4
sul calcio che, purtroppo, riguardano i decreti anti violenza e le norme negli stadi. Il corpo centrale
della tesi è nel quarto capitolo nel quale viene tratta la gestione della società di calcio. Viene
illustrata come sia strutturata una società sportiva con le relative interazioni interne; a supporto di
questo, seguendo il modello di studio LUISS, vengono riportati esempi di società esistenti di
piccola, media e grande dimensione che nel tempo hanno modificato la loro organizzazione.
Vengono poi analizzati marketing e merchandising due fonti principali di ricavo. Si affronta il tema
della politica dei giovani che equivale all‟investimento in ricerca e sviluppo. Breve excursus sulla
quotazione di borsa ed esposizione dell‟esperienza personale legata all‟evento sportivo. Nel quinto
capitolo affronto il tema più caldo del momento: lo stadio. Si analizza la gestione diretta dello
stadio, le tematiche di ricavi e costi, con anche il naming rights, e le interrelazioni con lo sviluppo
locale. Porto ad esposizione uno studio Deloitte sugli stadi modulari, ultima frontiera nel campo
della fruizione degli eventi sportivi. Si parla degli stadi realizzati e dei progetti futuri riportando un
reale budgeting per la realizzazione di uno stadio di medie dimensioni, per fornire un‟idea generale
sul valore economico di costo realizzativo. Nel capitolo 6 è affrontato l‟annoso problema dei bilanci
societari che, da quando le società sono diventate s.p.a., devono rispondere ai requisiti del mercato
borsistico. All‟interno di questo ho esposto il Football Money League di Deloitte, cioè la classifica
sportiva sulla base dei ricavi ottenuti e un paragrafo speciale su salari e stipendi, voce di costo
principale per le società sportive. Nelle prospettive future ho voluto portare tre idee personali: una
di carattere puramente economico, una economico-sportiva e una maggiormente sportiva. La prima
riguarda l‟applicazione di una tecnologia all‟interno dello stadio, per rendere così lo stadio anche un
momento di interattività con gli spettatori. La seconda non è nient‟altro che l‟applicazione della
manifestazione sportiva dell‟NBA, lo Slam Dunk Contest, alla realtà del calcio. La terza è la
Champions League dei giovani, perché sempre sul modello americano creare una visibilità
maggiore intorno allo sport giovanile migliorerà l‟investimento delle società su di esso. Obiettivo
della tesi è quindi analizzare diversi aspetti e riuscire a giungere alla risposta di precise domande. È
quello delle società di calcio un business profittevole? Le società calcistiche italiane hanno
compiuto dal punto di vista aziendalistico la metamorfosi da semplici club sportivi ad aziende di
profitto? E, se la risposta è affermativa, è possibile individuare un modello di sviluppo adatto per il
business e le società? E quale è questo modello? Ora proprio come in una partita diamo il fischio
d‟inizio, volendo però far capire al lettore che il match in questione non è quello dei 90 minuti, ma è
tutto ciò che porta a far sì che si riesca a giocare in un determinato contesto.
5
1. IL BENE CALCIO SPORT
Osservate con quanta previdenza la natura madre del genere umano ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia.
Infuse nell‟uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno triste.
Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza la vecchiaia neppure ci sarebbe.
Se solo fossero più fatui, allegri, dissennati, godrebbero felici di un‟eterna giovinezza.
La vita umana non è altro che un gioco della follia.
Erasmo da Rotterdam, filosofo (1466 – 1536)
Stay hungry, stay foolish
(Siate affamati, siate folli) 1
Steve Jobs, CEO di Apple
1.1 L‟interrelazione tra tre settori
Il fatto che lo sport sia offerto da soggetti diversi dipende proprio dalla natura a più facce di questo
bene2. A seconda delle situazioni lo sport può essere visto come un bene pubblico o collettivo, come
un bene privato sostituto di un bene collettivo o come un bene privato puro3. Se lo sport è visto
come un bene privato ovvero come un bene che abbia le caratteristiche della escludibilità e della
rivalità, come succede nel caso degli sport individuali, allora il mercato può fornirlo
efficientemente. Ma se in alcuni casi queste caratteristiche vengono meno e quindi lo sport può
essere considerato un bene pubblico allora è efficiente che venga fornito dallo Stato perché il
mercato ne produrrebbe una quantità insufficiente. Per analizzare come la teoria economica possa
spiegare il frazionamento dell‟offerta di sport tra i vari settori ci rifacciamo al pensiero di Weisbrod.
Innanzitutto Weisbrod divide i beni in tre tipi: beni di consumo collettivi o pubblici, beni privati
sostituti di beni collettivi e beni privati puri. Generalmente lo Stato dovrebbe produrre i beni
collettivi ma ci può essere un‟offerta supplementare per questi beni anche da parte del settore del
volontariato e del settore privato (settore commerciale). In quale proporzione questi due settori
contribuiscano a produrre quantità addizionali del bene dipende dalla natura del bene stesso: più
collettivo è il bene maggiore è la partecipazione del settore del volontariato, più privato è il bene
maggiore è la partecipazione del settore commerciale. Un secondo elemento sottolineato da
Weisbrod è quello del legame tra la frammentazione dell‟offerta e l‟eterogeneità della domanda.
