2
normativa antielusione, facendo riferimento anche ai numerosi pareri del Comitato
Consultivo che si sono susseguiti nel tempo su casi che hanno coinvolto tale istituto e
che spesso hanno dato esito negativo, per il fatto di non ravvisare un vantaggio di tipo
economico-imprenditoriale, ma solo un vantaggio fiscale, che, con un’operazione di
trasferimento o cessione d’azienda, non si sarebbe potuto conseguire.
A questo punto, ho passato in rassegna l’intero iter procedurale della scissione non
proporzionale, sulla base degli articoli del Codice Civile: esso può essere definito “a
formazione progressiva”, poiché composto da una serie di elementi, alcuni
imprescindibili, che si susseguono con un preciso ordine cronologico, fino a giungere
all’atto di scissione, che altro non è che l’accordo che le parti hanno trovato nel dare
vita alla scissione; tale procedimento è lo stesso per qualunque tipo di scissione si metta
in atto, proporzionale o non proporzionale e molto vicino anche a quello seguito per le
fusioni, dal momento che la disciplina della scissione è disegnata sulla linea di quella
delle fusioni e a questa il legislatore più volte rinvia.
L’aspetto puramente procedurale non deve essere sottovalutato, perché, anche se è
facilmente rinvenibile da una lettura degli articoli del Codice, trascurare un solo
elemento può essere deleterio per l’intera operazione, con la conseguenza che gli
amministratori delle società coinvolte sono costretti a far ripartire l’intero iter
dall’inizio, allungando i tempi dell’operazione e quindi anche i suoi costi.
Il capitolo IV riguarda gli aspetti di valutazione e di calcolo che si generano dalla
divisione di una realtà aziendale in due o più realtà. Questa parte, oltre ad essere molto
consistente, è anche abbastanza complessa dal punto di vista concettuale. Tutto ruota
intorno alla capacità di valutazione di un’azienda e alla determinazione del rapporto di
concambio, che rappresenta il numero di quote o azioni della società beneficiaria da
assegnare ai soci della società scissa e che indica, cioè, il valore del patrimonio
effettivo assegnato alle società beneficiarie.
Nella valutazione del complesso da scindere possono essere utilizzati diversi criteri di
valutazione, è l’interesse degli amministratori a decidere quale criterio utilizzare; il
legislatore non si è pronunciato in materia, per rimettere i dettagli dell’operazione alla
volontà degli operatori stessi, che possono adeguare i criteri in base alle singole
situazioni che, di volta in volta, si presentano.
Le valutazioni non sono semplici, perché sono effettuate sulla base della presunta
capacità dell’impresa di generare una redditività futura e devono tenere in
considerazione numerose variabili che non sono, spesso facilmente rinvenibili; quasi
3
sempre, per le scissioni che coinvolgono S.p.A. di una certa dimensione ci si rivolge
allora a società di consulenza esperte in questo tipo di valutazione. Anche in questo
caso, per rendere più agevole la lettura, mi è sembrato corretto fare riferimento ad
esemplificazioni pratiche, per capire le diverse situazioni che si generano tramite la
scissione non proporzionale.
Lo stesso ragionamento è stato seguito per gli aspetti contabili dell’operazione, per una
più semplice comprensione e per tradurre in numeri quanto prima esposto a livello
teorico.
Il capitolo V riguarda, invece, gli aspetti legati alla tutela dei soci in queste operazioni;
Il d.lgs. 17 gennaio 2003 n° 6 ha modificato la disciplina precedentemente in vigore;
qui, il mio obiettivo è stato quello di analizzare la vecchia e la nuova disciplina,
confrontando il previgente diritto di opzione garantito dal quarto comma dell’art. 2504
quater c.c. e il quarto comma dell’art. 2506 bis c.c., che non prevede più il diritto di
opzione, consistente nella possibilità di “optare”, appunto, per una ripartizione
proporzionale quando non si gradisca quella non proporzionale, ma solo il diritto dei
soci, che non approvino l’operazione, di far acquistare le proprie partecipazioni dagli
altri soci; così la possibilità di esprimersi in modi opposti sull’operazione e sui criteri di
ripartizione è venuta meno, ma il socio dissenziente ha solo un diritto di “exit”, potendo
cedere e, quindi, liquidare le proprie partecipazioni, monetizzando il proprio
investimento.
