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contrario, conosceva spesso anche un gran numero di particolari remoti o sgraditi che
col tempo, oppure a causa di un rimaneggiamento psichico di derivazione traumatica,
erano apparentemente caduti nell‟oblio.
Sul finire dell‟ottocento, Pierre Janet, meglio di altri studiosi a lui contemporanei, fu
in grado di esporre compiutamente i risultati degli esperimenti che si effettuavano da
almeno un secolo e con particolare fervore in Francia: egli elaborò una teoria dettagliata
che mantiene ancora oggi tutta la sua validità e che ritroviamo pressoché intatta tra i
costrutti e le definizioni rivedute di autori a lui posteriori e a noi più noti.
Tuttavia gli straordinari successi e i riconoscimenti tributati a questo giovane
ricercatore si esaurirono rapidamente nel giro di pochi anni e oggi ci risulta difficile
rinvenire un riferimento bibliografico alle sue opere nella letteratura psicologica a lui
successiva.
Il perché di questa enorme lacuna sarà l‟argomento che verrà trattato all‟interno del
secondo capitolo, dove verrà tentato anche un raffronto con Freud, con particolare
riferimento al cosiddetto metodo catartico di cui entrambi gli autori rivendicarono con
veemenza la paternità.
Molte ricostruzioni storiche individuano proprio nell‟ascesa della psicoanalisi la
principale ragione che portò alla perdita d‟interesse verso l‟analisi psicologica (ibidem),
ovvero verso l‟approccio teorico e curativo proposto da Janet.
Nel terzo capitolo approfondiremo i temi trattati dallo psicologo francese in modo da
familiarizzarci ulteriormente con i suoi concetti e la sua terminologia. Ci serviremo di
svariati esempi tratti dalla sua prassi terapeutica e non potremo fare a meno di percepire
chiaramente le numerose somiglianze ma anche alcune importanti differenze con le idee
e la tecnica messa a punto da Freud solo alcuni anni più tardi.
Il quarto capitolo sarà dedicato all‟evoluzione della teoria e delle strategie applicate
da Janet. Questi, esauritosi l‟interesse per le dinamiche isteriche che possono essere
trattate facendo ricorso all‟ipnosi, nei primi anni del novecento dovette necessariamente
cimentarsi con le problematiche di pazienti che mantengono una certa capacità di
esperire correttamente gli eventi del mondo reale ma, conseguentemente, risultano
anche refrattari alle suggestioni ipnotiche, ovvero non posseggono quella debolezza
psichica così accentuata da permettere loro di lasciarsi trasportare con facilità all‟interno
di uno stato sonnambulico artificiale.
Infine, nel quinto capitolo, affronteremo le dinamiche relazionali della coppia
terapeutica. L‟importanza del rapporto tra medico e paziente era stata considerata da
alcuni pionieri del condizionamento ipnotico che – al contrario di molti altri - si erano
dimostrati sensibili alle reazioni emotive dei loro pazienti. Questi antichi guaritori
VII
avevano così percepito e sottolineato con correttezza le potenziali ripercussioni positive
e negative della conduzione del dialogo terapeutico sull‟esito della cura.
Pierre Janet rielabora queste prime osservazioni adattandole al proprio modo di
condurre la terapia che è sostanzialmente direttiva e riconosce le particolari reazioni
emotive innescate nel paziente dall‟interazione con la figura del terapeuta, quelle stesse
reazioni improntate alla dipendenza ed alla fuga che saranno poi approfondite da Freud
con le sue preziose intuizioni inerenti al transfert.
Il testo ci riconsegna l‟immagine di Pierre Janet come figura egregiamente
rappresentativa dell‟evoluzione della psicologia dinamica contemporanea ma, nello
stesso tempo riporta la stessa figura all‟interno di una cornice nella quale i progressi
delle discipline psicologiche sono riconsiderati quale conseguenza della passione e
dell‟impegno di una moltitudine di ricercatori più o meno conosciuti o dimenticati che
si sono susseguiti nel tempo.
Di volta in volta le teorie già consolidate negli anni precedenti hanno rappresentato il
punto di partenza di ulteriori sperimentazioni attraverso le quali è stato poi possibile
integrare, modificare e arricchire - in certi casi anche sostanzialmente - i paradigmi
esistenti, creando una nuova e più completa base di analisi e sperimentazione per la
generazione successiva.
Questo processo che immaginiamo non potrà mai definirsi realmente terminato sta
guidando l‟essere umano nella direzione di una comprensione della psiche che,
ancorché lacunosa, è destinata a divenire nel tempo sempre più esauriente e dettagliata.
VIII
INTRODUZIONE
Pierre Janet nasce a Parigi nel 1859, ovvero tre anni dopo la nascita di Sigmund Freud.
