II
Londra presso The Place London Contemporary Dance School3 e presso The
Laban Institute4.
Negli anni Sessanta, durante una profonda crisi esistenziale che la portò a gravi
problemi di alcolismo e al successivo ritiro dalle scene, Graham iniziò a disfarsi di
documenti, lettere e anche molti degli appunti dei primi anni della sua carriera,
prendendo le distanze da alcuni dei suoi lavori, perché troppo simili, per certi
aspetti, allo stile della Denishawn. Nella sua autobiografia Blood Memory (Memoria di
Sangue)5, Graham scrive:
“I primi balletti da me creati a Rochester non erano molto originali e risentivano
fortemente dell‟influenza della Denishawn: tuttavia, essi rappresentavano tutto ciò che
sapevo. Allorché mi fu chiesto di preparare un balletto, che sarebbe stato filmato con la
nuova pellicola sperimentale a colori, acconsentii, senza immaginare che anni dopo
quell‟orrida cosa sarebbe riapparsa.”6
Nel 1973 tuttavia, quando tornò a dirigere il gruppo, concesse molte interviste,
scrisse articoli, diresse delle lezioni-spettacolo e lasciò che la sua compagnia fosse
filmata. I video presi in esame in questa tesi sono quindi il frutto di questo periodo
della vita di Graham, dove la coreografa sembrava aver trovato una nuova scintilla
vitale e creativa. L‟unico video – che ho avuto modo di vedere – girato nel periodo
precedente agli anni Settanta è A Dancer‟s World (1957)7, dove Graham stessa parla
3
The Place è il primo centro di danza contemporanea nel Regno Unito, che unisce la formazione
del danzatore, la creazione e la performance. Le attività del The Place includono la scuola London
Contemporary School of Dance, le compagnie Richard Alston Dance Company e Robin Howard
Dance Theatre, l‟educazione permanente del danzatore e lo sviluppo professionale dei progetti
coreografici. Si veda il sito: www.theplace.org.uk.
4
Sempre a Londra si trova The Laban Conservatorire of Music and Dance che ospita al suo interno
un‟importante biblioteca. Si veda il sito: www.laban.org.
5
Sul titolo Blood Memory (Doubleday, Washington Square Press, New York, 1991) tradotto in
italiano Memoria di Sangue, e pubblicato da Garzanti nel 1992, con la prefazione di Leonetta
Bentivoglio, si veda p. 154 del capitolo dedicato all‟analisi di Night Journey nel presente lavoro.
6
Martha Graham, Memoria di Sangue. Un‟Autobiografia, Garzanti, Milano, 1992, p. 106.
7
A Dancer‟s World (1957), regia di Peter Glushanok, produzione: WQED-TV, Pittsburg, con: Martha
Graham, Yuriko Kimura, Helen McGehee, Gene McDonald, Ellen Siegel, Robert Cohan, Miriam
Cole, David Wood, Lillian Biersteker, Bertram Ross, Ethel Winther, Mary Hinkson. Questo video si
trova anche dentro Martha Graham in Performance (1985) che contiene tre film: A Dancer‟s World
(1957), Night Journey (1961), Appalachian Spring (1958).
III
della sua attività creativa e presenta Night Journey. Il video del suo capolavoro
Clytemnestra, fu girato nel 1979 come parte del programma televisivo “Dance in
America” di WNET/13, per regia di Merrill Brockway. Lo spettacolo è
accompagnato dalla voce narrante di Christopher Plummer che conduce il pubblico
all‟interno della versione della trilogia eschilea, e spiega i momenti salienti
dell‟azione. Rispetto allo spettacolo originale del 1958 molte cose sono cambiate.
Nel ruolo della regina di Micene troviamo Yuriko Kimura, prima danzatrice della
compagnia di Graham e nel ruolo di Egisto, al posto di Paul Taylor abbiamo Mario
Delamo che interpreta anche Il Messaggero della morte. George White Jr. è invece
Agamennone. Le luci di scena sono di Ralph Holmes e i costumi di Halston. Gli
unici due elementi che sono rimasti inalterati sono le musiche di Halim El-Dabh e
la scenografia di Isamu Noguchi.
