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Si sono ampliati anche gli orizzonti commerciali, e si sono con ciò sviluppate una
varietà di transazioni che vedono l’applicazione dell’elettronica e della tecnologia ad un
contesto che fino ad un paio di decenni fa si sviluppava nell’interazione quotidiana fra
individui, quello della compravendita di beni e servizi diversi.
Le nuove tecnologie sono ormai intensamente penetrate nelle conversazioni e nelle
abitudini dei consumatori italiani, con maggiore o minore cognizione in merito, e non
solamente pubblicazioni specializzate affrontano giornalmente la questione, ma anche
quotidiani d’informazione riportano pagine appositamente dedicate.
Il quotidiano “La Repubblica” del giorno 10 ottobre 2003 riporta in sintesi il
Rapporto sull’Innovazione 2003 del Ministro Lucio Stanca, che sottolinea come il
numero delle imprese italiane connesse ad Internet è superiore alla media europea
(72%), e come nello stesso tempo il nostro Paese mostri ritardi nelle vendite on line.
Solo il 9% delle imprese italiane infatti attuerebbero l’E-commerce.
Un dato parziale, ma da mettersi senza dubbio in relazione con la scarsa
propensione alla fiducia verso il mezzo informatico dei consumatori italiani.
Sembrerebbe che gli italiani continuino in campo commerciale ad affidarsi al
vecchio detto “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”. Solo il 18% infatti, sempre secondo
quanto riportato da “Repubblica” del 21 agosto 2003, si affida alle possibilità fornite
dall’informatica per concludere i propri affari, contro una media europea più alta del
10%.
La diffidenza degli italiani per l’e –commerce nasce dalla convinzione, nel 31% dei
casi, della minor sicurezza rispetto all’acquisto compiuto in un negozio. Un altro 21%
non ne vuole sapere di affidare il proprio numero di carta di credito a qualcuno che non
può guardare in faccia. Un ulteriore 9%, dato non trascurabile, non ha le nozioni
sufficienti per effettuare un acquisto on line.
Numeri e percentuali a parte, è innegabile come il rapporto fiduciario sia uno degli
elementi fondamentali ad oggi tenuto in considerazione al momento dell’instaurazione e
del proseguimento di una transazione economica.
Ad esso contribuiscono il contatto ripetuto, la percezione di sicurezza e le
“proprietà visibili” dell’interlocutore, nel nostro caso un sito e –commerce, quali le
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proprietà dell’interfaccia, i contenuti informativi, gli eventuali filtri pre-interazione, il
grado di accessibilità e quindi la possibilità di avvicinarsi al sito stesso.
Costruendo perciò un parallelo tra le relazioni sociali quotidianamente intercorrenti
fra gli individui, e la relazione fra un individuo ed un sito di commercio elettronico,
abbiamo cercato di analizzare le modalità di costruzione delle relazioni fiduciarie nel
commercio elettronico Business to Consumer.
Il percorso seguito per sviluppare tale analisi è stato strutturato nel modo seguente.
Innanzitutto (Cap.1) si è operata una revisione della letteratura inerente il costrutto
della fiducia, prendendo in esame i contributi delle più diverse discipline: l’Economia,
la Sociologia, la Psicoanalisi, la Psicologia Sociale e della Famiglia, la Psicologia dei
gruppi e delle Organizzazioni, la Psicologia Sociale delle Comunicazioni. Nel corso di
tale revisione, particolare attenzione è stata data ai contributi recenti o recentissimi in
materia.
Il passo successivo, (Cap. 2), ha portato a sintetizzare i contributi teorici relativi
alle dinamiche legate al processo di acquisto e provenienti dalla Psicologia dei
Consumi, per arrivare ad una minima definizione dell’identità e delle caratteristiche di
una nuova tipologia di compratore, il “cyberconsumatore”, e delle esigenze peculiari
legate all’acquisto sul web ed al costrutto di fiducia.