Anche qui, secondo una linea consolidata nell’arco del presente scritto, ho cercato,
dove possibile, di prendere a riferimento alcuni esempi, che, anche se su base
scolastica, possano agevolare la comprensione della teoria.
Infine, l’ultimo capitolo vuole essere un quadro definitorio e riassuntivo di quanto
esposto nei precedenti capitoli; il caso del Gruppo Capitalia riguarda una scissione non
proporzionale, avvenuta all’interno del Gruppo stesso, che ha coinvolto MCC S.p.A. e
Capitalia S.p.A., con una scissione non proporzionale della prima a favore della
seconda.
Ho voluto studiare questa operazione perché è una scissione non proporzionale di
recente attuazione e di una certa consistenza, visto che coinvolge società di una certa
dimensione, nonché quotate in borsa, tramite la quale ho avuto modo di verificare e
dimostrare se, effettivamente, quanto detto fino qui potesse avere un riscontro nella
realtà.
4
Capitolo I
L’introduzione della scissione nell’ordinamento italiano
1. La situazione giurisprudenziale precedente l’introduzione dell’istituto.
La scissione è stata introdotta nel nostro ordinamento solo grazie al decreto legislativo
n° 22/91, che ha dato attuazione alla direttiva 82/891/CEE. Precedentemente, la
scissione non era concepita come operazione autonoma, ma piuttosto come una
particolare fattispecie di riduzione del capitale.
Ne derivano, allora, due particolari problemi: in primo luogo se la scissione fosse
legittima o meno, in secondo luogo le modalità per dare vita ad una simile operazione.
La giurisprudenza prevalente negava l’ammissibilità dell’operazione poiché, per il
trasferimento di una ad un'altra si poteva ricorrere ad altre figure giuridiche, come la
compravendita1, la permuta di un’azienda o di un ramo della stessa con un pacchetto
azionario della società acquirente, il conferimento in natura di un’azienda o ramo
d’azienda; inoltre, si considerava inidonea una delibera che potesse consentire una
separazione di capitale, con la creazione di più società e che disponesse di diritti di
terzi, vista la natura contrattuale dell’atto costitutivo2.
Prima che l’istituto della scissione fosse introdotto nel nostro ordinamento attraverso il
decreto legislativo n° 22/91, la giurisprudenza si è ritrovata ad esaminare casi
riconducibili a questa operazione solo in due occasioni. Il primo caso è quello relativo
al decreto della Corte d’appello di Genova del 9 febbraio 19563.
Il caso riguardava un provvedimento del Tribunale che aveva negato l’omologazione ad
una delibera assembleare di una società a responsabilità limitata. Con tale delibera,
l’assemblea della suddetta S.r.l. aveva deciso di rimborsare ai soci una parte del
patrimonio sociale, con conseguente riduzione del capitale alla metà; i soci, poi,
avrebbero dovuto conferire il patrimonio rimborsato in una società di nuova
costituzione, realizzando così un’operazione classificata come scorporo.
1
Scambio di beni con una somma di denaro, disciplinata dalle norme previste per questo contratto e da
quelle agli artt. 2557 e s. c.c., relativi alla cessione d’azienda.
2
Così BUTTARO L., in Scissione e scorporo, Cedam, Padova, 1997.
3
V. App. Genova, 9 febbraio 1956 (decr.), S.r.l. C.I.S.A., ric., in Giur. Tosc., 1956.
5
Il Tribunale, dunque, aveva negato l’omologazione della delibera anzidetta per due
motivi: in primo luogo, perché una simile operazione non era prevista dal diritto
vigente; in secondo luogo, perché, mancando una disciplina specifica del fenomeno,
non si riteneva possibile tutelare adeguatamente gli interessi dei creditori della società
scorporante.
La Corte d’Appello di Genova, invece, ritenne legittima l’operazione suddetta,
riconoscendo che, pur non essendo prevista dal nostro ordinamento, poteva essere
effettuata in base al principio di autonomia privata, ricavabile dagli artt. 1322 e 1324
c.c., secondo il quale le società possono adottare deliberazioni atipiche purché dirette a
realizzare interessi meritevoli di tutela.
