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sopravvissuti, paura di ripetere il trauma e vergogna rispetto al sentimento di
impotenza e di vuoto.
Nella concezione psicoanalitica classica il trauma psichico è “un evento
improvviso ed inatteso che, per la sua particolare intensità, oltrepassa le capacità
di elaborazione dell’Io ed ha effetti patogeni durevoli nell’organizzazione
psichica”. (2008, Corda: “Il concetto di trauma in psicoanalisi”)
La prima formulazione esaustiva sul trauma fu quella di P. Janet, egli
raccolse l‟eredità di Charcot, ovvero le sue riflessioni sui trascorsi traumatici come
origine dei sintomi isterici e descrisse il trauma come “l’irruzione di ―emozioni
veementi‖ che rendono impossibile utilizzare gli schemi mentali per significare o
fronteggiare l’evento, in quanto si tratta di un evento imprevisto e catalogabile
secondo gli schemi di significato e d’interazione consolidati”.
(1909, Janet - pag 1551-1687).
In seguito Freud definirà “traumatici” quegli “eccitamenti che provengono
dall’esterno e sono abbastanza forti da spezzare lo scudo protettivo ―Reizschutz‖‖,
inondando l’apparato mentale e danneggiando la sua capacità di rispondere agli
stimoli” . (Freud, 1920 - pag 215).
Negli sviluppi psicoanalitici più recenti il concetto di trauma ha assunto
progressivamente un significato più esteso e alla prospettiva pulsionale freudiana si
è aggiunto un riferimento costante al campo relazionale, che amplia la
comprensione delle esperienze traumatiche nelle prime fasi dello sviluppo in
relazione ai primi rapporti oggettuali; nel particolare è possibile suddividere le
teorie psicanalitiche sul trauma in due grandi gruppi: le teorie psicanalitiche
classiche e le teorie post-freudiane.
Le teorie psicanalitiche classiche seguono di pari passo le evoluzioni del
pensiero freudiano, si basano perciò sul concetto di libido pulsionale e sulla
definizione di trauma quale evento “focale”; il sintomo ansioso post-traumatico
viene inizialmente ricondotto al risultato di un processo simbolico e solo in seguito
alla perdita di tale capacità di simbolizzazione.
Il pensiero psicanalitico classico sottolineava inoltre la grande influenza dei
conflitti intrapsichici nell‟individuo che reagisce ad un trauma (1931, Strachey –
pag 330 ).
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Le teorie post-freudiane traggono le loro origini dal modello kleiniano, che si
distaccò dal modello pulsionale classico e rappresentò il punto di partenza per le
successive teorizzazioni della psicologia relazionale.
E‟ possibile tracciare tre distinte correnti teoriche post-freudiane sul trauma:
la teoria di Ferenczi, che insieme a quella di Jung, si presenta come un modello
indipendente, la teoria di Fairbairn, che rappresenta la teoria oggettuale più
esaustiva sulle nevrosi post-traumatiche e il più recente approccio evolutivo-
relazionale, a cui fanno capo Bowlby e Winnicott che furono i primi a considerare
la qualità delle relazioni e dell‟ambiente come un possibile fattore di
protezione/rischio nell‟insorgenza delle nevrosi post-traumatiche, spostando
l‟attenzione dal trauma focale, quale fattore precipitante, alla relazione quale fattore
predisponente.
In tal senso il trauma focale può essere considerato il risultato dell‟accumulo
di tensioni e pressioni dovute a “microtraumi” ripetuti nel tempo.
Il concetto di trauma per S. Freud assume varie forme e accompagna le
evoluzioni speculative dell‟autore: per trauma psichico egli intende ..”qualsiasi
esperienza che provochi gli affetti penosi del terrore, dell’angoscia, della vergogna,
del dolore psichico; accompagnato da una variabile costituzionale legata alla
sensibilità della persona, che determina la traumaticità dell’esperienza…‖. (1920,
Freud - pag. 215).
Le riflessioni di Ferenczi sul trauma psichico, sia in ambito delle nevrosi da
guerra, che dei traumi di origine sessuale, influenzarono in modo decisivo tutte le
elaborazioni psicoanalitiche successive.
