4
Il primo capitolo si concentra sulla descrizione dettagliata di ciascuno dei fattori
psicosociali di rischio cardiaco, quindi sulla definizione di ciascuno di essi e sulla
spiegazione dei meccanismi fisiopatologici e comportamentali che, secondo la
letteratura, sono alla base dell attivazione di ciascuno di essi.
Il secondo capitolo analizza invece nel dettaglio il paradigma della scrittura
espressiva di James Pennebaker, il suo fondatore. Si sofferma sulla definizione, sulle
origini del paradigma, sui modelli di spiegazione e sulla rassegna della letteratura che
ha messo in evidenza i benefici della scrittura espressiva su vari campioni di pazienti
aventi differenti tipologie di disturbi.
Infine, il terzo capitolo descrive nel dettaglio una ricerca esplorativa che rappresenta
la fase iniziale di un ampio protocollo sperimentale di ricerca, il quale ha come
finalit quella di indagare e testare gli effetti d ella scrittura espressiva sui fattori
psicosociali di rischio cardiaco e sulla crescita post-traumatica in pazienti
cardiopatici, ricoverati per un periodo riabilitativo. Per motivi legati alla mancanza di
tempo necessario e per scelta personale, la presente ricerca esplorativa non tester gli
effetti della scrittura espressiva sui fattori psicosociali, ma valuter come, attraverso i
testi scritti dai pazienti cardiopatici durante le sessioni di scrittura espressiva,
emergano gli indicatori di tali fattori psicosociali di rischio di recidive o di successivi
episodi cardiaci. La ricerca Ł stata condotta attraverso un analisi qualitativa dei testi,
che ha permesso di individuare la presenza o meno di tali indicatori e dei temi
associati a ciascun fattore, analizzando in quali contesti discorsivi compaiono i temi
individuati e il significato che ciascun soggetto vi attribuisce.
Oltre a tale obiettivo, il presente studio esplorativo vuole rilevare l importanza di
poter individuare, attraverso i testi scritti della scrittura espressiva o attraverso altre
modalit , gli indicatori di tali fattori psicosocia li di rischio, per contribuire a
incrementare interventi psicologici preventivi e specificatamente mirati al
miglioramento della qualit della vita nei soggetti cardiopatici; in tal modo quindi
pu rappresentare una preziosa risorsa di lavoro pe r il clinico che si occupa di questa
categoria di soggetti.
5
CAPITOLO 1
I FATTORI PSICOSOCIALI DI RISCHIO CARDIACO
La mente si lascia sempre abbindolare
dalle ragioni del cuore .
(Fran ois de La Rochefoucauld)
Introduzione: la Psicocardiologia
La relazione tra mente e corpo Ł ormai da tempo riconosciuta come inscindibile.
Esiste, infatti, una stretta relazione tra le emozioni e la salute fisica tanto che un
disagio della mente pu arrecare preoccupazioni, an sia, frustrazione e sentimenti che
nel tempo possono sfociare in veri e proprie patologie e disturbi fisici.
Tra questi disturbi vi Ł la malattia cardiaca, che ha assunto in questi ultimi anni un
ruolo importante nel considerare la relazione tra mente e corpo. Tale malattia pu ,
infatti, avere profonde ripercussioni sulla vita quotidiana di chi ne Ł affetto e sulla
salute psicologica; viene, infatti, messa in discussione la propria autostima, la
sicurezza, la fiducia e soprattutto sorgono interrogativi che si pongono come sfida
per i pazienti cardiopatici, che vedono la loro qualit di vita minacciata e piena
d incertezze e paure (Hemingway & Marmot, 1999).
Gi dai primi anni del 1900 iniziarono i primi stud i sulla relazione tra cause e
psicologiche e malattie cardiache, che riscontrarono come alcuni fattori quali
preoccupazione eccessiva, stress, tendenza a reprimere rabbia, problemi familiari,
6
relazionali o lavorativi poteva essere cause d insorgenza di tali malattie (Alboni &
Alboni, 2006).