Abbiamo quindi presentato il progetto di ricerca (Cap. 3), in relazione agli obiettivi
ed alle tecniche per la produzione dei dati e per l’analisi qualitativa degli stessi,
confrontando gli strumenti utilizzati nella prima fase del progetto (Studio A) con le
specificità della seconda fase (Studio B).
Sono stati quindi forniti, nel capitolo 4, i dati prodotti e la relativa analisi in merito
alla prima parte della seconda fase progettuale (Studio B1), comparandoli con il punto
d’arrivo della prima fase di studio ed il modello interattivo del “Trust” costruito.
Al termine di tale analisi sono state fornite delle conclusioni riguardanti il
significato dell’attuale contributo di ricerca sulla fiducia, e la rilevanza per un’eventuale
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analisi ad ampio raggio del comportamento di consumo e per nuove ottiche di
marketing.
Mi sia consentito, quale nota finale di tale premessa, fare dei ringraziamenti.
La mia riconoscenza va innanzitutto a Fabiana Gatti, che nel corso di questi mesi
ha supervisionato questo lavoro, ponendosi come presenza costante e rassicurante e
contribuendo alla buona riuscita dello stesso.
Un grazie sentito va inoltre a tutti i componenti del gruppo di ricerca del
laboratorio Licent, Emanuela Accinni, Matteo Cantamesse, Maddalena Grassi, Luca
Mauri, Luca Menti, Michelle Pieri, Alessandro Vimercati, ed al coordinamento puntuale
del Professor Carlo Galimberti, senza i quali il progetto e la sintesi riflessiva costituita
da questo elaborato non avrebbero ragione di essere.
Un ringraziamento ulteriore a Teo, che grazie al confronto serrato sull’argomento
intervenuto nel corso di più occasioni, ha fornito molti spunti di trattazione.
Infine, un ricordo particolarmente riconoscente va a tutti coloro, amici e familiari,
che nel periodo di stesura di questa tesi hanno tollerato mie assenze e nervosismi, ed a
Claudio, che con una pazienza pressoché infinita ha saputo sostenermi e spronarmi a
raggiungere questo obiettivo.
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CAP. 1 : LA FIDUCIA
1.0: Introduzione
Le società odierne ci vengono spesso presentate in crisi di identità nelle loro
dinamiche relazionali.
Che si tratti di dinamiche psicologiche, politico – sociali, economiche, ad essere
messi in discussione sono quei processi di affettività, reciprocità e comunicazione che
costituiscono l’essenza stessa dell’uomo sociale.
L'appartenenza alla natura umana comporta per ognuno la capacità di assumere
comportamenti e abitudini che, tuttavia, dipendono dalla cultura e dalle scelte
individuali, ma soprattutto legano l’individuo alla realtà sociale nella quale vive.
A questo proposito, in relazione al rapporto di fiducia come qualità propria della
relazione tra chi sente di appartenere ad una medesima comunità, è interessante
considerare la concezione del fides nel diritto longobardo.
A differenza del diritto romano, in cui per sancire un negozio fiduciario sussisteva
un patto tra le parti, per quanto simbolico, nella società barbarica non si è fidelis solo
perché legati da un giuramento a un capo o un leader, ma perché insieme ad altri si
costituisce il gruppo, tra i cui membri si realizza un vincolo di solidarietà piena e
assoluta. In questa società dunque, la relazione fiduciaria, non è un vincolo per nascita o
per giuramento, ma appartiene alle scelte degli uomini liberi, che fanno riferimento ai
principi di solidarietà e condivisione (Diurni, 1992).
Nella nostra epoca, epoca in cui si intensificano gli scambi, materiali e immateriali,
di merci e di relazioni, e si globalizzano i prodotti ed i servizi, ci si chiede se vi è ancora
spazio per uno dei costrutti fondamentali di queste relazioni interpersonali: tale costrutto
è, come accennato poco sopra, la fiducia.
In questo capitolo si tenterà quindi di fornire un quadro, nel contempo il più
sintetico ed esauriente possibile, delle diverse prospettive teoriche sull’argomento, con
particolare riferimento alle aree della sociologia e della psicologia.
