Un povero autore, se vuole essere rappresentato deve parlare di fatti lontanissimi, di fatti
storici. L‟attualità è bandita dalle scene italiane. Se poi vai in Inghilterra vedi che lì tira un‟aria
completamente diversa. E‟ un paese che affronta la realtà col suo teatro. Da noi no. Non credo
proprio che la drammaturgia italiana ne risentirà. Ma, ripeto, non perché i drammaturghi italiani
non siano sensibili, ma perché non c‟è spazio, non interessa a nessuno.1
Questo bisogno di fare e di fruire del teatro nel Regno Unito è così travolgente che
dopo un po‟ non ti stupisce più il fatto di assistere alla rappresentazione di un Riccardo
III o di qualche Stand-up Comedy, seduto in un pub all‟ora di pranzo.
Tornando al 1999, questo è un anno importante per due ragioni fondamentali:
siamo alla fine degli anni ‟90, i “Nasty „90s” che hanno dato voce a tutto quel filone di
playwrights “In Yer Face”2 secondo la definizione di Aleks Sierz, che va da The
Pitchfork Disney di Philip Ridley, a Anthony Neilson con Normal, a Shopping and Fucking di
Mark Ravenhill fino a Blasted di Sarah Kane, lo spettacolo più sconvolgente della
decade, che segnò l‟entrata folgorante nella scena teatrale londinese di una ragazza di
appena ventitre anni, la quale scandalizzò pubblico e giornalisti per il linguaggio della
pièce e per la profonda novità che portava con se la sua drammaturgia. La seconda
ragione è che lo stesso anno Sarah Kane muore suicida a soli 26 anni, impiccandosi con
i lacci delle scarpe, due giorni dopo essere uscita dalla clinica per malati di depressione
che l‟aveva ospitata.
Quando Sarah Kane scomparve, io ancora non avevo visto né letto nessuno dei sui
lavori, ma all‟università se ne parlava molto e il suo nome era già citato in numerosi libri
di teatro. Lessi le sue opere solo quando, come accade per i giovani talenti che
scompaiono prematuramente, il mercato decise di consacrarla a classico
contemporaneo. Conoscevo bene però, le opere di Timberlake Wertenbaker poiché
avevo frequentato la messa in scena di un gruppo di colleghi, del suo The Love of the
Nightingale e moltissimi altri autori di grande talento come Edward Bond, Howard
Barker, Caryl Churchill e Harold Pinter, solo per citare alcuni dei più conosciuti anche
da noi.
Ciò che mi colpì più nel profondo leggendo questi testi, oltre al fatto di affrontare
tematiche d‟attualità, come in Italia potrebbe succedere con una rilettura registica di
1
Antonella Melilli, Affrontiamo la realtà con il teatro, in "Hystrio", XV.1 gennaio-marzo 2002.
2
Aleks Sierz, In-yer-face theatre: British drama today, Faber and Faber, London 2000.
qualche classico, fu il linguaggio che tutti questi autori, in modo personale e del tutto
originale, usavano.
La scrittura, poiché lavoravo sul testo e non sulla performance, così come accadrà
in questo contesto, era asciutta, immediata, scabra, funzionale, insomma ciò che c‟è di
più lontano dalla prolissità. Ma anche in questo caso ho trovato conferma di non essere
la sola a pensarla così. Nella rivista di teatro "Sipario" del gennaio-febbraio 1997, in
occasione del Festival Intercity del Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, che
quell‟anno presentava una rassegna sulla nuova drammaturgia inglese e che per altro
vide partecipe in prima persona Sarah Kane con la prima nazionale di Blasted
(Dannati1), Barbara Nativi afferma:
Sono testi lontani dalle nostre corde, c‟è un grosso scarto culturale, più di quanto non
potessi immaginare […]. Mi sono sembrati tutti testi per noi ben curiosi, soprattutto per la
necessità di trovare un‟altra corda di lavoro rispetto a quelle a cui siamo abituati3
Segue Mauro Martinelli:
Una scrittura, che rispetto alle nostre, si distingue per una veridicità assoluta: qualsiasi cosa,
anche la più surreale, è in qualche modo plausibile. Meno licenze poetiche, se si intende la
poetica come scollamento dalla realtà, digressione nel fantastico, ma una grande cura del
particolare. 4
Inoltre, un‟altra cosa che rendeva ai miei occhi questi testi squisitamente
interessanti è che, differenti per contenuti e per modalità di scrittura, erano chi più chi
meno tutti lontani da una forma tradizionalmente realistica e in tutti si avvertiva il
profondo legame con la tradizione elisabettiana e giacomiana.
In questo fermento di testi teatrali che studiavo durante il corso, mi ero inoltre
imbattuta in numerose riscritture di antichi miti e tragedie classiche da parte di diversi
autori: lo stesso The Love of The Nightingale di Timberlake Wertenbaker di cui parlerò
nello specifico in seguito, è una rivisitazione del mito di Filomela, Procne e Tereo,
Phaedra Britannica di Thomas Harrison, Thyestes di Caryl Churchill, Tales from Ovid di Ted
Hughes che ebbi modo di vedere in scena allo Young Vic di Londra quello stesso anno.