Egli non sostenne però né la visione sociologica né quella biologica, le quali
nascevano dal terreno dell‟abbandono del trauma reale, affermandosi come una
conseguenza del dibattito sul trauma interno, ossia delle contraddizioni intrinseche
alla concezione puramente economica del trauma.
È proprio la metapsicologia che sostiene la nozione di trauma interno che
viene rifiutata da Ferenczi il quale, dopo aver cercato per anni di raggiungere
un‟identità di vedute con Freud, alla fine si rassegnò a sviluppare un costrutto
teorico e una visione del processo terapeutico indipendente.
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Il tema del trauma attuale aveva rappresentato uno dei temi di maggiore difficoltà
per la teoria psicoanalitica freudiana, sopratutto per la sua trattabilità e il contributo
di Ferenczi pose le basi per un nuovo inquadramento teorico e clinico dello stesso.
Non a caso egli fu analista di Melanie Klein e Michael Balint, che con le
teorie oggettuali diedero spunto a tutta una serie innovazioni in ambito
psicanalitico.
Egli definisce il trauma come “reazione ad una situazione ―insopportabile”
(Ferenczi, 1932 - pag 280).
Ciò che caratterizza il trauma è l‟impossibilità di adattarsi alla nuova
situazione: essa va talmente aldilà delle nostre possibilità che siamo costretti ad
arrenderci. Una volta egli disse che “davanti alla forza traumatica si rinuncia
all’inutile tentativo di resistere, e la funzione di autoconservazione dichiara
bancarotta” (Ferenczi, 1920-1930/32 - pag. 168); un‟altra volta descrisse il
momento traumatico come qualcosa di così minaccioso, estenuante e doloroso che
si finisce per “rinunciare‖ e ―arrendersi” (Ferenczi, 1932 - pag. 278).
Per quanto concerne il contributo delle teorie oggettuali, Fairbairn studiò in
modo approfondito le nevrosi post-traumatiche da guerra e sulla base della sua
esperienza clinica, formulò un modello teorico in accordo con la visione kleiniana
pur mantenendosi abbastanza fedele al modello psicoanalitico classico freudiano.
Fairbairn definisce l‟ evento traumatico esterno come “fattore precipitante
della realtà esterna” , che può favorire la liberazione spontanea degli oggetti
rimossi. (Fairbairn 1939 – pag. 103-105).
Le situazioni precipitanti della realtà esterna possono essere considerate alla stregua
di situazioni traumatiche.
Le recenti Teorie Relazionali traggono origine dal modello teorico di
Ferenczi e dalle teorie oggettuali, che hanno permesso di svincolare il concetto di
libido dalla sua classica concezione sessuale e di riformularlo in termini di
“oggetto”, ma si basano essenzialmente sui concetti espressi da Kohut , Khan ,
Bowlby e Winnicott.
Essi concentrarono la loro attenzione sugli stili di attaccamento madre-
bambino, e, sugli esiti che della qualità di tali stili hanno sullo sviluppo psicologico
del bambino e sulla trasmissione intergenerazionale degli stessi.
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La psicologia del Sé di H.Kohut ritiene che la qualità relazionale che
s‟instaura tra il genitore e il bambino, intesa come capacità del genitore di infondere
sicurezza nel figlio, sia più importante del trauma inteso come “qualsiasi evento
che minacci la coesione del Sé e lo preserva dal crollo narcisistico come reazione
ad eventuali eventi traumatici futuri‖. (1989, Kohut - pag 304-306).
Masud Khan introduce il concetto di “trauma cumulativo” per riferirsi a
microtraumi ripetuti che si accumulano nel corso dello sviluppo.
Spesso trauma focale e trauma relazionale co-occorrono e in questo senso lo
stesso trauma focale può essere talvolta considerato come il “precipitato” di
microeventi traumatici minori, di tensioni e di pressioni che si accumulano nel
tempo e che poi “esplodono” in un macro-trauma evidente. (1963, Khan, in “lo
spazio privato del sé).
Le teorie “relazionali” perciò, considerano il trauma “come un’esperienza
non simbolizzabile, che produce una frammentazione e una dissociazione dei vari
stati del Sé‖, come espressione di un deficit della capacità meta cognitiva di
elaborazione emotiva di un evento stressante e come l’attivarsi di memorie
traumatiche retaggio di relazioni primarie insicure. (2008, Caretti, Craparo –
Introduzione di Nino Dazzi)
Si è dato notevole rilievo anche alla soggettività e al contesto nel processo di
significazione, ma anche agli studi sulla memoria, il recupero della traccia mnestica
e la costruzione del significato riprendendo il concetto di Freud di “retrospettiva”.