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1.1: Verso una definizione di fiducia
Partiremo, nell’analisi del costrutto di fiducia, dalla definizione che ci viene portata
da un comune dizionario della lingua italiana:
Fiducia: “Attribuzione di possibilità conforme ai propri desideri,
sostanzialmente motivata da una vera o presunta affinità elettiva. Fiducioso
è infatti colui che è intimamente convinto riguardo all‟avverarsi della
migliore fra le condizioni possibili” (Devoto, Oli, 1978; 1982)
Sembrano emergere, da questa prima semplice definizione, due aspetti peculiari del
termine:
- Da una parte la declinazione “cognitiva” del costrutto di fiducia, che
avverrebbe attraverso una presunta “attribuzione di possibilità”
dell’individuo. Ci si aspetta quindi che l’individuo, nel sentire fiducia,
metta in atto una serie di processi di pensiero per cui viene fatto un
calcolo in termini di costi – benefici, sulla migliore tra le alternative
possibili.
- D’altra parte una declinazione “emotiva”, che si ravvisa nelle espressioni
“motivata da una presunta affinità elettiva” e “intimamente convinto”,
che riguarda l’affinità del termine fiducia con il concetto di “fede”, di
adesione incondizionata ad un fatto o un’idea, e la avvicina al concetto
dell’affidarsi.
In un lavoro di ricerca pionieristico di Loomis (1957), sul rapporto tra
comunicazione umana e sviluppo della fiducia, viene invece riportata una definizione
del costrutto tratta da un lavoro inedito di Norton Deutsch. Essa riguarda le tre
connotazioni del termine:
“Le tre connotazioni del termine „fiducia‟, non limitanti il termine stesso
alle situazioni interpersonali, sono: (1) aspettative o predittività con
riferimento a (2) un evento che abbia rilevanza motivazionale (3) che a sua
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volta porta ad un comportamento che l‟individuo percepisce avere positive
conseguenze motivazionali, se l‟aspettativa viene confermata, e conseguenze
negative se invece non lo è” (p. 3).
Alle declinazioni cognitiva ed emotiva, che si ritrovano anche in questa
definizione, sembra quindi aggiungersi una terza dimensione della fiducia, quella
comportamentale. Nel senso che la fiducia, pur essendo un costrutto (e la sua identità di
costrutto sembra via via delinearsi, attraverso le tre dimensioni sopra indicate),
un’elaborazione della capacità di pensiero umana, viene resa visibile attraverso l’agire.
Il comportamento quindi non è la fiducia, ma ne è invece una sua manifestazione.
In riferimento al comportamento, la definizione sopra riportata (Loomis, 1957),
viene arricchita da ulteriori specifiche riguardanti l’applicazione del termine fiducia
alle situazioni interpersonali.
Quando una persona A ripone fiducia in B nel fare qualcosa, noi solitamente
supponiamo che B sia consapevole della fiducia che A ripone in lui. Dalla definizione di
Deutsch, rileviamo come questo venga definito “fiducia sociale”.
Essa esiste quando A ripone fiducia in B nel fare qualcosa e percepisce che il
comportamento che si aspetta da B è compreso da B stesso come rilevante per A.
Quando le condizioni sopra indicate (supporre che B sia consapevole della fiducia
in lui e percepire da parte di A un’attribuzione di rilevanza messa in atto da B su quel
comportamento) sono valevoli per entrambe le persone in questione, allora si parla,
secondo Deutsch, e secondo Loomis, di “mutua fiducia sociale”. Il che rende
maggiormente chiaro come per avere fiducia è sempre necessario avere davanti l’Altro
nel quale riporla.
Suggestiva e particolare nella terminologia, ma sostanzialmente in accordo con le
definizioni precedenti, è la definizione di Good (1989), per il quale la fiducia è una sorta
di personale teoria che un individuo elabora circa il modo in cui l’altro si comporterà in
un’occasione futura, in funzione delle affermazioni presenti e passate, implicite o
esplicite di quella persona.
