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INTRODUZIONE
Il Premio Scipione venne istituito nel 1955 dalla Brigata Amici dell’Arte di Macerata,
Associazione senza scopo di lucro, che animò la vita artistica-culturale della città a partire
dagli anni Quaranta.
La manifestazione fu ideata con lo scopo di sollecitare attenzione e promozione verso le
dinamiche dell’arte contemporanea, rendendo omaggio all’artista Gino Bonichi,
prematuramente scomparso.
Meglio conosciuto con l’appellativo di Scipione, Bonichi è considerato uno degli interpreti
affermati della pittura del Novecento. Nato a Macerata nel 1904, si trasferì in seguito a Roma
con la famiglia, dando vita alla “Scuola di Via Cavour” che fu il primo nucleo della più nota
“Scuola romana”.
In memoria del pittore, la città di Macerata istituì il Premio Scipione come “Premio Nazionale
Biennale di Pittura”, un concorso aperto ad artisti di qualsiasi formazione artistica.
Il Premio ha avuto negli anni un percorso discontinuo ed eterogeneo per formule
organizzative, finalità, statuti, interrotto ormai dal 2002. Cinque sono state le edizioni
realizzate in cinquant’anni.
Visionando i cataloghi, è stato possibile rintracciare le strutture ed i criteri di assegnazione
dei premi, che hanno governato la manifestazione nelle diverse edizioni: da libero concorso
sottoposto a giuria nelle edizioni del 1955 e del 1957, a mostra su invito nel 1964, si è
arrivati alla formula selettiva di una rosa di artisti appartenenti a diverse generazioni nel
2000, fino all’ultima edizione tenutasi nel 2002, nella quale si è giunti ad un unico curatore,
per definire una più coerente proposta critica.
Il caso del Premio Scipione è emblematico per registrare le numerose trasformazioni che
hanno caratterizzato il panorama artistico territoriale in relazione all’ambito nazionale ed
internazionale, dall’immediato dopoguerra all’insorgere del nuovo secolo. Il percorso della
manifestazione risulta, come evidenziato innanzi, non lineare, attraversato da una profonda
frattura tra le scelte metodologiche ed estetiche che hanno segnato le edizioni degli anni
Cinquanta e Sessanta, e i principi con cui sono state strutturate le più recenti edizioni del
2000 e del 2002.
Il lasso di tempo intercorso tra le prime edizioni e le seconde è del resto tale, da richiamare
grandi differenze nelle proposte artistiche, che risultano in linea con esiti modificatisi negli
anni, per i quali bisogna tener presente anche il ruolo della critica e del pubblico. La sua
iniziale formulazione, dettata dalla necessità di incidere con nuove sollecitazioni culturali
all’interno del tessuto, non solo cittadino naturalmente, si è trasformata ed anche adattata
agli attuali scenari dell’arte.
Le prime tre edizioni sono state contrassegnate da scelte organizzative abbastanza
omogenee, gli artisti partecipanti, molti dei quali già riconosciuti nel panorama nazionale, si
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sono fatti portavoci di linguaggi e ricerche estetiche d’avanguardia, capaci di rispecchiare a
pieno il clima del dopoguerra, fondato sul confronto acceso tra figurativi ed astrattisti.
Le edizioni all’insorgere del nuovo secolo hanno creato una vera e propria frattura con i
Premi precedenti, allargando l’osservatorio su registri eterogenei dalla scultura alla pittura
all’istallazione, segno delle modificazioni che hanno riguardato i linguaggi dell’arte, posti da
tempo nell’ottica di un pluralismo che è certo la sua nota distintiva. Inglobando anche opere
di artisti stranieri, è stato possibile verificare le esperienze attuali, in una proiezione spostata
oltre il piano nazionale.
L’edizione del 2000 è stata gestita da una giuria, presieduta da Giorgio Cortenova, quella del
2002 invece, da un unico curatore: Enrico Crispolti.