L‟opera del ricercatore francese, laureatosi prima in filosofia (1889) e poi in
medicina (1893), viene abitualmente considerata quale integrazione tra le teorie
magnetiche che caratterizzarono i primordi della psichiatria dinamica e la prospettiva
scientifica della psicologia e della medicina accademica di fine ottocento.
D‟altro canto sarà lo stesso Janet a riportare al mesmerismo anche le radici della
paradigma freudiano, rinvenendo le stesse “nel magnetismo animale francese. La
psicoanalisi è oggi l‟ultima incarnazione di queste pratiche sia magiche che
psicologiche” (1923, tr. it. p. 42).
Il pensiero di Pierre Janet fiorisce all‟interno di un clima culturale, quello francese,
che si distingue in ambito clinico per il rigore con cui viene sostenuta l‟esigenza di
sperimentazione scientifica. Tale esigenza, nata in campo medico, finisce col permeare
di sé anche le altre discipline: essa emana così dalla medicina alla psicologia, passando
attraverso la neurologia (Cfr. Hearst, 1979).
Janet non resterà insensibile al bisogno di assecondare le esigenze di rigore
scientifico dettate dalla necessità di dimostrare con osservazioni precise e dettagliate i
presupposti teorici sostenuti nei suoi scritti.
Egli sarà anzi critico nei confronti della psicoanalisi ed in particolare di quel Freud
che, a suo modo di vedere, a più riprese, si era appropriato indebitamente delle sue
scoperte, rivendicandone con autorevolezza una discutibile paternità: nello sferrare i
suoi attacchi, Janet troverà terreno fertile proprio nel più classico dei talloni d‟Achille
dell‟edificio teorico freudiano, quell‟impossibilità di verificarne gli assiomi che da
sempre è stata fonte di critica e messa in discussione da parte dei detrattori del metodo
psicoanalitico.
Rifacendosi al paragone col magnetismo, Janet affermerà che la teoria freudiana “ne
conserva i caratteri, l‟immaginazione e l‟assenza di critica, l‟ambizione invadente,
l‟andamento epidemico, la lotta contro la scienza ufficiale” (1923, tr. it. p. 42).
Sono passati solo pochi anni da quando alcuni disturbi psichici, non riconducibili ad
un danno organico riconoscibile, sono stati ricondotti a patologie di tipo isterico. Prima
di allora, l‟alternativa all‟ipotesi organica si era limitata a cogliere nella teatralità
isterica una perversa richiesta di attenzioni mediata dalla volontarietà di chi, in tutta
IX
mala fede, si professava mentalmente debilitato al fine di approdare a qualche forma di
riconoscimento personale, quale ad esempio la riscossione del premio assicurativo a
seguito di incidente.
Finalmente tali patologie, studiate in particolare da due illustri neurologi francesi,
ovvero Jean Martin Charcot (1825-1893) alla Salpêtrière di Parigi e Hippolyte
Bernheim (1840-1919) a Nancy, vennero considerate modificabili attraverso il metodo
dell‟ipnosi, evoluzione delle teorie magnetiche che l‟avevano preceduto.
Charcot era partito dal tentativo di identificare le caratteristiche specifiche dei
sintomi isterici che sembravano legati a lesioni del sistema nervoso, come le anestesie e
le paralisi più o meno diffuse.
In seguito aveva mantenuto la convinzione di un substrato organico del sistema
nervoso quale predisposizione all‟isteria, ma aveva distinto, tra le anestesie e le paralisi,
quelle dinamiche da quelle organiche, ovvero legate direttamente alla lesione.
Le prime, pur essendo connesse ad un‟alterazione del sistema nervoso, potevano
essere riconosciute anche solo clinicamente, senza la necessità di ricorrere ad esami
anatomici o fisiologici, ed erano trattabili con l‟ipnosi.
Verso la fine dell‟ottocento, l‟aumento degli incidenti causato dall‟introduzione dei
moderni mezzi di trasporto aveva portato i neurologi dell‟epoca a rivolgere la loro
attenzione alle paralisi traumatiche. Particolarmente diffuse erano quelle derivate da
lesioni alla spina dorsale e al cervello a seguito di incidente ferroviario (Cfr. Rizzi,
1976). Nelle sue lezioni del 1884-85, Charcot aveva mostrato come una paralisi non
fosse da considerarsi necessariamente ed esclusivamente quale conseguenza di un
incidente, ma potesse essere piuttosto derivata da una serie di ricordi che permanevano
nella mente del malato a seguito dell‟evento traumatico che gli era occorso. In questo
modo, Charcot rendeva ancora più evidente la distinzione tra le paralisi organiche e
quelle dinamiche o funzionali.