1
Trad. di Barbara Nativi.
3
Mauro Martinelli, Il Ritorno della Storia ,in "Sipario", gennaio-febbraio 1997.
4
Ibidem.
La domanda che più di frequente mi capitava di pormi era il perché questi autori, tutti
in modo assolutamente originale, si fossero rivolti ad un lontano passato, alla tragedia
classica, al mito, per parlare di argomenti contemporanei e d‟attualità. In particolare mi
interessava la riscrittura al femminile del mito perché gli anni ‟90 avevano visto in
Inghilterra, o quanto meno nei teatri londinesi, una più massiccia presenza di uomini,
drammaturghi e direttori artistici, rispetto alle donne. Ce lo conferma la stessa
Timberlake Wertenbaker in un intervista a Michael Billington:
There was a particolar moment (mid-„90s) when there were all these plays by men about
men with really no women present. You go to the theatre partly to be mirrored in some way
and you begin to feel you don‟t exist. I don‟t think women have ever been a welcome voice.
You sense a relief that we can shut those women up and get back to what really matters, which
is what men are saying. It‟s not complete paranoia. I think we‟re trained from birth to listen to
men. The disappearance of women from the stage may also have discouraged aspiring writers.
Word got around that there was little point in sending your play to the Court or the National.
So women just stopped. Or went into TV and films.5
Chi va contro certe dinamiche di gender è senz‟altro la Kane, che, sempre nel
periodo in esame, fu invece incorporata al gruppo degli uomini drammaturghi al Royal
Court e anch‟essa protagonista di una riscrittura con Phaedra’s Love ma in un certo senso
suo malgrado, perché scrive questa pièce su commissione del Gate Theatre di Londra.
Il nuovo millennio vede inoltre un‟ulteriore rilettura del mito di Filomela, da parte
di una giovanissima promessa della drammaturgia inglese che all‟inizio ha fatto pensare,
giusto dopo la recente scomparsa dell‟autrice di Blasted, ad una nuova Sarah Kane. Si
tratta di Joanna Laurens con The Three Birds, messo in scena anch‟esso al Bush Theatre
nel 2000.
In questo lavoro, evitando di concentrarmi soltanto sul mito dell‟Usignolo, ho
introdotto anche la tragedia di Fedra, utilizzando come anello di congiunzione tra i due
miti la pièce di Timberlake Wertenbaker, nella quale è presente l‟espediente del theatre-
within-the-theatre che fa coincidere le due tragedie nella tematica dell‟amore incestuoso.
Ho deciso inoltre di analizzare Phaedra’s Love di Sarah Kane che mi interessava per
la maniera del tutto personale di riadattare la tragedia ma soprattutto per l‟importanza
5
Michael Billington, Men judge plays, put on the plays and run the theatres, "Guardian", 25 novembre 1999.
decisiva che ha avuto quest‟autrice nel panorama teatrale inglese, generando forti
fenomeni di imitazione, in quel determinato periodo storico che sono gli anni novanta.
Ripercorrendo le tappe della drammaturgia inglese dell‟ultimo ventennio del secolo
scorso, ho creduto importante soffermarmi sul lavoro di Timberlake Wertenbaker e di
Sarah Kane perché rispecchiano due generazioni e due tendenze teatrali fondamentali.
Ho deciso pertanto di inoltrarmi in uno studio più approfondito del loro punto di vista
sul mito, argomento di cui tratterò nella seconda parte di questo lavoro.
PARTE PRIMA
Per un itinerario storico di riscrittura del mito in teatro
CAPITOLO PRIMO
Attualità del mito nel teatro contemporaneo
Siate consapevoli del fatto che Atene
ha una grandissima fama tra
gli uomini perché non cede alle sciagure,
ha speso nella guerra moltissime vite e fatiche,
ed ha acquistato finora una potenza grandissima,
la cui memoria, anche se prima o poi
dovremo cedere un poco
(poiché ogni cosa per natura è destinata a declinare),
resterà in eterno a coloro che verranno dopo di noi.
Tucidide II 64, 3
Il testo cambia alcune immagini,
ma tutti gli artisti lo fanno per riportare l‟antico immaginario,
modificato e non, dentro la loro epoca.