Dopo la prima edizione, il Premio Scipione sembrava destinato a diventare un punto di
riferimento nel panorama italiano del secondo dopoguerra, ma la discontinuità che lo ha
caratterizzato non gli ha permesso di garantirsi quella visibilità necessaria a renderlo una
manifestazione riconosciuta a livello nazionale ed internazionale.
E’ importante però sottolineare che il Premio ha costituito per la città di Macerata, una fonte
preziosa per l’acquisizione di opere d’arte.
La prima edizione del concorso è stata organizzata dalla Brigata Amici dell’Arte e le
successive fino al 1964 dal Comune di Macerata, con la collaborazione di altri Enti; alcuni
dei lavori premiati hanno accresciuto la collezione della Pinacoteca civica, risultando tra
l’altro i prodotti più interessanti.
A partire dalla quarta edizione, la Fondazione Carima è diventata l’ente promotore
dell’evento, sebbene affiancata dall’Amministrazione Provinciale e dal Comune; il Premio è
così definitivamente sfociato dal settore pubblico a quello privato. Alcune opere esposte
durante le mostre temporanee del 2000 e del 2002, una per ogni artista partecipante, sono
state acquisite dalla Fondazione, andando ad incrementare l’importante Raccolta d’Arte
Contemporanea di Palazzo Ricci.
Oggi sarebbe necessario riproporre una manifestazione tale, così da tenere alto il nome
della città-capoluogo che vanta già una punta di eccellenza nelle attività dello Sferisterio
Opera Festival, noto oltre il territorio nazionale. Macerata dimostrerebbe di meritare di
nuovo, quel ruolo di “Atene della Marche” che in passato le venne conferito, se tornasse a
dedicare una maggiore attenzione alle attività culturali, tra le quali quelle artistiche, che
avrebbero peraltro una ricaduta positiva sull’intera regione.
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I CAPITOLO
IL PREMIO SCIPIONE: LE EDIZIONI DEL 1955 E DEL 1957
1. Il secondo dopoguerra in Italia
Al secondo conflitto mondiale fece seguito un periodo di profonda crisi politica, sociale ed
economica, che sconvolse anche la struttura del sistema culturale. Il tempo della
ricostruzione fu caratterizzato in campo artistico da un rinnovamento a partire dalle
dinamiche di internazionalizzazione e di mercificazione.
L’informazione si era fatta più costante grazie allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di
massa che velocizzarono lo scambio di idee e di nuovi linguaggi, trasformandoli in breve
tempo in patrimonio comune. Tuttavia i prodotti culturali finirono per essere trattati al pari
degli altri beni di consumo, sulla spinta consumistica proveniente d’oltreoceano, provocando
il pericolo di un appiattimento delle ricerche espressive. Certamente la seconda metà degli
anni Quaranta segnò la fine delle Avanguardie storiche, in virtù di innovazioni in alcuni casi
sottoposte a mode culturali, per scavare in ragione delle profonde lacerazioni aperte dal
conflitto mondiale, un profondo solco che divideva due tendenze: l’arte astratta e quella
realista. La polemica affiorò in occasione del primo Congresso Democratico delle Arti
Figurative tenutosi a Roma nel 1946, quando Carrà, Casorati, Guttuso, Mafai, Morandi e
Manzù, affiancati da altri intellettuali, si confrontarono sul loro ruolo nella società,
provocando una spaccatura tra coloro che teorizzavano uno stretto rapporto tra arte e
impegno civile, e coloro che invece, vedevano l’arte come un’evasione dalla realtà.