Riguardo agli interessi dei creditori della scorporante, poi, la Corte affermò che l’unico
pericolo che essi potevano correre era dovuto alla riduzione del capitale causata dallo
scorporo e fece notare che contro tale pericolo si poteva ritenere sufficiente la tutela già
apprestata dall’art. 2445, 3° comma, c.c., che subordina l’esecuzione della delibera al
decorso di tre mesi dalla sua iscrizione nel registro delle imprese senza che vi sia stata
opposizione dei creditori.
In conclusione, la Corte d’Appello qualificò la scorporazione come sintesi di due atti
tipici: la riduzione del capitale per esuberanza ex art. 2445 c.c. e la costituzione di
nuova società con capitale proveniente dalla predetta riduzione. In tal modo, però,
l’organo giudicante non riscontrò la peculiarità della scissione, consistente nel
passaggio diretto dei beni patrimoniali della società scorporante alle società
beneficiarie.
Il secondo caso è quello affrontato dal decreto del Tribunale di Verona del 20 febbraio
19904.
Con questo provvedimento l’organo giudicante dichiarò illegittima una delibera
assembleare con la quale una società a responsabilità limitata intendeva costituire
un’altra società, dello stesso tipo, mediante la scorporazione di un proprio ramo
aziendale e l’attribuzione proporzionale ai propri soci delle quote della nuova società.
Il Tribunale giudicò l’operazione inammissibile perché contrastante con il principio del
nostro diritto societario secondo cui la costituzione di una società può avvenire solo se
vi è una pluralità di soci fondatori; cosicché, tramite scissione, si sarebbe realizzata
illegittimamente la costituzione di una o più società per mezzo di un semplice atto
4
Tribunale di Verona, 20 febbraio 1990 (decr.), S.r.l. Trasporti Gianfranco Riolfi, in Società, 1990.
6
unilaterale, cioè l’atto di scissione, in quanto atto della sola persona giuridica società e
non della pluralità dei soci.
Oltre che in base a tale considerazione, il Tribunale ritenne inammissibile, nel nostro
ordinamento, la realizzazione di una scissione societaria a causa della mancanza di
un’apposita disciplina in materia, che sarebbe stata introdotta di lì a poco in seguito alla
ricezione della sesta direttiva CEE. Perciò l’organo giudicante indicò in tale ricezione il
momento a partire dal quale sarebbe stato possibile realizzare legittimamente
operazioni di scissione.
Nonostante la motivazione addotta dal Tribunale di Verona si basasse su un elemento
rilevante, cioè l’unilateralità dell’atto di scissione, si ha l’impressione che l’organo
giudicante non si sia sforzato di intravedere anche i potenziali pregi economici
dell’operazione di scissione, preferendo attendere l’imminente intervento del
legislatore.
La Corte d’appello di Genova, invece, pur non riuscendo a qualificare nitidamente
l’istituto, aveva comunque mostrato di comprenderne la valenza economica, con
l’ulteriore merito di averlo fatto quando ancora non esisteva il legislatore comunitario,
con la sua forza propulsiva in ambito normativo, e la situazione economica non era
caratterizzata dal dinamismo odierno, che ha reso opportuno il recepimento dell’istituto
nell’ordinamento italiano.
2. La posizione della dottrina prima dell’introduzione dell’istituto.
Prima dell’introduzione della scissione nell’ordinamento italiano, la dottrina, come la
giurisprudenza precedentemente esaminata, si era trovata su posizioni contrapposte
riguardo all’ammissibilità della scissione nella nostra disciplina societaria.
Un primo orientamento dottrinale riteneva inammissibile la scissione essenzialmente
per tre motivi.