Di grande utilità per la ricerca sono stati i video contenenti le interviste alla
danzatrice e a coloro che sono stati direttamente a contatto con lei: attori, danzatori,
collaboratori, amici8, e naturalmente i Notebooks9, ovvero gli appunti di lavoro presi da
Graham nel periodo tra il 1940 e il 1960, e pubblicati nel 1973. I Notebooks dimostrano
come la danzatrice avesse l‟abitudine di raccogliere citazioni dai libri che leggeva e
suggestioni che potevano ispirare il suo lavoro sulla scena, nel quale coabitano e si
8
Come ad esempio la puntata su Martha Graham di «Dancemakers», Programma televisivo andato in onda il
15/8/1992 su London BBC2, presentato da Judith Mackrell, o il documentario Martha Graham: The
Dancers Revealed (1994) regia di Catherine Tatge, produzione di Dominique Lasseur, WCNET New York-,
La Sept/Arte, BBC-Caméras Continentales, per la serie «American Masters», che raccoglie le interviste con
Erick Hawkins, Agnes De Mille, Jane Dudley, Pearl Lang, Robert Cohan. Esiste inoltre un interessante
documentario, che si trova sia a Londra (Laban Centre) che a Parigi (CND), Not just a somersault. Insights on
aspects of Martha Graham Technique 1938-1992, (1993). In esso, due danzatrici di Graham, Bonnie Bird (che
danza con Graham dal 1929 al 1931) e Thea Barnes (dal 1979 al 1991), esplorano lo sviluppo della tecnica
Graham, attraverso un masterclass proposto agli studenti del Laban Centre di Londra. Lo studio della
tecnica Graham inizia ponendo particolare attenzione a due esercizi: “The Cry” e “The Laught”, nei quali si
mette in evidenza che cosa accade nella parte addominale del corpo, attraverso la respirazione utilizzata nella
tecnica del Contraction-Release. In questo documentario, la tecnica Graham, privata di ogni aspetto
narrativo ed espressivo che possiamo ritrovare invece negli spettacoli creati dalla coreografa, soprattutto a
partire dagli anni Quaranta quando dà avvio al suo «teatro di danza», viene resa astratta ed asciutta, lasciando
al corpo stesso la possibilità di veicolare emozioni primarie come appunto quelle del pianto e del riso.
9
Sul ruolo dei Notebooks (The Notebooks of Martha Graham, Harcourt Brace Jovanovich, New York, 1973)
nel processo creativo di Martha Graham si veda il saggio di Nolini Barretto, The Role of Martha Graham‟s
Notebooks in her Creative Process, in «Choreography and Dance» An International Journal, Vol. 5, Part 2,
Martha Graham, (a cura di) Alice Helpern, Harwood Academic Publishers, 1999 e Howard Gardner,
Martha Graham, la scoperta della danza d‟America, in Intelligenze Creative, Feltrinelli, Milano, 1994.
IV
rendono spesso manifeste, anche se non direttamente, una pluralità di voci sotto forma
di associazioni di immagini, di simboli, di evocazioni. Scriveva:
“Sono una ladra e non me ne vergogno. Rubo le cose migliori prendendole dovunque le
trovi – in Platone, in Picasso, in Bertram Ross. Sono una ladra e me ne vanto. […] Penso di
conoscere il valore di ciò che rubo e ne faccio tesoro per ogni evenienza – senza farne una
proprietà personale, ma vedendovi una sorta di eredità, un lascito.”10
Gli appunti offrono un esempio particolarmente utile per comprendere il
processo creativo dalla coreografa durante la preparazione dei suoi balletti. Secondo
Howard Gardner, i Notebooks non forniscono molti contributi aggiuntivi alla
comprensione delle danze della Graham come espressione visivo-gestuale-corporea.
Tuttavia se considerate globalmente, le istruzioni e le citazioni presenti nei
Notebooks, “ci danno un‟idea del tipo di opera che la Graham voleva creare tra
questi due “poli” – un‟opera in cui movimenti corporei, espressioni facciali, scene,
arredi e accompagnamento musicale dessero corpo alle idee presenti nel testo.”11
Le immagini e le idee che Graham aveva durante la preparazione di uno spettacolo,
venivano appuntanti nei quaderni, nei quali la danzatrice riportava citazioni riprese
dalle sue letture, i passi della sua tecnica (Cave turn, Knee Vibration ecc.), la
posizione dei danzatori in scena e così via. Tutte queste suggestioni, venivano
innanzi tutto provate concretamente in studio e sul suo corpo, spesso da sola o in
presenza di pochi altri, cercando di arrivare ad esprimere nel modo più efficace,
attraverso il movimento, uno stato d‟animo, una passione, un sentimento,
un‟emozione. I Notebooks, scrive ancora Gardner, rappresentano “il momento di
determinazione dello spazio delle sue opere – cioè quello in cui essa ha definito in
che misura tali opere dovessero constare in una descrizione letterale e puntuale di
ciò che ogni danzatore doveva fare”12. I Notebooks, come del resto anche gli appunti
10
Martha Graham, Notebooks, p. 303, trad. di Susanne Franco, Martha Graham, L‟Epos, Palermo, 2003, p. 159.
11
Howard Gardner, Martha Graham, la scoperta della danza d‟America, in Intelligenze Creative,
Feltrinelli, Milano, 1994, p. 337.
12
Ivi, p. 336.
V
di lavoro di Virgilio Sieni, rappresentano una “musica delle idee”13 per rubare la
definizione a T. S. Eliot: una specie di flusso di coscienza capace di divenire azione
e trasformarsi in danza.