Edward Bond, A blast to our smug theatre2, "Guardian" 28/I/1995
Erroneamente siamo portati a pensare che la mitologia sia un‟insieme di racconti che si
perdono in un tempo antichissimo, dissociati e lontani dalla nostra realtà quotidiana e dalla
realtà storica. Non a caso quelli della mia generazione hanno assaggiato la mitologia per la
prima volta, insieme alle favole di Fedro e La Fontaine o alle fiabe dei fratelli Grimm e di
Oscar Wilde. Per questa ragione, insieme al fascino dei racconti mitologici, molti si portano
dietro anche la strana convinzione che queste narrazioni ai limiti del fantastico siano false e
lontane dal mondo odierno. Come conciliare infatti l‟eroe che scende nel regno
dell‟oltretomba, o Icaro che vola con delle ali di cera, con la tecnologia, con internet e con la
scienza? Un‟altra idea completamente fuorviante, a cui nostro malgrado i mass media cercano
di abituarci, è che il teatro sia un luogo di intrattenimento, dove i veri protagonisti sono i
giovani dei programmi televisivi che pullulano nei palinsesti mondiali. Se il mondo di oggi
sembrerebbe portarci sempre più lontano dalle narrazioni mitiche e da quello che era il teatro
nell‟antica Grecia, scopo di questa tesi è dimostrare il contrario, ovvero affermare che il mito,
2
Trad. di Barbara Nativi.
attraverso la tragedia e dunque il teatro, è straordinariamente attuale all‟inizio del terzo
millennio.
Nell‟antica Grecia (poiché qui si tratteranno i miti greci), il mito non è un ornamento
poetico, come è diventato in seguito in alcuni momenti della letteratura euro-occidentale, ma
un elemento determinante per il funzionamento della società tradizionale. Nell‟epoca arcaica, il
mito trasmette e contiene il patrimonio delle idee, delle tradizioni, delle istituzioni sociali e
religiose di tutto il popolo. Come tale, esso è un racconto tradizionale, trasmesso inizialmente
per via orale (il termine greco “Mythos” significa “parola” o “racconto”), che non ha un
autore ma è presente nella memoria collettiva del popolo3. Mythos viene contrapposto a lògos,
(da lègein, “mettere insieme” che significa accorpare singoli frammenti di fatti evidenti e
verificabili), solo dopo Erodoto4, colui che è considerato il padre della storia.
I miti costituivano le “storie sacre” dei popoli antichi e come tali conservavano un‟antica
sapienza di carattere magico e religioso e alcuni di essi motivavano le origini di una scoperta o
di un rituale5. Questi racconti, sebbene narrassero un evento accaduto in un lontano passato e
compiuto da personaggi considerati dalla comunità più che umani (eroi, dèi), erano sentiti
come reali, anche se appartenenti ad una realtà diversa da quella quotidiana. Ma è ancora più
importante il fatto che i miti proponessero modelli di comportamento ai quali la comunità
doveva attenersi e trasmettessero il sistema dei valori morali di una civiltà. Il mito è anche un
vero e proprio modo di pensare, frutto di un pensiero che non si sviluppa attraverso schemi
logici e astratti, ma per immagini. Gli studi etnografici, e soprattutto la psicanalisi, hanno
infatti dimostrato che il pensiero mitico non è caratteristico di una civiltà primitiva, che lo
userebbe come metodo pre-scientifico per comprendere e spiegare il mondo circostante e i
fenomeni della natura, ma sussiste in ogni uomo come schema profondo della mente. Il sogno
è un fenomeno che lega la vita inconscia e l‟attività mitica della psiche e pertanto utilizza gli
stessi elementi di base del mito (i simboli, i rituali, le metafore) e lavora con lo stesso tipo di
linguaggio visivo e immaginario. Carl Gustav Jung è stato il primo a leggere nel sogno e nel
mito una comune origine di archetipi simbolici che costituirebbero i modelli più profondi e
universali della psiche umana. Il pensiero mitico, quindi, non appartiene solo a popolazioni
3
I racconti mitici sono arrivati in Grecia, in molti casi, insieme ai popoli che vi migrarono, dagli inizi del II
millennio a. C. in poi, e appartengono quindi, nelle loro linee essenziali, a un periodo ancora più remoto e che si
perde nella notte dei tempi, come sembra confermare la presenza di racconti simili in Asia Minore e in India,
ovvero nelle zone toccate dai grandi fenomeni di spostamento dei popoli indoeuropei.
4
Erodoto (484 – 430 a. C.), dopo una serie di viaggi in Mar Nero e Egitto, scrive le Historie. Lo storico greco
fonda il suo metodo storiografico sulla ricerca diretta, ma la sua opera, fonte di notizie preziose, accoglie spesso
elementi leggendari, in uno stile tra la novellistica e l‟epica.
5
In questo caso si parla di miti “eziologici”, ovvero miti che spiegano la causa; vedi il mito di Prometeo che
spiega l‟origine del fuoco.
illetterate che non hanno imparato a pensare in termini logici, ma è complementare al pensiero
logico-razionale. In una società illetterata il pensiero mitico è una necessità poiché serve per
conservarne la cultura. Il mito, in breve, era una sorta di filosofia primitiva che iniziò ad essere
messa in dubbio già in epoca arcaica, quando si cominciò a cercare delle spiegazioni razionali
alla realtà.