E da queste problematiche che si Ł diffusa in questi ultimi anni, una nuova area di
applicazione della psicologia clinica, la Psicocardiologia. Questa disciplina nasce
dalla Psicologia della Salute e fa da ponte tra la Cardiologia e la Psicologia ed Ł
quindi gestita dalla collaborazione tra Psicologi e Cardiologi (Molinari, Compare, &
Parati, 2007).
L obiettivo della Psicocardiologia Ł di occuparsi della prevenzione, diagnosi, cura e
riabilitazione, sia in ambito ospedaliero sia in ambito extra ospedaliero, dei pazienti
cardiopatici o di soggetti a rischio di tali patologie, focalizzandosi in particolare sui
fattori psico-sociali di rischio cardiaco; sull atteggiamento di malattia del paziente;
sull instaurarsi di una buona relazione tra paziente e psicologo che faciliti il processo
terapeutico e sulla situazione relazionale e familiare del paziente (Lane, Carrol, &
Lip, 1999). Quest ultimo Ł un aspetto molto importante per il benessere psico-fisico
del paziente cardiopatico, poichØ la malattia cardiaca va a incidere anche sulla qualit
della relazione di coppia coniugale, sulle dinamiche familiari e su tutto l ambito
relazionale e viceversa tali relazioni possono influenzare il decorso della malattia.
Proprio tali relazioni hanno un ruolo primario nella percezione da parte del soggetto
malato di ricevere aiuto e supporto e quest ultimo Ł essenziale per il miglioramento
della salute fisica e psicologica e per l aderenza al trattamento terapeutico (Nabi et
al., 2008).
Lo Psicologo in Cardiologia ha quindi molte funzioni: collaborare con il cardiologo,
per offrire supporto ai pazienti circa l aderenza terapeutica, la modificazione dello
stile di vita e la rielaborazione mentale della malattia; offrire aiuto nel personalizzare
e ottimizzare la terapia; migliorare inoltre la relazione medico-paziente e infine un
ruolo nella conduzione della diagnosi differenziale (Molinari, Compare, & Parati,
2007).
La Psicocardiologia aiuta anche il paziente a ottimizzare o creare la propria rete di
relazioni sociali e a favorire la consapevolezza delle proprie risorse per affrontare nel
migliore dei modi la malattia, esprimendo le emozioni e i sentimenti necessarie per il
7
raggiungimento di un benessere psico-fisico ottimale e una migliore qualit della
vita, che Ł una delle finalit primarie della Psicologia Clinica.
1.1 I Fattori psicosociali di rischio cardiaco
L eziologia della malattia cardiaca non Ł solo dovuta a fattori comportamentali quali
fumo, obesit , dieta squilibrata, scarsa attivit f isica e consumo eccessivo di alcool.
Numerosi studi hanno messo in luce come esistano, oltre a questi, fattori di rischio
psicosociale che influenzano la malattia cardiaca, nel senso che sono associati a una
maggiore probabilit che accadano eventi cardiaci s favorevoli e arteriosclerosi
(Rozanski, 2005).
Un fattore psicosociale Ł definito come un parametro che correla fortemente
fenomeni psicologici a fattori socio-ambientali e a cambiamenti fisiopatologici
(Hemingway & Marmot, 1999). Nel caso della malattia cardiaca questi sono: lo
stress, la depressione, l ansia, la rabbia, l isola mento sociale, la personalit di Tipo
A, di tipo D e il supporto sociale.
Tali fattori hanno un effetto anche nel promuovere la non aderenza a quei
comportamenti consigliati dai cardiologi quali una dieta equilibrata, attivit fisica
regolare, eliminazione del vizio del fumo, che ridurrebbero il rischio di sviluppo di
patologie coronariche ed eventi cardiaci sfavorevoli (Alboni & Alboni, 2006).
Oltre ci , i fattori di rischio psicosociali attiva no meccanismi fisiopatologici che
incidono sulle malattie coronariche. Questi meccanismi possono essere suddivisi in
due tipologie: meccanismi comportamentali, per cui caratteristiche psicosociali
contribuiscono all insorgenza di comportamenti a rischio e meccanismi fisiologici
diretti, che coinvolgono il sistema neuroendocrino e il sistema nervoso autonomo
(Rozansky, Blumenthal, & Kaplan, 1999).