Nel caso di Virgilio Sieni, reperire i documenti video è stato meno complesso
grazie alla grande disponibilità della compagnia e del coreografo stesso a concedere
la consultazione e il prestito dei materiali (video, programmi di sala, appunti,
recensioni) riguardanti il Progetto Orestea (1994-1996). Sieni è da sempre molto
attento che i suoi lavori e molto spesso anche le prove, vengano filmati, non solo
per conservarne la memoria, ma anche perché egli considera la sua opera come “un
unico work in progress che […] vagheggia di potere prima o poi squadernare nella sua
interezza dando vita a una maratona destinata a superare le ventiquattr‟ore di
spettacolo”14. I video, dal momento che Sieni, come Graham non usano una
notazione della danza, costituiscono materiale preziosissimo di conservazione della
coreografia, che come si sa, normalmente viene trasmesso in classe, attraverso il
processo di imitazione del coreografo o comunque seguendo le sue indicazioni.
Anche se, come scrive Elisa Vaccarino, il video è una ricostruzione su uno
“schermo freddo, virtuale e feriale”15 e non lo spettacolo teatrale dal vivo di cui si
fa esperienza in modo diretto e sebbene l‟immagine sullo schermo “è un‟ombra che
rinvia a una persona viva, a una corporeità della quale è il riflesso, la traccia lasciata
dal suo passaggio davanti alle videocamere”16 ed è un tradimento dell‟esperienza
live anche per il fatto che l‟occhio dello spettatore è vincolato dallo sguardo del
regista e dalla camera, il video è pur sempre una testimonianza importante del
lavoro dei due coreografi.
Questo lavoro si compone di tre parti. Nella prima parte, Il Corpo del Mito, ho
tentato di contestualizzare l‟opera dei due coreografi all‟interno di quell‟ampio
fenomeno culturale definito a più riprese “ritorno al mito” o “processo di
rimitologizzazione” che, a partire dalla fine dell‟Ottocento ha percorso tutto il XX
13
T. S. Eliot, cit. in Maud Bodkin, Archetypal Patterns in Poetry, Oxford University Press, New York, 1948, p. 322.
14
Virgilio Sieni, Anatomia della Fiaba, (a cura di) Andrea Nanni, Ubulibri, Milano, p. 9.
15
Elisa Vaccarino, Video e danza, in La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca teatrale in Italia, (a
cura di) A. Balzala e F. Prono, Rosenberg & Sellier, Torino, 1994.
16
Ibidem.
VI
secolo interessando ogni ambito artistico, dal teatro, al cinema, dall‟arte figurativa,
alla letteratura, ed anche la danza. In secondo luogo ho cercato, alla luce delle
maggiori teorie sul mito, elaborate dall‟antropologia, dall‟etnologia, dalla psicanalisi,
di mettere in luce gli aspetti fondamentali che accomunano il mito in quanto forma
di espressione diversa dal linguaggio concettuale e in quanto racconto, al corpo e alla
danza. Questo procedimento è stato utile a fornire una struttura semplice ma efficace
alla comparazione dell‟opera di Martha Graham e di Virgilio Sieni.
Nella seconda parte della tesi, dedicata alla grande pioniera della modern dance, si è
innanzi tutto tentato di circoscrivere, all‟interno del vasto repertorio di coreografie di
Martha Graham (circa duecento)17, quelle che prendono spunto e si basano
direttamente sulle tragedie greche, che come spiegano Vernant e Vidal-Naquet, “sono
opere scritte, produzioni letterarie individualizzate nel tempo e nello spazio e di cui
ciascuna è, propriamente parlando, senza confronti”18. Proprio per questa ragione, più
che di “ciclo sul mito” mi sembra opportuno parlare di “ciclo greco”.
Ho cercato quindi di procurarmi i video di queste opere, alcuni dei quali
facilmente reperibili in Italia, come Night Journey, Clytemnestra, Errand into the maze e
parte della coreografia Cave of the heart (Medea‟s dance of vengeance19). Per Cortege of
eagles, come per i maggiori documentari commerciali dove appare Graham stessa o
dove sono presenti le testimonianze di amici, colleghi e collaboratori, ho dovuto
recarmi a Parigi, presso la Mediathèque del CND (Centre National de la Danse) e a
Londra presso le biblioteche del The Place London Contemporary School of Dance
e del Laban Centre. A Londra ho avuto la possibilità di partecipare ad una
conferenza tenuta da Henrietta Bannerman dal titolo Modern moves to ancient texts:
Martha Graham‟s Greek dances, Greek Drama and Modern Dance, presso University of
17
La Dott.ssa Henrietta Bannerman considera le coreografie di Martha Graham, tutte appartenenti al
“ciclo sul mito”, nel senso che la coreografa americana lavora sugli archetipi femminili al fine di elevare
la sua danza ad una dimensione universale. Questa affermazione deriva da una conversazione personale
avuta con la Dott.ssa Bannerman in occasione della sua conferenza Modern moves to ancient texts: Martha
Graham‟s Greek dances, Greek Drama and Modern Dance tenutasi presso Roehampton University, Londra, il
23 novembre 2006.