Questa definizione mette in luce un’ulteriore dimensione del costrutto fiducia,
quella “comunicativa”, secondo la quale l’individuo si comporterà nelle occasioni
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future, in funzione delle “affermazioni”, esplicite o meno, dell’individuo che ha di
fronte.
Dal semplice agire come veicolo della fiducia, arriviamo quindi alla fiducia
emergente dal linguaggio, dall’agire comunicativo, dagli scambi conversazionali tra un
individuo A ed un individuo B.
Abbiamo fin qui visto come, in pochi passaggi abbiamo ritrovato le quattro
dimensioni fondamentali della fiducia come costrutto:
- Dimensione cognitiva
- Dimensione emotiva
- Dimensione comportamentale
- Dimensione comunicativa
Nei paragrafi a seguire vedremo come, attraverso le diverse visioni del mondo di
autori appartenenti alle discipline sociologiche e psicologiche, queste dimensioni si
declinano più approfonditamente.
1.2: La fiducia nella prospettiva sociologica ed economica
La ricerca sulla fiducia interpersonale, anche in campo sociologico ed economico,
si è diffusamente focalizzata sul ruolo dell’accumulata conoscenza dell’altro o degli
altri nella costruzione delle relazioni fiduciarie, e suggerisce che la fiducia appunto
dipenda in larga parte dalla storia dell’interazione tra le parti. Indipendentemente dal
livello di fiducia come tratto che ogni parte può portare nella relazione, esperienze
cooperative ripetute forniscono un mezzo per la costruzione o l’incremento della fiducia
stessa.
Così infatti sembrano pensarla Malhotra e Murninghan (2002). Questi autori,
attraverso due esperimenti di laboratorio basati sul “Gioco della Fiducia” di Desgupta,
(1989), volti ad investigare proprio gli effetti dei contratti sullo sviluppo della fiducia,
arrivano a dire che sebbene i contratti non impegnativi non possano generare tanta
cooperazione iniziale quanto i contratti impegnativi, essi generano attribuzioni
personali, e non interferiscono con lo sviluppo della fiducia.
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Tale “gioco”, simile in parte al meccanismo del Dilemma del Prigioniero, se ne
discosta in realtà per la sua sequenzialità. In questa interazione sequenziale dunque, un
primo soggetto decide di “fidarsi” (opzione A), o “non fidarsi”, (opzione B). Se il
soggetto 1 decide di non fidarsi, il gioco finisce, con lo stesso soggetto che riceve un
moderato compenso ed un soggetto 2 che non riceve nulla.
Se invece il soggetto 1 decide di fidarsi, il soggetto 2 ha l’opzione di accettare o
approfittare di questa fiducia. Quando anche il secondo soggetto onora la fiducia
dell’altro, entrambi ricevono un alto compenso ed escono nella maniera migliore dal
gioco.
Se il secondo soggetto al contrario decide di sfruttare la fiducia accordatagli,
comunque massimizza il guadagno personale, a danno dell’altro giocatore, che riceve
meno di quanto gli sarebbe spettato scegliendo di non fidarsi.
In sintesi, il primo soggetto rischia, fidandosi, una moderata quantità di denaro,
nella speranza di raggiungere un compenso più alto in caso l’altro si comporti nello
stesso modo. Il secondo soggetto giocatore da parte sua, ha l’incentivo economico
nell’approfittare di questa fiducia.
Nei due esperimenti di Malhotra e Murnighan, in cui le mosse del giocatore
numero due in realtà erano simulate da un programma su computer, si è cercato di
misurare, attraverso le dinamiche del gioco, gli effetti dell’uso e della rimozione di
contratti impegnativi e non impegnativi, dove l’impegno era determinato dalla
possibilità, attraverso il legame, di guadagnare un piccolo compenso in denaro.
