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benessere psicologico nella sfera lavorativa della persona e al
senso forte che le rappresentazioni di genere rivestono nelle
pratiche reali della vita sociale in particolare quelle che
ruotano intorno allo status, al prestigio e al potere (Ortner &
Whitehead, 2000). Nel terzo e ultimo capitolo, attraverso un
lavoro di ricerca effettuato nel territorio siracusano con un
campione di 100 individui, viene sottoposto a verifica il
legame tra autostima, autoefficacia, soddisfazione lavorativa
ed identità di genere, riferendosi alle precedenti teorizzazioni.
I temi affrontati appaiono di notevole interesse al fine di
implementare nell’individuo la consapevolezza e l’importanza
nell’accrescere la propria autostima e la propria autoefficacia
al fine di essere soddisfatti del proprio modo di essere e di
agire nel mondo sociale.
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Capitolo I – Autostima e autoefficacia
1.1 L’agentività umana
I veloci cambiamenti della società moderna, determinati dalle
trasformazioni dell’informazione, della socialità e della
tecnologia, impongono alle persone di esercitare un controllo
sugli eventi che riguardano la loro vita per prevenire
condizioni di disagio generati da situazioni ritenute spiacevoli
o dannose. A fronte di questi cambiamenti coloro che hanno la
capacità di determinare il proprio futuro vengono premiati.
Nel corso degli anni sono state proposte molteplici teorie
riguardo alla capacità di esercitare un controllo sugli eventi. Il
focus principale riguarda la convinzione delle persone circa le
proprie capacità di produrre determinati effetti (Bandura,
1986).
L’individuo contemporaneo diviene l’agente attivo del proprio
destino in quanto portatore di “agentività” (agency), cioè della
capacità di far accadere gli eventi che anticipa e decide
(Bandura, 2000). I processi cognitivi e motivazionali vengono
influenzati dalle convinzioni di autoefficacia che determinano
un vantaggio notevole nella gestione dei propri talenti e delle
proprie risorse.
Il cambiamento nel modo di pensare alle cause degli eventi ha
determinato il passaggio da una visione di vita basata sul
controllo soprannaturale ad una concezione basata sul
controllo personale degli eventi la quale garantisce notevoli
vantaggi personali e sociali. Questa capacità trasformazionale
ha ripercussioni non soltanto sulla vita attuale delle persone,
ma anche sulle generazioni future, poiché gli attuali mezzi
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tecnologici sono la dimostrazione del fatto che il potere nelle
nostre mani è sempre maggiore.
Appare però opportuno distinguere fra la produzione di
un’azione mirata al raggiungimento di un risultato e gli effetti
che l’esecuzione dell’azione produce direttamente.
L’agentività costituisce gli atti che vengono compiuti
intenzionalmente, ovvero la facoltà di generare azioni mirate a
determinati scopi (Bandura,2000).
L’agentività umana opera all’interno di una struttura causale
interdipendente che coinvolge una causazione reciproca
triadica (Bandura, 1986). Secondo questa visione i fattori
personali, il comportamento e il succedersi degli eventi
interagiscono influenzandosi reciprocamente in modo
bidirezionale. Il fatto che le tre classi di fattori causali si
influenzino reciprocamente non significa che esse abbiano lo
stesso peso. La loro relativa influenza varierà a seconda delle
attività e delle circostanze.
L’agentività si può definire come la facoltà di far accadere le
cose, di intervenire sulla realtà, di esercitare un potere causale.
L’agente (agent) è qualcosa o qualcuno che produce o è capace
di produrre un effetto: una causa attiva o efficiente (Bandura,
1986). L’agentività umana opera all’interno di strutture sociali
che impongono vincoli e danno risorse per lo sviluppo di
abilità personali. Le persone divengono al tempo stesso
prodotti e produttori dei sistemi sociali.
1.2 L’autoefficacia
Se l'agentività è la facoltà di generare azioni mirate a
determinati obiettivi, il senso di autoefficacia (self-efficacy)
corrisponde alle convinzioni dell'individuo circa tale
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fondamentale capacità. Le convinzioni di efficacia personale
sono quelle strutture conoscitive che attestano come la mente
umana non solo reagisca agli input che riceve dal mondo
interno ed esterno, ma sia dotata anche, e soprattutto, di
proprietà attive e trasformative su se stessa e sull'ambiente
(Bandura, 1986). La self-efficacy è stata concettualizzata e da
due differenti approcci teorici. Il primo considera tale costrutto
un tratto globale e generalizzato di personalità ravvisabile in
vari ambiti (Shelton, 1990; Schwarzer e Jerusalem, 1995;
Chen, Gully e Eden, 2001, 2004). La seconda prospettiva, che
risale alla teoria sociocognitiva di Bandura (1989) considera la
self-efficacy come una variabile specifica per un determinato
ambito o in altri casi come una variabile specifica per un
determinato compito, volta a predire un comportamento
circoscritto.
I ricercatori della prima linea teorica hanno evidenziato come
la general self-efficacy (GSE) sia un tratto globale di
personalità importante per far luce sulle differenze individuali
in termini di motivazioni, attitudini e apprendimento. Judge,
Erez e Bono (1998) hanno definito la GSE come la percezione
relativa alla propria abilità di rendimento in attività variegate,
rilevando le differenze individuali nella tendenza a considerare
se stessi capaci o incapaci di fronteggiare le richieste del
compito nelle più differenti situazioni e contesti.