18
Jean-Pierre Vernant e Pierre Vidal Naquet, Prefazione, in Mito e tragedia nell‟antica Grecia, Einaudi,
Torino, 1976, p. VIII.
19
Si trova nel video-documentario del 1976, Martha Graham‟s Dance Company, regia di Merril
Brockway, produzione di Emile Ardolino per WNET/13, parte della serie «Dance in America», voce
narrante: Gregory Peck, con l‟introduzione di Martha Graham.
VII
Roehampton, il 23 Novembre 2006, e con lei ho avuto modo di discutere
personalmente del lavoro di Martha Graham20.
L‟analisi delle danze di Graham esposta in questa tesi, prende avvio con Cave of
the Heart (1946) rivisitazione della Medea di Euripide e termina con Cortege of Eagles
(1967) ultimo spettacolo in cui Graham danza prima del ritiro dalle scene,
passando per Clytemnestra (1958) considerato come il suo capolavoro. La sola
eccezione è costituita dal balletto Errand into the maze (1947) che si ispira al mito di
Teseo e Arianna e il Minotauro e non ha un supporto letterario specifico.
Ho poi cercato di inserire l‟opera di Graham all‟interno dei movimenti culturali,
sociali e politici americani ed europei soprattutto degli anni Trenta e Quaranta,
mettendo in evidenza la volontà e il tentativo della danzatrice di trovare una propria
voce artistica e un proprio stile personale, partecipando da protagonista, ai fermenti
culturali della New York degli anni Trenta e all‟istituzionalizzazione della modern
dance come danza simbolo dell‟identità americana. Ho poi dedicato un lungo capitolo
agli anni Quaranta, poiché questi, come scrive Marcia Siegel “were Martha Graham‟s
most fruitful years”21, e rappresentano il momento in cui la danzatrice raggiunge il
picco del successo; gli anni che segnano il passaggio alle “dance-dramas”, in cui
danzatori uomini fanno ingresso in compagnia, e la sintassi del movimento subisce
un forte cambiamento stilistico rispetto agli anni Venti e Trenta, arrivando
lentamente ad una codificazione.
20
Alla Dott.ssa Bannerman ho chiesto informazioni ed un aiuto per trovare i video mancanti degli
spettacoli del ciclo greco, Alcesti (1960) e Phaedra (1962). Di questi due video, come di Andromaque‟s
Lament (1982) e di Phaedra‟s Dream (1983), ho chiesto più volte alla Martha Graham Dance School
di concedermi il permesso alla visione, senza mai ricevere alcuna risposta. Bannerman mi ha detto
che lei stessa non è mai riuscita a vederli.
21
Marcia B. Siegel, The Epic Graham, in The Shapes of Change. Images of American Dance, University of
California Press, Los Angeles, 1979, p. 175. Poco più avanti, nel testo, Siegel scrive: “Although Graham
continued to be productive and made wonderful dances after that, nothing she did in succeding years
surpassed the dances of her mid-life” (ibidem). Altrove Siegel scrive: “There does seem to be a breaking
point in her total output, when her sources became less personal and more literary. Up to the mid-1940s
her dances were drawn from her American heritage, from her political and emotional symphaties, and
from real or theatrical characters with whom Graham identified […] It would take a critical biographer to
investigate throughly all the reason why Graham‟s approach changed in the forties […] she stopped doing
dances about herself in reference to Mankind, and did dances about Mankind as represented by herself
and her company.” (Cfr. M. Siegel, The Harsh and Splendid Heroines of Martha Graham, in Moving
History/Dancing Cultures, Ed. Ann Dils & Ann Cooper Albright, Wesleyan University Press/Middletown
Connecticut, 2001, p. 310).
VIII
Nell‟analisi degli spettacoli poi, ho cercato di mettere in primo piano e di
ripercorrere la poetica22 e il procedimento creativo adottato da Martha Graham,
attraverso l‟apparato paratestuale (programmi di sala, appunti di lavoro,
l‟autobiografia della danzatrice, le biografie e le monografie scritte su di lei23), e
intratestuale (la trama dei balletti), prendendo in considerazione, quando possibile,
l‟analisi del movimento (grazie ai Notebooks e al Syllabus of Graham Movements24)
servendomi anche di un vasto apparato critico25. Nel caso di Martha Graham,
questo è composto dagli studi americani riconducibili a quella che è stata definita la
scuola newyorkese, le cui maggiori esponenti sono, Deborah Jowitt26 e Marcia B.