Nell’ottobre del 1946 un gruppo di undici artisti, Birolli, Cassinari, Guttuso, Leonardi, Levi,
Morlotti, Pizzinato, Santomaso, Turcato, Vedova, Viani, firmò a Venezia il manifesto Nuova
Secessione Artistica Italiana; mentore il critico Giuseppe Marchiori. Dal loro tentativo di
conciliare insieme nomi e posizioni distanti, grazie alla spinta unitaristica del dopoguerra,
nacque il Fronte Nuovo delle Arti. Le premesse esistevano già dagli anni Trenta, quando la
rivista “Corrente”, si era fatta portavoce dell’opposizione unanime al regime fascista,
diventando in breve tempo un vero e proprio movimento. Vi aderirono artisti, architetti, critici
d’arte, musicisti, disparati intellettuali, in nome dell’indissolubilità del fattore estetico da
quello civile. All’interno di Corrente si profilarono le due anime future: quella realista, con a
capo De Grada, e quella astratta, condotta da Birolli. La spaccatura tra questi due
schieramenti si fece più profonda all’interno del Fronte Nuovo delle Arti, in seguito alla Prima
Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea, realizzata a Bologna nel 1948. Togliatti criticò
l’iniziativa sulle pagine di “Rinascita”: “E’ una raccolta di cose mostruose[...].
5
Come si fa a chiamare “arte” e persino “arte nuova” questa roba[...].”
1
L’articolo provocò la
redenzione di molti artisti, che ricucirono i rapporti col partito, allontanandosi da formule
astratte, ritenute dal Segretario del Partito Comunista “posizioni intellettualistiche di un’arte
senza contenuto, obiettivamente al servizio della classe dominante.”
2
Il primo a cedere fu
Pizzinato, seguito da Guttuso, Zigaina, Vespignani, Mucchi, i quali rinunciarono ad
elaborazioni in chiave neocubista, per formulare un linguaggio realista, di ampia
comunicazione. Logiche sembrerebbero le osservazioni del noto critico romano Marcello
Venturoli: “Se mi avessero chiesto una profezia nel ’40 su come l’arte italiana si sarebbe
mossa, sarei stato un pessimo indovino perchè allora le premesse erano quelle di un futuro
segnatamente rispettoso della figurazione[...]. Per diversi anni dopo la fine della guerra, più a
Roma che al nord, lo spirito di aggiornamento non alitò come una dolce brezza: l’astrattismo,
il mostro intruso, l’inammissibile, fu di volta in volta accettato a prezzo di grande umiltà e
tenacia. A Roma e in Italia la situazione del gusto, sia nel pubblico che nella critica dei
quotidiani, era anti-astratta, i pittori del non figurativo una esigua minoranza e benchè
avessimo avuto il precedente degli astrattisti degli anni ’30 e a Roma un Maestro della
statura di Prampolini (senza contare Balla e Severini del periodo futurista, i Ferrazzi e i Melli
della Secessione romana, i futuristi della “seconda ondata”), il senso di un gusto “europeo”
era estraneo ai più”.
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Le sue parole non tardarono però ad essere contraddette, sebbene gli artisti non figurativi si
trovassero in posizione minoritaria, impegnati a confrontarsi sia con la tradizione
novecentista, che con il realismo socialista. Turcato, Dorazio, Accardi, Consagra, Perilli,
Attardi, Gurerrini, Sanfilippo costituirono nel 1947 a Roma, il gruppo Forma I, causando una
prima scissione all’interno del Fronte Nuovo. Gli artisti focalizzarono l’attenzione sulla forma
strutturale dell’opera, ponendosi il problema di una pittura “moderna”, in continuità con
l’astrattismo degli anni Trenta e non avulsa dal contesto europeo. Si distaccarono dal
realismo e dall’astrattismo, nella duplice versione espressionista e cubista, espressa dai
componenti del Fronte, sostenendo invece la “forma come mezzo e fine”.
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Al gruppo romano si affiancarono i non figurativi di “Arte oggi”, gruppo istituito a Firenze nel
1947, ridefinito più tardi “Astrattismo classico”, e i milanesi del “MAC”, di matrice astratto-
concreta, che si riunirono nel 1949 per la realizzazione della Rassegna Internazionale di Arte
Astratta, a Palazzo Strozzi.