Ciò che salvò i miti dall‟oblio furono i poeti antichi, che trasformarono questi racconti orali
in narrazioni scritte: magicamente i miti divennero poesia. Nel mondo antico il genere che
forse meglio si prestò ad accogliere e a valorizzare queste storie e a trasmetterle alla gente, fu la
tragedia. Il teatro divenne allora un momento di incontro fondamentale poiché non solo
riuniva tutta la comunità ma consolidava il sistema democratico della polis di Atene del V
secolo a. C. I grandi tragediografi Eschilo, Sofocle e Euripide ripresero queste storie che
trovavano già pronte nel patrimonio culturale e sociale della comunità. Proprio perché
appartenevano ad un lontano passato e non erano immediatamente verificabili (“Laddove non
si può sapere nulla di vero, la menzogna è permessa”6), potevano riraccontarle e modificarle di
volta in volta. Essi rielaborarono i miti all‟interno del genere tragico, creando già agli albori
del teatro, un sorprendente labirinto di varianti dello stesso racconto (ne sono un esempio
Medea e Edipo).
Per i poeti antichi i racconti mitici risultavano affascinanti perché racchiudevano già quelle
caratteristiche che Aristotele nella Poetica proponeva come fondamentali per la tragedia, ovvero
che l‟eroe o l‟eroina “patissero o facessero cose terribili”7 e perché narravano eventi
straordinari ed avevano connotazioni eccezionali. L‟autore “metteva in luce un‟emozione, una
spiegazione, un significato che nessuno prima di lui aveva colto. Si sviluppò così una specie di
distanza, di distacco dal soggetto, che sembra aver contribuito ad accrescere la grandezza della
tragedia e a conferirle una dimensione particolare. In essa, un‟azione è usata soltanto come
linguaggio, con cui il poeta può esprimere ciò che lo commuove o lo urta.”8
I racconti mitici avevano anche la caratteristica di essere particolarmente cruenti, narrando
di eventi colmi di orrori che stravolgevano l‟uomo nelle sue emozioni profonde. I grandi poeti
del V secolo a. C., tramite la tragedia, contribuirono a rendere ancora più violente le vicende
esemplari delle due famiglie di eroi dominanti, gli Atridi e i Labdaciti, fautrici delle più atroci
brutalità. Anche Aristotele nella Poetica indicava agli autori tragici di scrivere opere dove i
drammi si producono “fra persone che sono amiche fra di loro, oppure nemiche, oppure
6
Hans Blumenberg, Il futuro del mito, Medusa Edizioni, Milano, 2002, p.73.
7
Aristotele, Poetica, Mondadori, Milano, 1999, 1453 b.
8
Jacqueline De Romilly, La tragedia greca, Il Mulino, Bologna, 1996, p.20.
indifferenti. […] in una cerchia affiatata, [tra] fratello e fratello, o un figlio al padre, o madre al
figlio, o figlio alla madre, che arreca o medita morte o sta per compiere analoga azione.”9 La
formula aristotelica torna oggi ad essere profondamente attuale visto il successo che
riscuotono le soap opera o le fiction televisive, che riprendono dalla tradizione classica gli
amori incestuosi e promiscui, gli omicidi e le vendette che avvengono ora tra gli appartenenti a
questi immensi nuclei di fittizie famiglie allargate.
La violenza che emerge dal mito attraverso la tragedia greca torna ad essere
straordinariamente attuale viste le manifestazioni artistiche odierne. Pulp è l‟aggettivo che
descrive tutte quelle opere letterarie o cinematografiche che esasperano la violenza e il sesso in
tutte le loro più crude manifestazioni e che ripropongono, in versione contemporanea, le
brutalità, talvolta gratuite, delle tragedie antiche e delle “tragedies of blood”10 elisabettiane e
giacomiane. Il pubblico contemporaneo sembra gradire e soprattutto riconoscersi nelle
immagini forti che vengono costantemente proposte dai mass media e dal teatro11 poiché la
violenza è divenuta oggi, nostro malgrado, pane quotidiano. Questo della violenza (intesa
come forza distruttrice che irrompe senza preavviso nella realtà) è uno dei punti, insieme con
altri che verranno analizzati in seguito, che spiegano il fenomeno di “rimitologizzazione”12
delle arti contemporanee. Il “ritorno al mito” è infatti direttamente proporzionale al “ritorno
alla barbarie” che ha segnato gli eventi storico-politici del XX secolo e che ha aperto il nuovo
millennio (attentato alle Twin Towers di New York, guerra in Afganistan, guerra in Iraq,
attentato a Madrid, brutalità commesse dall‟esercito statunitense ai danni dei prigionieri
iracheni).
La parata di carne e viscere descritta nei miti appartiene al DNA dell‟uomo che sin dalle sue
origini è legato al concetto di sacrificio per esempio, concepito sia come procedura magica in
cui un individuo13 viene immolato agli dei dalla comunità per riceverne qualcosa in cambio, sia
9
Aristotele, Poetica, Mondadori, Milano, 1999, 14, 3 b.