Siegel27 che, insieme a Arlene Croce e Nancy Goldner, secondo Diana Theodores:
22
Riprendo qui il concetto di “poétique” elaborato da Laurence Louppe in Poétique de la danse
contemporaine, Contredanse, Paris, 2004. La poétique si avvicina al “fare” della danza, al suo progetto
dinamico. La poétique non vuole proporre delle norme, come accadeva per quella classica, ma
“questionne indéfiniment le champ du possible” (Cfr. Louppe, p. 33). Essa si propone di rompere
con una visione lineare della storia della danza nella quale, di contro, sono presenti dei ritorni al
passato e degli avanzamenti. Ne sono un esempio, la rivoluzione fatta dalle pioniere della danza
moderna negli anni ‟20 e ‟30 e il radicalismo degli anni ‟60 in America. Intende studiare le
modalità, più o meno esplicite, dell‟atto poetico in danza che passa dal movimento come processo
generatore e dagli stati del corpo in quanto stati del pensiero. Diversamente dall‟approccio della
corrente teorico-critica di matrice anglosassone, il cui obiettivo è quello di mostrare ciò che nella
costruzione coreografica fa struttura, significato e metafora, Louppe predilige “l‟intimité du geste,
de la genèse des composantes de l‟oeuvre. Là où ça travaille et se construit, là où ça s‟expose et prend
des risques. Mais aussi là où ça nous touche, et parfois là où ça nous emmène.” (Cfr. Louppe, p. 40).
23
Soprattutto la monografia di Susanne Franco, Martha Graham, L‟Epos, Palermo, 2003; Leroy
Leatherman, Martha Graham. Portrait of the Lady as an Artist, Knopf, New York, 1966; Walter Terry,
Frontiers of Dance: The Life of Martha Graham, Limelight Editions, New York, 1966; Don McDonagh,
Martha Graham. A Biography, Praeger, New York, 1973; Ernestine Stodelle, Deep Song. The Dance
Story of Martha Graham, Schirmer Books, New York, 1984; Agnes De Mille, Martha. The Life and work
of Martha Graham, Random House, New York, 1991.
24
Si trova in Marion Horosko, Martha Graham: the Evolution of her Dance Theory and Training 1926-
1991, Cappella Books, Pennington, 1991. Per l‟analisi del movimento, molto importante è stato il
contributo di Henrietta Bannerman, con il suo saggio An Overview of the Development of Martha
Graham‟s Movement System (1926-1991), «Dance Research: The Journal of the Society for Dance Research»,
Vol. 17, No. 2, (Winter, 1999), pp. 9-46.
25
Per una riflessione metodologica per lo studio della danza, si veda Susanne Franco e Marina
Nordera (a cura di), I discorsi della danza, Parole chiave per una metodologia della ricerca, UTET, Torino,
2005. Il volume, che raccoglie i contributi di studiosi italiani e stranieri con orientamenti teorico-
metodologici eterogenei, è costituito da tre parti incentrate ciascuna su una parola chiave: politica,
femminile-maschile, identità.
26
Deborah Jowitt inizia a danzare professionalmente nel 1953 e lavora con alcuni dei maggiori
coreografi nell‟ambito della modern dance, iniziando a creare coreografie nel 1962. Dal 1967 scrive
nel «Village Voice». Le sue recensioni sono state raccolte in due libri: Dance Beat (Marcel Dekker,
1977) e The Dance in Mind (David Godine, 1985). Il suo Time and the Dancing Image (William
Morrow, 1988) riceve il De la Torre Bueno Prize. Ha ricevuto numerosi premi per il suo contributo
IX
“created a new critical dance language, a new rigour of investigation in responding to
dance, and an aestethic sensibility so persuasive and influential that a whole generation of
dance viewers and critics alike, from the late 1960‟s to the end of 1980‟s, marveled at the
prolific and profound nature of Golden Age of Dance in New York. […] The championing of
the American classicists, the permission to be passionate and majestically subjective in dance
criticism, the prolonged attention to description and analysis – the virtual inhaling of
dances and the reading of dances for what they in themselves could offer up for meaning,
for theory, for contextual considerations – these things were their legacy”28.
Oltre a questi, di grande interesse, sono stati gli scritti di Sally Banes29, i lavori di
Mark Franko30 e di Ramsay Burt31. Mi sono servita, allo stesso tempo, dei contributi
alla critica di danza, tra i quali il Bessie (New York Dance and Performance Award) nel 1985, l‟Ernie
nel 1998 per Dance/USA e il Guggenheim Fellowship nel 2002.
27
Marcia B. Siegel è critico di danza per la Hudson Review e al Boston Phoenix dal 1996. Ha
insegnato presso la Faculty of Performing Arts della New York University dal 1983 al 1999. Tiene
conferenze internazionali sulla storia e la critica di danza.
28
Diana Theodores, First we take Manhattan: Four American women and the New York School of Dance
Criticism, Harwood Academic Publishers, Amsterdam, 1996, p. XXV.
29
Sally Banes, autrice del celebre Terpsichore in Sneakers. Post-modern dance, pubblicato per la prima
volta da Houghton Mifflin Company nel 1980 e poi da Wesleyan University Press, nel 1987, è
invece Professor of Theatre and Dance Studies alla Wisconsin-Madison dal 1992 al 1996 e membro
del Secretary of Faculty dal 1999 al 2002.
