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caratterizzanti che maggiormente contribuiscono a rendere queste strutture 
tanto controverse sono (Merusi e Passaro 2003: 69): 
 
• indipendenza dai poteri politici e partitici 
• autonomia gestionale, organizzativa, finanziaria e contabile 
• vaste competenze e capacità regolatorie su campi e settori economici 
strategici a livello nazionale ed internazionale 
 
Altre specificità non meno importanti sono la personalità giuridica e la 
soggettività dei requisiti richiesti per la nomina dei vertici. Pare tuttavia 
opportuno evidenziare che vige una certa eterogeneità tra le varie Autorità 
riconducibile alla diversa origine delle singole amministrazioni. A titolo di 
esempio, confrontando l’autonomia finanziaria delle A.I., rileviamo come la 
Banca d’Italia sia totalmente affrancata da qualsiasi dipendenza finanziaria dallo 
Stato, la Consob si autofinanzi tramite i corrispettivi per i servizi da essa prestati 
agli operatori del mercato (la copertura di eventuali oneri ulteriori dovrebbe 
essere garantita dal fondo iscritto nello stato di previsione della spesa del 
Ministero del Tesoro) e che le entrate dell’Isvap siano costituite dal gettito del 
contributo di vigilanza posto a carico delle imprese di assicurazione operanti sul 
territorio nazionale. Anche per le autorità di regolazione è previsto 
l’autofinanziamento tramite un contributo a carico degli operatori dei rispettivi 
mercati. Diverso invece il trattamento riservato all’Authority antitrust, alla 
Commissione sullo sciopero ed al Garante sulla privacy che vengono finanziate 
nei limiti previsti da un apposito fondo istituito a tale scopo nel bilancio dello 
Stato (Merusi e Passaro 2003: 77). 
L’analisi sui vari gradi di autonomia finanziaria potrebbe estendersi pure alle 
altre caratteristiche delle diverse A.I. con risultati non dissimili da quelli appena 
ottenuti. Ciò può essere ricondotto anche ad una legislazione particolarmente 
frammentata in materia. Infatti, come riportato da Merusi e Passaro, “al pari di 
quanto abbiamo visto accadere per gli elementi strutturali, anche sui 
meccanismi che governano l’azione di questi enti non sembra esserci sufficiente 
  
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chiarezza”. Ed ancora: “Le leggi istitutive delle varie autorità sono così laconiche 
nella disciplina del loro funzionamento da lasciare, di fatto, alle stesse autorità 
un’ampia discrezionalità nel concreto perseguimento delle generali finalità di cui 
risultano investite” (Merusi e Passaro 2003: 90). 
In questo contesto di regole così poco definito e stratificato, a causa 
dell’accavallarsi di interventi legislativi non concertati nel corso degli anni, si 
rischia di non riuscire bene ad individuare nemmeno la ragione dell’esistenza 
delle A.I.. 
A questo punto è utile operare una distinzione tra le diverse autorità che ci è 
comoda per individuare due sostanziali ragioni giustificanti: una prima ragione 
legata alla necessaria tutela delle libertà personali operata dal garante per la 
protezione dei dati personali (basti pensare al rilievo che l’azione di questo ente 
ha in una società della comunicazione come la nostra in cui la gestione della 
privacy gioca un ruolo preponderante a causa della possibile manipolazione del 
consenso derivante dall’uso improprio di informazioni sensibili). I mezzi di 
informazione e i nuovi media consentono infatti una velocità di ricircolo delle 
informazioni tale da rendere intempestiva qualsiasi azione di tutela giuridica 
tradizionale. Da qui la necessità di creare una struttura più veloce e snella con 
capacità di intervento rapido ed effettivo a tutela della privacy e delle 
informazioni personali. 
La tutela delle libertà economiche rappresenta invece la seconda ragione 
giustificante l’esistenza delle restanti A.I., che essa si riferisca al valore della 
moneta, alla vigilanza operata sul sistema dei pagamenti (Banca d’Italia), 
all’analisi di un intervento a tutela della concorrenza in un particolare mercato 
(Autorità garante della concorrenza e del mercato) o ad un contenzioso legato 
alla regolamentazione del mercato delle public utilities, sebbene le diverse 
manifestazioni della libertà economica non siano “tutte immediatamente 
percepibili in un sistema costituzionale caratterizzato, ab origine, dall’opposto 
principio dell’intervento pubblico nell’economia” (Merusi e Passaro 2003: 102).  
 
  
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1.2 Le autorità indipendenti nel campo delle public utilities 
La rilevanza economica appare invece piuttosto ovvia nell’operato di quelle 
Authority che si occupano di disciplinare e regolamentare il settore dei pubblici 
servizi di interesse nazionale: è il caso di due tra le A.I. di più recente 
costituzione ovvero l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas (d’ora in poi AEEG) 
e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (d’ora in poi AGCOM). 
Oltre a condividere la recente istituzionalizzazione, le due autorità condividono il 
principale scopo alla base del loro operato ovvero la regolamentazione di 
mercati precedentemente in mano a monopoli pubblici e la creazione delle 
condizioni adatte a creare la concorrenza tipica del libero mercato. Per 
entrambe le A.I. si potrebbe quindi sostenere che il loro operato (e quindi il 
presupposto della loro esistenza) ha senso fin quando le condizioni preposte 
non si realizzano. Tuttavia, come rilevato correttamente da Merusi e Passaro 
“nemmeno il più alto grado di liberalizzazione vanificherà la necessità di una 
regolazione volta alla cura degli interessi degli utenti, in termini di accesso ai 
servizi o di controllo della qualità. Si può quindi ragionevolmente assumere che 
nei settori in discussione e, in generale, nei settori di pubblica utilità, la 
soddisfazione dei bisogni degli utenti non riposi esclusivamente sulla logica 
allocativa dei mercati”.  (Merusi e Passaro 2003: 71) 
Se quanto detto può ritenersi applicabile all’AEEG, lo è a maggior ragione per 
l’AGCOM le cui competenze sono particolarmente vaste come pure i settori 
d’intervento. In questo caso l’accento non è da porsi esclusivamente sull’aspetto 
economico legato alla liberalizzazione del mercato: si pensi ad esempio alla 
rilevanza costituzionale dell’operato dell’AGCOM quando si pone a garanzia del 
diritto di libertà di informazione nel settore radiotelevisivo e dell’editoria. È 
verosimile sostenere che ci sarà sempre bisogno di un’Autorità libera da 
condizionamenti politici che possa vigilare con un buon grado di autonomia e 
capacità sanzionatoria nei confronti degli operatori di un mercato tanto 
complesso e sensibile. Sembra potersi così sanare il dibattito circa le prospettive 
di sopravvivenza delle due Autorità senza considerare che, al momento e con 
  