Quanto minore/maggiore è l‟eterogeneità della domanda tanto maggiore/minore è la quota di
produzione del bene da parte dello Stato. Secondo Weisbrod questo accade perché la quantità di un
bene prodotta dallo Stato si determina sulla base di un voto di maggioranza: se i consumatori che
presentano una domanda omogenea di un bene non rappresentano un gruppo abbastanza numeroso
da avere una certa rilevanza nel processo di voto, il bene da loro consumato difficilmente verrà
prodotto dallo Stato. Il terzo elemento rilevante nel ragionamento di Weisbrod è quello a cui si fa
riferimento come “income hypothesis”. Questa ipotesi indica il fatto che lo Stato nel produrre un
1
Il discorso tenuto dal CEO di Apple, Steve Jobs, presso l' Università di Stanford, USA, il 12 giugno 2005 in occasione
della consegna delle lauree agli studenti.
2
Si veda Ciarrapico, 2009, cap.1.
3
Si veda Weisbrod ,1978.
6
bene collettivo è meno attento del settore commerciale alle diverse esigenze dei consumatori
riguardo la disponibilità del bene, la facilità di accesso a questo, il momento in cui viene reso
disponibile, le caratteristiche del bene stesso. Quanto maggiore è il reddito di chi lo domanda, tanto
più aderenti dovranno, allora, essere le caratteristiche del bene a quelle richieste. Quando il
produttore è il settore commerciale l‟offerta si dirigerà verso le classi di reddito più elevate: il
consumatore che per l‟acquisto del bene si rivolgerà al settore commerciale si aspetterà di pagare un
prezzo più alto in cambio di un bene con caratteristiche più simili a quelle domandate. Con
riferimento al mercato dello sport il ragionamento di Weisbrod sembra certamente applicabile.
Innanzitutto si ritiene che lo sport presenti alcune caratteristiche dei beni privati ed alcune
caratteristiche dei beni pubblici ma che la natura del bene è più privata che pubblica. Si pensi, per
esempio, ai servizi forniti ai consumatori dai centri sportivi, anche pubblici, o dai club sportivi se
anche gestiti dal volontariato: non possono essere considerati beni non rivali e non escludibili.
Modelli di business di un club calcistico
Fonte: AT Kearney
Tali beni sono, quindi, più simili ad un bene privato che a un bene pubblico. Ma parallelamente
possono prodursi dei benefici sociali quali il miglioramento dello stato di salute della collettività e
magari la riduzione del crimine. Allora, date le esternalità prodotte, ci dovremmo aspettare che il
7
bene sport sia fornito dal settore pubblico ma che la parte residuale di domanda, quella non
soddisfatta dallo Stato, sia soprattutto coperta dal settore commerciale. E questo è certamente quello
che si è verificato per gli sport individuali la cui fornitura è stata affidata al settore commerciale,
tramite la creazione di centri fitness e salute.
1.2 Il calcio come bene di mercato
Lo studio e l‟interpretazione del calcio come bene di mercato è gemmato dalla più ampia analisi
economica dello sport4. L‟analisi economica dello sport non è una scoperta recente della scienza
economica. Un primo seminale contributo è un articolo di Walter Neale5, in cui l‟autore prova a
delineare le specificità delle imprese operanti nell‟industria dello sport rispetto ai tradizionali
mercati. Una prima, e forse più importante, peculiarità dello sport evidenziata da Neale è costituita
dal fatto che le imprese operanti in questo mercato necessariamente producono un prodotto
congiunto indivisibile.
Le imprese sportive producono un prodotto indivisibile da processi separati di due o più imprese
[ ... ] ma il prodotto in sé si presenta come una mescolanza del tutto peculiare: è divisibile in parti,
ognuna delle quali può essere ed è venduta separatamente ma costituisce anche un prodotto
multiplo, congiunto e indivisibile6.
L‟industria dello sport, infatti, produce competizioni sportive e una competizione è necessariamente
il prodotto della partecipazione di almeno due concorrenti. In termini teorici, questo implica che
qualsivoglia analisi dello sport non possa prescindere dalla considerazione di un‟interazione diretta
tra i diversi agenti. L‟unità di analisi dell‟economia dello sport diviene, quindi, la lega sportiva che
gestisce l‟organizzazione dei diversi campionati e non il singolo club. Secondo Neale, infatti, è la
lega che può essere assimilata all‟impresa tradizionale. È la lega che organizza i campionati e
quindi che crea il prodotto sportivo. In particolare, ogni lega sportiva costituirebbe un monopolio.
Questo nasce dal fatto che, a differenza di altri settori, le singole squadre sono tenute a cooperare.
