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Dal punto di vista strutturale, si pone il problema di assicurare stabilità e
resistenza alle palancole infisse per la realizzazione della vasca di deposito in
presenza di mareggiate intense, durante le quali si esercitano rilevanti
pressioni dinamiche. Sulla base di studi e di indagini sperimentali su
configurazioni strutturali analoghe a quella in esame, sono state proposte
espressioni analitiche per la descrizione delle azioni agenti. Assumendo
l’azione ondosa corrispondente ad un tempo di ritorno pari a un anno, la
soluzione con palancole a sbalzo del tipo usualmente impiegato, pur con
adeguata lunghezza di infissione, si rivela non idonea dal punto di vista della
resistenza statica. Occorre quindi prevedere o un sovradimensionamento delle
palancole o l’introduzione di dispositivi di vincolo in sommità.
Un’altra problematica connessa alle operazioni di cantiere sono le riper-
cussioni negative dal punto di vista dell’impatto ambientale conseguenti al
manifestarsi di torbidità generata dalle particelle fini messe in sospensione
durante lo scarico della sabbia dalla draga all’interno del palancolato.
Un’indagine analitica è stata sviluppata con un modello implementato su un
codice di calcolo agli elementi finiti in grado di rappresentare l’interazione tra
il fenomeno della propagazione del moto ondoso nell’area e quello della
diffusione-convezione del sedimento sospeso. Alcuni dei parametri di input
per il modello sono stati ricavati a seguito di un’indagine sperimentale in sito
basata sul prelievo di campioni di acqua torbida durante le operazioni di
sversamento della sabbia.
I campioni sono stati analizzati presso il laboratorio del Dipartimento Tecnico
della Sezione Provinciale di Ravenna dell’ARPA; ciò ha consentito la
determinazione di un coefficiente di dispersione, difficilmente deducibile dalla
letteratura tecnica, necessario per l’implementazione del modello.
I risultati dell’elaborazione mostrano che la torbidità si attenua ad una distanza
relativamente piccola dalla zona di sversamento, situata a circa 300 m da riva.
Dal punto di vista dell’impatto ambientale, il fenomeno è poco significativo se
confrontato con la situazione che si determina a causa della dispersione in
acqua della sabbia depositata in battigia.
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2. INTRODUZIONE
2.1. Inquadramento delle problematiche
La linea costiera della regione Emilia-Romagna è lunga circa 130 km e si
estende dalle Bocche del Po di Goro alla foce del fiume Tavollo, situata fra
Cattolica e Gabicce. Dal punto di vista amministrativo, questo territorio è
suddiviso fra 14 comuni che fanno parte di 4 province: Rimini, Forlì-Cesena,
Ravenna e Ferrara.
La caratteristica morfologica più evidente è la presenza ininterrotta di un
litorale basso e sabbioso; anche per questo motivo la costa costituisce
un’importante risorsa poiché ha dato vita ad una vera e propria “industria”
turistico-balneare che conta, attualmente, oltre 40 milioni di presenze annuali.
La sabbia è l’elemento più importante ai fini del mantenimento dell’equilibrio
del litorale. Se gli apporti di sabbia sono superiori alla capacità ridistributiva
del mare la spiaggia avanza, diversamente viene erosa e arretra. Pur con stasi e
arretramenti locali, negli ultimi 6000 anni la linea di costa è sempre avanzata.
Nel corso del '900 vi è stata però un’inversione di tendenza e l’erosione ha
interessato quasi tutte le spiagge regionali (ben 105 dei 130 km di litorale
negli ultimi 70 anni), favorendo la regressione della linea costiera [Preti, 2002,
1].
Purtroppo il territorio non è in grado di assorbire questa inversione, a causa
della forte urbanizzazione che, oggi, riguarda almeno 80 km di litorale, di cui
55 km, tra Cattolica e Lido di Classe, senza soluzione di continuità. Soltanto
una fascia di 20 km, a nord della foce del Po di Volano, non è interessata da
insediamenti urbani [1].
Sono infatti pesanti gli effetti dello sviluppo edilizio sul sistema ambientale
litoraneo: molte dune sono state spianate, le superfici boschive fortemente
ridotte e le spiagge in buona parte occupate da edifici e stabilimenti balneari.
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Ma, come detto, gli interventi dell’uomo hanno anche interferito con la
naturale evoluzione della linea costiera.
I primi processi di urbanizzazione erano strettamente legati allo sviluppo del
trasporto marittimo, che portò alla costruzione di lunghe barriere frangiflutti
alle entrate dei porti; questi ultimi erano frequentemente situati in
corrispondenza delle foci dei fiumi per cui le barriere frangiflutti
inevitabilmente interferivano, oltre che con il trasporto solido lungo costa,
anche con quello fluviale. L’alterazione dei flussi lungo riva così attuato e gli
elevati valori di subsidenza (abbassamento di circa 1 m di quasi tutta la fascia
di litorale) indotta dall’estrazione di acqua e metano hanno fortemente
accentuato il grado di vulnerabilità della zona costiera.