Il MAC fu fondato da Gillo Dorfless, Bruno Munari, Gianni Monnet, Antanasio Soldati, ed
ebbe una larga diffusione sul territorio nazionale. L’esperienza del MAC si pose sulla linea
1
P. Togliatti, Segnalazioni. Prima Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea – Alleanza della Cultura,
in “Rinascita”, novembre 1948, n. 11, p. 424
2
Lettera firmata da Consagra, Guttuso, Natoli, Mafai, Turcato, Franchiglia, Leoncillo, Penelope,
Mirabella, Parisi, Mazzullo, Maugeri, Bracaglia, Morante, pubblicata in “Rinascita”, dicembre 1948,
n. 12, p. 469
3
M. Venturoli, La Roma artistica degli anni ’40, in “Flash Art”, giugno 1983, n. 114, pp. 35-36
4
Manifesto di Forma I, in “Forma I”, aprile 1947
6
delle ricerche costruttiviste, rivendicando all’arte una valenza artigianale che vi includeva la
possibilità di sfociare nel design. Con le loro ricerche essi anticiparono pertanto, alcuni
fenomeni prossimi nel panorama artistico: l’uscita dal quadro ed il ricorso a materiali
eterogenei.
L’esperienza del Fronte terminò nel 1950, in seguito ad un’ulteriore scissione da parte
dell’ala astrattista: Birolli, Corpora, Morlotti, Santomaso, Turcato, Vedova, Afro e Moreni,
sostenuti dal critico Lionello Venturi, diedero vita nel 1952 al Gruppo degli Otto. Venturi
affermava la necessità di legare la cultura artistica italiana alla grande tradizione europea e
soprattutto francese, sottolineando la libertà dell'espressione pittorica ed il primato della
coerenza formale dell'opera rispetto ad ogni condizionamento ideologico.
Tra le novità che affiorarono nell’immediato dopoguerra, ricoprendo una posizione originale
rispetto all’astrattismo geometrico e al dettato figurativo, vanno considerati lo Spazialismo e
l’Informale.
Lo Spazialismo nacque per iniziativa dello scultore Lucio Fontana nel 1946 e fu teorizzato in
sette manifesti apparsi tra il 1947 e il 1953. Fontana realizzò nel 1949 Concetto spaziale:
una superficie di tela grezza crivellata di buchi, con cui sancì l’illusione di comprendere
nell’opera, lo spazio oltre la tela, superando appunto i limiti imposti dalla cornice. Il Manifesto
tecnico dello Spazialismo, redatto nel 1951, proponeva di distaccarsi sia dal realismo che
dall’astrattismo attraverso la sintetizzazione dello spazio, del tempo e del movimento nel
quadro, esortando ad utilizzare nuovi strumenti: radio, televisione, luce di wood. Numerosi
artisti decisero di aderirvi, condividendo la medesima ricerca verso l’esperienza continua tra
arte e vita, pur diversificandosi ciascuno secondo il proprio stile.
Materiali innovativi per la creazione artistica furono adottati anche dal movimento Informale,
anticipato alla fine degli anni Quaranta dal gruppo Origine, formato da Colla, Burri e
Ballocco. Il nome derivava dalla necessità di “esprimere all’origine l’emozione della vita nel
mistero del suo svolgersi per identificare nell’arte odierna lo spirito umano che le
corrispondeva. Quindi “Origine”, come liberazione dalle molteplici strutture, e dalla
identificazione con la verità in noi stessa contenuta.”
5
L’Informale costituì una stagione
importante per l’arte europea, proponendo un ritorno all’originarietà dell’atto pittorico, del
segno, e all’esplorazione di un nuovo rapporto con la materia, sebbene in ciascun Paese la
corrente assunse caratteri peculiari. Nel corso del tempo confluirono nel nuovo versante
dell’Informale italiano molti spazialisti e nucleari, esponenti del Fronte Nuovo e del Gruppo
astrattista degli Otto; oltre alla maggior parte degli artisti provenienti dall’esperienza di Forma
I. Secondo il giudizio di Giulio Carlo Argan, le radici del movimento erano da ricercare nel
mutato rapporto tra individuo e collettività. Con il venir meno della fiducia nella funzione
sociale dell’arte e in quella salvifica del progresso tecnico e industriale, l’artista trovava la
propria salvezza unicamente nella prassi, in un fare privo di storia, obiettivi, impulso etico.