Invero, le leghe tendono a divenire monopoliste nell‟offerta di un singolo sport. È pertanto
prevedibile una concorrenza reale tra diverse leghe che organizzano diversi sport e non tra diverse
leghe nello stesso sport. Sulla base di questa impostazione, la principale preoccupazione degli
economisti che si occupano di sport è il concetto di equilibrio della competizione (competitive
balance – argomento trattato nel capitolo successivo). Questo modello trova la sua migliore
applicazione negli sport di squadra degli Stati Uniti. L‟organizzazione del campionato
4
Si veda Bof e altri, 2008, cap. 1.
5
Pubblicato nel 1964 sul Quarterly Journal of Economics.
6Neale, 1964, p. 2, trad. Personale. Testo originale: "The sporting firms produce an indivisible product from the separate
processes of two or more firms […]. But the product itself is a peculiar mixture: it comes divisible in parts, each of
which can be and is sold separately, but it also a joint and multiple yet indivisible product".
8
professionistico di basket americano, per esempio, si basa su questo principio. Sloane7 critica
l‟eccessiva enfasi che Neale ha posto sulla mutua interdipendenza tra le squadre. Sebbene Sloane
riconosca che data la loro interdipendenza i club siano indotti a cooperare, sarebbe eccessivo
sostenere che tale cooperazione dia vita a un‟organizzazione così stabile da essere considerata un
monopolio. È, quindi, il singolo club che costituisce l‟oggetto di indagine delle analisi economiche
dello sport di squadra e del calcio in particolare. Avendo riportato a livello dei singoli club la scelta
delle rispettive strategie all'interno di un assetto istituzionale predeterminato, Sloane suggerisce che
l‟ipotesi della massimizzazione dei profitti dell‟impresa sportiva non sia universalmente applicabile.
Sloane parla in maniera più generale di imprese che massimizzano una funzione di utilità con
diversi argomenti tra cui anche il profitto. Altri obiettivi di un club sarebbero: 1. la sopravvivenza;
2. il seguito da parte dei tifosi; 3. il successo nelle competizioni; 4. la salvaguardia della lega di
appartenenza. A ognuno di questi può essere attribuito un “peso” differente. Pertanto, i
comportamenti, e le scelte strategiche dei singoli club facilmente si discostano da quelle che erano
le previsioni di Neale e Rottenberg. Infatti, molti club potrebbero effettuare i propri investimenti
sulla base di motivazioni diverse dal profitto quali il prestigio e l'onore derivanti dal successo.
È abbastanza chiaro che i direttori e i proprietari investono del denaro nel calcio non in vista di un
ritorno monetario ma per motivazioni come la ricerca del potere, il desiderio di prestigio,
l’attitudine a identificarsi con un gruppo e il conseguente sentimento di lealtà nei confronti di
questo8.
Questo tipo di impostazione ha conseguenze notevoli in merito all‟equilibrio della competizione.
Nel mondo descritto da Neale e Rottenberg le squadre più ricche non avrebbero incentivo ad
accumulare la più elevata quota possibile di talento (vale a dire assicurarsi il numero più elevato
possibile dei migliori atleti in circolazione) al fine di non minare la domanda da parte degli
spettatori. Viceversa, nel modello di Sloane l‟ipotesi di spontanea allocazione più o meno eguale di
talento tra le squadre tende a cadere. Questa considerazione ha aperto un filone importante della
letteratura economica degli sport di squadra che solitamente divide le squadre tra quelle che
massimizzano i profitti e quelle che massimizzano il numero di vittorie. È chiaro che nel momento
in cui non tutte le squadre sono interpretabili come imprese che massimizzano i profitti anche
l'equilibrio della competizione dei campionati tende a modificarsi e tutte le tradizionali analisi
economiche applicate ad altre industrie rischiano di risultare fallaci. In particolare, se all‟interno
della stessa lega esistono squadre con diversi obiettivi, questo può rappresentare un‟ulteriore fonte
di squilibrio tra le squadre oltre alle differenti dotazioni di risorse da investire in talento. Questo
tipo di ragionamento è poi particolarmente applicabile alla situazione del calcio europeo
7
Si veda Sloane, 1971.
8Sloane, 1971, p. 134, trad. personale. Testo originale: “it is quite apparent that directors and shareholders invest money
in football clubs not because of expectations of pecuniary income but for psychological reasons as the urge for power,
the desire for prestige, the propensity to group identification and related feeling of group loyalty”.