Foto 2.1 – Inefficacia delle barriere trasversali a Lido di Spina
A partire dagli anni ’30, con lo scopo di contrastare questi fenomeni, sono
state realizzate su iniziativa dello Stato italiano opere di difesa dall’erosione
per uno sviluppo complessivo di 65 km e opere di contenimento delle
ingressioni marine per circa 30 km. Questo grande sforzo, se da un lato ha
permesso di bloccare in buona misura l’avanzata del mare, dall’altro ha
prodotto una marcata alterazione dei caratteri paesaggistico-ambientali
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originali dell’area. Ad esempio le scogliere longitudinali emerse, una delle
opere maggiormente impiegate, sono utili per ridurre l’energia dell’onda
incidente e per interferire con il trasporto di sedimenti lungo costa; allo stesso
tempo però si sono rivelate esse stesse causa di erosione in quanto spostano il
fenomeno sui litorali limitrofi, spesso non protetti.
Per contrastare il degrado del litorale e salvaguardare il turismo, la Regione
Emilia-Romagna ha avviato nel 1979 una politica innovativa, basata sulla
rimozione delle cause dell’erosione e sulla difesa dei tratti critici con il
ripascimento artificiale in alternativa alle opere rigide. Mettendo in pratica
questi due principi, il Piano Coste, predisposto dalla società Idroser nel 1981
per conto della Regione, mirava proprio a ridefinire la politica di intervento
adottata fino ad allora, per evitare la scomparsa della spiaggia naturale, la più
pregiata ai fini del turismo balneare.
Un nuovo piano costiero (1996) ha stabilito che il bisogno di ripascimento per
il mantenimento della linea di riva è dell’ordine dei 2 milioni di m3 all’anno: la
reperibilità di materiale di elevata qualità ed a basso costo è quindi il
principale problema da risolvere. Il prezzo elevato del materiale di cava,
l’impatto ambientale del trasporto via terra e soprattutto l’insufficienza dei
punti di approvvigionamento rispetto al fabbisogno hanno portato nel 2000 la
Regione a finanziare il primo intervento di ripascimento con sabbie
sottomarine [1].
Attualmente sono stati individuati depositi di sabbia sommersi ma, per la
mancanza di risorse economiche, solo un decimo della quantità di materiale
necessaria è stata portata alle spiagge, con l’ovvia conseguenza di una
generale erosione delle spiagge ancora attiva. Una fonte non trascurabile di
sedimenti è costituita dalla sabbia dragata in corrispondenza delle imboccature
dei porti, sabbia che in altre regioni viene spesso male utilizzata o dispersa al
largo. Il materiale che si deposita nelle entrate dei porti, infatti, altro non è che
la frazione più fine della sabbia presente nelle spiagge e movimentata dal
trasporto lungo riva: si tratta perciò di materiale di ottima qualità, seppure un
po’ più fine.
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2.2. Linee di intervento
Alla fine dell’800 la striscia di sabbia che costituiva il litorale della Regione
Emilia-Romagna era larga anche più di 100 m, orlata da dune verso terra e
interrotta unicamente da circa 15 foci di fiumi e canali. Quindi la linea di
costa, lungo la quale gli attuali centri abitati non erano altro che semplici
villaggi di pescatori, era ancora in condizioni del tutto naturali: il litorale
poteva avanzare e arretrare senza causare danni, in funzione dell’incidenza dei
fattori che ne determinavano l’evoluzione. In sostanza, periodi più o meno
lunghi di piogge provocavano l’avanzamento della linea di costa, mentre
periodi di siccità accompagnati da forti mareggiate ne causavano
l’arretramento [Approvazione GIZC, 2005, 2].
Nel corso del secolo successivo però il marcato sviluppo del sistema
economico-produttivo dell’area costiera ha prodotto un altrettanto forte
indebolimento del sistema ambientale litoraneo. I manufatti realizzati
dall’uomo hanno irrigidito un sistema per natura molto flessibile, riducendone
l’efficacia protettiva nei confronti degli stessi insediamenti rispetto all’azione
del mare.
In particolare, la lunga spiaggia bassa e sabbiosa è stata frazionata nel corso
del '900 dai lunghi moli di alcuni porti quali Rimini, Cesenatico, Ravenna e
Porto Garibaldi. Queste opere hanno interrotto l’unitarietà del sistema
originario poiché, a causa della loro lunghezza, risultavano essere ostacoli
praticamente insormontabili per il flusso naturale dei sedimenti costieri.
