4marito qualora rimanesse vedova
3
. La donna è condannata, per
radicata tradizione, ad obbedire prima ai genitori, poi al marito e
ai suoceri e successivamente ai figli. Nascere donna in India
viene spesso ancor oggi considerato un qualcosa di tremendo per
la stessa famiglia che, al contrario, avrebbe accolto con
entusiasmo un figlio maschio. Essere genitori di una figlia
femmina è quasi una condanna, una maledizione: i parenti
devono infatti provvedere alla dote necessaria (a dispetto delle
leggi vigenti) per maritarla, e inoltre la donna è una facile preda
degli sfruttamenti sessuali. Nodo centrale della vita della donna
è il matrimonio, che generalmente (tuttora, di nuovo in spregio
alla legge) viene spesso sancito in età prepuberale ed è
combinato dalla famiglia. Nell’antichità, la giovane moglie
doveva anche abituarsi a vivere in armonia con le altre mogli
dello sposo, poiché la poligamia, sebbene non sia mai stata una
pratica “di massa”, era talora praticata.
3
Si veda: Laura Piretti Santangelo, Sati. Una tragedia indiana, Bologna,
CLUEB, 1991. Interessanti a questo proposito, le parole, per così dire
“conclusive”, della studiosa Julia Leslie: “La sati rappresenta, di base, un
ideale. Sebbene il numero delle donne che morirono in questo modo dovette
essere sempre statisticamente basso, l’ideale di una simile donna e di una
simile morte seguitano a essere oggetto di celebrazione anche nell’odierna
India tradizionalista. La sati, evidentemente, ha bisogno di essere talora
messa in pratica al fine da servire da modello, ed è invece irrilevante
quante volte sia stata davvero praticata giacché in ogni caso il suo effetto
sociale quale ‘modello di virtù’ (ossia di plusvalore per la donna) rimane
comunque valido”: Julia Leslie, Suttee or Sati: Victim or Victor?, Motilal
Banarsidas, Delhi 1992, p. 176.
5Il matrimonio è una tuttora un passaggio di vita pressoché
obbligatorio: infatti la donna che rimane nubile viene considerata
una “reietta” della società in quanto, senza la “protezione” di un
uomo, si immagina che ella sia vittima della sua “congenita
lussuria”.
Ma la condizione della donna in India in realtà non è stata
sempre quella che ha caratterizzato l’epoca antica, classica,
medioevale e, in parte, moderna. Infatti nella società vedica
4
(1500-800 a.C. circa) la donna godeva di una posizione
dignitosa, riceveva un’istruzione e una buona educazione, e
prendeva parte alla vita culturale; grazie ad alcuni reperti
archeologici è anche rimasta testimonianza che, nell’epoca
ancora precedente (pre-vedica o pre-arya, appunto), sul piano
religioso le divinità femminili giocassero un ruolo di primo
piano
5
.
Questo periodo “felice” terminò con l’istaurarsi del sistema delle
caste, tramite il quale i brahmani consolidarono il loro potere sul
piano economico e religioso e portarono la donna ad una
progressiva sottomissione soprattutto escludendola dalla vita
religiosa “ortodossa”. In tutti i settori sociali la donna viene
messa da parte, anche se oggigiorno la situazione sta pian piano
cambiando; ma il cammino è lento, e numerose sono le
organizzazioni non governative che si occupano di denunciare i
soprusi che ogni giorno le donne devono sopportare.
4
Upadhaya, Bhagwat Saran, Women in Rigveda, Benares, Nand Kishore
and Bras, 1993.
5
Madhavananda, Swami, Great Woman of India, Mayavati, Advaita
Ashrama, 1953, pagg. 129-168.
6Infatti la donna, molto spesso, non è ella stessa cosciente di avere
dei diritti, e poche sono le donne che iniziano a ribellarsi e a
combattere per non vedersi calpestare: la maggior parte accetta
passivamente quella che è la propria sorte aspettando di rinascere
“meglio” (ossia, soprattutto, maschio) in una nuova vita
6
. Grazie
ad organizzazioni come l’UNIFEM, che afferma come la
violenza alle donne debba venire sempre più riconosciuta come
grave violazione dei diritti umani, si cerca di combattere queste
ingiustizie, ma purtroppo netto è il divario tra ciò che è scritto
nella costituzione e quelle che sono le tradizioni: tutto ciò sembra
spesso rendere quasi inutile l’impegno dello stato, delle
associazioni e dei gruppi di volontari.
Nel corso del lavoro si prenderanno in esame diversi aspetti della
vita familiare e sociale delle donne, saranno poste in rilievo le
cause di maggior disagio (spesso legate al soddisfacimento dei
più elementari bisogni), e si cercherà di valutare quale sia nel
concreto l’inserimento della donna all’interno della moderna
società. A conclusione del lavoro, proveremo ad indicare le
possibili vie d’intervento anche alternative e complementari
rispetto ai progetti attualmente in corso.
