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Un lungo monologo di cui non si sente la mancanza di dialoghi, né di
sintassi regolare perché tra le righe bianche ci sono solo le parole
pronunciate a fior di labbra, quelle che vengono dall’interiorità, quelle che
fanno prendere coscienza di ciò che si è e di ciò che si ha. Senza alcuna
interruzione ci si trova avvinghiati alle pagine di questo libro come se
fosse il primo che si legge e l’ultimo ad essere dimenticato.
Il lettore si trova in un lungo viaggio, come se fosse sotto analisi, utilizza
un discorso continuo e tra le righe nere partecipiamo alle sue pause
emotive. Il racconto scorre come una sorta di ininterrotta confessione e lo
stile, che fece subito parlare di “stream of consciousness” joyciano, segue
il percorso incontenibile del pensiero: un incessante, ansimante fiume di
parole carico di periodi interminabili quasi privi di virgole e di punti,
traducendo in inchiostro libere associazioni riportate nero su bianco senza
seguire un rigoroso ordine cronologico, ma con grossi sbalzi temporali,
come un’unica, inequivocabile registrazione grafica di una seduta
psicanalitica.
La scrittura diventa lente d’ingrandimento, bisturi che viviseziona
un’esistenza di angosce e frustrazioni, pungolo che induce alla ricerca
interiore nella disperata necessità di affrontare il proprio dolore a viso
aperto, tentando di sconfiggere a rigor di logica il costante senso di colpa
che deriva dall’incapacità di perdonarsi delitti in realtà mai commessi,
perché di delitti non si tratta. Un romanzo che spietatamente mette a nudo
l’Io narrante, la sua mente, il suo cuore ma soprattutto la sua anima
tormentata da quel male oscuro che sfocia alla morte del padre.
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Questo romanzo, drammatico ed ironico allo stesso tempo, è pregno del
dolore dell’Autore che scopre la necessità di sviscerare le sue ansie
discendendo nel profondo della sua interiorità: prima per prendere
coscienza della sua malattia e poi per tentare di combatterla. Non crede
alla psicoanalisi, ma alla fine sa che non può farne a meno. Pertanto, il
romanzo vincitore, nell’arco della stessa settimana, del premio Viareggio e
Campiello, si serve della psicanalisi che, lungi dall’essere dal risolversi in
semplice sistema terapeutico in grado di guidare il protagonista nel
difficile percorso di rilettura del proprio passato in chiave salvifica e non
più autodistruttiva, diviene procedimento di indagine sul male di vivere
che accomuna più o meno consapevolmente tutto il genere umano.
Nel primo capitolo ho fornito una sintesi dell’intero romanzo,
approfondendo alcune parti salienti che vanno dall’infanzia all’età adulta
di Berto, alle cause che gli procurano quel suo male, al ricorso disperato
della psicanalisi, e alla sua decisione finale andando a vivere da eremita, a
Capo Vaticano, che lo stesso Berto descrive così: << appena la vidi seppi
che quella terra, dalla quale si scorgevano magiche isole, era la mia
seconda terra, e qui son venuto a vivere. Sto su un promontorio alto sul
mare, è un panorama stupendo. E quando il giorno, dalla punta del mio
promontorio, guardo gli scogli e le spiaggette cento metri sotto il mare
limpidissimo che si fa subito blu profondo, so di trovarmi in uno di quei
luoghi più belli della terra >>.1
1
Dagli scritti di Giuseppe Berto, che visse per lunghi anni, fino al 1978, a Capo Vaticano, restandone
talmente affascinato da eleggerlo come sua dimora.
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Il secondo capitolo è costituito da un approccio critico del libro: lo stile
narrativo, le tematiche principali, lo stile particolarissimo, il tema
dell’ironia che alleggerisce il testo provocando in più di un’occasione un
riso, anche se amaro, nel lettore. L’ironia alleggerisce, appunto, la tensione
emotiva dell’intera opera, per esplorare quella parte di noi stessi che
l’autore definisce come la più buia, quella che spesso ci rifiutiamo di
guardare, ma che non smette di esistere ingigantendosi in risposta ad ogni
nostro tentativo di nasconderla, rendendoci così, sempre più malati ed
infelici.
Il terzo capitolo l’ho dedicato alla nevrosi definita appunto come male
oscuro. Il capitolo è articolato con la trattazione scientifica dei vari studi
sulla nevrosi, di una loro classificazione, della psicanalisi come possibile
cura e rimedio, e del perché è diventata il male nuovo da curare nella
società d’oggi.
Il male oscuro si presenta alla sua apparizione come un’opera
assolutamente originale, forse allora anche più di quanto oggi siamo in
grado di apprezzare. Ma la godibilità del romanzo, la sua attualità
tematica, la sua umanità, mettono in luce il valore proprio delle opere che
possono essere apprezzate in qualsiasi epoca.
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Capitolo 1
La vicenda de Il male oscuro.
1.1 L’origine del male: la morte del padre.
Questo primo capitolo fornisce una sintesi sufficientemente esaustiva del
libro: Il male oscuro, oggetto di analisi in questa tesi.