Di seguito, il neurologo francese aveva ipotizzato che lo choc post-traumatico fosse
in grado di generale uno stato stuporoso di tipo ipnoide col quale un malato tendeva poi
a suggestionarsi, alimentando convinzioni negative riguardo al funzionamento di alcune
parti del proprio corpo. Le suggestioni avevano vita facile ed acquisivano un potere
spropositato in quanto sfuggivano al controllo della coscienza. Anche l‟ipnosi era un
sintomo dell‟isteria: essere isterici significava suggestionarsi da sé ed essere
ipnotizzabili da una volontà esterna.
Venivano così ridimensionati i filoni esplicativi che si basavano unilateralmente sui
sospetti di simulazione e quelli che si sforzavano inutilmente di trovare nella
sintomatologia isterica la conseguenza diretta di una lesione del sistema nervoso.
X
Charcot non ha prodotto un‟opera sistemica dedicata all‟isteria. Le sue teorie e le
strategie di cura da lui attuate pervengono a noi attraverso i numerosi riferimenti inclusi
nelle opere degli allievi che lo seguirono alla Salpêtrière ed in particolare attraverso i
resoconti delle sue lezioni, gli stessi che vennero tradotti da Freud (1886) in tedesco.
Riprendendo Charcot, e facendo riferimento al carattere non consapevole di quei
frammenti scissi di personalità che contengono i pensieri ed i ricordi veicolati
dall‟evento accidentale da cui trae origine il disturbo funzionale, Janet (1889) attribuirà
loro l‟appellativo di idee fisse subconsce. Obiettivo del trattamento ipnotico sarà quello
di individuarle in modo da poterle modificare o sostituire con altre che tendano a
veicolare stati di benessere psicofisico.
Il clima culturale francese vive un periodo di particolare splendore che in ambito
medico scientifico si riflette sull‟enunciazione di molte teorie che mantengono ancora
oggi la loro validità: per esempio, la continuità tra i fenomeni normali e quelli patologici
è stata riconosciuta e sostenuta dalla psicoanalisi, tanto che un lettore ingenuo potrebbe
essere portato ad attribuire a Freud anche la paternità di tale constatazione.
Ricordiamo che, accettando il presupposto della continuità tra i differenti fenomeni,
conseguiamo la possibilità di osservare i tratti caratteristici della normalità attraverso la
lente d‟ingrandimento rappresentata dall‟esagerazione fornita dalla patologia. In campo
psicodinamico ne consegue la possibilità di servirci dei casi clinici nel tentativo di
ricostruire con esattezza le fasi dello sviluppo psicologico di un individuo sano,
pervenendo a percepire quelle sottigliezze che altrimenti sfuggirebbero all‟osservazione.
Tale postulato, però, non deriva direttamente da ricerche effettuate in campo
psicologico, In realtà le sue origini ci riportano nuovamente ai fermenti della classe
medica francese, nel milleottocento: dobbiamo a Claude Bernard (1813-78), fondatore
della fisiologia sperimentale, la dimostrazione di una continuità tra normalità e
patologia (Cfr. Lombardo, 1994).
Saremmo tentati di attribuire a Freud quanto meno il merito di aver trasposto questo
concetto alle discipline psicologiche, ma, da un‟attenta indagine cronologica, risaliamo
alla figura di Théodule Ribot (1881), maestro di Janet e professore titolare della cattedra
di psicologia sperimentale al Collège de France, il quale per primo, riprendendo le
deduzioni di Bernard, evidenzia come anche in campo psicologico la ricostruzione dei
processi normali possa avvenire attraverso l‟ossevazione delle esagerazioni evidenziate
dagli stati patologici, considerati dallo stesso Ribot quali fenomeni regressivi che
allontanano l‟individuo dall‟evoluzione normale.
XI
Ribot, allo stesso modo di Bernard, è un ulteriore sostenitore della necessità di
sperimentazione scientifica, in questo caso nel campo della psicologia, piuttosto che in
quello della fisiopatologia.
L‟apprezzabile serietà con cui la Francia si faceva sostenitrice delle necessità di
verifica in ambito di ricerca correva però il rischio di spezzare le ali ad una disciplina
che tuttavia non disponeva di solide basi teoriche ma annoverava numerosi adepti, tra i
quali anche medici di buona reputazione, convinti che essa fosse in grado di portare un
riconoscibile beneficio alle sofferenze dell‟anima: dopo un lungo periodo di discredito
da parte della medicina ufficiale, l‟ipnosi aveva fatto ritorno agli antichi fasti grazie
all‟impegno e all‟influenza di Charcot. Fu proprio il neurologo parigino a presentare
all‟Accademia delle scienze di Parigi nel febbraio del 1882 una relazione sui fenomeni
di sonnambulismo che ebbe infine l‟effetto di sciogliere le resistenze degli esponenti
della classe medica conservatrice (Cfr. Janet, 1923).
