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tipologia di rischio è rappresentata dal rischio di credito  
(denominato anche “rischio di controparte o di insolvenza” ) ossia 
dal rischio connesso non solo all’insolvenza, ma anche al semplice 
deterioramento della qualità creditizia della clientela affidata 
(espresso da un minor rating), il quale può verificarsi per effetto di 
inadempienza da parte dell’ emittente -controparte    (mancato 
pagamento interessi e/o mancata restituzione del capitale prestato, 
in modo principale) o per l’ insolvenza della controparte in 
posizione debitoria, a causa di oggettive condizioni di inca pacità 
finanziaria. Esso può evidenziarsi ed essere valutato secondo 
modalità differenti in funzione del fatto che la posizione che origina 
il rischio di credito sia rappresentata da un’operazione creditizia 
tradizionale registrata in bilancio a valori con tabili, da un titolo 
obbligazionario negoziato sul mercato, o ancora da operazioni di 
credito di firma o da operazioni a termine su mercati over the 
counter  che determinano l’insorgere di un rischio di regolamento e 
di pre-regolamento.  
Aldilà del rischio di credito, un intermediario bancario è esposto 
anche ad altre tipologie di rischio distinte in base alla loro stessa 
fonte1 (fig.1):  
- il rischio di mercato , ossia il  rischio connesso agli effetti   
sul flusso reddituale e sul valore economico della banca de lle 
variazioni inattese del livello dei tassi d’interesse e di cambio, dei 
prezzi azionari e delle merci, (che influenza il valore delle opzioni 
presenti nel portafoglio della banca). Si parlerà, rispettivamente, di: 
“rischio di interesse”, “rischio di cambio”, “rischio su azioni” e 
“rischio su merci” .  Fra il rischio di mercato ed il rischio di credito 
                                                 
1
 Francesco Masera (2000), pp. 13-16. 
 7 
si possono, inoltre, individuare alcuni elementi distintivi ed in 
particolare, in ordine al carattere di simmetricità in quanto: il 
rischio di mercato si concreta esclusivamente quando il possessore 
dell’attività “prende posizione 2”; esso è, perciò, un rischio 
simmetrico, in cui chi prende posizione rispetto ad una data attività 
finanziaria si espone ad oscillazioni sia negative sia positive 
riguardo al risultato economico atteso. Il rischio di credito è, 
invece, un rischio asimmetrico, a fronte del quale l’operatore può 
soltanto subire una variazione in diminuzione del risultato 
economico, rispetto a quello atteso, posto che l’importo massimo 
(capitale ed interessi) è stabilito contrattualmente;   
- il rischio normativo ,  affrontato dagli intermediari che 
operano in ambito internazionale e la cui componente principale è 
costituita dal “rischio fiscale” , che si configura in funzione dei 
diversi regimi fiscali  cui gli strumenti trattati dall’ intermediario 
devono sottostare. Infatti l’intermediario si vede costretto a 
monitorare continuamente l’assetto fiscale del paese della 
controparte per evitare di dover sostenere spese fiscali impreviste. 
Un’ ulteriore componen te del rischio normativo, diversa da quella 
fiscale, è quella di “inefficacia del rapporto”, che consiste nella 
possibilità che la normativa vigente in un paese dichiari nullo il 
contratto stipulato da due controparti. O, ancora, un’ altra 
componente è quella riguardante la normativa in tema di insolvenza , 
esistente nel paese della controparte, che può essere differente da 
quella del paese di appartenenza (“rischio paese”  o  country risk);  
                                                 