30
Mark Franko è professore presso il Theater Arts Departement dell‟Università di California (Santa
Cruz). Franko si è occupato dell‟identificazione della coreografia come teoria ed è noto soprattutto per gli
studi sui corpi e coreografie del Rinascimento (The Dancing Body in Renaissance Choreography, Summa,
Birmingham 1986) e del primo periodo barocco e per le analisi della danza moderna (Dancing
Modernism/Performing Politics, Indiana University Press, Bloomington, Indianapolis, 1995; The Work of
Dance. Labor, Movement and Identity in the 1930s, Wesleyan University Press, Middletown, 2002. Ha
analizzato i percorsi coreografici come strumento per creare spazi di possibilità sociale e sessuale attraverso
la produzione di genere come rappresentazione e di fatto, attraverso lo spazio di azione del coreografo. Si
interessa dei rapporti tra danza e politica, poiché ritiene che “il potere non può agire fuori del campo
della rappresentazione, e la rappresentazione (con tutte le sue crisi) è materia estetica”. (Cfr. M. Franko,
Danza e Politica, in Susanne Franco e Marina Nordera (a cura di), I discorsi della danza, Parole chiave per una
metodologia della ricerca, UTET, Torino, 2005, p. 28).
31
Ramsay Burt è Senior Research Fellow presso De Montfort University Leicester, in Inghilterra. E‟
autore di The Male Dancer. Bodies, Spectacles, Sexualities (Routledge, New York-London, 1995) e Alien
Bodies: Representation of Modernity, «Race», and Gender in Early Modern Dance (Routledge, New York-
London 1998). Insieme a Susan Leigh Foster è tra i fondatori della rivista «Discourses in Dance». I
suoi testi, come quelli di Susan Leigh Foster, mettono spesso in campo l‟implicazione soggettiva
dell‟autore. Il suo approccio privilegia «genere», in quanto costruzione sociale e culturale della
differenza sessuale, e «identità» (che si legge al plurale per accentuare l‟ambiguità e la polivalenza di
una categoria che simultaneamente raggruppa l‟identità comune e separa identità individuali,
identità multiple) nel teatro-danza contemporaneo.
X
della scuola francese di analisi del movimento32, (Hubert Godard, Michel Bernard,
Laurence Louppe), utilizzando tali strumenti anche nel caso di Virgilio Sieni.
Il terzo e ultimo capitolo della tesi è dedicato al lavoro di Virgilio Sieni sulla
tragedia di Eschilo svolto nel biennio 1994-1996. Nel caso di Sieni la ricerca è stata in
parte facilitata dal fatto che conoscendo personalmente il coreografo, ho avuto
l‟opportunità non solo di seguire con continuità i suoi laboratori pratici di danza (dal
2003 a oggi) e di vedere molti dei suoi spettacoli dal vivo (dalla fine del percorso sulla
fiaba ad oggi), ma anche di discutere con lui del suo percorso artistico, delle sue
creazioni attuali e di quelle del periodo in cui lavora sulla tragedia.
L‟obiettivo di questo lavoro è stato tentare di mettere in luce le relazioni
complesse che i due autori instaurano tra letteratura, teatro e danza. La prospettiva
adottata è fondamentalmente storica, in quanto, in primo luogo, colloca le
produzioni rispettive nel contesto socio-culturale di appartenenza, e in secondo
luogo, l‟interpretazione passa dalla ricostruzione preliminare del più ampio
ambiente culturale in cui i due autori si muovono e da cui attingono, al fine di
rinvenirne le influenze nei loro stessi testi. Di conseguenza – posto che il metodo
utilizzato è stato comparatistico e interdisciplinare – il fatto di essermi riferita,
32
All‟interno dei campi metodologici degli studi di danza, Mark Franko (Danza e Politica, in Susanne
Franco e Marina Nordera (a cura di), I discorsi della danza, Parole chiave per una metodologia della ricerca,
UTET, Torino, 2005, p. 18), individua due correnti interpretative principali: una formalista e una
contestualista. La corrente contestualista (che Isabel Ginot definisce dominante) composta
principalmente dagli storici, considera la danza come prodotto di un contesto sociale e culturale. La
corrente formalista, ovvero dell‟analisi del movimento, sviluppatasi soprattutto in Francia e i cui
maggiori esponenti sono Hubert Godard, Odile Roquet, Nathalie Schulman e la stessa Isabelle Ginot,
è di impianto fenomenologico e prende a prestito dall‟analisi del movimento (tradizione che va da
Isadora Duncan a Rudolf Laban, passando per Doris Humphrey) alcuni dei suoi strumenti, pensa il
senso dell‟opera come legato all‟esperienza del danzatore e dello spettatore anche nel momento
dell‟opera. Vale a dire senza escludere la dimensione culturale, ma semmai includendola nella prassi
gestuale. Si tratta di un insieme di saperi e pratiche sviluppati innanzi tutto da e per i danzatori. Questa
tradizione suppone che il movimento sia un sapere e non soltanto un oggetto di sapere o un veicolo
passivo di altri saperi. All‟interno della critica quindi, esistono queste due visioni: la prima considera
l‟opera come qualcosa che ha un‟esistenza stabile di senso, al di là delle sue occorrenze e quindi le
variazioni di lettura sono considerate trascurabili e l‟opera, per quanto polisemica, è potenzialmente
esauribile dal discorso critico (critica ermeneutica), mentre la seconda visione, considera il senso
dell‟opera come instabile, prodotto dallo scambio tra danzatore e chi guarda. L‟opera quindi esiste solo
nelle variazioni delle sue occorrenze ed ha un senso mobile, ripreso di continuo nel momento
dell‟interpretazione. I codici culturali e i tratti coreografici costanti vi appaiono non come gli unici
parametri pertinenti, ma come dei parametri tra gli altri. (Cfr. Isabelle Ginot, L‟identità, il contemporaneo
e i danzatori, in Susanne Franco e Marina Nordera (a cura di), I discorsi sulla danza. Parole chiave per una
metodologia delle ricerca, UTET, Torino, 2005, pp. 301-321).