Era la fine di un ventennio (dal 1860 al 1880) in cui le pratiche ipnotiche,
ufficialmente condannate, erano state attuate dietro le quinte da medici che avevano
avuto fiducia nel loro potenziale valore terapeutico ma che, per portare avanti la loro
attività di cura, avevano dovuto costantemente preoccuparsi di non uscire allo scoperto,
per non rischiare di compromettere irreparabilmente la propria carriera a causa del
discredito che sarebbe derivato dallo svelarsi di quelle pratiche curative che nei circoli
accademici ufficiali venivano considerate alla stregua di ciarlataneria pura.
L‟opinione pubblica vedrà in Charcot l‟ideatore della trance ipnotica. Sembra
evidente la necessità umana di identificare sempre e comunque l‟immagine di un
creatore che fa scaturire dal nulla qualcosa che prima non esisteva. Succederà lo stesso
con Freud, che avrà il potere di far convogliare su di sé l‟effetto di questo bisogno che
presumibilmente ognuno di noi si porta dentro in qualche misura.
In realtà, come vedremo nel primo capitolo a proposito degli stati di sonnambulismo
indotto artificialmente, sarà necessario indietreggiare di almeno un altro secolo, sul
finire del settecento, per conoscere alcuni tra i primi personaggi che praticarono
l‟ipnosi, non scoprendola dal nulla ma facendola derivare a sua volta da una serie di
modifiche ed evoluzioni di pratiche di rilassamento e suggestione di cui si era fatto uso
in tempi ancora più remoti.
Un secolo più tardi, l‟accettazione ed il riconoscimento della validità del metodo
ipnotico, da parte delle istituzioni mediche ufficiali, veicolerà una serie di conseguenze
di ampia portata, ovvero l‟accettazione delle concezioni fondamentali della prima
psicologia dinamica: se l‟ipnosi è il metodo privilegiato per accedere ad una parte
XII
recondita della psiche, ne deriva necessariamente che il modello della psiche umana è
caratterizzato da una dualità di processi psichici, consci e inconsci.
Anche il vecchio concetto di fluido magnetico assurge a nuova vita, ma scende a
patti con una parziale trasformazione, per cui si parla ora di energia psichica la cui
dinamica è considerata influente nella patogenesi delle malattie mentali. Infine viene
riconosciuta l‟importanza del rapporto tra paziente ed ipnotizzatore ai fini del buon esito
della cura.
All‟interno di questa rapida evoluzione culturale che investe le discipline connesse
allo studio delle patologie psicologiche si collocano le osservazioni di Pierre Janet,
studente tirocinante, che principalmente presso le cliniche di Le Havre e Parigi
(Salpêtrière), ha modo di assistere un grosso numero di pazienti fortemente disturbate
emotivamente, vittime di sbalzi di personalità, vuoti di memoria e paralisi di parti del
corpo non imputabili a patologie di tipo organico.
Le sue osservazioni, pubblicate di volta in volta, a partire dal 1883, in autorevoli
riviste scientifiche dell‟epoca, confluiscono infine nella stesura della sua tesi di laurea in
filosofia, che è anche il suo primo e più famoso libro: L’automatismo psicologico
(Janet, 1889).
La tesi viene presentata alla Sorbona il 21 giugno del 1889. Janet, trentenne, affronta
una serie di obiezioni da parte dei professori giurati, ma riesce infine a conquistare la
giuria grazie alla propria eloquenza e all‟ingegnosità delle proprie argomentazioni.
Queste poggiano su una minuziosa teoria della psiche umana e del suo costante vacillare
tra le spinte evolutive verso la sintesi e l‟integrazione dei nuclei psicologici e quelle
involutive verso la disaggregazione e la formazione di nuclei autonomi capaci di
condizionare l‟evolversi della nostra esistenza attraverso moti egodistonici di cui risulta
difficile individuare la provenienza all‟interno del sé.
Janet fà sfoggio delle proprie conoscenze sulle antiche teorie inerenti ai fenomeni
dello spiritismo e delle possessioni demoniache, per poi elaborarle in un nuovo
paradigma che tiene conto delle variabili psicologiche che stanno alla base dei
comportamenti dei medium e di quei soggetti che si sentono posseduti. Il tutto senza
diffamare, ma anzi elogiando quanti hanno studiato tali fenomeni prima di lui,
individuando le parti delle antiche teorie che possono essere rivalutate ed integrandole
con gli sviluppi di cui egli stesso si fa portatore.
I fenomeni di spiritismo e possessione vengono utilizzati quale esempi estremi della
disaggregazione psichica, ovvero della formazione di due o più nuclei psicologici
indipendenti che sfociano nel drammatico fenomeno delle doppie personalità.