Ciò nonostante, il sistema litoraneo regionale mantiene caratteri di unitarietà e
continuità, a terra e a mare, tali da rendere indispensabile un approccio
gestionale e programmatico unitario. Tale approccio è suggerito dal fatto che
questo sistema ambientale svolge le funzioni di difesa del territorio e degli
ambienti retrostanti, è supporto indispensabile all’economia turistico-balneare
ed ha un elevato valore paesaggistico-ambientale.
Infatti le attività umane nelle zone costiere (industria, turismo, agricoltura,
pesca, acquicoltura, produzione energetica) tendono a svilupparsi insieme
sulla stretta fascia litorale entrando in conflitto tra loro e con le esigenze di
tutela degli ambienti naturali e del paesaggio. Purtroppo le forti variazioni
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stagionali dell’attività turistica e delle pressioni ambientali ad essa associate
costituiscono una complicazione supplementare per uno sviluppo sostenibile
delle zone costiere.
E’ evidente che solamente operando con visione d’insieme si potranno
salvaguardare questi aspetti basilari e ottimizzare le risorse. La necessità di
una migliore gestione sfocia in normative specifiche, strategie e piani di
assetto regionali, studi, inventari e ricerche, misure legislative e strumenti la
cui applicazione dovrebbe contribuire alla protezione dell’ambiente litoraneo.
Nella pubblicazione della Comunità Europea "Qualità delle zone costiere
(Lussemburgo 2001)" bene si illustra che "gli sforzi per superare il mare sono
quasi sempre votati al fallimento. È per questo che le tecniche moderne di
gestione delle coste cercano di lavorare in relazione con la natura piuttosto
che lottare contro essa. Le battaglie condotte contro il mare si sono a volte
concluse con un aggravarsi dei problemi riguardanti le zone costiere piuttosto
che con la loro risoluzione” [Quaderno tecnico BEACHMED, fase A, 2004,
3].
In particolare dunque occorre far fronte ai fenomeni erosivi con nuovi sistemi,
che non devono provare a contrastare direttamente gli equilibri naturali o i
nuovi equilibri generati a grande scala dalla realizzazione di infrastrutture sul
territorio.
Occorre certamente operare con prospettiva ampia su molti fattori: il ripristino
del trasporto solido dei fiumi nella misura migliore possibile, la gestione
corretta dei lavori e degli stock sabbiosi lungo i litorali (porti, foci armate), la
difesa e la ricostruzione dei complessi dunari. Tuttavia l’esigenza di
trasformare la filosofia d’approccio "pesante" (frangiflutti o dighe in
calcestruzzo) con sistemi flessibili ed adattabili, come la colmata delle spiagge
con sabbia marina, deve essere ormai un imperativo nella pianificazione degli
interventi sui litorali.
La Regione, che ha avuto dallo Stato le competenze per la difesa costiera nel
2001, deve quindi dotarsi di strumenti idonei ad attuare politiche di intervento
e di gestione della costa basate su un approccio unitario alle diverse
problematiche del territorio, che posso risultare correlate tra loro.
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Per tutti questi motivi è emerso il bisogno di adottare una gestione integrata
delle zone costiere, che è anche il principio ispiratore di un Progetto Regionale
(denominato appunto GIZC) del quale si possono individuare, tra le altre, le
seguenti linee di intervento:
- Adozione una prospettiva ampia per trattare problemi tra di loro
interconnessi;
- Impegno ad operare quanto più possibile in sinergia con gli elementi
naturali;
- Partecipazione di tutte le strutture amministrative competenti;
- Utilizzo di differenti strumenti operativi (legislativi, pianificatori,
economici, informativi, etc.).
Anche la Comunità Europea riconosce che “per dare buoni risultati, la
gestione delle zone costiere deve comprendere in modo esplicito l'incertezza
legata al futuro della regione e promuovere politiche flessibili ed adattabili.
Una buona pianificazione ed una buona sistemazione delle zone litorali si
fondano anche su ciò che si chiama "il principio di precauzione". Ai sensi di
questo principio, i responsabili politici devono cercare di anticipare i danni
suscettibili di essere causati alle regioni costiere anziché attendere che le cose
precipitino per tentare di risanare la situazione. Il principio di precauzione
prevede anche che i responsabili politici debbano dare prova di circospezione
se non sono interamente sicuri che un progetto non danneggerà il litorale.
Quest'approccio è particolarmente importante nelle zone sottoposte alla
minaccia potenziale di un'espansione urbana o di un'infrastruttura turistica
importante” [3].
Dunque una gestione unitaria e lungimirante del territorio costiero, non
soltanto perché suggerita dalle istituzioni anche a livello nazionale ed europeo,
deve costituire la via maestra verso la risoluzione dei problemi ambientali,
tanto più in Emilia-Romagna dove il litorale costituisce una risorsa
eccezionale dal punto di vista turistico ed economico.