XI
soprattutto nel caso di Martha Graham, a teorie psicanalitiche e antropologiche, è
dovuto in larga parte al fatto che - come è emerso dallo studio dei Notebooks, dei
programmi di sala degli spettacoli, dall‟autobiografia e dai numerosi studi dedicati
alla coreografa (biografie, monografie ecc.) - queste hanno profondamente
influenzato l‟autrice e pertanto ne informano le opere. Per la stessa ragione,
soprattutto nel caso di Virgilio Sieni, è stato necessario chiamare in causa ambiti
disciplinari quali la filosofia e la teoria dell‟arte. Infine, vista la complessità del
lavoro del coreografo fiorentino, al fine di ottenere un‟analisi più completa, mi
sono servita di alcuni concetti ripresi dalla semiotica.
Ad esempio, lo spettacolo di Martha Graham, Night Journey (1947) che mette in
scena il mito di Edipo rinarrato dal punto di vista di Giocasta, viene analizzato
tenendo conto delle teorie psicanalitiche freudiane e junghiane sempre più
popolari in America negli anni Quaranta. Il work in progress di Virgilio Sieni
sull‟Orestea di Eschilo è letto, non solo alla luce degli sconvolgimenti politici del
periodo che segue la caduta del muro di Berlino e in particolar modo considerando
la situazione politica e culturale italiana della metà degli anni Novanta del secolo
scorso, ma anche contestualizzando il suo lavoro all‟interno delle numerose messe
in scena della trilogia eschilea andate in scena a partire dal secondo dopoguerra in
Europa. Allo stesso modo, si è inteso ripercorrere la sua formazione alla luce delle
maggiori correnti teatrali (post-avanguardia italiana, Terzo Teatro), di danza (la
Postmodern Dance americana e nello specifico la Contact Improvisation, le varie
pratiche di Release Technique ecc.) e artistiche (Body Art) che hanno segnato il fare
coreografico di Sieni. L‟approccio, come è stato detto in precedenza, è
fondamentalmente storico e tenta di restare il più possibile ancorato ai documenti.
Prendo perciò in considerazione prima di tutto i rapporti tra letteratura (in questo
caso le tragedie greche) e messa in scena, guardando alle modalità con cui arti
diverse (illuminotecnica, musica, costumi, scenografie) partecipano alla costruzione
dello spettacolo, producono senso e costruiscono dei significati coerenti. Lo
spettacolo di danza è considerato come prodotto di condizioni storiche e in dialogo
XII
con le altre pratiche artistiche, tenendo conto quindi del contesto culturale (o
generale) e del contesto spettacolare (o immediato)33.
Martha Graham e Virgilio Sieni
“La danza che faccio io non può raccontare altro che se stessa. Cercare di nobilitare la danza
attraverso un‟altra arte è un gesto di disprezzo e di ignoranza. E‟ tempo che la gente si metta in testa
che la danza è un‟arte autonoma completa e compiuta. Anch‟io voglio strapparmi di dosso tutte le
penne di un altro pavone e continuare ad elaborare i miei codici linguistici attorno alla danza-danza:
la danza e basta.”34
Con queste parole perentorie, Virgilio Sieni rivendica la necessità di una danza
autonoma e svincolata dalla necessità di dover comunicare o dover raccontare una
storia. Martha Graham inizia la sua autobiografia con un‟affermazione altrettanto
categorica: “I am a dancer” (Io sono una danzatrice).
La danza è una pratica; una pratica durissima di costruzione del proprio corpo e
di modellamento della propria anatomia. Di solito si intraprende lo studio della
danza fin da bambini e lo si porta avanti, con fatiche e rinunce, nel corso degli
anni. Scegliere di essere un danzatore significa dedicarsi ogni giorno ad un duro
lavoro corporeo, mettersi nella situazione di vivere la frustrazione, mettersi a
confronto con gli altri, trovarsi costantemente di fronte ai propri limiti.
Martha Graham dedica le prime pagine della sua autobiografia al duro mestiere
del danzatore, mettendo in guardia chiunque voglia intraprendere questa carriera.