I ricercatori della seconda linea teorica considerano la self-
efficacy come la convinzione di essere all'altezza di una
determinata situazione, in grado di cimentarsi in una
determinata attività e di affrontare specifici compiti in
specifiche situazioni. Tali convinzioni andranno ad influenzare
sensibilmente quanto impegno le persone investiranno nello
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svolgimento di un compito, la perseveranza di fronte agli
ostacoli e alle sconfitte, il livello di soddisfazione che deriva
dal raggiungimento dell'obiettivo. In tale ottica si ritiene che
una persona può presentare differenti livelli di autoefficacia, a
seconda degli ambiti indagati, in quanto è possibile
padroneggiare maggiormente attività o occupazioni in alcuni
campi piuttosto che in altri. Le convinzioni di efficacia devono
quindi essere misurate attraverso giudizi particolareggiati su
capacità che possono variare a seconda delle sfere di attività o
dei livelli di difficoltà del compito all'interno di un dato ambito
di attività. Secondo la prospettiva socio-cognitiva, la self-
efficacy si riferisce alle aspettative che una persona ha circa le
proprie capacità di ricorrere alle risorse necessarie per far
fronte alle richieste dell'ambiente (Bandura, 1997). Le
convinzioni di efficacia, secondo Bandura, possono originare
da quattro fonti.
La prima fonte riguarda le esperienze di gestione efficace.
Infatti, è stato ripetutamente dimostrato che i successi
determinano nell’individuo fiducia nelle proprie capacità e i
fallimenti producono danno specialmente nel corso delle prime
esperienze. Sia le modalità di successo che quelle di fallimento
tendono a fissarsi nell’individuo che concretizzerà attraverso la
tenacia e la creatività le sue esperienze di vita.
La seconda fonte riguarda l’esperienza fornita tramite
l’osservazione di modelli. L’osservazione di persone simili a
sé che riescono a raggiungere i propri obiettivi incrementa la
convinzione di poter riuscire allo stesso modo. Di contro c’è
che lo stesso meccanismo si verifica nell’osservazione di
persone simili a sé che vanno incontro a fallimenti: ciò
determinerà nell’individuo l’indebolimento dell’autoefficacia e
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un calo nelle motivazioni.
Le convinzioni di autoefficacia sono influenzate anche dalla
capacità di persuasione. Spesso, nella letteratura psicologica, il
concetto di persuasione viene frainteso con una sorta di opera
di convincimento, che si propone di indurre qualcuno ad agire
contro la propria volontà, facendo leva su meccanismi molto
più potenti, nonché lesivi della libertà dell'altro, fino a tollerare
la minaccia, il ricatto, il ricorso al senso di colpa, la
corruzione, e così via. Si tratta invece di un atto che comporta
sempre una scelta, un esercizio di libera volontà, significa,
cioè, indurre un cambiamento dell'opinione altrui solo per
mezzo di un trasferimento di idee, un passaggio di puri
contenuti mentali.
Secondo McGuire (1969) la persuasione si divide in un
processo a sei fasi:
1. la presentazione del messaggio, nella quale il ricevente
viene messo in grado di essere raggiunto dal messaggio;
2. l'attenzione, che il ricevente deve prestare al messaggio;
3. la comprensione dei contenuti, assicurata da un "codice" di
trasmissione adeguato;
4. l'accettazione da parte del ricevente della posizione
sostenuta dal messaggio, nella quale si instaura un sorta di
sintonia col messaggio ricevuto;
5. la memorizzazione della nuova opinione, in maniera da
farla propria;
6. il conseguente comportamento.
Se una sola di queste fasi non si attua appieno non si
verificherà alcuna persuasione.
Nell’autoefficacia, quindi, più la persuasione migliora la
fiducia in se stessi, più si sviluppano abilità utili al
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raggiungimento degli obiettivi.
Come quarta e ultima fonte sono da considerarsi lo stress,
l’indebolimento fisico e la tensione ovvero gli stati emotivi e
fisiologici che possono configurarsi da segnali di possibile
successo ed insuccesso. Infatti i nostri stati emotivi possono
talvolta costituire un potente serbatoio d'energia che ci aiuta a
raggiungere gli obiettivi prefissati anche a fronte di difficoltà
ambientali; altre volte ostacolano la nostra attività
professionale e ci sottraggono molte energie. Sapere gestire gli
stati emotivi significa anche imparare a capire quanto della
nostra attenzione è tendenzialmente orientata all'esterno, fuori
da noi, e quanto all'interno, ristrutturare quindi le esperienze
faticose e prevenirne di nuove, maturando una chiara
comprensione di quelle che sono le nostre risorse interne.
Secondo il modello psicofisiologico, la Self-efficacy nasce da
un processo circolare che permette all’individuo di leggere per
sintesi afferente (informazioni provenienti dalla periferia del
corpo) le percezioni e le sensazioni corporee che caratterizzano
lo stato psicofisico dell’attivazione preparatoria ad un
determinato comportamento. Queste informazioni vengono
integrate con l’esperienza passata (comportamenti simili già
messi in atto in passato), con le persuasioni verbali (positive o
negative) provenienti dall’ambiente e con le esperienze vicarie,
ed elaborate cognitivamente dando origine ad un vissuto
emotivo, soggettivo, che orienterà le nostre scelte
comportamentali. Il risultato di tali scelte e del comportamento
messo in atto, influenzerà in maniera retroattiva la percezione
di autoefficacia e la memoria.