10
In Titus Andronicus di Shakespeare, l‟eroe si amputa una mano e alla figlia Lavinia vengono mozzate le mani e la
lingua. Nella Spanish Tragedy di Kyd, Hieronimo si stacca la lingua con un morso. Nella Duchess of Malfi di Webster,
gli orrori si accumulano in crescendo: le si mostrano cadaveri di cera spacciati per quelli di suo marito e dei suoi
figli e al buio il fratello le porge una mano amputata con al dito l‟anello che ella aveva donato all‟amato Antonio.
Le opere cinematografiche del regista americano Quentin Tarantino non si allontanano molto dalle immagini
sopra citate.
11
Uno degli esempi più recenti e degni di nota lo spettacolo proposto dal gruppo catalano Fura dels Baus, XXX,
andato in scena nel 2003 e che ha creato scandalo e diviso pubblico e critica a causa dell‟uso eccessivo di
immagini pornografiche e aggressive. Il teatro di Sarah Kane, di cui si parlerà nella seconda parte di questo
lavoro, presenta moltissime immagini brutali, mostrate apertamente sul palcoscenico in modo da sovvertire le
convenzioni dei drammi antichi che volevano che la violenza accadesse fuori scena.
12
E.M. Meletinskij, Il Mito. Poetica folclore e ripresa novecentesca, Roma, Ed. Riuniti, 1993.
13
Il modulo del sacrificio secondo Walter Burkert avrebbe come indiscutibile effetto la salvezza della comunità
dal male e dalla paura, che scompaiono con la vittima condannata.
come atto volontario come nel caso di Edipo dove “l‟eletto rappresentativo volontariamente
va verso il suo destino, mentre gli altri assistono passivamente con sentimenti di timore,
ammirazione e liberazione.”14 Il modulo del sacrificio come atto volontario non solo lo si
ritrova nei miti indoeuropei e nei greci in particolare, ma ricorre come topos nelle tragedie di
Euripide, e riemerge nella cristianità con l‟agnello che sceglie la morte e col mistero della
morte e resurrezione15.
Anche l‟erotismo è un tema dominante nel mito: sesso come atto di procreazione e sesso
come atto di aggressione. Questi due atteggiamenti sono spiegati dall‟antropologia come
moduli standard di azione che definiscono i ruoli di maschio e femmina, figli e genitori, come
esperienza attiva o passiva. Il mito delle Amazzoni (le Valchirie per i miti nordici), donne
guerriere che combattono contro gli uomini, è un‟inversione di ruoli sorprendente e ancor più
sconcertante è il mito che racconta di mogli che uccidono il proprio sposo o padri che
uccidono la figlia o figli che uccidono la propria madre. Anche i miti che culminano in una
metamorfosi16 starebbero a simboleggiare un cambiamento di status, dove si ripete il modulo
del ciclo della natura (morte e resurrezione) e dove, se l‟azione principale è una lotta per il
potere e il dominio, chi ne è vittima, trasformandosi, rivendica la propria libertà di esistere.
Uno dei moduli minori della metamorfosi è lo stratagemma del travestimento, che ricorre con
successo nel mito e sedurrà profondamente il teatro rinascimentale inglese. L‟uso del
travestimento affonda le sue radici nella antiche pratiche rituali della religione greca ed appare
legato ai riti per la fecondità che caratterizzano il mondo antico e alla congiunzione sessuale
come simbolo dello scambio di potere fra un sesso e l‟altro. Tuttavia, nei miti, il confine tra
violenza ed erotismo appare sempre molto sfumato.
14
Walter Burkert, Mito e rituale in Grecia, Laterza, Bari, 1996, p.113.
15
Su tale modulo, il rituale del re-sacerdote, si basa lo studio dell‟etnologo inglese James George Frazer (1854-
1941) noto per un‟opera che ebbe grande influenza sulla nascente etnologia e sulla letteratura: The Golden Bough (Il
Ramo d’Oro) del 1890. Frazer ha esercitato un profondo influsso sullo studio scientifico del mito per la tesi della
priorità del rito rispetto al mito e per le ricerche sui miti e i culti agrari stagionali degli déi morenti e risorgenti che
rappresentano i paralleli arcaici del soggetto del Nuovo Testamento e dei riti misterici cristiani. Molto importante
è la sua scoperta del mitologema “ritologema” del re stregone responsabile magico del raccolto e del benessere
della comunità, che viene periodicamente ucciso e sostituito. Nell‟ambito di questa concezione Frazer studia
anche il sacerdote romano del santuario di Diana che, armato di spada, difendeva la sua vita da ogni nuovo
venuto (un potenziale successore) che fosse riuscito a spezzare un ramo dell‟albero sacro di Ariccia (identificato
col ramo d‟oro di Enea). I miti e i riti descritti da Frazer hanno attratto l‟attenzione – non solo degli etnografi, ma
anche degli scrittori – per la problematica della sofferenza umana come cammino verso la morte e il
rinnovamento, per il parallelismo tra la vita dell‟uomo e quella della natura, per la ciclicità, corrispondente all‟idea
di un eterno moto circolare nella natura e nell‟esperienza umana.