In primo luogo si riteneva, come il Tribunale di Verona, che una società non potesse
costituire con un atto unilaterale un’altra società, ma che ciò potesse avvenire solo
tramite contratto stipulato da almeno due persone fisiche o giuridiche5. In secondo
luogo si considerava inammissibile la scissione perché ritenuta contraria al principio,
5
In questo senso SANTINI G., La riforma del diritto societario, a cura di MANZANA G., MOZZANTI
R., NORMANNI S., Maggioli, 2003; GIULIANI A., Nota ad App. Genova, 5 febbraio 1956, in Riv. not.,
1956; NOBILI R., La scorporazione delle società nella recente dottrina italiana, in Riv. dir. comm.,
1957, II, p. 34 ss.; GRAZIANI A., Diritto delle società, Napoli, 1963.
7
considerato generale, secondo cui ad avere la titolarità delle azioni o quote delle società
beneficiarie del conferimento deve essere lo stesso soggetto che ha deliberato ed
effettuato il conferimento; nella scissione, invece, ad avere la titolarità delle azioni o
quote delle beneficiarie sono i soci della scissa, ma ad aver deliberato ed effettuato il
conferimento è la scissa attraverso l’atto di scissione, che è atto unilaterale compiuto
dalla società come persona giuridica distinta dai soci che la compongono6.
Infine, si negava la possibilità di realizzare la scissione attraverso una delibera
assembleare, poiché si riteneva che un’autentica manifestazione di volontà
dell’assemblea sociale si sarebbe configurata solo a proposito della decisione di ridurre
il capitale per esuberanza e di rimborsarlo ai soci, mentre la decisione successiva di
apportare il capitale rimborsato in una nuova società non avrebbe potuto essere presa
dai soci con delibera assembleare, perché, essendo ritornati titolari del capitale a causa
del rimborso, avrebbero agito come singoli e non come compagine sociale7.
Un’altra dottrina, invece, riteneva che l’istituto della scissione fosse ammissibile nel
nostro ordinamento anche senza il recepimento della sesta direttiva CEE8. Tale
opinione era fondata sulla qualificazione della scissione come modifica dell’atto
costitutivo tesa ad adattare le strutture societarie a nuovi tipi d’investimento, con un
unico limite: il necessario rispetto della causa sociale.
Configurando l’operazione in questi termini, dunque, si poteva ammettere che i soci la
realizzassero tramite una delibera dell’assemblea straordinaria. Circa il problema
dell’impossibilità di costituire una nuova società tramite un atto unilaterale, quale l’atto
di scissione, la suddetta dottrina aggirava l’ostacolo negando l’unilateralità di questo
6
Così SANTAGATA C., Rassegna di diritto societario (1969 – 1970), in Riv. soc., 1972; SERRA A., La
trasformazione e la fusione delle società, nel Tratt. di dir. priv. diretto da RESCIGNO P., XVII, tomo
III, Giuffrè, Torino, 1985; LAURINI G., La scissione con costituzione di nuove società, in Le scissioni di
società, Milano, 1992.
7
In proposito vedi COTTINO G., Diritto commerciale, I, 2, Cedam, Padova, 1987; SCARDULLA F., La
trasformazione e la fusione delle società, nel Tratt. di dir. civ. e comm. diretto da CICU A. e MESSINEO
M., XXX, tomo II, Milano, 1989; RORDORF R., La scissione di società, in Società, 1989; IRRERA M.,
Fusione delle società, in Digesto commerciale, VI, Torino, 1991.
8
In questo senso PEDEMONTE E., La scorporazione delle società commerciali con speciale riguardo
agli obblighi tributari, Genova, 1956; SIMONETTO E., Della trasformazione e della fusione delle
società, nel Comm. del cod. civ. a cura di SCIALOJA A. e BRANCA G., (artt. 2498-2510), Bologna-
Roma, 1984, sub art. 2501; TANTINI G., Trasformazione e fusione delle società, nel Tratt. di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia diretto da GALGANO F., VIII, Cedam, Padova, 1985;
SIMONETTO E., Scissione di società, in Arch. Civ., 1987; CARAFFA R., Considerazioni in tema di
scorporazione o scissione delle società di capitali, in Tributi, 1987; FERRI G., Le società, nel Tratt. di
dir. civ. fondato da VASSALLI F., X, 3, Utet, Torino, 1987; FERRARO B., Scissione e scorporazione di
società: problemi di principio e problemi pratici, in Nuovo dir., 1988; MARZIALE G., Le società più
vicine al diritto comunitario, in Società, 1989; SANTARSIERE V., Scorporazione e scissione di società:
duplici discorsi, in Giust. Civ., 1989, II.