Per tutti questi motivi, la Psicocardiologia dovrebbe occuparsi d interventi di
diagnosi e prevenzione di tali fattori e d interventi centrati sulla riduzione di tali
fattori (Giallauria et al., 2007).
E stato osservato che i fattori di rischio psicosociali incidono sulla malattia
dell arteria coronaria, sull aterosclerosi e sugli eventi cardiaci sfavorevoli quasi nella
8
stessa misura in cui il rischio Ł provocato dai fattori considerati tradizionalmente
dalla cardiologia (Wilson et al 1998; Giallauria et al 2007).
L associazione tra fattori di rischio psicosociali e malattia cardiaca Ł molto forte,
innanzitutto perchØ piø fattori possono essere presenti in uno stesso soggetto e in
questo caso, c Ł una maggiore probabilit che si sv iluppi la malattia. Inoltre, sono
molte le conseguenze negative di tali fattori per le patologie cardiache. Spesso per ,
Ł stato anche osservato come alcuni eventi cardiaci sfavorevoli, come per esempio
l angina pectoris, possano essere una fonte di riflessione e motivazione per i soggetti
e possono rappresentare un inizio per un percorso di cambiamento del proprio stile di
vita, dell approccio con la malattia e di adattamento ai comportamenti consigliati per
ridurre il rischio di patologia cardiaca (Frederickson, Levenson, 1998).
I fattori emozionali e gli stressors hanno profonde conseguenze su determinati
meccanismi fisiopatologici, gli stessi che hanno anche la capacit di favorire la
comparsa della malattia dell arteria coronaria. In particolare i fattori di rischio
psicosociale agiscono sul sistema nervoso simpatico e sull asse ipotalamico -
adrenalinico, comportandone l attivazione (Carney et al 2005).
Tale attivazione pu avere diversi effetti a livell o periferico che portano a un
incremento dello stato di reattivit psicologica de ll individuo allo stress acuto, che
possono aggiungersi agli effetti degli stressor cronici, comportando un
peggioramento nello stato di salute del soggetto. A livello periferico si possono
presentare, infatti, disfunzioni a carico del sistema nervoso autonomo, insulino-
resistenza, obesit , ipertensione, infiammazione, a ttivazione piastrinica, alterazioni
della funzione dell endotelio, disfunzioni ovariche, diminuzione della densit ossea
ed effetti somatici (Giallauria et al., 2007).
E importante quindi, sia per i cardiologi, sia per gli psicologi, comprendere
l importanza dei fattori di rischio psicosociali delle malattie cardiache per mettere
poi in atto interventi di diagnosi, prevenzione, gestione e riduzione di suddetti fattori
di rischio (Alboni & Alboni, 2006).
Nonostante da molti anni ormai, Ł riconosciuta, nell ambito scientifico, l importanza
dell incidenza dei fattori psicosociali sull eziolo gia e sulla prognosi della malattia
9
cardiaca, il dibattito Ł ancora diffuso e molti studi, opinioni divergenti e nuove
ricerche sono ancora presenti e in continua diffusione.
Di seguito si analizzeranno nello specifico, ognuno dei fattori psicosociali di rischio
cardiaco.
1.1.1 Stress
E evidente ormai da parecchio tempo e da una grande variet di studi, che esiste una
stretta relazione tra lo stress psicologico e l insorgenza di malattie cardiache, quali la
cardiopatia ischemica e l infarto miocardico. L esp osizione a tale fattore di rischio,
infatti, sarebbe correlata all attivarsi di meccanismi fisiologici che indurrebbero tali
patologie (Macleod et al., 1973).
Gli effetti dello stress risulterebbero deleteri per il cuore, oltre a fattori come la
resilienza e la vulnerabilit che giocano un ruolo importante nell amplificare tali
effetti.
Gli stressors, definiti come stimoli che tendono a compromettere l omeostasi
dell organismo possono essere fisici, psicologici, sociali e determinano risposte
geneticamente programmate o modulate da fattori ambientali che servono
all individuo per fronteggiare gli eventi stressanti (Castaldo, Piccioni, & Ramagli,
2009).