2
 Prendere posizione significa fare una scelta d’investimento o di finanziamento a date condizioni, il cui 
risultato economico potrà successivamente rivelarsi diverso – superiore o inferiore – a quello atteso, a 
causa dell’imprevista variazione delle variabili che concorrono a  determinare il risultato medesimo.  
G. Forestieri – P. Mottura (1998), p. 319.  
 8 
- il rischio operativo, che rappresenta un’entità di difficile e 
controversa delimitazione  comprendente il complesso dei rischi connessi a 
carenze o malfunzionamento dei sistemi informativi e delle procedure di 
controllo interne, a errori umani, a frodi, nonché i rischi connessi a possibili 
dispute legali o alla perdita di reputazione della banca. Esso è, dunque, il rischio 
legato alle procedure operative, ossia all’adeguatezza della organizzazione 
interna,  estremamente importante per contenere questa particolare tipologia di 
rischio. Al fine di soddisfare tale esigenza è necessario che i sistemi operativi 
siano commisurati alle specifiche esigenze del singolo intermediario: quanto più 
complessa è l’ attività svolta, tanto maggiore è la necessità di istituire sistemi 
automatizzati per far fronte alla varietà e al volume delle operazioni trattate, di 
fornire una segnalazione accurata delle posizioni e di facilitare un efficiente 
controllo di conformità. 
-  
Fig.1: Rischio totale per un intermediario bancario 
 
Rischio sopportato  
da un intermediario bancario 
 
                       Rischio                                                            Rischio 
                     di mercato                                                       di credito 
               
      Rischio                    Rischio      Rischio                      Rischio 
   d’interesse                di cambio                      d’insolvenza                 di spread 
 
 
      Rischio                    Rischio                            Rischio 
     su azioni                  su merci                             paese 
          
                       Rischio                                                             Rischio 
                     normativo                                                          operativo  
 
Fonte: Francesco Masera (2000), p. 16 
 
 9 
 
 
 
Ogni credit asset presenta un certo livello di rischio di credito. L’ obiettivo del 
moderno risk management in tale settore allora, è quello di coprire il proprio 
portafoglio da tale rischio, connesso all’ attività di impiego delle banche, in 
modo più flessibile ed efficiente. Ciò ha favorito, già dai primi anni novanta, la 
nascita e lo sviluppo di strumenti derivati, ossia di strumenti finanziari (financial 
derivatives) i cui valori dipendono da quelli delle altre variabili sottostanti 
fondamentali, capaci di trasferire tale tipologia di rischio. Infatti, a  partire dal 
1991 hanno cominciato a svilupparsi “contratti a termine fermo” ( forwards ), i 
futures, i “contratti a termine condizionato” ( options ) e gli swaps.  Si tratta di 
contratti “derivati” (derivatives), ossia istituti nati dalla prassi, in ordinamenti 
giuridici estranei al diritto continentale, caratterizzati dal fatto che hanno 
originariamente avuto lo scopo di annullare o quanto meno limitare i rischi 
finanziari attinenti alle fluttuazioni di valute, di tassi di cambio, di tassi 
d’interesse e di indici su attività finanziarie in genere (ossia finalizzati al 
trattamento e/o alla gestione dei rischi di mercato).  
Una delle possibili distinzioni di rilievo tra gli strumenti derivati è quella tra: 
- contratti ETP ( Exchange Traded Products, cioè prodotti negoziati in 
mercati regolamentati ); 
- contratti OTC ( Over The Counter, cioè prodotti negoziati fuori dai 
mercati regolamentati). 
Una seconda distinzione può essere fatta, in relazione ai beni sottostanti, tra:  
- commodities, ossia prodotti derivati che afferiscono a merci, e 
- financial, ossia che afferiscono a titoli di credito, valute, tassi ed indici. 
Lo sviluppo dei derivati, che si sono ampiamente diffusi dalla seconda metà 
degli anni novanta, continua tutt’ ora in almeno tre dimensioni.                          
In primo luogo, stanno emergendo nuovi prodotti, i “derivati creditizi” (credit 
 10 
derivatives), cosiddetti di “terza generazione3”, che si differenziano dai financial 
derivatives in quanto sono stati perfezionati al fine di poter “trattare” 
specificamente il rischio di credito. In estrema sintesi, tali strumenti permettono 
di trasferire il rischio di credito implicito in ogni esposizione creditizia, 
realizzando una separazione tra la titolarità dei prestiti ed il rischio di credito a 
questi collegato, che viene, pertanto, trattato alla stregua di una commodity. I 
mercati over the counter, su cui i credit derivatives vengono negoziati, sono stati 
interessati, nell’arco di un decennio, da un trend di crescita esponenziale, molto 
probabilmente dovuto alla molteplicità di utilizzi a cui gli stessi possono 
prestarsi, grazie alla flessibilità con cui è possibile, da un punto di vista tecnico, 
reingegnerizzare4 le loro componenti. Tuttavia, sulla base dei dati forniti dalle 
più recenti stime si constata che il credit derivatives market presenta ancora 
cospicue potenzialità latenti, nel senso che attualmente gli operatori (investment 
banks, commercial banks e securities houses internazionali) che negoziano in 
credit derivatives sono molto pochi; mentre sono ben più numerosi i potenziali 
operatori (in particolare le compagnie di assicurazioni) in grado di trarre 
vantaggio dall’assumere posizioni su detti mercati. Sicuramente si rafforzerà la 
presenza, peraltro già ora non trascurabile, delle commercial banks, ove si 
consideri che i derivati creditizi consentono una gestione del credito 
particolarmente elastica, sia a livello di singolo credito sia a livello di 
portafoglio, in termini di copertura riferita ai rischi d’insolvenza, ai rischi di 
degradazione della qualità del credito e all’incertezza legata al tasso di recupero 
che può ottenersi sulle attività finanziarie considerate, a seguito del realizzarsi 
del default5.  
In secondo luogo, nuove richieste provenienti dal mercato, contribuiscono alla 
espansione nell’ utilizzo di tali strumenti.  Infine, si assiste ad  una più ampia 
                                                 