16
Walter Burkert, Mito e Rituale in Grecia, Laterza, Bari, 1996, pp.48-49; “Un cambiamento non di sesso ma di
ruoli sessuali è profondamente radicato nella preistoria della scimmia, per sottolineare sottomissione e dominio;
così in questo caso neppure la metamorfosi è un semplice volo della fantasia. Infatti essa viene rappresentata in
certi rituali di iniziazione della pubertà. Dal momento che la loro funzione è di produrre il maschio
completamente adulto, la condizione opposta, che deve essere vinta, è correttamente definita femminile.”
Sebbene la violenza e la sensualità fossero alcune delle tematiche onnipresenti nei miti e di
conseguenza riproposte nelle tragedie, queste non venivano mai mostrate apertamente sul
palcoscenico. Questo procedimento, come vedremo in seguito, verrà sovvertito nel teatro dei
giovani drammaturghi inglesi emersi negli anni ‟90.
Al pari del dramma No17 giapponese che ha moltissimo in comune con quello greco,
questo è poco realistico, essendo fondato più sulla parola che sull‟azione ed essendo
concentrato su situazioni e dialoghi molto formalizzati, tali da comportare non l‟imitazione di
eventi reali, ma l‟espressione di una realtà fittizia, straniata, fortemente elaborata dalla
trasfigurazione artistica. Se il dramma No s‟ispira al mondo spirituale del buddismo, il teatro
greco ha anch‟esso origini religiose, poiché gli spettacoli teatrali di Atene si svolgevano in
occasione delle Grandi Dionisie18. Per questa ragione le rappresentazioni teatrali erano vissute
da tutta la comunità come un evento di fondamentale importanza, dove queste, attraverso il
mito che mettevano in scena, inserivano l‟individuo “nel moto circolare della società e della
natura”19 e sostenevano l‟armonia del tutto. Le tragedie greche erano parimenti portatrici di
valori e di norme di comportamento, avevano dunque una dimensione politica. Lo stato,
tramite il teatro, operava una forma di promozione del consenso, volto all‟esaltazione del
valore, della collaborazione e del sacrificio che serviva ad educare gli ateniesi e a trasportarli
verso uno stato d‟animo di dedizione alla patria e di lealtà e rispetto reciproci: “La mitologia
del dramma greco era dunque l‟espressione di una completa e tradizionale concezione della
vita. Il poeta poteva trovare corrispondenza di orrore o di piacere nel pubblico perché
condivideva con esso le medesime credenze tradizionali.”20
La tragedia aveva un valore educativo, didattico oltre che politico e religioso. Il tema tragico
era trattato dagli autori in modo che vi fosse un riferimento al presente e non a caso la tragedia
17
Con questo nome si designa la forma che assunse il teatro giapponese nella sua fase classica, in seguito
all‟evoluzione di manifestazioni drammatiche più antiche. Il dramma No, rappresentato ancora oggi in Giappone,
è frutto di elaborazioni di due famosi attori, padre e figlio (Kwanami Kiyotsugu e Zeami Motokyio: quest‟ultimo,
definito “lo Shakespeare giapponese” ha scritto il celebre trattato Il segreto del teatro No) vissuti intorno al 1400 d.
C. Dal punto di vista formale teatro greco e teatro No hanno in comune strutture espressive similari: oltre a
quelle già citate, gli attori portano la maschera, il dramma è accompagnato dalla musica e dal canto di un coro. La
recitazione, come nel dramma greco comporta tre modalità: parlato, cantato, recitativo e tutti i ruoli vengono
recitati dagli uomini. Anche oggi le donne sono escluse dal teatro No, che rimane una forma d‟arte settaria ad
appannaggio esclusivo di alcune famiglie giapponesi.
18
Le feste dedicate a Dioniso venivano celebrate nei giorni 9-13 del mese di Elafebolione (fine di marzo). Feste
minori, sempre in onore di Dioniso, le Lenee (feste dei torchi per il vino) furono istituite successivamente,
attorno al 440 a. C. e si svolgevano a fine gennaio. I concorsi drammatici furono invece introdotti attorno al 535
a. C. dal tiranno Pisistrato. Ciò che sappiamo del dramma attico e della sua organizzazione si riferisce al secolo V
a. C. quando il sistema democratico si era ormai consolidato e il teatro ne costituiva uno dei momenti più
significativi.
19
Eleazar M. Meletinskij, Il mito. Poetica folclore ripresa novecentesca, Ed. Riuniti, Roma, 1993, p.406.
20
George Steiner, La morte della tragedia, Garzanti, 1999, p. 285.
fiorì nel periodo di pieno fulgore politico di Atene21. Sebbene nelle tragedie di Eschilo, Sofocle
e Euripide vi fossero allusioni alla realtà contemporanea, i critici e soprattutto la critica storica,
hanno spesso insistito più del dovuto sui riferimenti all‟attualità presenti nelle loro opere,
attribuendo ad Eschilo e soprattutto a Euripide di scrivere “drammi a tesi”, ovvero dove
attraverso i personaggi venivano espresse idee politiche circa gli eventi dell‟Atene del tempo.