Lo stress come fattore psicosociale di rischio cardiaco Ł considerato sia in termini di
stress mentale o psicologico, sia in termini di stress cronico.
Per stress mentale (SM), s intende lo scompenso conseguente all incapacit di un
soggetto di rispondere adeguatamente alle richieste esterne, percepite o realmente
troppo intense o prolungate (Lazarus, 1984); il soggetto accusa una sensazione di
tensione, di malessere, di esaurimento, d incapacit di resistere, di assorbire, di
affrontare e risolvere i problemi. Lo stress mentale, specie attraverso l attivazione di
una serie di meccanismi neuro-umorali, Ł causa predisponente, scatenante o
aggravante dell ischemia miocardica fino all infart o o alla morte improvvisa
(Molisso, Molisso, & Molisso, 2007).
10
A tal proposito, l ischemia da stress mentale, un fenomeno identificato recentemente
in ambito cardiologico, Ł caratterizzata dal verificarsi d ischemia durante
l esperienza di episodi mentalmente o emotivamente stressanti (Molinari, Compare,
& Parati, 2007).
Fenomeni ischemici miocardici sono frequenti durante stress mentale nei
coronaropatici, specie in caso di paura, tristezza, collera, frustrazione (Gabbay et al,
1996; Gullette et al, 1997); piø precisamente, lo stress mentale Ł capace di
determinare ischemia miocardica, anche se prevalentemente silente nel 40-70% dei
coronaropatici (Blumenthal, 1995), di raddoppiare la possibilit di infarto miocardico
acuto (IMA) nelle due ore seguenti ad un episodio di collera (Mittleman et al, 1995)
e di incrementare la mortalit cardiaca in genere ( Leor et al, 1996). Ad esempio
l improvvisa morte del coniuge pu determinare un e vento coronarico acuto
(Brandspiegel et al, 1998), cos come accadimenti drammatici, quali alluvioni,
terremoti o guerra, sono in grado di produrre un aumento dell incidenza di ischemia
miocardica (Kark et al, 1995; Kloner et al, 1997).
Secondo Blumenthal e colleghi, i soggetti che sviluppano ischemia e alterazioni nel
movimento delle pareti circolatorie in risposta allo stress mentale, in un contesto di
laboratorio, hanno una maggiore tendenza a sperimentare ischemia in situazioni
ambulatoriali (Rozansky, Blumenthal, & Kaplan, 1999).
In uno studio di Rozansky e collaboratori, si sono messe a confronto le condizioni
d ischemia indotta da stress mentale con quelle determinate dall esercizio fisico,
rilevando che nel primo caso, l ischemia Ł spesso associata ad un insorgenza
improvvisa, minore aumento di frequenza cardiaca, maggiore pressione sanguigna
(Rozansky, Kranz, Bairey, 1991). Condizioni di stress possono quindi indurre
un ischemia anche a livelli bassi di richiesta cardiaca rispetto all esercizio fisico e
possono causare una completa occlusione delle arterie coronarie.
Lo SM determina attivazione del sistema nervoso simpatico (SNS), della corteccia
surrenalica con conseguente aumento del rilascio di corticosteroidi, di catecolamine e
di angiotensina II aldosterone, che producono, a loro volta, incremento della
frequenza cardiaca (FC), della pressione arteriosa, della portata cardiaca con
vasocostrizione e vasospasmo coronarico (Yeung et al 1991).
11
In sintesi, tutta una serie di studi ha chiaramente dimostrato che lo stress mentale Ł in
grado di predisporre, aggravare o scatenare un quadro di cardiopatia ischemica fino
all infarto miocardico acuto o all ischemia miocard ica; cos com Ł stato evidenziato
l incremento della incidenza e di prevalenza di quadri ansioso-depressivi nei pazienti
affetti da cardiopatia ischemica.
Lo stress cronico, Ł invece caratterizzato da una prolungata esposizione a eventi
stressanti in determinate situazioni della vita quotidiana quali lo stress lavorativo,
uno status socio-economico basso, il disaccordo coniugale, l eccessivo carico di
responsabilit e la percezione di essere trattati i ngiustamente (Rafanelli et al., 2005).
