice scrisse: “the web we know now, which loads into a browser window
in essentially static screenfuls, is only an embryo of the Web to come. The first glimmerings of Web 2.0
are beginning to appear, and we are just starting to see how that embryo might develop. The Web will be
understood not as screenfuls of text and graphics but as a transport mechanism, the ether through which
interactivity happens. It will […] appear on your computer screen, […] on your TV set […] your car