8
atto, poiché risultante dalla volontà di una pluralità di soci. Si vedeva, quindi, nella
società non una persona giuridica, ma un soggetto collettivo.
Questo secondo orientamento dottrinale era, a mio avviso, preferibile al primo, poiché
si sforzava di accogliere un istituto di cui mostrava di percepire i vantaggi economici e
strategici, in virtù dei quali non sarebbe stato conveniente respingerlo.
3. La scissione nella direttiva CEE n° 891/82.
La direttiva CEE n° 891/82 è la sesta basata sull’art. 54 n° 3 lett. g) del trattato
istitutivo della Comunità Economica Europea e ha come oggetto la disciplina delle
scissioni delle società per azioni, che è ricalcata su quella delle fusioni9.
Contrariamente alle altre direttive CEE, quella in esame, quando fu varata, non
vincolava tutti gli Stati membri, ma solo quelli che consentivano già questo tipo di
operazioni o intendevano consentirle in futuro10.
Con tale nuova disciplina l’istituto giuridico della scissione riuscì, finalmente, ad
entrare a pieno titolo nell’ordinamento italiano, come istituto dotato di autonoma
dignità giuridica. La stessa Relazione Ministeriale del d.lgs. 22/91 sottolinea
l’importanza dell’attuazione della direttiva in Italia, reputando opportuno elaborare
norme in materia di scissione, schierandosi, dunque, dalla parte dell’opinione di quella
dottrina che ritiene la scissione strumento del quale non ci si può privare per le
operazioni societarie.
L’ambito di applicazione della direttiva comunitaria, fissato dagli artt. 1.4, 2.2, e 21.2,
consente che la scissione sia realizzata anche da società diverse dalle società per azioni
(la disciplina, però, ha ad oggetto solo queste ultime), nonché dalle società soggette a
procedure concorsuali o in liquidazione, purché non abbiano ancora iniziato la
distribuzione dell'attivo tra i propri soci.
La direttiva prevede due tipi di scissione: la scissione per incorporazione e la scissione
mediante costituzione di nuove società. Nel primo caso, il patrimonio della società
9
Si veda in proposito la serie di considerazioni proprie della sesta direttiva dove viene ribadita la stretta
connessione della fusione e della scissione. Più precisamente, si può leggere: “… a causa delle
somiglianze esistenti tra le operazioni di fusione e di scissione, il rischio che le garanzie fornite nei
confronti delle fusioni dalla direttiva 78/855/CEE siano eluse potrà essere evitato soltanto introducendo
una protezione equivalente in caso di scissione”.
10
In Italia la direttiva è stata accolta con notevole ritardo rispetto al termine indicato dalla stessa, che,
all’art. 26, stabiliva il 1°gennaio 1986 come termine ultimo per conformare gli ordinamenti dei singoli
Stati membri. L’obbligo di recepimento veniva posto, secondo il contenuto letterale della direttiva stessa,
solo agli Stati membri i cui ordinamenti prevedevano già una disciplina specifica della scissione; non
essendo questa presente in Italia, l’indicazione è stata letta come una facoltà anziché un obbligo.
9
scindente è trasferito a società beneficiarie preesistenti; nel secondo caso, le società
beneficiarie sono costituite ex novo dalla scindente allo scopo di realizzare l’operazione
di scissione. In entrambe le ipotesi, gli effetti, previsti dall’art. 17.1 della direttiva, sono
gli stessi e consistono:
1) nel trasferimento dell’intero patrimonio della società scissa ad una pluralità di
società beneficiarie;
2) nell’estinzione della società scissa;
3) nell’attribuzione ai soci della società scissa di azioni delle società beneficiarie e
di un eventuale conguaglio in denaro (ad esempio nel caso in cui il rapporto di
cambio comporti dei resti), purché non superiore al 10% del valore nominale
delle azioni attribuite, onde evitare di snaturare l’operazione di scissione.
