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Tuttavia se in certi settori mancano alcune delle condizioni necessarie
perché un mercato concorrenziale funzioni in modo efficiente, si
manifestano i cosiddetti fallimenti del mercato, riconducibili alla
presenza di esternalità, di monopolio naturale e di beni collettivi.
L’esternalità è l’effetto dell’azione di un soggetto economico nei
confronti di un altro senza che fra i due vi sia un rapporto di mercato.
Tali esternalità possono essere sia positive sia negative: una centrale
elettrica alimentata a carbone produce energia elettrica ma inquina
l’aria con le emissioni di gas serra, pertanto se l’inquinamento non
viene preso in considerazione dal proprietario della centrale nella
determinazione dei prezzi, viene prodotta una quantità eccessiva di
energia elettrica e di inquinamento atmosferico rispetto alla quantità
socialmente ottimale in una situazione di prezzi efficienti. Il monopolio
naturale riguarda quei settori nei quali i costi medi sono decrescenti
rispetto ai volumi di produzione e nei quali la presenza di un’unica
impresa è più efficiente rispetto al caso di più imprese; sostanzialmente
si tratta di settori con tecnologia di produzione a rendimenti di scala
crescenti nei quali, qualora vi fosse concorrenza, si determinerebbe una
situazione di parità tra prezzo e costo marginale e ciò impedirebbe al
produttore di coprire tutti i costi. Infatti in presenza di rendimenti di
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scala crescenti, il costo medio è superiore al costo marginale. Il
monopolio naturale è tipico delle industrie caratterizzate da elevati
costi fissi quali le industrie a rete. Un altro fattore di fallimento del
mercato è la presenza di beni collettivi di tipo non escludibile e non
rivale. La non escludibilità comporta l’impossibilità di impedire a
chiunque voglia giovarsi dei servizi del bene collettivo di farlo, anche se
si tratta di un individuo che non ha partecipato al finanziamento della
produzione del bene. Pertanto una volta attuati gli investimenti e
realizzato il bene, il proprietario non potrà recuperare i costi relativi in
quanto tutti vorranno usufruire del bene senza pagare. I beni collettivi,
inoltre, presentano anche la proprietà della non rivalità che consiste nel
fatto che il bene può essere utilizzato da più individui
contemporaneamente senza che ciò determini una riduzione della
quantità del bene disponibile anche per gli altri individui che intendano
consumarlo. Queste due caratteristiche fanno sorgere un problema di
incentivi alla produzione dei beni collettivi per un’impresa privata in
quanto essa è consapevole di non riuscire a recuperare gli investimenti.
Nei settori in cui si verificano fallimenti del mercato occorre porsi il
problema della regolamentazione e della necessità dell’intervento dello
Stato nell’economia.