6
Secondo la teoria panindiana del karman, alla morte gli elementi che
compongono l’individuo si scompongono per poi riformarsi in un nuovo
essere la cui posizione sociale ed esistenziale sarà determinata dalle azioni
compiute nella vita precedente (karman, appunto); per cui se l’individuo
avrà compiuto azioni moralmente corrette potrà rinascere in forma umana e
in una casta superiore a quella occupata nella vita precedente, mentre se
viceversa si sarà comportato male rinascerà in forma di animale, vegetale o
peggio di demone. Il ciclo delle rinascite è chiamato samsara e il fine di
tutte le religioni e delle filosofie dell’India è liberarsi da esso.
8I CAPITOLO. Un panorama storico e sociale
1.1. Mutamenti storici della condizione femminile
Per poter comprendere la reale evoluzione storica della donna in
India non possiamo non tener conto delle diverse peculiarità che
caratterizzano l’India stessa e, in particolare, delle diverse etnie e
religioni presenti, così come, parimenti, delle disparità tra le aree
urbane e quelle rurali. Infatti, non può essere fatta una
generalizzazione, perché in base allo status sociale della donna
numerose sono le diversificazioni, dal diritto all’istruzione
all’accesso al mondo del lavoro, al ruolo che viene svolto
all’interno della famiglia.
In questa tesi si evidenzierà solo un settore della popolazione
femminile, quello indù: difatti oggi questa comunità è la più
presente in India (è indù l’80 per cento circa della popolazione).
L’induismo è una delle tradizioni religiose più antiche del
mondo: non è esattamente una religione, quanto un modo di
essere e di porsi dinnanzi a se stessi e alla società.
“nel corso del tempo l’induismo si è arricchito di nuove
forme, ma senza eliminare quasi mai del tutto le più
antiche: non c’è stata una rivoluzione di portata
paragonabile per grandiosità di effetti al cambiamento
religioso epocale che si verificò altrove con il trionfo del
cristianesimo o dell’islam […] tra innovazione magari
inconsapevolmente travestita da interpretazione fedele e
ben più rari casi di rinnovamento dichiarato, tra ascesa di
9nuovi culti e talora declino di più antichi, l’induismo ci
appare come un grande bricoleur che non butta via niente,
ma conserva e quando è possibile ricicla secondo nuove
necessità”
7
.
In definitiva, più che una religione l’induismo deve essere
definito una cultura in senso antropologico, ossia un insieme di
credenze, tradizioni, riti che nel corso dei secoli sono stati
tramandati e ai quali gli hindu tradizionalisti oggi si richiamano
per definire il loro modo di essere.
Lo scopo dell’esistenza umana viene spiegato dalla cosiddetta
“letteratura del trivarga (‘gruppo di tre cose’)”; questo settore
della letteratura tradizionale dell’India addita i comportamenti
che ogni persona, in base alla propria appartenenza sociale, deve
rispettare, e si concentra su tre principi, il dharma, l’artha e il
kama, i quali riguardano, rispettivamente, gli obblighi giuridici e
i doveri religiosi, la politica vista come strumento di governo e
ciò che attiene il piacere
8
. Parte degli storiografi moderni è
incline a ritenere che molti dei principi presenti nel
Dharmashastra, “trattati inerenti la legge sacra”, non sono mai
stati rigorosamente rispettati ad eccezione del periodo compreso
fra il secolo IV-V d.C., allorché il Codice di Manu venne redatto,
7
Giorgio Renato Franci, L’Induismo, Bologna, il Mulino, 2005, pagg. 12s.
8
Si vedano, tra gli altri: G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi,
Manuale di storia delle religioni, Milano, Gius. Laterza & Figli, 1998;;
Stefano Piano, Sanatana-dharma. Un incontro con l’induismo, Cinisello
Balsamo, San Paolo, 2006; G. Boccali, C. Pieruccini, Induismo, Milano,
Electa, 2008.
10
ma è indubbio che il loro influsso si sia fatto sentire fino
all’epoca moderna.
Il Codice di Manu
9
, appartenente appunto al genere dei
Dharmashastra, sostiene che la donna deve essere sempre
dipendente dal marito, che ella deve onorare come un dio e dal
quale non deve mai cercare di slegarsi, sfuggendo al suo
controllo, perché, per “sua natura”, è sleale e passionale. Ecco i
primi trenta versetti del nono libro
10
:
Esporrò adesso le eterne leggi per un marito e una moglie
che vogliano mantenersi saldi sulla retta via, sia nell’unione
sia nella separazione.
Notte e giorno le donne devono essere tenute in stato di
dipendenza dagli uomini, e, se inclinano ai piaceri dei
sensi, vanno messe sotto stretto controllo.
Il padre la protegge nell’infanzia, il marito nella giovinezza,
i figli nell’età della vecchiaia: una donna non è mai adatta
all’indipendenza.
Riprovevole è il padre che non la dà in sposa al momento
opportuno; riprovevole è il marito che non fa l’amore con
lei al tempo dovuto; riprovevole è il figlio che non la
protegge allorché il marito di lei è morto.