6
Il
5
La citazione è tratta da: A. Pansera, M. Vitta, Guida all’arte contemporanea, Marietti, Torino 1986,
p.153
6
G. C. Argan, Salvezza e caduta dell’arte moderna, in “Il Verri”, giugno 1961, n. 3, p.14
7
riconoscimento ufficiale dell’Informale giunse in Italia tuttavia, tardivo. La Biennale di
Venezia del 1960 assegnò i premi a Pietro Consagra, ad Emilio Vedova, al francese Jean
Fautrier e al tedesco Hans Hartung, consacrando l’Informale europeo, quando la poetica del
New Dada e del Nouveau realism stava già decretando il superamento dell’arte gestuale e
materica. Gli ultimi esempi notevoli del movimento furono presentati alla edizione successiva
della Biennale, nel 1962, che vide vincitori Capogrossi e Morlotti, Manessier e Giacometti,
tra le costanti polemiche della stampa cattolica e comunista.
1.1 Il panorama artistico maceratese all’indomani del secondo conflitto
mondiale
Il clima artistico marchigiano fu caratterizzato fin dagli anni Dieci da un certo eclettismo,
grazie alle ricerche importate da artisti, la cui formazione si stava affermando a Roma o nelle
principali capitali europee.
Tuttavia non era impresa facile smuovere un ambiente ancorato per lo più ai canoni artistici
tradizionali, di derivazione tardo-ottocentesca. Nel 1922 Ivo Pannaggi realizzò a Macerata la
prima Eposizione Futurista nelle Marche, a cui aderirono Umberto Boccioni, Giacomo Balla,
Fortunato Depero, Antonio Marasco, Vinicio Paladini, Enrico Prampolini, Mario Sironi.
L’evento suscitò numerose polemiche e discussioni, ma anche l’interesse di alcuni giovani
che a distanza di un decennio costituirono a Macerata il “Gruppo Futurista”, primo nucleo
d’avanguardia nella regione.
Mentre negli anni precedenti le iniziative futuriste non avevano riscosso alcun successo, ora,
il pubblico dimostrava, almeno in parte, maggior interesse verso le nuove sollecitazioni
culturali.
Il Gruppo Futurista battezzato “Boccioni”, rappresentò l’inizio di una vorticosa attività nel
campo della pittura, della scultura, della grafica, della pubblicità, del cinema, che dal 1932
vide figure quali Bruno Tano, Sante Monachesi, Fernando Paolo Angeletti e Rolando Bravi,
animare la scena artistica dell’intera regione tanto da essere promossi da Marinetti da
“gruppo maceratese” a “gruppo marchigiano”.