Studi longitudinali hanno reso evidente come la scarsa o assente esposizione a
condizioni di stress cronico sia in grado di contrastare gli effetti della naturale
predisposizione all ipertensione (Parati, Valentini, Mancia, 2007).
Uno status socio-economico basso pu aumentare il r ischio di malattie cardiache e
comportare una prognosi negativa nei pazienti cardiopatici (Rozansky, Blumenthal,
& Kaplan, 1999); questo Ł, infatti, determinato da abitudini negative circa la propria
salute, ristrettezze economiche, condizioni abitative disagiate, condizioni lavorative
poco sicure e insoddisfacenti; tutte queste condizioni determinano un maggior rischio
di malattia coronarica (Hemingway & Marmot, 1999).
Lo stress lavorativo, Ł definito come l insieme delle reazioni fisiche ed emotive che
si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacit ,
risorse ed esigenze del lavoratore (Niosh, 1999). Questo rappresenta un altro dei
fattori cronici piø studiati a proposito della malattia cardiaca, poichØ i suoi effetti
giocano un ruolo importante nel determinarne l insorgenza.
Lo stress lavorativo, definito job strain (press ione sul lavoro) pu , infatti, agire
direttamente, con l attivazione di meccanismi neuro-umorali, ma anche in maniera
indiretta, inducendo modificazioni dello stile di vita oppure inducendo disturbi
psichici, in particolare depressione; tale condizione Ł comunque influenzata dal
grado di supporto sociale e dalla qualit delle rel azioni del lavoratore (Castaldo,
Piccioni, & Ramagli, 2009).
Un altra situazione di stress cronico Ł quella dello stress di coppia. Le ricerche hanno
riscontrato che, dopo un infarto miocardico, le donne con un concomitante stress
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coniugale avevano una maggior frequenza di episodi cardiaci nei cinque anni
successivi rispetto alle donne che non sperimentavano tale situazione di stress di
coppia (Orth-GomŁr, Rosengren, & Wilhelmsen, 1993).
In uno studio, Rafanelli e colleghi, hanno individuato, mediante una metodologia
diagnostica valida e attendibile, un numero significativamente superiore di eventi di
vita stressanti nel gruppo con sindrome coronarica acuta rispetto al gruppo controllo.
Nel gruppo con sindrome coronarica acuta, gli eventi e la qualit degli stessi, hanno
un impatto oggettivamente negativo e possono essere considerati come fattori di
rischio cardiovascolare (Rafanelli et al., 2005).
1.1.1.2 Meccanismi fisiopatologici
Per quanto riguarda i meccanismi che sottostanno alla relazione tra stress e malattia
cardiaca, Ł stato riscontrato che un ruolo cruciale Ł svolto dall attivazione del sistema
nervoso ortosimpatico.
L esposizione a situazioni di stress acuto determinerebbe infatti un aumento
dell attivit di tale sistema e un aumento della pr oduzione di catecolamine, della
frequenza cardiaca e della pressione arteriosa (Burg, 2007).
Per quanto riguarda la relazione tra ischemia e stress mentale, quest ultimo
determina l attivazione del sistema nervoso simpatico (SNS), del sistema renina-
angiotensina-aldosterone (SRA-A), della corteccia surrenalica con conseguente
aumento del rilascio di corticosteroidi, di catecolamine e di angiotensina II
aldosterone, che producono, a loro volta, incremento della frequenza cardiaca, della
pressione arteriosa, della portata cardiaca e con vasocostrizione e vasospasmo
coronarico (Yeung et al, 1991), con ipercolesterolemia (aumento delle LDL e
riduzione delle HDL) e ipertrigliceridemia, con facilitazione di aritmie, con
disfunzione endoteliale (Yeung et al 1991), con attivazione piastrinica ed effetto
protrombotico (Muller et al 1989); possono, inoltre, essere interessati anche vari
neuropeptidi, il controllo vagale ed una suscettibilit genetica.
L insieme di questi meccanismi, con un peso relativo di ognuno di essi diverso nel
singolo paziente, risulta causa predisponente o scatenante dell ischemia miocardica
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fino all infarto od alla morte improvvisa, in quanto contribuisce a sviluppare, ad
accelerare o a far precipitare drammaticamente l aterosclerosi (Rozansky et al, 1999;
Blumenthal et al, 1995).