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specifico riferimento al settore delle telecomunicazioni, il processo di piena 
apertura del mercato e l’effettivo accesso alle risorse di rete da parte degli 
operatori minori sembra ancora lontano dal completarsi. A tal riguardo, 
riferendosi al mercato ADSL nazionale, basti pensare che nonostante gli ingenti 
capitali investiti dagli operatori emergenti, l’incumbent (alias Telecom Italia) 
deteneva al 31 marzo 2005 il 77% del mercato dei servizi di accesso in 
tecnologia ADSL e dei servizi basati su questa tecnologia, con una crescita 
inesorabile della quota di mercato. Tale considerazione diventa ancora più 
interessante se confrontiamo questo dato con quello di inizio 2002 sempre in 
capo all’ex monopolista (63%) (Nuti e Valli 2005: 7). Questo raffronto da solo 
basta ad evidenziare quanto la strada verso una reale apertura del mercato 
delle telecomunicazioni sia tuttora in salita. 
 
 
1.3 Il ruolo dell’Unione Europea 
 
I tredici anni trascorsi dall’entrata in funzione delle sopraccitate autorità 
indipendenti a stampo regolatorio ci permettono (con la dovuta cautela) di 
formulare un primo bilancio su quanto è stato fatto e quanto ancora rimane da 
compiere. Non può essere messo in dubbio il fatto che l’avvento delle due A.I. 
nel settore delle public utilities abbia rappresentato una grande innovazione 
nello scenario istituzionale italiano. L’occasione di cambiamento è stata colta 
però solo parzialmente per una serie di motivi: in prima analisi il lasso di tempo 
intercorso dalla costituzione di AEEG ed AGCOM ci avrebbe consentito di 
sperare in risultati forse più netti di quelli finora ottenuti, soprattutto in termini 
di apertura dei mercati e di creazione di una reale concorrenza; d’altro canto 
non si può tacere l’evidenza che il compito delle due Authority all’atto della loro 
costituzione apparisse già improbo: smuovere due mercati dominati da anni di 
immobilismo economico e governati da monopoli rigidi e radicati nella forma e 
nella sostanza. Un secondo spunto di riflessione riguarda l’intreccio tra politica 
nazionale ed imposizioni comunitarie: la nascita di AEEG ed AGCOM non è stata 
  
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certo spontanea anche perché, come precedentemente detto, questo tipo di 
strutture era del tutto alieno al nostro ordinamento. Per tale ragione si può 
parlare di “parto indotto” per le due regulation authority italiane, più che di 
consapevole presa di coscienza della loro necessità da parte del Legislatore. 
Questo spiega l’intervento impositivo della Comunità Europea al riguardo 
(rispettivamente direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996 per l’AEEG e la 
direttiva n. 1990/387/Ce poi recepita da d.p.r. 318/1997 con l’imposizione 
dell’apertura del mercato delle TLC).  
La presa di posizione da parte della Comunità è pure alla base dei frequenti 
malumori da parte del mondo politico italiano. Come infatti riportano Merusi e 
Passaro “in parte tale cambiamento (la nascita delle A.I.) è la conseguenza 
dell’adesione dell’Italia alla Comunità Europea e della progressiva 
trasformazione della Comunità in uno Stato federale […], in parte è anche il 
frutto di una “rivolta interna nei confronti dell’ordinamento costituito” italiano 
[…]. Ciò spiega le frequenti “rivolte della politica” nei confronti delle autorità 
indipendenti. Perché non passa giorno che qualcuno ne parli male denunciando 
la loro “irresponsabilità” e perché, nella passata legislatura, un deputato abbia 
addirittura presentato un disegno di legge per sopprimerle e per trasferire i loro 
poteri all’amministrazione tradizionale!” (Merusi e Passaro 2003). 
Sembra tuttavia che questi tentativi di un ritorno al passato siano destinati a 
scontrarsi non tanto con l’ordinamento italiano, quanto piuttosto con il diritto 
comunitario nei suoi strumenti legislativi di immediata applicabilità, come i 
regolamenti, e pure negli altrettanto validi strumenti delle direttive. Bisogna 
inoltre considerare, come giustamente rilevato da La Spina e Cavatorto, che “la 
dimensione sovranazionale agisce inoltre anche attraverso le aggregazioni 
verticali ed orizzontali di autorità regolative. Il fatto che le istituzioni comunitarie 
ed internazionali attribuiscano compiti, prescrivano caratteristiche strutturali, 
promuovano l’omogeneità normativa, legittima le A.I. nazionali e le rende meno 
vulnerabili a ripensamenti del legislatore domestico.” (La Spina e Cavatorto 
2008: 304).