Si è visto che, come accennato poco sopra, qualora contratti impegnativi
precedentemente messi in atto non erano più permessi o possibili, la fiducia cadeva
significativamente. Al contrario, contratti non impegnativi, che portavano comunque
tanta fiducia iniziale quanto quelli impegnativi, non diminuivano così
significativamente la fiducia tra le parti qualora non fossero più attuabili. I dati emersi
suggeriscono che contratti non impegnativi portano ad attribuzioni personali ed inoltre
possono fornire un’ottima base per costruire la fiducia interpersonale in un varietà di
situazioni, ivi comprese situazioni economicamente rischiose.
La disposizione a cooperare appare chiaramente legata ai costi anche per Williams
(1989). La cooperazione esige fiducia, nel senso che le parti dipendenti devono essere in
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una certa misura garantite contro la defezione delle parti non dipendenti. Non è
necessario per questo una fiducia in senso forte, una convinzione individuale, ma
possono intervenire altre forme di garanzia, più sfumate.
Secondo il sociologo Niklas Luhmann, (,1980; 1989), contrariamente a quanto
affermato da Malhotra e Murninghan, se la fiducia è una soluzione a problemi specifici
di rischio ed ha la funzione di ridurre l’incertezza nelle interazioni sociali, la struttura
delle relazioni di fiducia richiede però che il calcolo del rischio rimanga latente. Infatti
per questo autore, nelle relazioni contrattuali, che richiederebbero in sé un calcolo degli
eventuali costi e benefici, si realizza spesso un’atmosfera non favorevole al crearsi della
fiducia.
La fiducia infatti viene vista da Luhmann come vitale nelle relazioni
interpersonali, mentre la partecipazione a sistemi funzionali quali l’economia o la
politica non è secondo lo stesso autore questione di relazioni personali, bensì entrerebbe
in gioco un’altra dimensione dell’agire umano, il confidare.
Sia il termine “confidare” che quello di “fiducia” farebbero riferimento ad
aspettative che possono andare deluse1, ma mentre il primo termine indicherebbe
situazioni in cui non vengono prese in considerazione le alternative possibili, il secondo
indicherebbe invece una situazione in cui viene scelta un’azione a preferenza di altre,
nonostante la possibilità di rimanere delusi dalle decisioni altrui.
Nel primo caso reagiremo alla delusione attribuendola all’esterno, nel secondo
invece tenderemo ad attribuirla all’interno e alla fine a rammaricarci della scelta fatta.
Comunque sia, confidare in qualcun altro per far funzionare un’istituzione
economica o politica è necessario. Fidarsi, non lo é. La mancanza del confidare può
condurre al ritirarsi in mondi più ristretti di importanza puramente locale, mentre la
mancanza di fiducia impedirebbe semplicemente certe attività, riducendo la gamma di
possibilità di agire razionalmente.
Parzialmente in accordo con Malhotra e Murninghan appare invece Hardin (2002),
almeno per quanto concerne l’assunto che è principalmente con coloro i quali abbiamo
relazioni in corso che proviamo maggior fiducia.
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Cfr anche Desgupta (1989) secondo cui la fiducia concerne le aspettative su ciò che gli altri faranno.
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Quest’ultima é caratterizzata dal fatto che un individuo si fida di un altro
individuo, perché l’interesse del primo contiene l’interesse del secondo, ovvero è
nell’interesse di entrambi fidarsi dell’altro perché la relazione continui, e questo accade
sia nelle relazioni relativamente limitate ad alcuni ambiti, siano essi politici od
economici, ma anche nelle relazioni relativamente ricche che si possono intrattenere con
un amico.
Molti contributi di scienze sociali, secondo Hardin danno per scontato che la
fiducia sia razionale, nel senso di essere basata su aspettative riguardanti i
comportamenti di un'altra persona o istituzione.
Ciò non accade necessariamente e in ogni situazione, ma accade comunque che, in
una relazione di fiducia io debba pensare strategicamente, perché i miei propositi sono
al servizio dell'interazione tra ciò che faccio e ciò che un altro fa.