L’art. 1.3 della sesta direttiva consente, poi, di realizzare la scissione anche attraverso
una combinazione tra scissione per incorporazione e scissione mediante costituzione di
nuove società.
L’art. 5.2, infine, riconosce il diritto di recesso agli azionisti che non vogliano
partecipare all’operazione. Ciò che balza agli occhi e lascia perplessi è il fatto che la
direttiva non prevede né la possibilità di realizzare la scissione tramite trasferimento
parziale del patrimonio della scissa, né la possibilità di destinare parte del patrimonio
sociale ad una sola società beneficiaria. Nella disciplina comunitaria, dunque, la
scissione può essere solo totale, solo a favore di più beneficiarie e attuabile dalle sole
società per azioni.
La legge delega n° 69/90 ha previsto l’attuazione della terza e della sesta direttiva CEE,
che disciplinano rispettivamente le fusioni e le scissioni di società. La suddetta legge,
che ha trattato congiuntamente le due direttive, essendo la disciplina delle scissioni
sostanzialmente ricalcata su quella delle fusioni, ha imposto al legislatore delegato i
seguenti criteri direttivi, elencati nell’art. 2:
1) l’estensione della disciplina delle fusioni e delle scissioni a tutte le società
aventi per oggetto l’esercizio di un’attività commerciale e alle società
cooperative;
2) l’esclusione, prima dell’intervento del d.lgs. n° 6 del 2003, dalle operazioni di
fusione e scissione delle società soggette a procedure concorsuali, nonché di
società in liquidazione che abbiano iniziato la distribuzione dell’attivo tra i
propri soci;
10
3) la necessità che, eccetto i casi previsti dall’art. 10 della sesta direttiva CEE,
fusione e scissione siano deliberate secondo gli adempimenti prescritti da tutte
le società partecipanti all’operazione.
Quanto al punto n° 1) è evidente come il legislatore italiano, rispetto a quello
comunitario, abbia esteso la disciplina delle fusioni e delle scissioni anche a società
diverse dalle società per azioni. Ciò è stato deciso per non rompere il carattere unitario
della disciplina italiana della fusione e per evitare disparità di trattamento basate sulla
diversa tipologia delle società coinvolte nelle operazioni di fusione o scissione11.
Riguardo al punto n° 2) si rileva che il nostro legislatore, a differenza di quello
comunitario, inizialmente ha escluso dalle operazioni di fusione e scissione le società
soggette a procedure concorsuali a causa dell’incompatibilità di tali procedure con le
anzidette operazioni12.
Circa il punto n° 3) il citato art. 10 della sesta direttiva CEE afferma che la relazione
degli amministratori, la relazione degli esperti e la situazione contabile relative a
ciascuna società partecipante alla scissione non sono necessarie quando tutti gli
azionisti delle società partecipanti all’operazione, nonché i portatori di altri titoli che
danno diritto al voto, vi abbiano rinunciato.
Il nostro legislatore delegato, comunque, non si è avvalso della facoltà ex art. 10 della
sesta direttiva CEE; infatti, vista la delicatezza dell’operazione, ha sancito la necessità
in ogni caso dei documenti suddetti. Quest’impostazione mi sembra condivisibile,
perché garantisce una maggiore trasparenza e un controllo più completo
sull'operazione.
4. Recepimento della direttiva tramite il decreto legislativo n° 22/91 e riforma del
d.lgs. del 17 gennaio 2003 n° 6.
Con il decreto legislativo n° 22/91 il governo ha eseguito la delega concessa con legge
n° 69/90 e ha recepito la terza e la sesta direttiva CEE, relative rispettivamente alle
fusioni e alle scissioni delle società.
11
Come però fa notare RORDORF R., La scissione di società, op. cit., in Società, 1989, possono sorgere
perplessità sull’opportunità di regolare in modo uniforme operazioni aventi dimensioni e complessità
spesso molto diverse, quali sono le scissioni che coinvolgono società di capitali rispetto a quelle
riguardanti unicamente società di persone. In relazione a ciò si potrebbe prospettare una semplificazione
del procedimento per realizzare la scissione, nel caso in cui quest’ultima coinvolga esclusivamente
società di persone.