XIII
Ma l‟automatismo psicologico viene considerato anche nella sua forma parziale,
ovvero nei casi in cui la personalità ulteriore di un malato non è in grado di eclissare
completamente la sua personalità abituale, non dispone cioè del potere di suscitare
quelle amnesie che impediscono di ricordare quanto è avvenuto dopo la temporanea
assunzione vicaria del controllo della psiche, e si deve accontentare di agire, facendosi
gioco degli ostacoli frapposti dalla coscienza ma permettendo a quest‟ultima di assistere
al proprio incauto modo di operare, sia pure precludendole l‟opportunità di un
intervento inibitore (Cfr Janet, 1889).
L‟automatismo psicologico parziale può essere inquadrato in un‟ottica psicoanalitica
come il disturbo funzionale di un individuo affetto da nevrosi. L‟automatismo non si
manifesta nella sua forma totale, ovvero l‟Io è in qualche misura consapevole di quanto
gli accade, l‟esame di realtà viene mantenuto, anche sé è probabilmente difettoso,
ovvero risente di un notevole grado di soggettività nell‟interpretazione degli eventi.
Siamo all‟interno di un paradigma che siamo soliti definire freudiano, ma che in
realtà è stato delineato con alcuni anni di anticipo da un ricercatore francese che ha
goduto di un breve periodo di notorietà prima che la sua fama venisse rapidamente
oscurata.
Nel secondo capitolo verrà data una descrizione cronologicamente dettagliata
dell‟ordine con cui prima Janet e poi Freud introdurranno concetti psicologici in buona
parte identici, facendo uso di terminologie personalizzate.
Freud non farà sfoggio di particolari manierismi nel rendere onore al medico
francese, e tenderà a dimenticarsi grossolanamente di chi ha avuto intuizioni simili alle
sue in tempi precedenti. Dichiarerà di non averne letto le opere e si limiterà a brevi
accenni, associando il nome di Janet a quello di Breuer, suo collaboratore, a proposito di
coloro che per primi hanno scoperto l‟importanza dell‟inconscio inteso in senso
psicologico.
Ma solo pochi anni dopo, in apertura della prima delle Cinque conferenze sulla
psicoanalisi (1909) tenute negli Stati Uniti, Freud, approfittando del calo di popolarità
dell‟antagonista francese, si coprirà di modestia attribuendo esclusivamente al proprio
amico e collaboratore Joseph Breuer il merito di aver curato per la prima volta una
ragazza isterica facendo uso del metodo catartico, mentre egli, Freud, era ancora alle
prese con gli ultimi esami di medicina. Il caso in questione sarebbe stato trattato
addirittura tra il 1880 ed il 1882, ma la pubblicazione sarebbe avvenuta solo più di dieci
anni dopo, negli Studi sull’isteria (1895).
Ellenberger (1970) è uno dei tanti autori che hanno messo in evidenza la
manipolazione delle date che sembrerebbe fatta apposta per permettere a Freud di
XIV
aggirare il pericolo che gli venga imputato un plagio all‟opera di Janet. Questi aveva
iniziato col pubblicare alcuni articoli nella Revue philosophique a partire dal 1883. La
sua descrizione dei casi clinici, come vedremo nel secondo capitolo quando parleremo
di Marie, è del tutto simile a quelle che è possibile rinvenire studiando i primi casi
pubblicati da Freud: la cura consiste nella manipolazione dell‟inconscio, con la
differenza, non priva d‟importanza, che secondo Janet i contenuti del subconscio del
paziente possono anche rimanere sconosciuti a questi, a patto che vengano modificati,
mentre secondo Freud la guarigione è la diretta conseguenza della presa di coscienza dei
contenuti ideativi rimossi, accompagnata dalla scarica degli affetti associati.
La manipolazione delle date, effettuata a più riprese e con sempre maggiore
spavalderia, porterebbe a propendere per una certa dose di mala fede da parte di Freud,
ed a mettere dunque da parte l‟ipotesi secondo cui il medico viennese, ideatore della
psicoanalisi, sarebbe giunto a conclusioni simili a quelle di Janet sulla base di ricerche
del tutto autonome, ovvero senza essere a conoscenza delle ricerche pubblicate con un
decennio di anticipo dal suo contemporaneo.
Si direbbe che Freud si fosse appassionato alla cura dei disturbi di natura isterica e
coltivasse in cuor suo il desiderio di scoprire il metodo elettivo per risolvere o arginare
le difficoltà di coloro che soffrivano a causa della cancellazione di ricordi traumatici. La
constatazione che qualcuno lo aveva di poco anticipato nel rinvenire qualche tassello
che a lui ancora difettava, deve averlo fatto sentire in qualche modo defraudato,
sorpassato nel rettilineo finale. Di lì deve essersi deciso per il contrattacco.