Fatta eccezione per i Persiani, le tragedie greche “rispecchiano la realtà”, ovvero in esse i poeti
filtravano la realtà contingente in modo da interpretare le problematiche dell‟epoca per
proiettarle nello spazio atemporale del mito, e in modo da dargli il carattere universale proprio
della poesia: parlare di una guerra è parlare di tutte le guerre.
E‟ proprio grazie alle tematiche universali del mito che questo può essere eternamente
rivisitato e può essere guardato in prospettiva sempre nuova. Esso, come la storia della
letteratura conferma, è valido per ogni epoca ed è stato ripreso nel tempo per creare paralleli
con la realtà contingente dagli artisti di tutto il pianeta. In questo senso il mito non può essere
disgiunto dalla storia, ma va visto nel suo contesto globale come principio poetico che lega
eventi storici e idee, e li riconduce alla dimensione trascendentale del pensiero umano.
Uno degli studi più esaustivi a questo proposito è quello condotto dallo studioso russo
Eleazar M. Meletinskij ne Il mito. Poetica folclore ripresa novecentesca, il quale sostiene un approccio
storico al mito, affermando l‟universalità del principio poeticizzante dal quale nascono i miti e
che trova espressione anche nella letteratura. I miti, infatti, secondo Meletinskij,
esprimerebbero un immaginario specifico dell‟arte che successivamente questa ha ripreso dalla
mitologia. La mitologia antica racchiudeva sincreticamente sia i semi della religione che quelli
dell‟antico pensiero filosofico (che prende avvio proprio con il superamento della mitologia)
che l‟arte stessa, soprattutto quella verbale. La forma artistica avrebbe allora ereditato dal mito
sia il sincretismo sia la concretezza.
Nonostante il XX secolo abbia conosciuto una sensibile ripresa del mito nel romanzo, (che
per Meletinskij è il genere che ha risentito più profondamente del “ritorno al mito”22), nella
poesia e nel cinema (Pier Paolo Pasolini23, Michael Cacoyannis24, Lars Von Trier25, Jules
Dassin26), è in ambito teatrale che questo trova il suo terreno più fecondo, tanto da portare
21
La prima che si conserva è del 472 a. C., si colloca nel periodo che vede gli ateniesi vincitori sui persiani ed è
appunto l‟unico caso a noi pervenuto di trasposizione diretta della realtà: I Persiani di Eschilo.
22
Per la ripresa del mito nel romanzo del XX secolo, rimando allo studio approfondito di E.M. Meletinskij.
23
Medea (1967) e Edipo Re (1970).
24
“Troyan Triology”: Electra (1961), The Troyan Women (1971) e Iphigenia (1976).
25
Medea (1988).
26
Fedra (1962).
l‟illustre studioso inglese e teorico della letteratura George Steiner ad affermare che “qualsiasi
repertorio del teatro tragico contemporaneo sembra un manuale di miti greci”27.
Le influenze maggiori che hanno contribuito alla rinascita del mito nel XX secolo sono
state: il pensiero di Nietzsche che esalta il mito come principio eterno, l‟esperienza artistica di
Wagner e la psicanalisi di Freud e Jung. Decisivi sono anche gli studi delle scienze umane, le
nuove teorie etnologiche e antropologiche. Se prima il mito veniva studiato come uno
strumento pre-scientifico per soddisfare il bisogno di conoscenza dell‟uomo primitivo, adesso
la mitologia viene considerata come un vero e proprio patrimonio sacro, legato alla vita rituale
della comunità, dove la sua funzione pratica consisteva nel regolarizzare e sostenere l‟ordine
sociale e naturale. Da qui prende il via anche la teoria ciclica dell‟eterno ritorno, una delle idee
dominanti del mitologismo letterario, che si basa su una “eterna ripetizione ciclica dei prototipi
mitologici sotto differenti maschere, cioè di una particolare “sostituibilità” degli eroi letterari e
mitologici.”28 Il processo di “rimitologizzazione” è inscindibile anche dagli eventi storici che
hanno pervaso e sconvolto il XX secolo e dalla conseguente crisi culturale che ne è scaturita.