12
Si rimanda al seguito della trattazione per ricordare che la riforma del diritto societario, avvenuta nel
2003 ed entrata in vigore il primo gennaio 2004, ha reso possibile la scissione anche per le società
sottoposte a procedure concorsuali, alle condizioni previste dal nuovo art. 2506 c.c..
11
Riguardo alla scissione il decreto delegato ha dettato una disciplina che era contenuta
nel codice civile, libro quinto, capo VIII, sezione III, comprendente gli articoli da 2504
septies c.c. a 2504 decies c.c., modificato in seguito alla riforma del diritto societario
intervenuta col d.lgs. del 17 gennaio 2003 n° 6. La definizione di scissione era
contenuta nell’art. 2504 septies c.c.13, che così disponeva: “La scissione di una società
si esegue mediante trasferimento dell’intero suo patrimonio a più società, preesistenti o
di nuova costituzione e assegnazione delle loro azioni o quote ai soci della prima; la
scissione di una società può eseguirsi altresì mediante trasferimento di parte del suo
patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, e assegnazione
delle loro azioni o quote ai soci della prima.”
Quindi la scissione poteva essere realizzata secondo una delle seguenti modalità:
1) una società trasferisce parte del proprio patrimonio ad una o più società già
esistenti;
2) una società trasferisce parte del proprio patrimonio ad una o più società che
saranno costituite mediante la scissione;
3) una società trasferisce l’intero suo patrimonio a due o più società già esistenti;
4) una società trasferisce l’intero suo patrimonio a due o più società che saranno
costituite mediante la scissione;
5) una società trasferisce l’intero suo patrimonio o parte di esso costituendo nuove
società e, contemporaneamente, accrescendone altre già esistenti.
Il nuovo art. 2506 c.c. è il primo articolo della Sezione III del Capo X del codice civile
e ricade sotto il titolo “Forme di scissione”, come peraltro il precedente art. 2504 c.c.;
non è un caso sia introdotto da tale rubrica, perché con essa il legislatore dichiara
immediatamente di voler rinunciare ad una qualificazione statica e monolitica della
scissione, ossia ad una sua definizione generale, sottolineando, al contrario, il
polimorfismo del fenomeno, derivante dalla sua multifunzionalità. La scissione ha, in
primo luogo, una funzione economica e strategica, poiché si configura come strumento
di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale14, ma il suo ruolo non si esaurisce in
quest’aspetto. L’operazione in esame, infatti, si pone anche come mezzo di
composizione stragiudiziale delle controversie tra soci, consentendo a questi ultimi di
risolvere i propri contrasti con un atto di autonomia privata (quale la scissione è) che
13
D’ALESSANDRO F., La scissione delle società, in Riv. not., 1990, afferma che l’art. 2504 septies c.c.
definisce la scissione elencando le forme che essa può assumere.
14
Si rimanda, a tal proposito, al seguito della trattazione (Capitolo II).
12
permette di scomporre la compagine sociale in gruppi omogenei rispetto agli interessi
perseguibili tramite lo strumento societario15.
Se si esaminano i “considerando” che hanno motivato l’adozione della direttiva CEE n°
891/823, relativa alle scissioni societarie, risulta chiaro che le esigenze a cui il
legislatore comunitario ha voluto rispondere tramite essa sono le seguenti:
1) evitare che le garanzie disciplinari già fornite in materia di fusione (con la
direttiva CEE n° 855/78) fossero eluse nell’ambito della scissione;
2) coordinare la legislazione dei Paesi CEE relativamente alla scissione;
3) tutelare in modo adeguato gli interessi dei soci appartenenti agli enti coinvolti
nella vicenda scissoria;
4) tutelare i diritti dei creditori sociali, in particolare degli obbligazionisti, visti i
rischi derivanti dalla scissione per tali soggetti;
5) tutelare i diritti dei terzi tramite un’adeguata pubblicità dell’operazione;
6) garantire la certezza dei rapporti giuridici relativi alla scissione attraverso la
limitazione dei casi di nullità dell’operazione, limitazione ottenuta tramite
sanatorie, quando possibile, e tramite un termine breve per l’esercizio
dell’azione di nullità.