Tali concezioni ampliano la comprensione delle esperienze traumatiche nelle
prime fasi dello sviluppo in relazione ai primi rapporti oggettuali e si basano sul
passaggio dall‟idea classica, secondo la quale è la mente del paziente che viene
studiata e in cui si pensa che la mente esista indipendentemente all‟interno dei
confini dell‟individuo, alla nozione relazionale secondo la quale la mente è
intrinsecamente diadica, interattiva e interpersonale.
L‟attenzione posta dagli autori post-freudiani sulle caratteristiche
dell‟ambiente più prossimo di sviluppo e sui comportamenti di caregiving hanno
consentito di ridefinire e ampliare il concetto di trauma, spostando l‟attenzione dal
singolo evento traumatico, all‟imprinting ambientale.
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Questo ha consentito di spostare il focus d‟interesse dall‟evento all‟ambiente
“cronicamente” traumatico, inaugurando una serie di ipotesi di ricerca congiunte tra
psicologia clinica e dello sviluppo, che hanno portato a documentare l‟origine di
alcuni Disturbi di Personalità in ambienti di cura abbandonici o caratterizzati dal
“controllo senza affettività”, come avviene per il Disturbo Borderline di Personalità,
caratterizzato da rapporti interpersonali segnati da rapidi cicli di idealizzazione-
valutazione, affetti dominati da rabbia e senso di vuoto, identità instabile,
impulsività. (cfr. DSM-IV, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali,
APA, 1994).
Le teorie relazionali si concentrano tuttavia principalmente sull‟età evolutiva
e sulla qualità delle relazioni che il bambino esperisce nella primissima infanzia; in
tal senso si parla soprattutto di traumi cumulativi relazionali subiti durante
l‟infanzia e sulle conseguenze che tali esperienze traumatiche hanno sul
funzionamento psicologico ed affettivo dell‟adulto, ma anche sul ruolo che
ricoprono nel determinare lo sviluppo di disturbi della personalità.
Dall‟analisi delle varie definizioni del trauma in ambito psicanalitico, appare
chiaro come il concetto di trauma “focale” sia riconducibile all‟evento oggettivo e
alla visione del trauma come prodotto di un processo simbolico, mentre il concetto
di trauma “relazionale” sia riconducibile all‟evento soggettivo e ad una visione del
trauma come compromissione della funzione simbolica.
Accogliendo un‟idea di traumaticità come caratteristica oggettiva di un evento,
il DSM-IV descrive il “fattore traumatico estremo” come «l’esperienza personale
diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre
minacce all’integrità fisica; o la presenza a un evento che comporta morte o lesioni
gravi, o altre minacce all’integrità fisica di un’altra persona; o il venire a
conoscenza della morte violenta o inaspettata, di grave danno o minaccia di morte
o lesioni sopportate da un membro della famiglia o da altre persone con cui il
soggetto è in stretta relazione». (cfr. DSM-IV, Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali, APA, 1994).
L‟ICD-10 considera traumatici quegli eventi «di natura eccezionalmente
minacciosa o catastrofica, in grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte le
persone» . (2005, Lalli – pag. 3).
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Quest‟ultima espressione, “in quasi tutte le persone”, ridimensiona
l‟ineluttabilità di un disturbo post-traumatico, precisando che non si sviluppa
automaticamente in tutti i soggetti che vivono un evento eccezionalmente stressante
e sottolinea la necessità di valutare la modalità soggettiva di affrontarlo: quindi, la
diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress, disturbo che si verifica, secondo i
criteri del DSM-IV, dopo l‟esposizione o l‟esperienza di eventi traumatici estremi,
non può basarsi esclusivamente sulla presunta oggettiva gravità dell‟evento stesso.
Di recente, molti psichiatri e anche alcuni psicoanalisti, come ad esempio
Nicola Lalli, rifiutano di considerare il trauma come uno “stress più grave” e
sottolineano l‟importanza di differenziare questi due termini, criticando apertamente
i criteri diagnostici del DSM IV relativamente al DPTS.