La disfunzione endoteliale e la lesione aterosclerotica iniziale, Ł conseguenza, oltre
che dell azione diretta delle catecolamine sulle coronarie, di quella meccanica
sull endotelio stesso esplicata dall aumento della pressione arteriosa e della velocit
del sangue, dall iperaggregabilit e iperadesivit piastrinica, dall aumento della
colesterolemia, dalla mobilizzazione lipidica e dallo stress ossidativo (Molisso,
Molisso, & Molisso, 2007).
Lo stress mentale inoltre, aumenta la frequenza cardiaca e altera l equilibrio tra la
quantit di ossigeno richiesta dal miocardio e quel la fornita dal sistema
cardiocircolatorio (Rozansky, Krants, & Bairey, 1991; Cordero, Cagin, & Natelson,
1995), tuttavia rimane da accertare il fatto se questi aumenti siano clinicamente
significativi (Burg, 2007).
Riguardo allo stress cronico, invece, i meccanismi patofisiologici sottostanti
riguarderebbero disfunzioni dell asse ipotalamo-ipofisi, in particolare Ł stata
riscontrata una relazione tra aumento di tale disfunzione e il declino dello status
socio-economico (Rozansky, Blumenthal, & Kaplan, 1999).
La stimolazione cronica dell asse ipotalamo-ipofisi a seguito di stress psicologico
determina un aumento dei livelli di cortisolo e uno squilibrio nell attivit di tale asse
(Molisso, Molisso, & Molisso, 2007).
Oltre a questi si aggiunge la continua attivazione del ramo simpatico del Sistema
Nervoso Autonomo che pu determinare condizioni dis funzionali, quali aumento
della frequenza cardiaca a riposo, diminuzione della variabilit della frequenza
cardiaca e disfunzione del sistema di baro riflesso (Steptoe & Whitehead, 2005).
Anche situazioni di stress emozionale cronico, associate a sentimenti d impotenza o
di sconfitta e la riduzione del supporto sociale che si osserva sovente nei pazienti
depressi, contribuiscono in maniera rilevante alla morbilit e alla mortalit
cardiovascolare (Evans et al., 1999), a causa di fattori di attivazione di meccanismi
bioumorali coinvolti nello sviluppo o nel peggioramento delle malattie
cardiovascolari; si fa riferimento, in particolare, all amplificata risposta dell asse
14
HPA, da cui deriva un iperattivazione del sistema adrenergico, la quale, com Ł noto,
pu influire sull aritmogenesi, sull aggregabilit piastrinica e sulla viscosit ematica
(Torta & Scalabrino, 2002).
1.1.1.3 Meccanismi comportamentali
Lo stress cronico, come similmente per gli altri fattori di rischio psicosociale,
favorisce l assunzione di stili di vita non regolari e non salutari quali disordini
alimentari, abuso di sostanze e mancanza di attivit fisica.
Oltre a ci , tutta la sintomatologia della malattia cardiaca e i meccanismi fisiologici
sopra descritti, inerenti lo stress, possono provocare un circolo vizioso in cui la
preoccupazione riguardo le proprie condizioni di salute aumenta livelli di ansia, che a
loro volta, incidono negativamente sui fattori cardiaci (MacMahon,Lip, 2002).
Vari studi hanno dimostrato che, nei pazienti con ischemia miocardica, prevale un
aumento di stress, di ansia, d irritazione, di affettivit negativa e la tendenza ad
avvertire molte situazioni con emozioni negative, quali tensioni, preoccupazione,
irritazione, tristezza, inibizione dell espressione delle emozioni e dei comportamenti
nei rapporti sociali e tendenza all autoisolamento (Kawachi et al, 1994; Kubzansky
et al, 1997, Watson et al, 1984). Nell infartuato, l ansia e lo stress tendono a
permanere a lungo dopo l evento acuto, verosimilmente perchØ i pazienti solitamente
guardano alla propria morte come alla fase ultima di un processo graduale di
decadimento fisico e quindi il pensiero della morte causata da un evento improvviso,
quale l infarto miocardico, provoca uno stato di ansiet o paura, alla cui base c Ł una
radicata insicurezza e depressione (Molisso, Molisso, & Molisso, 2007).