Le donne vanno tenute sotto particolare controllo contro le
loro cattive inclinazioni, anche se trascurabili: infatti, se
non controllate, portano guai e dispiaceri a due famiglie.
9
Si veda: Le leggi di Manu, a cura di Wendy Doniger, Milano, Adelphi,
1996.
10
Ibid.
11
Considerato che si tratta del dovere principale proprio di
ogni casta, anche i mariti più fragili badino a tener
d’occhio le loro spose.
Chi controlla con attenzione estrema le donne, mantiene
salda la sua discendenza, il retto agire, la famiglia, se
stesso, e il proprio dovere.
Il marito, tramite il rapporto sessuale, diventa un embrione
e nasce di nuovo: una moglie si chiama infatti moglie (jaya)
perché grazie a lei egli nasce di nuovo (jayate).
La moglie partorisce un figlio maschio che è come colui con
cui si è unita: badi dunque a tenere sotto controllo la
moglie, così da mantenere pura la sua progenie.
Nessun uomo è capace di tenere a perfezione sotto controllo
la moglie per mezzo della forza: ma le donne si possono
custodire con vari espedienti:
la tenga occupata ad accumulare e spendere denaro, a tener
tutto puro, ad adempiere ai doveri del dharma, a cucinargli
il cibo e a badare agli utensili di casa.
Le donne, se tenute in casa sotto lo stretto controllo di
servitù fidata e lodevole, non possono considerarsi ben
custodite: ben custodita è la donna che si custodisce da sé.
Ecco le sei cause di rovina di una donna: bere, stare
insieme a gente cattiva, andarsene in giro, essere separata
dal marito, dormire (a ore inopportune) e vivere in casa
d’altri uomini.
Le donne non fanno caso alla bellezza d’un uomo, né
prestano attenzione all’età: “E’ un uomo!”, (pensano), e si
danno sia al bello sia al brutto.
12
Per la loro bramosia d’uomini, per la loro volubilità, per
l’essere di natura senza cuore, esse diventano infedeli ai
mariti – per quanto le si custodisca con attenzione.
Conoscendone tale indole innata, che il Signore delle
creature diede loro all’atto della creazione, un uomo deve
sforzarsi al massimo di tenerle sotto controllo.
Letto e poltrona, ornamenti, desideri impuri, collera,
disonestà e malizia: ecco cosa diede Manu alle donne. Per
le donne non c’è rituale accompagnato dai sacri testi, così
dispone la Legge; le donne, prive di energia e prive dei testi
dei Veda, sono la menzogna pura: questo è un dato di fatto.
A questo riguardo sono molteplici i sacri testi, facenti parte
dei Veda, che vengono salmodiati allo scopo di render nota
la vera natura delle donne; ora ascolta le espiazioni (per i
loro errori).
“Se mia madre, deviata e infedele, ha concepito desideri
illeciti, che mio padre possa tenere quel seme lontano da
me”: questo dice la scrittura.
Se una donna ha concepito in cuor suo qualcosa che possa
recar danno al marito, il suddetto testo è considerato
un’espiazione all’infedeltà.
Quando una donna si unisce a un uomo secondo la legge,
ne acquisisce le qualità. Quali esse siano, come un fiume
che s’unisce all’oceano.
Con ciò è stata esposta la condotta normale, e pura, di
marito e moglie. Ascolta ora le leggi concernenti i figli, che
son fonte di beatitudine in questo mondo e dopo la morte.
13
Non c’è differenza veruna fra le mogli in grado di avere
figli – e dunque sono latrici di grandi benedizioni, son
degne di essere venerate e sono vera luce nelle proprie case
– e le dee della fortuna.
Ecco di che cos’è fondamento ben visibile la donna: dar
nascita a figli, nutrirli e occuparsi della vita quotidiana dei
mariti.
La prole, l’ottemperanza dei corretti rituali, l’obbedienza, il
più grande piacere sessuale e la beatitudine celeste per gli
avi e per se stesso: ecco che cosa dipende dalla propria
moglie.
Colei che, raffrenando pensieri, parola e azioni, mai viola i
suoi doveri verso il suo Signore, dopo la morte abita con lui
in cielo e virtuosa la chiamano i virtuosi.
Ma a causa della slealtà verso il marito una moglie è
oggetto di condanna fra la gente; è poi destinata, a causa
delle sue cattive azioni, a rinascere nell’utero di uno
sciacallo, tormentata da malattie.
Non è dunque un caso che nella mitologia la donna ideale è stata
identificata con figure come Sita, Savitri, Draupadi, ossia donne
o “eroine” che, nonostante le traversie e le tentazioni, si sono
rivelate sempre rispettose del proprio dovere.
Il Codice di Manu, che è considerato la più importante e
autorevole raccolta di leggi indiane, affermava dunque sul piano
legale l’inferiorità della donna, la quale andava ad assimilarsi,
per così dire, alla casta più bassa, quella degli shudra: questo
avvenne, come già si accennava, con l’affermazione del potere