Janet ricambierà il trattamento ricevuto in forma del tutto personale: come vedremo,
arriverà a prendere le parti della psicoanalisi sostenendone la causa in occasione dei
convegni internazionali di psicologia e medicina.
All‟interno dei suoi testi assumerà un atteggiamento differente, attaccando la gratuità
dei costrutti non verificabili, ed in special modo l‟eccessivo ricorso ad un simbolismo
considerato arbitrario e fuorviante, nonché l‟insistere sull‟etiologia sessuale quale causa
universale di disagio psichico. Per Janet i ricordi traumatici possono essere di natura
sessuale, ma non nella totalità dei casi. Con l‟eleganza che lo caratterizza abitualmente,
egli aggiunge di seguito che nonostante alcuni punti discutibili “è ugualmente giusto
riconoscere la parte che questa scuola ha avuto nello sviluppo di questi metodi
terapeutici ancora poco conosciuti” (1923, tr. it. p. 161).
Forse a causa dello scontro a distanza con Freud, che pare non abbia mai incontrato
faccia a faccia, ma più probabilmente per via del proprio attaccamento ai principi del
rigore sperimentale cari alla Francia di fine ottocento, Janet non ha mai voluto far uso
della psicoanalisi o comunque del metodo delle libere associazioni quale strategia per
XV
portare alla coscienza quel materiale psichico sepolto ma ancora drammaticamente
attivo sotto la superficie della consapevolezza.
Questo atteggiamento lo ha portato a fare i conti con alcuni limiti metodologici:
laddove Freud, poco avvezzo allo studio delle psicosi, aveva abbandonato l‟ipnosi per
servirsi di una strategia alternativa, da lui effettivamente identificata, che gli
permettesse di aggirare le resistenze di quanti non giungevano a perdere il contatto con
la realtà, Janet disponeva della suggestione ipnotica quale mezzo per trattare con il sé
psicotico. Se però il malato non era così marcatamente scisso, la sua tendenza a lasciarsi
suggestionare diminuiva grandemente e Janet non disponeva di un valido metodo
alternativo con cui portare avanti la terapia: non praticava l‟analisi e anzi sosteneva che
in certi casi l‟inconscio non è presente o comunque “non svolge un ruolo essenziale”
(1923, tr. it. p. 222).
Secondo Janet molto spesso le difficoltà psicologiche non dipenderebbero da ricordi
del passato, ma da avvenimenti attuali.
Inoltre, rispetto a Freud, il ricercatore francese attribuiva un peso maggiore ai fattori
costituzionali, in special modo a quelli imputabili al sistema nervoso: “la depressione,
che esiste dall‟infanzia, dipende dalla costituzione ereditaria del soggetto” (ibidem, p.
223).
In molti casi la psicoanalisi si renderebbe responsabile di cercare i ricordi traumatici
anche quando questi sono assenti.
D‟altra parte, per ammissione dello stesso Janet, “i soggetti che mantengono la
capacità di riflessione […] non sono suggestionabili” (ibidem, p. 220), e per costoro la
cura ipnotica rimarrebbe impraticabile.
L‟alternativa consisterebbe in “trattamenti psico-fisiologici che cercano di ottenere la
disintossicazione, il ristabilimento delle funzioni digestive o circolatorie, le
modificazioni delle secrezioni ghiandolari interne” (ibidem).
L‟autore conclude affermando la necessità di un trattamento, la medicina
psicologica, che enuclei dentro di sé il concorso di diverse terapie in modo da renderlo
completo ed utilizzabile con ogni patologia.
Più avanti affronta nuovamente la questione in termini meramente psicologici: le
terapie non ipnotiche avvengono sulla base di indicazioni direttive ed insegnamento di
nuove attività più o meno creative, o ancora con la prescrizione di periodi di riposo e
relativo isolamento.
Per motivi di completezza e nel tentativo di ampliare la conoscenza di un autore che,
ancora non adeguatamente riconosciuto, riveste un ruolo di primo piano all‟interno del
processo di nascita e maturazione della moderna psicologia dinamica, non mancheremo
XVI
di accennare anche ai lavori con cui Janet ha cercato di attribuire un significato a quei
disagi esistenziali che non paiono trarre un significativo beneficio dall‟applicazione
delle tecniche ipnotiche; disagi che, secondo il medico francese, andavano affrontati
senza dover ricorrere a tentativi di risalire a dinamiche psicologiche non consapevoli. E
questo a dispetto delle considerazioni dei suoi primi lavori, all‟interno dei quali egli
aveva distinto con chiarezza le situazioni di totale obnubilamento della psiche da quelle
in cui i moti del subconscio – per usare la sua terminologia – si manifestano in forma
parziale e dunque una certa consapevolezza della realtà viene mantenuta, malgrado gli
automatismi non controllati.