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Nel corso dei decenni sono maturate varie scuole di pensiero all’interno
della letteratura economica che hanno fornito risposte riguardo al ruolo
e alla concezione del regolatore pubblico. Secondo la scuola
tradizionale di economia pubblica, il regolatore si preoccupa
esclusivamente dell’efficienza della soluzione proposta rispetto ai
problemi sollevati dalla presenza di un fattore di fallimento del
mercato, mentre è completamente sordo ai richiami e alle pressioni che
provengono dai gruppi di interesse e ai benefici personali che egli
potrebbe ricavare se avesse un comportamento collusivo con tali
gruppi. Egli è inoltre completamente insensibile all’aspetto
redistributivo delle sue decisioni che invece è ritenuto di competenza
della politica: se il regolatore disegna più ipotesi di regolamentazione
egualmente efficienti ma differenti in quanto a distribuzione del surplus
tra consumatori e produttori, la scelta tra le proposte è compito della
politica, non dell’autorità di regolamentazione. La scuola tradizionale di
economia pubblica configura un regolatore perfetto, che non ha
difficoltà di reperire le informazioni necessarie a ideare soluzioni
efficienti. Agli antipodi rispetto a tale visione si situa la concezione della
figura del regolatore nell’ambito della scuola di economia politica della
regolamentazione secondo la quale il regolatore è influenzato dalle
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pressioni dei gruppi di potere e dai benefici personali attesi dalle
decisioni adottate. Stigler nel 1971 ha proposto un modello nel quale la
regolamentazione è un servizio oggetto di scambio tra coloro che lo
offrono (politici e autorità di regolamentazione) e coloro che lo
richiedono (imprese che chiedono di essere protette dalla concorrenza)
e in cui ogni agente è motivato soltanto da interessi personali. In
particolare i politici sono impegnati esclusivamente a guadagnare voti
per la rielezione e i regolatori a fare carriera nell’industria
regolamentata una volta cessato il loro mandato mentre le imprese, in
cambio di una regolamentazione protettiva, finanziano le campagne
elettorali e offrono carriere: si realizza la cosiddetta cattura del
regolatore. Il mercato della regolamentazione è squilibrato a favore dei
gruppi di pressione più omogenei nella loro composizione interna e di
dimensioni inferiori (associazioni degli industriali) rispetto a quelli più
eterogenei (associazioni dei consumatori). I primi possono, infatti,
prevenire più efficacemente i comportamenti da free rider essendo più
ridotto il numero dei membri e le possibilità di beneficiare dell’azione di
lobbying senza partecipare ai costi dell’azione. I sostenitori della scuola
di economia politica della regolamentazione giungono ad una
conclusione drastica: l’unica soluzione contro la cattura del regolatore
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da parte dei regolamentati e contro decisioni che premiano i monopoli
e scoraggiano gli investimenti è l’eliminazione totale della
regolamentazione, quindi una totale estromissione dello Stato
dall’economia.
Secondo la nuova scuola di economia pubblica, invece, esiste una
fondamentale asimmetria informativa tra il regolatore e il
regolamentato: l’impresa regolamentata possiede informazioni
necessarie per le decisioni che deve prendere il regolatore ma non ha
interesse alcuno a comunicarle. Infatti se l’impresa fornisse tali
informazioni al regolatore potrebbe esserne svantaggiata. D’altronde
l’impresa, anticipando che anche comunicando la verità, il regolatore
non ne terrebbe conto nelle sue decisioni in quanto considererebbe le
informazioni comunque inattendibili e parziali, sceglie il silenzio. Il
compito del regolatore appare alquanto arduo: egli deve mostrare
all’impresa con chiarezza come si comporterà in base al tipo di
informazione ricevuta in modo che l’impresa potrà valutare la
profittabilità attesa dalle informazioni da trasmettere, evitando così che
l’impresa consideri inutile fornire qualsiasi tipo di informazioni. A
differenza della vecchia scuola di economia pubblica, si riconosce un
peso agli interessi personali del regolatore che non è più considerato il
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pianificatore perfetto. Un’altra asimmetria informativa esiste, inoltre,
tra l’autorità politica, che gerarchicamente è preordinata rispetto al
regolatore e lo controlla, e il regolatore, il quale possiede informazioni
maggiori sulle imprese e i settori nei quali deve intervenire rispetto ai
suoi superiori politici. Egli, pertanto, cercherà di sfruttare tale
asimmetria a proprio vantaggio personale, a detrimento dell’interesse
generale. Per impedire questo si potrebbe vietare ai regolatori di
assumere incarichi nelle industrie che hanno regolamentato. Risposte
ancora diverse per affrontare i fallimenti del mercato sono venute
dall’economia istituzionale, fondata sugli studi di R. Coase. Il concetto
base di tale scuola è quello dei costi di transazione che deriva dall’idea
che il coordinamento degli individui in un’economia è fonte di costi. Tali
costi si manifestano sia nel caso di ricorso al mercato sia nel caso
dell’uso dell’organizzazione interna delle aziende: lo scambio di prodotti
tra reparti aziendali non è un’operazione di mercato eppure provoca
l’insorgere di costi di transazione (coordinamento tra reparti,
manodopera impiegata per il trasferimento delle merci, ecc.). Se i costi
di transazione fossero nulli allora l’intervento statale sarebbe inutile
perché ciascuno negozierebbe a costo zero finché non si
raggiungerebbe un livello di soddisfazione ottimale non migliorabile
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senza causare il peggioramento della condizione di un altro individuo;
l’assenza di costi di transazione condurrebbe naturalmente a ottimi
paretiani. Tuttavia i costi di transazione non sono nulli quindi appare
sensato che sia presa in considerazione la possibilità di intervenire
tramite la regolamentazione, però rispettando sempre la condizione
che i costi della regolamentazione non superino i costi di transazione
che vengono eliminati. Coase non afferma un’opzione generale a favore
dell’intervento pubblico nel regolamentare le attività economiche,
piuttosto propone un criterio elastico di soluzione delle situazioni di
fallimento del mercato sulla base dei costi e dei benefici che caso per
caso sono previsti con la regolamentazione.