9
caratterizzato da promozioni e retrocessioni. Infatti, in questi campionati le squadre hanno
necessariamente diversi incentivi. Questo sistema di regole modifica l‟equilibrio della competizione
dei diversi campionati. La differenza tra l‟organizzazione degli sport di squadra nordamericani ed
europei è stata, infatti, oggetto di diversi studi. Ma in che modo è possibile interpretare il fatto che
le squadre non siano imprese che massimizzano i profitti? Per fare questo è necessario richiamare
in primo luogo il concetto di identità. L‟impostazione tradizionale infatti, si basa sull‟idea che le
squadre appartenenti a una lega, al pari di prodotti in un mercato, siano anonime. Ebbene, questo
non corrisponde alla realtà. Molte squadre nel mondo del calcio fanno dell'identità, della storia e del
legame con un territorio un loro tratto distintivo e, quindi, il fondamento della loro strategia di
azione. Un esempio famoso e importante in questo senso è quello del Barcellona9. In secondo
luogo, la rilevanza dell‟identità di una squadra a ben guardare non è separabile dai consumatori del
bene calcio e, quindi, in primo luogo i tifosi. Non a caso nella letteratura economica degli sport di
squadra sta prendendo piede la distinzione tra i tifosi committed (tifosi affezionati o tifosi veri) e
tifosi uncommitted, vale a dire i tifosi (occasionali o sbadati) che seguono il calcio, con diversi
gradi di interesse ma senza particolare passione e trasporto10. Nel caso vi sia una prevalenza di tifosi
affezionati, l'ipotesi di incertezza del risultato tende a non essere confermata. In sostanza, il tifoso
appassionato preferisce assistere a un campionato equilibrato ma non troppo, poiché la sua
9
Il Futbol Club Barcelona o, più semplicemente, Barcelona è una società polisportiva spagnola nota soprattutto per la
sua sezione calcistica. Fu fondata a Barcellona, in Catalogna, nel 1899 da un gruppo di calciatori svizzeri e britannici
guidati da Hans Gamper. La squadra di calcio della polisportiva catalana milita nella Primera División del campionato
spagnolo sin dalla fondazione del torneo e gioca le partite casalinghe nel "Estadi del Futbol Club Barcelona", meglio
noto come Camp Nou. Oltre ad essere una delle formazioni più titolate al mondo, potendo vantare, tra l'altro, 19 titoli di
campione di Spagna, 3 Champions League e 1 Coppa del Mondo per club FIFA, è l'unica compagine calcistica europea
ad avere sempre giocato dal 1955 ad oggi almeno in una delle competizioni europee (Coppa dei Campioni/Champions
League, Coppa delle Coppe, Coppa delle Fiere/Coppa UEFA, Supercoppa Europea) inoltre è il primo club europeo ad
aver disputato tutte e tre le finali delle coppe europee. Nel 2009 il Barcellona è diventato il primo club spagnolo a
centrare il treble vincendo la Liga, la Coppa del Re e la Champions League. Nella seconda parte dello stesso anno ha
vinto la Supercoppa spagnola, la Supercoppa Europea e la Coppa del Mondo per club FIFA, centrando un'impresa unica
nella storia del calcio a livello di club: la vittoria di tutte le competizioni ufficiali a cui abbia partecipato in un anno
solare, in Europa a cavallo di due stagioni. Dal 15 giugno 2003 il presidente è Joan Laporta e dal 1º luglio 2008
l'allenatore della squadra di calcio è Josep Guardiola. Il club è membro fondatore dell'ECA, associazione nata dallo
scioglimento del G-14 per tutelare gli interessi degli stessi club e dei giocatori. Benché sia più famosa per la sezione
calcistica, la società comprende anche altre squadre sportive professionistiche: pallacanestro, pallamano, hockey su
pista, hockey su pattini in linea e football americano. È tra le più titolate polisportive europee. Le singole squadre, tra
cui il Winterthur FC Barcelona, il FC Barcelona-Cifec e i non più attivi FC Barcelona Dragons, sono subordinate alla
sezione calcio e vestono gli stessi colori. Il club annovera altresì squadre sportive amatoriali di rugby, pallacanestro
femminile, calcio femminile e pallacanestro in carrozzina. Le principali sono FCB Rugby, UB-Barça, FC Barcelona-
Institut Guttman. Altre squadre amatoriali rappresentano la società in vari sport: hockey su ghiaccio (Futbol Club
Barcelona Hockey Hielo), calcio a 5 (Futbol Club Barcelona Futsal), atletica, baseball, ciclismo, hockey su prato,
pattinaggio di figura e pallavolo. Da novembre 2009 la società conta oltre 172.000 soci, costituisce il più grande
esempio di azionariato popolare nel mondo, record per un club calcistico. Inoltre è uno dei club più ricchi del mondo:
nella stagione 2007-2008 era il terzo club più ricco del pianeta, con un budget di 308,8 milioni di euro. Uno studio
pubblicato dalla società tedesca Sport+Markt nel 2008 ha stabilito che il Barcellona è il club più amato e popolare
d'Europa, con 50 milioni di tifosi, mentre in Spagna il 25% della popolazione dichiara di tifare per il Barça. Secondo la
rivista americana Forbes, sempre nel 2008, il valore del club è di 784 milioni di dollari (settimo al mondo). Nel 2009 il
club ha reso noto di aver accumulato negli ultimi anni debiti per 438 milioni di euro. Secondo l'Istituto di Storia e
Statistica del Calcio, inoltre, il Barcellona è stato il miglior club del mondo dal 1991 al 2008. Il motto della società è
Més que un club ("Più di un club").
10
Si veda Szymanski, 2004.