In modo più specifico, la fiducia è generalmente una relazione fra tre parti: un
soggetto A si fida di un soggetto B nel fare X. La fiducia dipenderebbe allora, secondo
Hardin, oltre che dall’interazione fra due parti, dal contesto. Posso fidarmi di qualcuno
rispetto alla situazione X, ma non rispetto alla situazione Y
Solo alcune categorie di persone, come un bambino, un innamorato o un leader
carismatico ad esempio, sarebbero in grado, secondo questo autore, di dire
incondizionatamente "mi fido di te" senza modificatori impliciti.
La sfiducia è allo stesso modo, una relazione fra tre parti: A non si fida di B
rispetto alla situazione X. Ciò apparirebbe come conseguenza della tesi che la fiducia
sia intrinsecamente morale e buona, mentre la sfiducia, al contrario, necessariamente
“cattiva”. La sfiducia in realtà può evidenziarsi come funzionale alla costruzione dei
legami sociali, in quanto protegge da danni o torti e, soprattutto, non è necessariamente
il negativo della fiducia, in quanto è sempre possibile essere in un tale stato di non
conoscenza dell’altro che non posso fidarmi, né non fidarmi di lui.
E’ inoltre impossibile, ancora secondo Hardin, che gli individui, nelle loro relazioni
quotidiane, sfuggano al sospetto di sfiducia.
Primariamente perché l'altro, in cui riponiamo la nostra sfiducia, può cambiare.
Secondo, le persone possono dare, e spesso danno,un'immagine erronea di se stessi
per ottenere dei vantaggi. E' possibile ad esempio che in una discussione non vengano
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esposti pienamente ed onestamente i propri punti di vista, ma che questi vengano invece
smussati e cambiati se possono attrarre, o piacere in qualche modo all'altro.
Terzo, se la mia sfiducia viene rivolta verso forme ripetute di interazioni di
scambio, è sempre possibile che le condizioni di queste ultime possano cambiare e ci si
trovi a far fronte ad un più ampio incentivo a defezionare.
Quarto, e fondamentale, ciò che noi comunichiamo ad un altro individuo, per
mezzo delle parole o in un altro modo, anche i più soggettivi, impulsivi, intimi
problemi, è una selezione di quell'intero reale - psicologico, che interamente raccontato
porterebbe chiunque ad essere preso per folle. I nostri veri sentimenti devono essere
talvolta nascosti, anche se non "disonesti" per obbedire alle convenzioni sociali.
Abbiamo sempre la sensazione di sapere che gli altri stanno nascondendo la
maggior parte di ciò che pensano di noi, perché dopotutto, noi facciamo altrettanto.
Dello stesso parere sembra essere Donati (2000), il quale parlando dell’importanza
del dono nelle relazioni sociali, sostiene che resta comunque un dubbio circa le reali
intenzioni, soprattutto quelle inconsce, di un donatore, e sugli effetti dal dono stesso in
chi lo riceve senza meritare questa forma di fiducia. In tutte le società sostiene infatti
Donati, la gratuità viene apprezzata, ma nello stesso tempo temuta.
Le norme sociali non comprendono i doni gratuiti, perché potrebbero sottendere
intenzioni disoneste, a meno che, nel contempo, l’altro individuo non abbia acquisito
una reputazione positiva. La fiducia infatti è connessa alla reputazione di onestà e
affidabilità (Desgupta, 1989), e quest’ultima deve essere acquisita, preferibilmente in
modo graduale, per essere poi consolidabile nel tempo. La reputazione di una persona
costituisce l’attribuzione pubblica di una distribuzione di probabilità fra i vari tipi di
persone che l’individuo può rappresentare nelle diverse situazioni sociali, e costituisce il
suo capitale pubblico.
L’importanza della reputazione si ravvisa secondo Chiesi (2002) anche qualora si
configurasse la necessità di stabilire accordi ed incoraggiare scambi tra gli operatori
economici di una data zona. In tal caso, un tessuto culturale caratterizzato da fiducia
nelle istituzioni locali e buona reputazione, potrebbe facilitare accordi e scambi,
abbassando i costi di transazione, e rendendo così conveniente la nascita di attività
economiche, oppure la crescita dimensionale di quelle già esistenti.