Le sue considerazioni sull‟automatismo parziale lasciano intendere che il Janet
conosciuto attraverso i suoi primi scritti fosse convinto che le interferenze del
subconscio si manifestassero ed anzi fossero la causa delle problematiche psicologiche,
anche nei casi di gravità relativamente minore.
Ne consegue che la prassi terapeutica adottata inizialmente doveva necessariamente
consistere nel tentativo di modificare i contenuti egodistonici che disturbavano il
paziente.
In seguito, però, Janet individuerà alcune patologie che a suo dire non deriverebbero
da un antagonismo tra stati di coscienza. Tali patologie verranno affrontate con
atteggiamenti improntati a tentativi di rieducazione che peraltro erano già comparsi
sullo sfondo delle terapie ipnotiche, quali approcci integrativi che secondo il pensiero
del medico francese dovevano servire a consolidare i risultati conseguiti attraverso la
trasformazione o l‟eliminazione delle idee fisse.
Quella che può sembrare una sorta di pura ingenuità, possiede in realtà una
spiegazione che deriva direttamente dai postulati teorici sostenuti: il subconscio
ipotizzato da Janet (1889), al contrario dall‟inconscio di Freud, non è una realtà data una
volta per tutte e condivisa da ogni essere umano, ma è piuttosto la conseguenza di un
restringimento del campo della coscienza, ovvero di un fallimento del processo di
sintesi che rende la coscienza incapace di integrare parte di sé stessa a causa del
prorompere all‟interno della psiche di eventi della vita dal sapore particolarmente grave
ed intenso. Tale eventualità peraltro si manifesterebbe solo se sostenuta da una
predisposizione derivante dal substrato organico della psiche.
Così, generalizzando e semplificando alquanto, osserviamo che, mentre per Freud
l‟inconscio è principalmente la sede delle pulsioni, gli equivalenti istintuali di Janet,
ovvero le tendenze (1930), si risolverebbero nella dimensione conscia del soggetto.
Effettivamente, in un individuo bene integrato, potrebbe non apparire alcun segno di
scissione intrapsichica, il che significherebbe che le sue difficoltà esistenziali non
XVII
deriverebbero dalla presenza di un nucleo di personalità ulteriore e non amalgamato e
dunque, quando il processo di sintesi psicologica sia stato correttamente portato a
termine, non esisterebbe nessuna parte della personalità al di fuori della coscienza,
ovvero: niente subconscio.
Data la nostra dichiarata predilezione per i primi testi di Janet, nonché il malcelato
atteggiamento critico verso quelli successivi di approfondimento teorico, non potremo
far altro che mantenerci fedeli al titolo di questo lavoro, e il nostro approfondimento
sarà conseguentemente rivolto in particolare ai testi pubblicati tra il 1889 ed il 1903;
quasi quindici anni – che diventano venti se si considerano i primi articoli apparsi
all‟interno di importanti riviste di divulgazione scientifica dell‟epoca, a partire dal 1883
- nel corso dei quali l‟autore francese ha posto le basi per quello che alla luce delle
nostre attuali conoscenze rimane il primo tentativo di fornire una cornice teorica
sistemica ai metodi di intervento e cura del disagio esistenziale, nonché alla struttura
psicologica della nostra mente.
Vedremo come tale quadro di riferimento teorico abbia mantenuto il proprio valore
fino ai giorni nostri e i principi alla base della disaggregazione psicologica conservino
inalterata la loro utilità sul piano clinico.
L‟assunto secondo cui l‟eco delle prime opere di Janet si mantiene silenziosamente
vivo all‟interno della psicologia e della psichiatria dinamica attuale verrà ulteriormente
ribadito confrontando la teoria della disaggregazione con altri paradigmi apparsi in
seguito, in particolare grazie all‟attività di quegli psicoanalisti che hanno portato le loro
scuole a confrontarsi anche con dinamiche pre-psicotiche o marcatamente psicotiche, ad
esempio Klein, Bion e Rosenfeld, solo per citarne alcuni.
Sarà molto vivo anche il confronto con Freud, ma dopo aver presentato una serie di
notizie corredate da una cronologia che possa permettere al lettore di farsi un‟idea a
proposito dei meriti e di eventuali astuzie messe in atto dai due pionieri della
psicoterapia contemporanea, sposteremo la discussione in un ambito più produttivo,
ovvero cercheremo di analizzare similitudini e differenze nel pensiero e nella pratica
terapeutica dei due autori. Il tutto senza dover necessariamente prendere una posizione
di parte, ma piuttosto tentando di integrare due approcci che presentano alcune
importanti differenze grazie alle quali si ha spesso l‟impressione che possano
completarsi a vicenda.