10
preferenza sarà particolarmente orientata alla vittoria della propria squadra. Viceversa, nel caso in
cui vi sia una prevalenza di tifosi uncommitted l‟ipotesi dell‟incertezza del risultato quale base della
domanda di calcio tende a essere maggiormente confermata. Al contrario, la presenza di tifosi
affezionati rende la domanda di calcio particolarmente anelastica e l‟ipotesi della preferenza
dell'incertezza del risultato perde la sua portata esplicativa. Alla fine, pertanto, sembra quasi banale
affermare che per analizzare in fondo il mondo del calcio è necessario tenere conto di alcuni fattori
che caratterizzano naturalmente il comportamento di tutti gli attori coinvolti (squadre, giocatori,
tifosi). Ci si riferisce a sentimenti di identità, appartenenza e identificazione che vincolano la
strategia delle squadre, l‟impegno agonistico dei giocatori e l'atteggiamento dei consumatori (tifosi)
nei confronti del bene calcio. Ulteriori approfondimenti delle riflessioni in merito alla natura
economica del calcio non può quindi prescindere da questi elementi.
1.3 Il calcio come bene relazionale
Il calcio non è solo un business miliardario ma anche un‟esperienza umana e sociale che appassiona
per il suo portato emotivo e passionale11. Tutti gli appassionati di calcio hanno sentito raccontare
storie quasi eroiche di partite giocate su improbabili campi da gioco da bambini e adolescenti.
Racconti di indefessi allenatori di periferia che a titolo volontario nel corso di decenni hanno
allevato bambini togliendoli dalla strada portandoli a giocare in terreni fangosi nella speranza di
scoprire un campione. Come si concilia questo mondo fatto di precarietà e improvvisazione
strutturale, gratuità assoluta, sacrificio e senso di identità con il mondo della Serie A, della
Champions League e delle sponsorizzazioni miliardarie? Più precisamente, come sono interpretabili
in chiave economica i legami che tengono insieme la passione e le motivazioni che nascono in un
campo di periferia con quelle che informano il comportamento di atleti professionisti
plurimilionarii. Sarà verosimile quello che hanno sostenuto alcuni osservatori secondo i quali la
naturale evoluzione del calcio è esclusivamente nel senso del business e, quindi, esso non sarebbe
più definibile come un gioco? Si è già detto che questa interpretazione è parzialmente errata.
Invero, nonostante sia innegabile che nei campionati professionistici i club calcistici si siano
trasformati da organizzazioni quasi amatoriali in organizzazioni a fini di lucro, tale deterministica
trasformazione appare lungi dal presentarsi in molti scenari in cui il calcio si vive e si produce.
Definire il calcio semplicemente un business guardando esclusivamente al valore assoluto di
contratti TV, sponsorizzazioni e premi trascura un aspetto importante della natura intrinseca del
calcio ma anche più in generale di molte altre attività sportive. Anche il calcio non professionistico
ha una sua natura economica. Anche tra i giovanissimi, gli amatori, i dilettanti, e tra i campi di
periferia si impiegano risorse monetarie, si creano scambi e si operano scelte in merito alla propria
11
Si veda Bof e altri, 2008 cap. 1.
11
disponibilità di tempo12. Al fine quindi di dare ad esso un‟interpretazione di natura economica più
completa, è possibile fare riferimento a una delle più recenti evoluzioni del pensiero economico e
precisamente la teoria dei beni relazionali.
Negli ultimi anni si sta facendo strada una nuova consapevolezza in merito al comportamento degli
agenti economici. L‟homo economicus tradizionalmente inteso sta perdendo il tradizionale potere
esplicativo della realtà sociale. L'economista, infatti, ha sempre interpretato l'individuo come un
agente economico auto interessato, impegnato a massimizzare la propria utilità rispettando un
vincolo di bilancio. Alla luce delle evidenze sia aneddotiche sia empiriche è oramai chiaro che il
classico modello di homo economicus mostra alcuni limiti importanti. Per inserire nel ragionamento
economico l'anziano allenatore di provincia che a titolo gratuito accompagna i bambini a giocare la
domenica mattina non possiamo non considerare comportamenti quali la dazione volontaria, la
gratuità, ovvero aspetti quali l‟intenzione ideale, l‟amicizia, che apparentemente sono lontani dallo
studio e dalla pratica dell'economia ma che viceversa costituiscono elementi fondamentali della vita
quotidiana di milioni di individui. La teoria dei beni relazionali evidenzia il ruolo e i1 valore
intrinseco assunto dalle relazioni interpersonali. Nei beni relazionali è “la relazione” a costituire il
bene. Essi si costituiscono sulla base della stessa relazione. Bruni13 individua sette caratteristiche
principali caratterizzanti un bene relazionale: l. identità; 2. reciprocità: poiché fondati da una
relazione essi sono tali solo se goduti nella reciprocità; 3. simultaneità: a differenza dei tradizionali
beni di mercato per i quali il momento della produzione e del consumo sono distinti, i beni
relazionali si producono e consumano simultaneamente; 4. motivazioni: il bene relazionale non è
tale se non tiene conto delle motivazioni dei soggetti che vi partecipano; 5. fatto emergente: con
questa espressione si indica il fatto che un bene relazionale emerge, non è semplicemente prodotto;
6. gratuità; 7. bene, il bene relazionale è un bene nel senso che soddisfa ma non è una merce, non
ha un prezzo di mercato. Sulla base di questa impostazione teorica, questa crescente parte della
letteratura economica ha cominciato infatti a considerare una nozione ampia di benessere che
dipende sia dal soddisfacimento dei bisogni materiali sia di quelli relazionali. Esso è generalmente
indicato con il termine anglosassone well-being14 ed è posto in contrapposizione al classico
concetto di welfare15. Nella ricerca del benessere, un ruolo fondamentale è quindi attribuito
12
Si veda in merito il par. 2.4.2.