E stato riscontrato che nella popolazione sana la prevalenza stimata dello stress
psicologico (tristezza, nervosismo, irrequie-tezza, disperazione, senso d inutilit )
sembra essere del 2.8%, quella dei pazienti con infarto miocardico acuto risulta del
6.4% e del 4.1% in quella con malattia coronarica cronica (Ferketich, 2005).
Alcuni autori, hanno riscontrato come i pazienti a rischio d ischemia miocardica
siano individui sottoposti ogni giorno a eventi stressanti di natura emotiva, ai quali
rispondono con emozioni di rabbia, che esprimono in maniera aggressiva e
15
persistente anche nell ambito delle proprie relazioni sociali. Allo stesso tempo, anche
reprimere tali emozioni di rabbia, porterebbe a un rischio di compromissione delle
arterie coronarie (Burg, 2007).
1.1.2 Ansia
Negli ultimi decenni, gli studi condotti su pazienti cardiopatici stanno
progressivamente aumentando, prendendo in considerazione gli aspetti psicoaffettivi
della malattia. I motivi di questo interesse vanno ricercati non solo nell elevata
prevalenza e incidenza dei disturbi psicoaffettivi nei cardiopatici, ma anche nelle
implicazioni gestionali e prognostiche che tali disturbi assumono nella pratica
clinica; infatti, la prevalenza di sintomatologia depressiva e/o ansiosa in soggetti
affetti da malattie cardiovascolari riportata da studi epidemiologici oscilla tra il 15 e
il 50%. ¨ inoltre noto che, anche dopo la fase acut a, i disturbi psicoaffettivi possono
permanere a distanza, come suggerito dalla persistenza di sintomatologia ansiosa a 1
anno nel 50% dei pazienti che mostravano tali sintomi al momento del ricovero
(Monami & Marchionni, 2007).
L ansia si riscontra solitamente anche tra individui affetti da cardiopatia coronarica
cronica e tra pazienti in fase di riabilitazione, a seguito di un evento coronarico acuto
(Crowe, Runions, Ebbesen et al, 1996; Kubzansky, Kawachi, Weiss, Sparrow, 1998;
Sirois e Burg, 2003). Il tasso di prevalenza dell ansia Ł circa del 70-80%, tra i
pazienti che soffrono di un episodio cardiaco acuto e persiste in modo cronico tra il
20-25% dei pazienti con cardiopatia coronarica (Moser, McKinley, Riegel, Doering,
Garvin, 2002; Moser e Worster, 2000).
Spesso, tali disturbi non si presentano in forma isolata ma, in media, i pazienti affetti
da cardiopatie croniche presentano circa due disturbi psichiatrici associati. In un
recente studio prospettico di oltre 20,000 soggetti senza storia di cardiopatia, ad
esempio, il rischio incidente di nuova sintomatologia ansiosa e/o depressiva risultava
piø elevato in quelli che sviluppavano un infarto miocardico nei cinque anni di
follow-up; si pu dunque affermare che, se pure con ampia variabilit tra i diversi
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studi, disturbi psicoaffettivi clinicamente significativi sono rilevabili in oltre il 20%
dei sopravvissuti a un evento cardiaco acuto (Monami & Marchionni, 2007).
Nei pazienti cardiopatici, l ansia pu manifestarsi sotto forma di disturbo d ansia
generalizzato, ansia sociale, disturbo da panico, disturbo post-traumatico da stress o
in comorbilit con disturbi somatici, depressivi, c ognitivi o di personalit . Al pari
della depressione, anche un disturbo d ansia pu in fluire significativamente sulla
funzionalit psicofisica del paziente coronaropatic o, non soltanto dopo un infarto
miocardico acuto, ma anche nel periodo precedente e successivo a un intervento di
cardiochirurgia (Cay & O Rourke, 1991; Torta et al., 1993; Perski et al., 1998).