La nostra psicologia sarà dichiaratamente debole (Cfr. Girard, 1999), ovvero
assumeremo di proposito un atteggiamento che non miri a prendere alcuna posizione
definita a favore dell‟uno o dell‟altro, né ad escludere, bensì ad integrare due verità, in
XVIII
modo da non precluderci l‟opportunità di arricchire le nostre conoscenze rinnegandone
una parte.
Sarà anche una velata critica a quanti, per interessi di scuola, seminano discredito sui
paradigmi psicologici di coloro che percepiscono come avversari, convinti di possedere
il seme della verità al pari dei seguaci di dogmi politici e religiosi, e in tal modo privano
sé stessi dell‟opportunità di un confronto ricco di potenzialità maturative e rischiano di
fornire chiavi di interpretazione stereotipate ed inconcludenti a chi chiede loro un
intervento curativo.
Dunque criticheremo alcuni comportamenti poco educati messi in atto dall‟inventore
della psicoanalisi, ma non mancheremo di sottolineare quanto egli sia stato capace di
elaborare ed arricchire in maniera creativa e personale i paradigmi psicologici della sua
epoca.
Parimenti saremo in qualche modo critici verso lo psicologo francese che prescriveva
periodi di isolamento e riposo nel trattamento delle psicoastenie, ma non potremo fare a
meno di elogiare quel brillante studente universitario che, prima ancora di laurearsi, già
si cimentava con i tentativi di manipolazione a fini curativi del subconscio di sfortunate
donne isteriche ospedalizzate; né potremo astenerci dall‟esaminare e dal ribadire
l‟importanza di quei presupposti teorici che Freud aveva ripudiato e che ancora oggi
mantengono inalterato il loro valore, in particolare nei tentativi di cura degli stati di
personalità alternante. In tal modo renderemo un giusto tributo ad un autore che è stato
maldestramente lasciato in disparte, ma soprattutto permetteremo a noi stessi di
conoscere ed assimilare il pensiero, oltre che lo stile dai modi garbati, la sensibilità e la
perspicacia di uno degli sconosciuti più illustri della psicologia contemporanea: il
Dottor Pierre Janet, di Parigi.
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CAPITOLO I
DAL MAGNETISMO ALL’IPNOSI
I primi passi
Pierre Janet nasce nel 1859 a Parigi e trascorrerà la sua vita quasi interamente a Parigi o
negli immediati sobborghi fino al 1947, anno della sua scomparsa.
Proviene da una famiglia benestante e di livello culturalmente elevato, all‟interno della
quale spicca in particolare l‟influenza esercitata sul giovane Pierre da parte dello zio, Paul
Janet, giovane filosofo che ne guiderà la crescita spirituale. La famiglia Janet vanta nel
proprio albero genealogico anche la presenza di numerose personalità di spicco quali
letterati, avvocati ed ingegneri ed è parte integrante di un ceto borghese medio-superiore da
cui continuerà a scaturire buona parte del nucleo intellettuale francese fino ai primi del
novecento (Cfr. Prévost, 1973).
Paul Janet (1823-99) è il fratello maggiore del padre di Pierre e, durante la giovinezza
del nipote, insegna filosofia alla Sorbona.
Al pari di quanto avvenuto anni prima allo stesso zio, Janet passa attraverso un sofferto
periodo di depressione adolescenziale che lo porterà ad abbandonare temporaneamente gli
studi, ma che verrà poi superato con successo.
E‟ difficile fornire una spiegazione circa le possibili cause del suo stato depressivo, ma
tra queste è possibile evidenziare lo scoppio della guerra franco-prussiana, avvenuto nel
1870, quando Pierre aveva 11 anni, l‟assedio di Parigi, dove egli viveva, ed una serie
sfortunata di spostamenti di residenza: quello dal sobborgo di Bourg-la-Reine a Parigi,
voluto dai genitori che ritennero del tutto erroneamente che nella capitale si sarebbe stati
più al sicuro; e quello successivo al termine del conflitto franco-prussiano, col quale,
insieme ai suoi fratelli, Pierre fu trasferito presso i nonni materni, ferventi patrioti, a
Strasburgo, città che, insieme all‟intera Alsazia, veniva annessa alla Germania.
Le notizie che si hanno di Pierre Janet pochi anni dopo sono molto più confortanti: nel
1879 supera il concorso per l‟ammissione all‟Ecole normale supérieure. Questo istituto si
colloca tra il liceo e la carriera universitaria e presiede ancora oggi alla formazione degli
insegnati del liceo e, indirettamente, dell‟università. Esso impartisce una preparazione
altamente qualificata e nel contempo permette agli studenti di usufruire di un elevato grado
di autonomia affinchè siano liberi di sviluppare il pensiero rispettando la propria