13
Si veda Bruni (2006).
14
Il cosiddetto “subjective well-being” (SWB), vale a dire la percezione che gli individui hanno della propria vita e del
grado di soddisfazione che provano per essa. Questo indicatore della felicità delle persone, per quanto sintetico, ha il
vantaggio d‟essere stato rilevato da diversi decenni e in molti paesi del mondo. Studi empirici evidenziano che il SWB
stenta a crescere nel tempo in diversi paesi, come il Giappone, o diminuisce, come negli USA, nonostante che il reddito
pro-capite abbia avuto una evidente tendenza a crescere . Ciò costituisce per gli economisti un paradosso, chiamato
“paradosso della felicità” o "paradosso di Easterlin", in quanto gli economisti sono abituati a pensare al reddito come ad
un buon indicatore di benessere.
15
Lo Stato sociale o Stato assistenziale, conosciuto anche come welfare state (stato di benessere tradotto letteralmente
dall'inglese), è un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche fra i
cittadini, aiutando in particolar modo i ceti meno benestanti.
12
esattamente alla soddisfazione dei bisogni relazionali, soprattutto nelle economie avanzate, dove la
soddisfazione dei bisogni materiali ha ormai raggiunto livelli importanti. L‟esempio che Bruni
presenta per spiegare il concetto di bene relazionale è quello di una cena. Una cena può avere un
valore strumentale laddove sia interpretata come un mezzo per raggiungere altri fini (per esempio,
una cena d‟affari). Al contempo, una cena può essere un bene relazionale nel momento in cui essa
non abbia alcune fine strumentale ma rappresenti un bene in sé, come per esempio una cena tra
amici. In questo secondo caso, gli amici che partecipano alla cena producono e consumano
contestualmente il bene relazionale “cena tra amici”. Tutti gli amici godono contestualmente della
relazione che emerge. In assenza di qualsivoglia motivazione strumentale, la cena tra amici sarà
caratterizzata dalla gratuità, vale a dire, da una forma di dazione unilaterale da parte di ognuno dei
partecipanti. A ben guardare tutti questi elementi sono presenti nel mondo dello sport e quindi
anche nel calcio, in particolare nelle sue forme amatoriali, dilettantistiche e giovanili. È infatti
chiaro che molto spesso gli allenamenti, le partite, la stessa organizzazione dei tornei rappresentino
dei beni in sé che non possono essere scambiati come una merce poiché rappresentano una
relazione. La “partitella” tra amici è chiaramente un bene relazionale, ma lo sono anche le partite
dei giovanissimi e le già citate competizioni in fangosi campi di periferia. Il dato importante,
comunque, è che il calcio può essere interpretabile per mezzo delle sue componenti relazionali
anche nella sua dimensione professionistica. Anche a livello professionistico, molti atleti infatti
sono guidati nelle loro scelte di impegno agonistico non solo dalla massimizzazione di un‟utilità
legata alla remunerazione monetaria. Sia i calciatori sia i sostenitori di una squadra contribuiscono
alla produzione del gioco calcio in maniera spesso gratuita. Inoltre, si è già detto della distinzione
tra tifosi affezionati e tifosi sbadati. L‟importanza dei tifosi affezionati è spiegabile avendo riguardo
alla componente relazionale. I tifosi non sono semplici consumatori del prodotto calcio. Essi per
molti aspetti partecipano alla produzione del prodotto e il loro comportamento è decisamente
caratterizzato dall‟esistenza di gratuità, identità e motivazioni. Un elemento assente nell‟analisi di
Bruni è, però, quello relativo alla capacità delle motivazioni di essere riconoscibili. Perché un bene
relazionale emerga da un‟interazione esso deve essere riconosciuto come tale. Se è vero che le
identità dei produttori e consumatori di un bene relazionale rilevano sarà anche vero che le azioni
dei singoli soggetti siano perfettamente riconoscibili. Si ritorni all‟esempio della cena portato da
Bruni. Come detto in precedenza una cena può essere considerata un bene relazionale nel momento
in cui l‟incontro non sia un mezzo per il raggiungimento di altri scopi (per esempio cena d‟affari),
ma costituisca un fine in sé. Ma perché il bene relazionale sia consumato è necessario che esso sia
riconoscibile tra tutti i partecipanti. Nel caso della cena è necessario che tutti i partecipanti alla cena
si riconoscano come produttori/consumatori di un bene relazionale. Devono quindi, tutti,
riconoscersi come partecipanti a una cena tra amici e non ad una cena d‟affari. Laddove questo non
13
accada la produzione del bene relazionale ne può risultare compromessa. Discorso analogo può farsi
per il calcio. Anche in una competizione giovanile è possibile che la produzione del bene