Le ferrovie sono uno dei settori in cui la discussione sulle forme di
regolamentazione è più interessante e complessa. Nel mondo
contemporaneo i trasporti occupano un ruolo sempre più decisivo per
le sorti dell’economia e degli individui per cui riuscire a definire nel
migliore dei modi l’assetto regolamentativo delle ferrovie è cruciale. I
gravi problemi globali di aumento della popolazione urbana, di
affollamento antropico, che colpiscono specialmente le megalopoli più
povere del Terzo Mondo, causano un incremento dei livelli di
congestione e di inquinamento atmosferico. Questa situazione è
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accentuata dall’uso massiccio dei mezzi di trasporto privati. Dal punto di
vista ambientale ha effetti estremamente negativi anche la crescita del
traffico aereo mondiale. I vantaggi ambientali della ferrovia, invece,
sono straordinari: i treni non sono fonte di emissioni di gas serra; la
costruzione di una rete ferroviaria necessita di una quantità di territorio
molto ridotta rispetto alle colate di cemento indispensabili per costruire
una pista di atterraggio per aeroplani o un nuovo tratto autostradale;
con un solo treno si possono sostituire, a tutto vantaggio del
miglioramento del traffico stradale, vari tir per il trasporto delle merci,
così come l’equivalente di tante automobili per il trasporto delle
persone. Nell’epoca del riscaldamento globale, il buon funzionamento
del settore ferroviario deve, in conclusione, diventare un obiettivo
primario di ogni governo che aspiri ad una politica sensibile alla
questione ambientale e vi deve essere un grande sforzo per ricercare i
meccanismi di regolamentazione migliori, che permettano uno sviluppo
efficiente del settore.
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CAPITOLO I
IL SETTORE FERROVIARIO: UN’INDUSTRIA A RETE
1.1 Le ferrovie: un monopolio naturale
L’industria del trasporto ferroviario è stata fin dalla sua nascita e in tutti
i paesi del mondo pesantemente regolamentata. Essa è stata infatti
considerata un monopolio naturale e in quanto tale un settore incapace
di sviluppare una struttura concorrenziale in modo efficiente. Il
monopolio naturale è uno dei fattori che provocano i fallimenti del
mercato e che giustificano l’intervento delle autorità di
regolamentazione non solo nelle ferrovie ma anche in numerose altre
industrie quali le telecomunicazioni e l’energia elettrica. In genere il
monopolio è una struttura di mercato ritenuta indesiderabile dal punto
di vista del welfare in quanto l’unico produttore presente ha la
possibilità di fissare dei prezzi più elevati e produrre delle quantità
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inferiori a quelle corrispondenti all’ottimo sociale. Nel caso del
monopolio naturale, viceversa, una sola impresa garantisce un costo di
produzione minore rispetto al costo che si determinerebbe nello stesso
mercato qualora vi fossero più produttori: il regolatore quindi preferisce
mantenere il monopolio piuttosto che aprire il mercato alla
concorrenza, cercando però di minimizzare gli effetti negativi in termini
di perdita di benessere mediante la regolamentazione dei prezzi. Le
ferrovie appartengono a quella categoria di settori definiti industrie a
rete, nelle quali un’infrastruttura di base è indispensabile per potere
svolgere le attività operative. Nel settore ferroviario tale infrastruttura è
costituita innanzitutto dalla rete ferroviaria. Giacché la costruzione di
tale infrastruttura comporta notevoli investimenti che si tramutano in
costi fissi molto elevati, esiste una barriera all’entrata rilevante che
devono affrontare le altre imprese che intendano operare nel settore e
che rende improbabile lo sviluppo di un assetto concorrenziale1.