Nel corso del tempo si aggiunsero nuovi componenti: Antonio Bartocci, Fulvio Benedetti,
Virginio Bonifazi, Italo Carsetti, Gualtiero Castiglioni, Mario Coltorti, Mariano De Francesco,
Alfonso Grilli, Franco Malatini, Fulvio Raniero Mariani, Enrico e Lamberto Massetani, Cesare
Merli, Mario Monachesi detto Chesimò, Vincenzo Montanari, Enzo Pandofili di Ancona,
Umberto e Alberto Peschi, Secondo e Terzo Pianesi, Ettore Pigliapochi, Giovanni Sabalich,
Ubaldo Serbo, Amorino ed Auro Tombesi, Wladimiro Tulli. Successivamente entrarono nel
sodalizio Augusto Antonelli, Brandi di Tolentino, Vitaliano Lapponi, Wladimiro Minuti, Ivo
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Mozzicafreddo, Elio Piccioni e Giorgio Sparapani. Consacrati fin dal principio ad una
molteplicità di interessi, si dedicarono prevalentemente all’aeropittura, declinando al pari
forme espressive come l’aeroscultura, l’aeropoesia, l’aeromusica, il futurcine, il
fotomontaggio e il giornalismo. Dal 1938 al 1940 il gruppo avviò un processo di
incentivazione futurista nell’intera regione, attraverso un crescendo di attività espositiva: la
Mostra dei Sotto i Trenta a Macerata, la Mostra di Aeropittura futurista al Casino Dorico di
Ancona, la partecipazione alla VI Mostra Interprovinciale del Sindacato di Belle Arti delle
Marche, sempre ad Ancona, e la Mostra Nazionale Viaggiante di Aeropittura Futurista, che
interessò la riviera adriatica da Falconara a Fano, da Pesaro a Rimini.
L’attività del gruppo si concluse dopo la morte di Tano nel 1942 e praticamente l’anno
successivo con la partecipazione alla Quadriennale Romana. Tulli ne era diventato il
principale animatore, e lo aveva ribattezzato “Gruppo Boccioni-Tano”, potendo contare sulla
partecipazione di alcuni superstiti del raggruppamento “Boccioni” oltre a nuovi artisti quali
William Cardi e Giulio Centini. Nel 1943 Tullio Crali cercò di riunire i futuristi locali, ma il suo
tentativo restò vano a causa delle divergenze politiche e i differenti ambiti di ricerca tra i vari
esponenti.
Dalle parole di Anna Caterina Toni, se ne trae un profilo: “Il bilancio -è quanto annota il
critico- del decennio operativo degli artisti futuristi nelle Marche, è da considerare positivo,
perchè ha aperto la cultura della regione alle Avanguardie, suggerendo la possibilità di
svincolarsi dalla tradizione, e d’inserirsi in un contesto nazionale ed internazionale, tramite,
ad esempio, le Biennali di Venezia, ricco di stimoli vitali e di suggestioni feconde. Grazie agli
apporti futuristi, infatti, si sviluppano nuove suggestioni, che si svolgono in aree diverse di
ricerca, dall’astrattismo all’informale, dal realismo alla pop art, dall’arte concettuale alla body
art.”
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L’altra grande Associazione vitalistica della città era la Brigata Amici dell’Arte, istituita nel
1937, venne ricomposta durante la fine della guerra, nel 1944, grazie a Bonifazi, Monachesi,
Ginobili, Parrino, Giuseppucci, e in soli due anni riuscì a contare sull’appoggio di ottocento
iscritti. Ben centonove sono state le manifestazioni culturali organizzate tra il 1944-45, tra cui
una conferenza dedicata a Scipione nel 1945 e una mostra postuma dell’artista le cui opere
furono trasportate direttamente dalla Biennale di Venezia a Macerata nel 1948.
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Il primo tentativo di creare un Premio Scipione, in collaborazione con la Camera di
Commercio, nacque proprio all’interno della Brigata nel 1952, in occasione della VII Mostra-
Mercato Marchigiana, solitamente affiancata da una rassegna artistica; la concretizzazione
del progetto avvenne però solo nel 1955. Il clima artistico maceratese era sostanzialmente
diviso tra passatisti e modernisti: da una parte Monti, Luchetti, Mainini, ed altri artisti,
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A. C. Toni, Sviluppi ed esiti del Futurismo nelle Marche, in “I luoghi del Futurismo (1909-1944),
Atti del Convegno Nazionale di Studio”, Macerata, 30 ottobre 1982, Multigrafica editrice, Roma
1986, p.104
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Corrispondenza tra Ferruccio Giuseppucci e Goffredo Binni, 18 febbraio 1956, in Archivio della
“Rassegna stampa Montanari”, Manoscritto 1511 XVIII-15