relazionale risulti compromessa nel momento in cui le motivazioni ideali e le componenti di
reciprocità non siano perfettamente riconoscibili. Questo può derivare oltre che da un‟asimmetria
informativa tra i protagonisti (allenatori, giocatori) anche da un‟asimmetria nelle motivazioni. Un
incontro giovanile che per alcuni può costituire esclusivamente un momento di benessere
individuale, per altri può rappresentare un momento strumentale alla scoperta di nuovi talenti da
inserire nel mondo del calcio professionistico. Queste considerazioni in merito alla natura
relazionale del calcio a tutti i livelli conduce necessariamente a un importante distinguo teorico. Il
calcio non può essere considerato un bene relazionale “puro”. Appare chiaro a questo punto quello
che si era anticipato nei precedenti paragrafi, vale a dire che il calcio ha una natura “multipla” e non
è perfettamente inquadrabile in un‟unica categoria teorica, ma è per sua natura un bene ogni volta
diverso a seconda che esso presenti differenti intensità sia della sua componente relazionale sia
della sua natura di bene mercato. Il calciatore professionista e il calciatore amatoriale stanno
producendo lo stesso bene con la sola differenza che per il professionista la componente di mercato
sarà preponderante laddove per l‟amatore sarà la componente relazionale a presentare una maggiore
intensità. In particolare, si noti il fatto che se si ammette che il calcio possa presentarsi con diverse
intensità delle due componenti, non dovrebbe essere esclusa dal punto di vista teorico la possibilità
che una delle due componenti sia nulla laddove l‟altra informi perfettamente la produzione del bene
calcio, In altre parole, esistono dei casi estremi in cui il calcio è configurabile esclusivamente come
bene di mercato puro o come bene relazionale puro? La risposta segue a una semplice
considerazione. Il calcio in qualsivoglia delle sue manifestazioni non potrà mai essere considerato
un bene anonimo così come sono interpretati i tradizionali beni di mercato. Banalmente, una partita
tra Inter e Milan sarà sempre diversa da una partita tra Roma e Juventus. È possibile, quindi,
affermare che se il calcio possa emergere come un bene relazionale puro, di converso esso non è
mai configurabile come un bene di mercato puro. Quindi possiamo ammettere la possibilità che il
calcio si manifesti come bene relazionale puro (la partitella tra amici), nel contempo, esso non sarà
mai interpretabile alla stregua di un bene di mercato puro. In ultima analisi, è possibile a questo
punto legare insieme le riflessioni svolte e definire il calcio come: un bene congiunto indivisibile
prodotto e consumato simultaneamente da una pluralità di agenti che presenta sia le caratteristiche
di un bene di mercato sia le caratteristiche di un bene relazionale. Tutte le componenti presentano
intensità variabili, ma la componente relazionale non può mai essere nulla16.
16
Si veda Bof e altri, 2008, cap.1.
14
1.4 Lo sport come bene pubblico
Lo sport inteso come successo sportivo a livello internazionale può essere considerato un bene
pubblico che genera esternalità positive17. Secondo la Carta Bianca sullo Sport e le Attività
ricreative: “il successo nello sport a livello internazionale ha un grande valore per la comunità non
solo in termini del suo apporto alla moralità di un Paese ma perché rappresenta un incentivo per i
giovani a prendere parte attiva nello sport”. I benefici sociali del successo sportivo a livello
internazionale possono essere identificati nel senso di orgoglio e di appartenenza che si genera in
una Nazione, nella popolarità che un Paese guadagna e che si traduce in un immagine forte e
positiva a livello internazionale e quindi in migliori rapporti, anche commerciali, con gli altri Paesi
e nell‟effetto dimostrazione che fa sì che più persone partecipino attivamente allo sport. Sappiamo
che un bene può definirsi pubblico se è verificata la non rivalità “nel” e la non escludibilità “dal”
consumo. Non essendo possibile escludere qualcuno dal godimento dei benefici del successo a
livello internazionale è verificata la non escludibilità dal consumo ed inoltre, poiché tutti i membri
di una Nazione possono condividere i benefici senza creare congestione, é verificata anche la non
rivalità nel consumo. Essendo verificate le caratteristiche proprie dei beni pubblici, il mercato
lasciato libero di “lavorare” produrrebbe una quantità insufficiente di successo nello sport mentre lo
Stato, intervenendo, può produrne una quantità adeguata ed inoltre può assicurarsi che coloro che ne
beneficiano paghino per il consumo attraverso un meccanismo di tassazione, evitando così il
fenomeno del “free-riding”18.