Il “ritorno al mito” (fenomeno essenzialmente occidentale), nella letteratura del XX secolo,
prende avvio col Modernismo in relazione alla crisi della cultura borghese, intesa come crisi
dell‟intera civiltà. La ripresa del mito è andata a sostituire, nella letteratura, il realismo del XIX
secolo, la cui aspirazione era la rappresentazione della realtà e del verosimile. Questo processo
si sviluppa in reazione al positivismo, alle sicurezze della scienza, all‟evoluzionismo e alla stessa
fiducia nel processo storico. La prima guerra mondiale è stata la prova inconfutabile della crisi
della civiltà moderna e delle forze distruttrici e rivoluzionarie che giacciono nel sostrato della
cultura. Queste forze non provenivano però dall‟esterno, ma direttamente dall‟uomo e
riguardavano tutti gli strati della popolazione, senza distinzione di classe sociale o di
provenienza nazionale. Si fa largo la consapevolezza che esistono dei principi psicologici e
metafisici universalmente umani e che esistono dei modelli eterni di comportamento
individuale e sociale e una psicologia del profondo che lega tutti gli esseri umani. Se fino ad
allora, in ogni campo dell‟arte, importante era la presentazione del personaggio nel suo
contesto sociale, dove questo rappresentava lo specchio della sua epoca, adesso i personaggi
diventano tutti ugualmente importanti, specialmente per la loro vita interiore. Per questa
ragione, dal “tipo sociale” si passa alla rappresentazione della “micropsicologia universale
27
George Steiner, La morte della tragedia, Garzanti Editore, Milano, 1999, p.281.
28
Eleazar M. Meletinskij, Il mito. Poetica folclore e ripresa novecentesca, Ed. Riuniti, Roma, 1993, p.xviii.
dell‟everyman”29, l‟uomo della porta accanto, ed è per questo che Ulisse, dal suo viaggio nel
Mediterraneo, viene trasportato nelle strade buie di Dublino.
Già agli inizi del secolo, si assiste ad una ripresa dei miti greci in ambito teatrale.
D‟Annunzio, affascinato dall‟aspetto “déchiré”, passionale e maledetto della figlia di Pasifae,
scrive Fedra nel 1909. Un anno dopo, in Spagna, compare la Fedra cristiana del filosofo e
drammaturgo Miguel de Unamuno. Il teatro occidentale della prima metà del secolo è pervaso
da traduzioni di antiche tragedie e riscritture di miti greci, con esiti più o meno soddisfacenti:
Oedipe (1930) di André Gide, Mourning Becomes Electra (1931) di Eugene O‟Neill, Elettra e La
Guerra di Troia non si farà (1935) di Giraudoux, Orfeo (1927) e La macchina Infernale
(rielaborazione dell‟Edipo Re di Sofocle, 1934) di Jean Cocteau, Elettra di Hugo von
Hofmannsthal, Les Mouches (rielaborazione dell‟Elettra, 1942) di J. P. Sartre, The Family Reunion
(1939) di T.S. Eliot30. L‟autore di The Waste Land per altro, in un piccolo saggio intitolato
Ulysses, Ordine e Mito (1923) dedicato al capolavoro di Joyce uscito un anno prima, oltre a
sottolineare l‟importanza di quest‟opera al pari di “una scoperta scientifica”, vede nello
scrittore irlandese il precursore del “metodo mitico” a cui l‟artista moderno dovrebbe rifarsi:
Usando il mito, e operando un continuo parallelo tra contemporaneità e antichità, Joyce istaura un
metodo che altri potranno utilizzare dopo di lui. Essi non saranno imitatori, non più di quanto lo siano
gli scienziati che usano le scoperte di Einstein per sviluppare le proprie, indipendenti, ulteriori ricerche.
E‟ semplicemente un modo di controllare, ordinare e dare forma e significato all‟immenso panorama di
futilità e anarchia che è la storia contemporanea. E‟ un metodo già adombrato da Yeats, e della
necessità del quale egli fu, credo, il primo contemporaneo a essere cosciente. E‟ un metodo nato sotto
buoni auspici. La psicologia (così com‟è, che la nostra reazione nei suoi confronti sia ironica o seria),
l‟etnologia e The Golden Bough hanno concorso a rendere possibile ciò che non sarebbe stato fino a
pochi anni fa. Invece di un metodo narrativo, noi ora possiamo usare il metodo mitico.31
Nei confronti di queste opere, George Steiner assume una posizione molto critica,
affermando che queste rielaborazioni difettano nella mancata consapevolezza dei loro autori
nei riguardi dei mutamenti avvenuti nel significato e nel tono dell‟ideologia moderna:
29
Eleazar M. Meletinskij, Il mito. Poetica folclore ripresa novecentesca, Ed. Riuniti, Roma, 1993, p.405.
30
T. S. Eliot è stato protagonista, nel teatro inglese degli anni ‟30 di quello che è stato definito “poetic revival” o
“Poetic Drama” poiché voleva riportare in vita il dramma in versi della tradizione elisabettiana. Dopo i tentativi
disastrosi dei Romantici, anche i drammaturghi del XX secolo falliscono nei loro velleitari intenti. I testi sono
esageratamente letterari e poco adatti al teatro e il pubblico contemporaneo non poteva comunque riconoscere la
propria comunicazione quotidiana nel blank verse o nel linguaggio dell‟epoca elisabettiana . Insieme a T. S. Eliot
protagonisti di questo genere di drammaturgia sono stati W. H. Auden che con Isherwood scrive The Dog Beneth
the Skin (1935) e Christopher Fry.
31
T. S. Eliot, Opere: 1904-1939, Bompiani, Milano, 1992, p.646.