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Anche qui possiamo parlare di capitale sociale, intendendo con tale termine la rete
di conoscenze personali basate sulla fiducia che, come condizione precontrattuale, rende
possibile gli scambi di mercato abbassando i cosiddetti costi di transazione.
Nel tentativo di effettuare una sintesi delle impostazioni teoriche fin qui esposte,
possiamo dire che dal punto di vista sociologico, la fiducia:
Deriva da esperienze di interazione o cooperazione ripetute, che
costituiscano nel tempo una “storia” tra due parti, o fra tre parti, se si
considera anche il fattore contesto.
E’ connessa al concetto di reputazione
E’ una soluzione a problemi specifici di rischio, non di pericolo
contingente
E’ funzionale alla riduzione dell’incertezza nelle relazioni sociali, così
come lo è la sfiducia
Nel costituire il collante principale nella vita degli individui, contribuisce a
costruire il capitale simbolico della società
Svilupperemo qui di seguito la trattazione sull’argomento, avvicinandoci ad un
punto di vista maggiormente psicologico, ed in particolare vicino alla psicologia sociale,
per arrivare alla motivazione che ha favorito la nascita della parte di ricerca
sperimentale sulla fiducia contenuta nel capitolo quarto del presente lavoro.
1.3: La fiducia secondo una prospettiva psicologica
1.3.1: La fiducia nei gruppi e nelle organizzazioni
Estendendo la nostra analisi per rendere il quadro sulla fiducia ancora più ricco, e
sviluppando trasversalmente le quattro dimensioni del costrutto ricordate all’inizio
(cognitiva, emotiva, comportamentale, comunicativa), vediamo ora se e come, pur
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rimanendo a livelli “macro” di analisi, quello gruppale e quello organizzativo, si
modifica il ruolo della fiducia.
A livello gruppale, sono noti da tempo in psicologia sociale i meccanismi che
intercorrono tra gruppi diversi quando questi si trovano a coesistere all’interno di un
certo spazio o di una certa area di intervento.
Potrà crearsi cooperazione se i due gruppi hanno interessi e obiettivi compatibili,
oppure confronto sociale, competizione ed eventualmente conflitto, se invece questi
interessi e obiettivi sono opposti.
Per la risoluzione del conflitto allora, si possono attuare alcune strategie, che vanno
ad agire su interazioni ed atteggiamenti negativi, che allo stesso tempo derivano dal
conflitto, e lo intensificano.
Queste strategie possono essere di tipo imposto (Smith, Mackie, 1998), qualora
vengano assunti come impossibili l’accordo e il mutuo vantaggio tra le parti, distribuito,
quando prevedono concessioni reciproche o compromessi fra le parti per suddividere o
condividere l’oggetto del contendere, oppure integrativo, nel caso in cui entrambe la
parti possono avvantaggiarsi simultaneamente.
Di questo terzo tipo di soluzioni del conflitto fa parte il processo di negoziazione, il
cui obiettivo principale é stabilire un rapporto di fiducia tra le parti, in modo che
queste cessino di cercare motivazioni negative alle proposte reciproche. Come vedremo
anche più avanti, analizzando la costruzione ed il mantenimento della fiducia nei
rapporti di coppia, la fiducia non é facile da ottenere partendo da un passato con aspri
conflitti. In tali situazioni, la fiducia va costruita mediante ripetute dimostrazioni di
coerenza tra parole e azioni.
Oppure la costruzione della fiducia si può basare su incontri prenegoziali tra
rappresentanti delle parti contrapposte. Questi incontri avvengono in genere in un
ambiente protetto, controllato, e aiutano perciò gli individui a sviluppare fiducia
reciproca.
La fiducia in questi casi è strettamente connessa alla norma di reciprocità. In
particolare, secondo il metodo GRIT (Graduated and Reciprocated Initiatives in
Tension Reduction), se una parte afferma la volontà di ridurre il conflitto e fa una
piccola concessione, spingerà il gruppo antagonista a fare una piccola concessione a sua