E Virgilio Sieni, negli appunti di lavoro sull‟Orestea di Eschilo afferma: “Il corpo
33
Secondo De Marinis il contesto culturale (o generale) è costituito “dalla cultura sincronica al fatto
teatrale in esame: più esattamente, esso è rappresentato dall‟insieme dei testi culturali, teatrali ed
extrateatrali, estetici e non, che possono essere messi in relazione con il testo spettacolare di
riferimento, o con una sua componente: altri testi spettacolari, testi mimici, coreografici,
scenografici, drammaturgici e così via, da un lato; testi letterari, retorici, filosofici, urbanistici,
architettonici ecc. dall‟altro.” Il contesto spettacolare (o immediato) è costituito invece dalle
situazioni pragmatiche e comunicative con le quali il testo spettacolare ha a che fare nei vari
momenti del processo teatrale: esso riguarda quindi in primo luogo, le circostanze dell‟enunciazione
e di fruizione delle spettacolo, ma anche le varie fasi genetiche (dal training degli attori,
all‟adattamento del testo scritto, alle prove) e infine, ma non secondariamente, le altre attività
teatrali che circondano il momento spettacolare vero e proprio. […] Nel primo caso potremmo
parlare, quindi, di testi-nella-storia e nel secondo di testi-in-situazione (comunicativa): ma non va mai
dimenticato che ogni testo spettacolare è sempre l‟una e l‟altra cosa insieme.” (Cfr. M. De Marinis,
Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Bulzoni, Firenze, 1999, p. 25).
34
Virgilio Sieni, in Vittoria Ottolenghi, Dall‟Isolotto All‟Etoile, `L‟Espresso´, 12 maggio 1995.
XIII
gonfio di lividi e pallido di dolore si scopre vigile, vitale, necessario: è nel
metabolismo che avviene in rito. E‟ nell‟idiota dell‟astratto che risiede il ritratto di
una voce”35. E ancora: “L‟eroe non ha gerarchie; come il danzatore deve essere
radicale, severo, clandestino, potente, altero, rigoroso ed intimo”36. Questa è la
prima ragione che mi porta ad affermare che qualsiasi apporto giunga alla danza da
discipline come la letteratura, la pittura, il cinema, il fumetto e così via, serve
essenzialmente come materiale di ricerca e di esplorazione del corpo umano e della
danza. “The dance is action”37, affermava Martha Graham. “is not a literary art and
is not given to words … it is something you do. There is danger in rationalizing
about it too much.”38
E‟ a partire da questi presupposti, ovvero dalla concretezza della pratica artistica
della danza, che si è inteso intraprendere questo lavoro, restando strettamente
ancorati al percorso creativo di Martha Graham e Virgilio Sieni. In primo luogo la
scelta di questi due coreografi è motivata dal fatto che ambedue si sono misurati
con la tragedia greca, che fa del mito il suo materiale narrativo, creando all‟interno
del loro cammino artistico, quello che la critica ha definito “ciclo greco” o “ciclo sul
mito”39. Ambedue hanno ricercato nel mito e nella danza il valore rituale,
simbolico e sacro non solo del teatro ma anche del corpo umano.
Perché scegliere proprio Martha Graham e Virgilio Sieni e non ad esempio Jean
Erdman40 o la Compagnia Abbondanza Bertoni41 che in Italia ha dedicato un
35
Virgilio Sieni, Il Fiato della Follia, in Drammaturgia della danza, (a cura di) Alessandro Pontremoli,
Euresis, Milano, 1997, p. 140.
36
Ivi, p. 141.
37
Martha Graham, Affirmations, in Merle Armitage, Martha Graham. The early years, Da Capo Press,
New York, 1978, p. 103.
38
Ibidem.
39
La critica suddivide l‟opera di Martha Graham in: “ciclo americano” che coincide con l‟inizio
della sua carriera nel 1926 e termina con American Document (1938), e fa risalire l‟inizio del “ciclo sul
mito” al balletto Herodiade (1944), ispirato all‟opera omonima del poeta Stéphane Mallarmé. Anche
l‟itinerario artistico di Sieni si articola per cicli. Il “ciclo sul mito” rappresenta il primo percorso
compiuto dal coreografo con la compagnia che porta il suo nome, la Virgilio Sieni Danza, e viene
seguito dal “ciclo sulla fiaba” e da quello attuale sull‟ “Umanità Ignobile”.
40
Jean Erdman, moglie del celebre studioso di mitologia comparata Joseph Campbell, amico intimo
di Martha Graham, si formò alla scuola della pioniera della modern dance e danzò nella sua
compagnia. Erdman lavorò a lungo sul materiale mitico e letterario, tentando di esprimere un tema
personale da ricercarsi attraverso la danza.
41
Il progetto “Ho male all‟altro” di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, è una trilogia ispirata
alla tragedia greca ed è composta dagli spettacoli Alcesti (2002), Medea (2004) e Polis (2005).