3
 A. Trotta (2002), pp. 13-14. 
4
 A. Trotta (2002), p. 13. 
5
 A. Trotta (2002), p. 14. 
 11 
applicazione, non solo nella  gestione dei rischi “tradizionali” (di tassi di 
interesse, valute, e merci), ma anche di nuovi rischi, inclusi catastrofi, 
inquinamento, inflazione e credito. 
La nascita e lo sviluppo dei credit derivatives per la gestione del rischio di 
credito non rappresenta un fenomeno isolato, né del tutto nuovo sui mercati 
finanziari più evoluti. L’esigenza di gestire al meglio le esposizioni puramente 
creditizie ha portato (in particolare negli Stati Uniti) allo sviluppo del mercato 
secondario dei prestiti bancari (loan sales); parallelamente, veniva diffondendosi 
ed affinandosi la tecnologia della securitization; più di recente, si è assistito alla 
diffusione dei “modelli di portafoglio” applicati ai prestiti bancari. 
Il mercato secondario dei prestiti bancari (loan sales) ha costituito a lungo il 
principale strumento per un’attiva gestione dei rischi bancari in un contesto di 
crescente concorrenza e disintermediazione; la sua crescita, favorita soprattutto 
dalla disponibilità di dati pubblici sulle caratteristiche e le qualità dei prenditori, 
ha dato un primo segnale dell’affievolimento del ruolo della banca quale unico 
produttore ed utilizzatore di informazioni sul merito creditizio degli affidati, ed 
ha messo in crisi la tradizionale impostazione gestionale secondo cui i prestiti 
vanno mantenuti in portafoglio fino a scadenza. Di conseguenza, sono sempre 
più diffuse, in particolare nei mercati anglosassoni, società specializzate 
nell’attività di brokeraggio di prestiti bancari, i quali vengono generalmente 
ceduti ad altre banche o ad altre categorie di istituzioni finanziarie quali “fondi 
comuni o fondi pensione”. 
La cartolarizzazione degli attivi bancari (securitization), introdotta di recente 
anche in Italia (con la legge n. 130/1999), permette alle banche di mobilizzare 
portafogli omogenei di crediti, ampliando nel contempo le possibilità di 
assumere rischi di credito per gli investitori privati ed istituzionali  ed 
introducendo, più in generale, elevati gradi di libertà e flessibilità: le 
caratteristiche dell’emissione possono, infatti, essere personalizzate sulla base 
delle esigenze dell’originator, che può anche mantenere le funzioni di servicer,