Nell’industria ferroviaria l’incidenza dei costi fissi è assai maggiore
1
A metà Ottocento il monopolio naturale non rappresentava la ragione per la quale si
adottava un regime di regolamentazione delle ferrovie. In Gran Bretagna in quel
periodo le autorità iniziarono a ritenere indispensabile la regolamentazione delle
ferrovie perché le compagnie ferroviarie stavano praticando dei prezzi diversi a
seconda della categoria di cliente: in altre parole gli operatori del settore ferroviario
praticavano la discriminazione dei prezzi ovvero, paradossalmente, la via più
efficiente per determinare i prezzi in industrie con alti costi fissi e barriere all’entrata.
Le autorità tuttavia considerarono tale condotta come manifestazione di potere di
mercato. NICK WILLS-JOHNSON, “Railways and the just price”, Curtin University
of Technology, Australia, agosto 2006.
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rispetto a quella di altre industrie a rete: uno studio del 2003 di Gomez-
Ibanez ha stimato che i costi per infrastrutture nel settore ferroviario
sono circa il doppio di quelli del settore dell’energia elettrica e del gas
naturale. Queste caratteristiche tecniche, unitamente a ragioni sociali e
politiche, sono state le ragioni storiche di una concezione del trasporto
ferroviario a lungo molto diffusa che interpretava l’attività ferroviaria
come un servizio puramente di carattere sociale che non dovesse e non
potesse avere alcuno scopo di lucro. In conseguenza di tale concezione
del ruolo delle ferrovie per molti decenni il settore è rimasto
fortemente regolamentato e, soprattutto in Europa, rigorosamente
amministrato dalle autorità pubbliche. In anni più recenti, infine, la
forte incidenza dei costi fissi irreversibili nelle ferrovie è stato giudicato
un fattore cruciale di fallimento di numerosi tentativi di introdurre la
concorrenza.
1.2 Le compagnie ferroviarie come imprese multiprodotto
Nell’industria ferroviaria si riscontrano una serie di elementi strutturali
che sono soltanto parzialmente condivisi dagli altri mezzi di trasporto.
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In primo luogo il settore è caratterizzato dalla persistenza di un
rilevante potere di mercato che le compagnie ferroviarie, soprattutto
per alcune attività come i servizi per pendolari nelle aree metropolitane
e il trasporto di derrate, continuano a sfruttare. Le compagnie
ferroviarie sono in genere imprese multi prodotto che forniscono servizi
di trasporto di vario tipo e che svolgono anche attività di manutenzione
e di gestione delle infrastrutture. Tali servizi di trasporto possono essere
classificabili in due grandi categorie, il trasporto merci e il trasporto
passeggeri, all’interno delle quali esistono poi varie modalità possibili di
esercizio del servizio. Una compagnia ferroviaria che effettua il
trasporto di merci come le risorse minerarie o le derrate alimentari può
anche svolgere attività di spedizione postale o fungere da trait d’union
tra due punti nello spazio nell’ambito di trasporti intermodali lungo una
catena logistica. Anche le compagnie che si occupano di trasporto
passeggeri forniscono sia servizi sulle tratte di lunga distanza sia servizi
regionali e locali ed offrono una varietà di servizi. È utile, inoltre, riuscire
a distinguere i servizi ferroviari i cui costi le compagnie sono in grado di
recuperare interamente dai ricavi di vendita da quelli che necessitano
invece di essere sussidiati dal governo ma che per ragioni di universalità
del servizio non possono essere abbandonati. La natura di imprese
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multi prodotto ha delle rilevanti implicazioni2: in primo luogo è difficile
allocare il costo totale operativo sostenuto tra i vari servizi svolti dalla
compagnia. Le difficoltà sono originate dalla presenza di costi fissi
comuni che sono “utilizzati” da tutti i servizi offerti e che quindi ogni
attività svolta dall’impresa ferroviaria deve concorrere a recuperare.