Secondo l‟autore vi è una confusione introdotta dal DSM circa l‟etimologia.
..”In principio, lo stress è un concetto impreciso, una parola che designa
tutti i modi possibili che ha l'angoscia di manifestarsi in un nevrotico, o
ancora in determinati casi di fenomeni depressivi o ansioso-depressivi.
L'impiego del vocabolo stress serve per spogliare l'individuo di quello che
gli succede; é una forma comoda di negare l'esperienza soggettiva..”
(2005, Lalli pag - 1).
In particolare il concetto di stress è un concetto psicofisiologico mentre quello
di trauma è un concetto psicodinamico e gli esiti di un evento traumatico agiscono
sulla struttura dell‟Io e non solo a livello somatico e temporaneo
In tal senso in un ottica psicodinamica, appare fondamentale distinguere i due
concetti ridando al concetto di trauma, l‟importanza che occupa, e svincolandolo
dalla rigida categorizzazione del DSM, che risulta a parer suo, priva di una base
teorica valida (ibidem).
Lo stesso concetto di trauma non necessariamente si riferisce ad un evento
esterno violento di natura macroscopica-focale, facilmente circoscrivibile nello
spazio e nel tempo, che si impone come agente patogeno; a questo proposito, Van
Der Kolk, in accordo con il concetto di “trauma cumulativo” di M.Khan (1963)
utilizza l‟espressione “atmosfera traumatica” per indicare un trauma cronico, cioè
episodi traumatici distinti e isolati che si verificano con costanza, incidendo sulla
capacità di autoregolazione dell‟organismo al pari di un trauma focale.
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Secondo lo psichiatra americano, l‟evento traumatico non viene elaborato in
forma simbolico/linguistica come avviene per la maggior parte dei ricordi, in quanto
“esso tende ad essere organizzato su un livello sensomotorio o iconico – come
immagini orribili, sensazioni viscerali, o reazioni di attacco/fuga” (1994, Van Der
Kolk - pag 253-265 ).
François Lebigot condivide l‟approccio di Van der Kolk e il suo apporto alle
teorie sulle nevrosi traumatiche riguarda lo studio della sindrome da ripetizione e
l‟approfondimento dei concetti lacaniani di “reale ed inammissibile” e del principio
freudiano di “illusione d’immortalità”.
Secondo F.Lebigot, la nevrosi traumatica impone al soggetto di confrontarsi
con gli effetti di un terribile spavento e provoca nell‟apparato psichico, la perdita
dell‟”illusione d‟immortalità”: il soggetto non trova nell‟inconscio rappresentazioni
per accogliere o modificare l‟esperienza vissuta, a tal riguardo Freud riteneva che
“ognuno sa che dovrà morire, ma nessuno ci crede veramente” (1938, Freud - pag.
255-267) , ciò significa che nell‟inconscio non esistono rappresentazioni di sé come
morti (viviamo tutti come se fossimo immortali) ed è proprio questa
rappresentazione che irrompe nell‟apparato psichico al momento del traumatismo
(2000, Lebigot - pag 2).
Lenon Terr (1994), nei suoi studi sui bambini traumatizzati, distingue trauma
di tipo I e trauma di tipo II. Il trauma di tipo I è un singolo evento eclatante (single
blow), come un terremoto o uno stupro, che potremmo collegare al concetto di
“trauma focale”; il trauma di tipo II è, invece, un trauma ripetuto, prolungato, come
un abuso infantile protratto negli anni, che potremmo collegare al concetto di
“trauma relazionale”.
Nella sua visione i due tipi di trauma tendono a produrre differenti tipologie
di meccanismi di difesa: con il trauma di tipo I, i meccanismi di difesa attivati sono
iper-allerta ed evitamento degli stimoli mentre, un trauma di II tipo, innalza
meccanismi difensivi quali diniego, rimozione, dissociazione, identificazione con
l'aggressore inoltre, mentre i soggetti con trauma di tipo I generalmente ricevono
sostegno dalla famiglia e dalla società e ricordano l‟evento traumatico, i soggetti
con traumi di tipo II tengono segreta la relazione traumatica, difficilmente ricevono