Sovente, nei pazienti sottoposti a intervento di bypass coronarico, Ł possibile rilevare
un ansia patologica condizionante pesantemente il decorso chirurgico, da valutare
non solo in termini di sopravvivenza o di complicanze cardiologiche, ma anche sotto
il profilo emozionale (Torta et al., 1992).
Il trattamento della depressione e dei disturbi d ansia nei pazienti con patologia
cardiovascolare risulta, pertanto, di fondamentale importanza non solamente per le
notevoli conseguenze sul livello di sofferenza soggettiva, ma anche per le
implicazioni prognostiche che gli aspetti psichici determinano sulla patologia
somatica (Torta & Scalabrino, 2002).
Molti studi hanno dimostrato che l ansia cardiaca si pu manifestare anche in
assenza di malattie delle arterie coronarie. Infatti, confrontando i pazienti con
malattia cardiaca, i pazienti senza dolore toracico provano un simile livello di paura,
stress e sensazioni presenti nei pazienti con malattia cardiaca. L ansia cardiaca, in
assenza di malattia coronarica, pu diventare un pr oblema rilevante che pu portare a
ripetute e inutili spese mediche e influire sulla qualit della vita dei pazienti che ne
sono affetti (Barth & Martin, 2005).
Eifert e collaboratori, svilupparono il Questionario Di Ansia Cardiaca (CAQ), uno
strumento self-report composto da 18 item, che misura e valuta l interpretazione dei
sintomi cardiaci e i relativi comportamenti ed emozioni. Gli autori riferiscono che gli
item riguardano tre fattori: la paura delle sensazioni del cuore; l evitamento delle
attivit che causano i sintomi e l attenzione e il controllo del cuore (Eifert et al.,
2000).
17
Le ricerche hanno confermato che molti soggetti soffrono di un ansia eccessiva
inerente alla malattia o in seguito a procedure mediche e le ricerche future sull ansia
cardiaca e sull utilizzo del Questionario di Ansia Cardiaca (CAQ) dovranno
focalizzarsi su possibili specifici trattamenti per questi pazienti (Marker, Camin, &
Ownby, 2008).
Tra i pazienti cardiopatici, l ansia pu essere fun zionale quando induce i pazienti a
seguire trattamenti per i sintomi, ma pu avere inv ece conseguenze mediche e
psicologiche quando diventa persistente e grave, causando difficolt ad aderire alle
prescrizioni e ai trattamenti medici, portando cambiamenti nello stile di vita, fallendo
nei cambiamenti dei comportamenti di rischio, incrementando rischio di eventi
cardiaci acuti e rischio di complicanze mediche dopo la dimissione dall ospedale
(Compare et al., 2007).
Nei soggetti cardiopatici, l ansia Ł un fattore che quindi incide negativamente sulla
qualit della vita, inducendo difficolt nell aderi re alle terapie e prescrizioni
mediche, nell attivit fisica e nella dieta (Moser, 2007).
Uno studio di Karsdorp e collaboratori, ha mostrato come la combinazione di
un elevata ansia di tratto e una storia di malattia cardiaca, incrementa la percezione
dei sintomi cardiaci. In un campione di soggetti con patologia cardiaca, sottoposti a
feedback di falsi battiti cardiaci in parte regolari, Ł stato valutato come questi, in
combinazione dell ansia di tratto, corrispondevano a un incremento della percezione
dei sintomi cardiaci (Karsdorp, Kindt, Rietveld, Everaerd, & Mulder, 2009).
Nonostante l ansia sia una reazione prevedibile a seguito di un evento cardiaco o
come minaccia legato al vivere con la malattia cardiaca, se persiste per un lungo
lasso di tempo o raggiunge livelli estremi, pu pro vocare effetti dannosi per la salute
della persona (Rozansky, Blumenthal, & Kaplan, 1999).
L ansia pu infatti diventare un ostacolo, sia all adattamento psicosociale alla
malattia cardiaca, sia al recupero di funzionalit dell apparato cardiovascolare e sia
per il peggioramento della qualit della vita di qu esti pazienti affetti da cardiopatia
coronarica, sia nel breve sia nel lungo termine, ostacolando l adattamento
psicosociale alla malattia (Lane, Carrol, & Lip, 1999).