Vista la rilevanza degli obiettivi che il legislatore comunitario ha inteso perseguire
mediante la disciplina della scissione, mi pare chiaro che la sua introduzione nel nostro
ordinamento ha come scopo ulteriore quello di renderlo più adattabile alle esigenze di
una realtà economica dinamica come quella odierna e forse ancor più dinamica nel
futuro prossimo, perciò tale da costringere gli assetti societari a rapide e continue
riorganizzazioni strutturali e patrimoniali.
Già la definizione di scissione data dall’art. 2504 septies c.c. era certamente innovativa
perché, dal punto di vista operativo, permetteva di realizzare la scissione nel modo più
ampio e vario possibile, andando addirittura oltre le previsioni della sesta direttiva
CEE. Quest’ultima, infatti, non contemplava la possibilità di compiere una scissione
parziale, né quella di cedere parte del patrimonio della scissa ad una sola società
beneficiaria.
In ogni modo, se è vero che la direttiva non ha previsto le due operazioni anzidette, è
altrettanto vero che non ne ha espressamente precluso l’attuazione; pertanto l’iniziativa
del nostro legislatore non si può ritenere contraria alla disciplina comunitaria,
soprattutto se si considera che sia la scissione parziale sia il trasferimento di una
15
In questo senso anche CUSA E., Prime considerazioni sulla scissione delle società, Giuffrè, 1992.
13
porzione del patrimonio ad una sola società beneficiaria non sono stati esentati, nel
nostro ordinamento, dalle garanzie offerte dalla disciplina della scissione.
Il fatto, poi, di consentire il trasferimento parziale del patrimonio ad una sola società
beneficiaria permette di realizzare, da un punto di vista sostanziale, un risultato analogo
a quello raggiungibile tramite il trasferimento d’azienda. Quest’ultimo, infatti,
differisce dalla scissione principalmente per due aspetti di carattere formale: in primo
luogo, nel conferimento d’azienda le azioni o quote delle beneficiarie sono attribuite
alla società scorporante e non ai soci di quest’ultima, come accade nella scissione; in
secondo luogo, il conferimento d’azienda, in quanto semplice trasferimento di beni, è
deliberato dal consiglio d’amministrazione (a meno che non modifichi l’oggetto sociale
della scorporante), la scissione, invece, deve essere deliberata dall’assemblea
straordinaria dei soci. Tuttavia, concesso che la presenza di strumenti alternativi può
costituire una ricchezza nel nostro ordinamento, è da notare come la disciplina della
scissione sia più rigorosa, e quindi più costosa per la società scorporante, rispetto a
quella del conferimento d’azienda; quindi, rispetto a quest’ultimo, la scissione parziale
è preferibile solo a condizione di un certo favore fiscale. A tal proposito mi sembra
positiva la neutralizzazione tributaria della scissione attuata dall’art. 123-bis del TUIR,
in base al quale le operazioni di scissione (e di fusione), per effetto del principio di
continuità dei valori in bilancio, non comportano né benefici né perdite, sotto il profilo
fiscale, per le società che le pongono in essere.
Nella scissione e nella fusione risalta il fatto che la continuità non è solo una
caratteristica dei bilanci, ma anche ed innanzi tutto dell’attività d’impresa e del
rapporto sociale facente capo alla compagine dei soci. Perciò, il principio di continuità
mette in rilievo la profonda differenza che corre tra istituti come la fusione e la
scissione ed altre operazioni di ristrutturazione aziendale, come il conferimento e la
cessione.
I primi, infatti, attuano operazioni di concentrazione e scorporo senza troncare il
collegamento tra il gruppo dei soci e l’impresa; i secondi, invece, risolvono tale
collegamento perché l’azienda viene trasferita ad un’altra società nella quale i soci non
sono più gli stessi che partecipano a quella che effettua l’apporto. Quindi, alla mutata
titolarità dei beni si aggiunge l’interruzione del rapporto societario riguardo agli stessi.
Per essere più precisi, nella fusione e nella scissione sono gli stessi soci degli organismi
che partecipano alle operazioni a ricevere le azioni o le quote delle società che
diventano intestatarie dei patrimoni, mentre con il conferimento o la cessione il