Il presupposto di un’analisi letteraria, come quella che ci proponiamo di
affrontare in questa tesi, è la conoscenza del testo. Passeremo, quindi, in
rassegna la vicenda autobiografica di Giuseppe Berto: ripercorreremo il
manifestarsi della sua nevrosi, a seguito della morte del padre, poi il lungo
percorso che lo porterà alla psicanalisi, soluzione del suo dramma
personale. Seguiremo il tumultuoso altalenarsi dei suoi stati d’animo e
delle sue malattie immaginarie, fino a vederlo approdare ad una pace da
eremita. Ma ciò non è sufficiente per evitare un’amara ironia, egli stesso
commette il medesimo errore paterno, quell’errore causa in lui di tanta e
così profonda sofferenza: l’abbandono. Per lui, quello paterno, era stato un
abbandono metaforico, una lontananza spirituale, fatta di indifferenza e
parole dure, la distanza tra Berto stesso e la sua unica figlia, è una distanza
fisica, che rende straziante il loro incontro: aveva lasciato una bambina e si
ritrova una giovane ragazza, uguale alla madre, quando Berto, anni e anni
prima, l’aveva conosciuta.
Emblematica la chiusura del romanzo, quando finalmente avviene il
distacco definitivo dalla figura paterna. D’effetto, l’immagine che l’autore
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ci propone: vecchie fotografie bruciate nel fuoco, assieme alle pagine del
suo romanzo incompiuto, dal quale tanto aveva desiderato di ottenere la
gloria. Di fronte al silenzio di Dio, non resta molto da fare: o ci si rassegna
a un’ignoranza socratica, o ci si rifugia nella religione, oppure si va
all’avventura a cercare una verità nell’aldilà. Berto sa che questa è l’unica
via da percorrere, non avendola imboccata lui, la fa seguire a qualche suo
personaggio il quale si cala sulle rotaie del treno e si lascia andare …
<< Era il male oscuro2 di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle
gran cattedre persistono a dover ignorare le cause, i modi: e lo si porta
dentro di sé per tutto il fulgorato scoscendere d’una vita, più greve ogni
giorno immedicato >> (Gadda). << Ciò che mi opprime non si può curare: è
la mia croce e devo portarla, ma Dio sa quanto si è incurvata la mia schiena
per lo sforzo >> (Freud). << Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è
dolore >> (Eschilo): queste le tre epigrafi anteposte da Berto al libro.
Berto esordisce dicendo che : << questa mia lunga lotta con il padre, si può
dividerla grosso modo in tre fasi …, la prima essendo quella che va dalla
nascita al diciottesimo anno di età, quando mi venne la bella idea di partire
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Tale locuzione gaddiana non sarebbe certo diventata <<famosa>> se Berto non l’avesse così
ampiamente diffusa scegliendola come titolo della sua opera, titolo poi assunto in tante altre differenti
circostanze a tipico modo epigraficamente espressivo d’una condizione di crisi tanto avvertita come
precaria e penosa quanto difficilmente identificabile nelle sue precise cause profonde: i mali oscuri che ci
tormentano; il male oscuro dell’economia italiana, della nostra società, ecc.: un segno, anche questo,
della singolare fortuna riscossa dal libro di Berto. Il quale, del resto, ama derivare i titoli dei suoi libri da
opere di altri autori: il titolo Le opere di Dio proviene da un passo del Vangelo di S. Giovanni. Un po’ di
successo riprende la frase di una lettera indirizzata da Corrado Alvaro all’editore Bompiani (<< ho
bisogno di un po’ di successo >>). La cosa buffa ripete parole dell’inglese Joseph Conrad, che si leggono
precisamente in Cuore di tenebra: << che cosa buffa è la vita, quel misterioso articolarsi di logica
implacabile per uno scopo ben futile. Il massimo che uno può sperare da essa è una certa conoscenza di se
stesso, che giunge quand’è troppo tardi>>. Modesta proposta per prevenire è copiato di sana pianta da
Jonathan Swift, il noto autore de I viaggi di Gulliver. La passione secondo noi stessi infine parafrasa,
sempre nel titolo, un racconto dell’argentino Jorge Luis Borges e una versione teatrale che fu fatta di quel
racconto.
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soldato, ed è fase caratterizzata da un massiccia prevalenza paterna >>3; ma
<< a forza di scoprire in mio padre contraddizioni e deficienze, riuscii
gradatamente a liberarmi dalla sua strapotenza e a passare … alla seconda
fase, quando … questo padre arrivai a metterlo sotto i piedi …, cosa che …
durò fino al mio trentottesimo anno di età, quand’egli ebbe la disavventura
di morire, provocando l’inizio della terza fase, che va appunto dalla sua
morte in poi, e qui le cose si sono messe di nuovo per me molto male>>.4
<< Ebbe origine una sera lontana tutto il disastro >> , ricorda Berto, da un
grave disagio avvertito alle cinque vertebre lombari, da qui la sua decisione
di scegliere la cura psicanalitica. Precedentemente Berto stava bene, abitava
a Roma, guadagnava soddisfacentemente lavorando per le sceneggiature
cinematografiche, ed era sempre in mezzo a pasticci di donne. Viveva con
una vedova francese alla quale era grato perché lo << aveva spinto a
superare parecchi pregiudizi di carattere sessuale … e gli aveva insegnato a
far l’amore un po’ come si deve >>.5 Ma poi il padre si ammala di cancro,
Giuseppe lascia la capitale e va finalmente a trovarlo; fissa l’incontro con il
vecchio maresciallo, degente in ospedale, così: << aveva nello sguardo lo
stesso sgomento appena recalcitrante che hanno buoi e vacche quando li
conducono al macello comunale, e … capiscono che non vanno di sicuro
incontro a qualcosa di benefico >>.6 E’ inverno, precisamente Febbraio e il
suo paese situato nella campagna bassa intorno alla laguna di Venezia,
d’inverno è pieno di freddo, di nebbia e di depressione. Assieme a lui c’è
3
G. Berto, Il male oscuro, Milano, Rizzoli, 1964. nel testo.
4
Ibidem. p. 9.
5
Ibidem. pp. 17-18.
6
Ibidem.