1.5 L‟intervento dello Stato
L‟intervento dello Stato nel mercato dello sport, dal lato dell‟offerta, è spiegato nell‟ambito della
logica dei fallimenti del mercato: si ritiene infatti che lo sport abbia, più o meno a seconda degli
sport a cui ci si riferisce, alcune caratteristiche di bene pubblico e che inoltre produca effetti esterni
per la collettività19. Le caratteristiche della non escludibilità e della non rivalità fanno sì che nel
determinare la quantità ottima da prodursi di un bene pubblico, non si possa ragionare in una
semplice logica di mercato ma si debba fare riferimento ad uno schema dove la domanda
complessiva, diversamente che nel caso dei beni privati, non è la somma orizzontale delle domande
individuali ma la somma verticale di tali domande: la quantità complessiva del bene che verrà
fornita dal settore pubblico sarà, così, maggiore di quella che produrrebbe un mercato “privato”.
Quando un bene genera benefici sociali oltre a quelli privati, sappiamo che di nuovo il mercato non
risulta efficiente nel produrlo. La quantità di sport determinata dalle forze di mercato sarà inferiore
a quella ottimale ed il mercato non risulterà efficiente poiché nel raffrontare costi e benefici tiene
17
Si veda Ciarrapico, 2009, cap.1.
18
Ovvero che qualcuno usufruisca del bene senza pagarne il prezzo.
19
Si veda Ciarrapico, 2009, cap.1.
15
conto unicamente dei benefici privati e non dei benefici sociali. Nel dibattito sul bene sport è anche
emersa l‟idea che tale bene possa essere considerato un bene meritorio (merit good)20. Musgrave21
evidenzia come lo Stato, attraverso le sue burocrazie, individuati gli obiettivi di politica economica,
segnala il carattere meritorio di alcuni beni. Riguardo a tali beni lo Stato assume un atteggiamento
paternalistico decidendone la quantità ottima da produrre nel perseguimento dell‟obiettivo della
massimizzazione del benessere sociale. I beni meritori sono, quindi, beni rispetto ai quali il
principio della scelta del consumatore è abbandonato e la cui quantità viene decisa dallo Stato.
Studi epidemiologici evidenziano che la pratica regolare di sport o esercizio fisico riduce il rischio
che insorgano disturbi cardiaci, ansia e depressione nonché ipertensione. Anche i risultati di
indagini sul comportamento delle famiglie evidenziano gli effetti benefici della partecipazione allo
sport sulla salute e mettono in luce che un‟alta percentuale degli intervistati ritiene importante fare
esercizio fisico ovvero praticare sport. Sembra quindi riconosciuto indiscutibilmente che è
importante fare sport. Ma ci può essere un‟errata percezione da parte degli individui riguardo gli
effettivi benefici dello sport. Gli individui, infatti, possono credere che il livello di esercizio fisico
che praticano sia quello appropriato anche quando così non è. Lo Stato, in tal caso, può intervenire
per “educare” gli individui dando loro le corrette informazioni e direttive riguardo la natura dei
benefici derivanti dall‟esercizio fisico oppure sovvenzionando opportunità sportive rilevanti ai fini
della salute22. Lo sport, data la sua rilevanza sociale, può allora essere considerato come un bene
meritorio. Lo Stato, quindi, si sostituisce al mercato ed assume un ruolo educativo spronando i
consumatori a fare maggiore esercizio fisico o coloro che non praticano sport a partecipare al
mondo dello sport.
20
Sono beni meritori (merit goods) quei beni la cui fornitura e consumo è incoraggiato dallo Stato per la loro valenza
sociale.
21
Si veda Musgrave, 1995.
22
Sport, crimine e sviluppo economico. Nei programmi sociali governativi di vari Paesi, europei e non, si evidenzia
spesso un legame tra sport e crimine nel senso che si ritiene che la partecipazione allo sport possa allontanare dal
crimine coloro che altrimenti potrebbero essere portati a compiere atti di delinquenza o vandalismo. La partecipazione
allo sport si ritiene possa avere particolarmente rilevanza per la classe degli uomini giovani: lo sport potrebbe indiriz-
zare tali soggetti verso un' occupazione del tempo libero costruttiva piuttosto che distruttiva. Programmi sociali, statali,
basati sullo sport e che si pongono 1'obiettivo di promuovere 1'auto considerazione, di incentivare il senso di
responsabilità e quindi di fare un uso costruttivo del proprio tempo libero risulterebbero, quindi, auspicabili. Dai pochi
dati disponibili, non è però possibile dedurre se il beneficio sociale (riduzione del crimine) superi o meno il costo
sociale ovvero il costo dell' attuazione dei programmi di "riabilitazione" tramite lo sport. Un'altra possibile
giustificazione dell'intervento dello Stato volto a promuovere e produrre sport è che lo sport può fungere da promotore
dello sviluppo economico. Lo Stato può investire in infrastrutture sportive, fornendo sport, per permettere la
rivitalizzazione e lo sviluppo di "zone" (città, regioni, etc.) depresse. Creare infrastrutture sportive può significare
ospitare eventi sportivi di rilievo e promuovere attività ricreative sportive che stimolino il turismo e creino occupazione.
Anche in questo campo l'evidenza empirica non permette di dare risposte definitive riguardo il reale beneficio, al netto
dei costi, di programmi statali di sviluppo basati sulla promozione dello sport.