Occorre ammettere che un meccanismo per allocare i costi fissi tra le
attività ferroviarie basato su criteri logico-economici oggettivi non
esiste e che qualsiasi metodo utilizzato conterrà sempre elementi di
arbitrarietà ineliminabili. Il metodo tradizionalmente più impiegato è
quello del costo pieno (Fully Distributed Cost, FDC) che consiste
nell’attribuire ai singoli servizi svolti una quota dei costi comuni al
servizio di cui si vuole quantificare il costo su una base condivisa che
permetta di determinare l’utilizzo del costo fisso da ripartire da parte
del singolo servizio. Tale metodo però non è il migliore in quanto non
tiene conto delle caratteristiche della domanda del servizio e in
generale di elementi che attengono al mercato ma solo di dati ricavati
dal sistema contabile interno. Con costi FDC è molto alta la probabilità
di avere dei prezzi non efficienti che non rispecchiano effettivamente i
costi sostenuti per un certo servizio. Un vettore potrebbe perdere una
2
Elizabeth E. Bailey - Civil Aeronautics Board, Ann F. Friedlaender – MIT, “Market
Structure and Multiproduct Industries”, Journal of Economic Literature, vol. 20,
settembre 1982, pagg. 1024-1048.
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quota del suo traffico merci o passeggeri se il prezzo definito sulla base
di costi calcolati con il metodo FDC per un dato servizio è troppo basso
rispetto ai costi realmente sostenuti; qualora ciò si verifichi il servizio
non sarebbe più svolto e i clienti degli altri servizi offerti dovrebbero
essere caricati di una quota aggiuntiva di costi fissi pari a quella non più
recuperata dai clienti del servizio soppresso. Con il metodo Ramsey
pricing3 tutti i costi comuni sono attribuiti sulla base delle
caratteristiche della domanda e i prezzi sono fissati con un mark-up sul
costo marginale inversamente proporzionale all’elasticità della
domanda per il servizio. Il Ramsey pricing permette quindi di praticare
prezzi superiori al costo marginale ma solo nella misura necessaria a
garantire ricavi adeguati alla compagnia che consentano di coprire i
costi fissi, minimizzando la perdita di benessere sociale rispetto alla
situazione in cui i prezzi sono pari al costo marginale: se i prezzi fossero
fissati al livello del costo marginale in condizioni di monopolio naturale,
con costi medi superiori ai costi marginali per via della presenza di
rendimenti di scala crescenti, nessuna impresa avrebbe incentivo a
produrre. Il Ramsey pricing pur essendo un criterio guida importante
3
La regola del Ramsey pricing è uno schema di prezzo lineare concepito per una
determinazione efficiente dei prezzi in situazioni di monopolio naturale multi
prodotto da Frank Ramsey in “A contribution to the theory of taxation”, pubblicato
nel 1927 sulla rivista Economic Journal. Esso consiste nel fissare i prezzi al di sopra
del costo marginale ma con mark-up crescente in via inversamente proporzionale
all’elasticità della domanda.