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spontanei e presenti nelle situazioni sociali, più in sintonia con gli altri e disponibili
a interagire senza copioni. Inoltre aiuta ad accettare serenamente le reazioni
cognitive ed emozionali alle situazioni sociali.
Si trova traccia di osservazioni analoghe in una quantità sterminata di romanzi,
poesie, diari, saggi e manuali e altri testi di tutte le epoche, perlomeno da Platone in
poi. E da qualche tempo in Italia la scrittura autobiografica viene proposta come
metodo di autoconoscenza, ludoterapia, educazione degli adulti e promozione
dell’apprendimento (Cambi F, 2002), (Demetrio D., 1996), (Demetrio D., 2003),
(Progroff I. 2000).
Ci si chiede: avrebbe senso compilare un elenco dei benefici della scrittura? E che
aspetto avrebbe tal elenco? Quali forme di scrittura possono essere benefiche? Come
possiamo definire le forme della scrittura? In altre parole: esistono delle variabili
testuali psicologicamente rilevanti per classificare i testi secondo gli effetti che si
producono nella loro stesura? A chi fa bene scrivere? E come si possono spiegare i
vari benefici osservati introspettivamente? Queste domande affascinanti hanno tutte a
che fare con la traduzione in parole di un qualche sentire interiore. Ma cos’è questo
“sentire”? E avrebbe senso sostenere che le parole traducono quel sentire o piuttosto
il testo è qualcosa di autonomo che si crea nel processo stesso della scrittura? Come
si vede da queste prime domande lo studio dei benefici della scrittura è un ambito
d’interesse che porta rapidamente al centro di alcuni problemi fondamentali della
psicologia, della filosofia della mente, del linguaggio e della linguistica.
James Pennebaker ha studiato sperimentalmente, con acume e creatività, alcuni di
questi problemi. In particolare ha analizzato i benefici quantificabili derivanti dalla
stesura di testi autobiografici centrati su esperienze stressanti. Se oggi la psicologia
sperimentale è in grado di dire qualcosa a proposito dei benefici della scrittura e dei
processi emozionali, cognitivi, comportamentali e sociali che si attivano con lo
scrivere è in gran parte grazie al lavoro condotto da Pennebaker e colleghi.
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Loiacono, G. (2005). Lo studio sperimentale della scrittura autobiografica: la prospettiva di James
Pennebaker. Nuove tendenze della psicologia, 2.
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L’autore infatti ha cercato una risposta a queste domande trovandosi in pochi anni al
centro di un fecondo filone di studi rigorosi, intelligenti ed affascinanti. Lungo
questo percorso ha riconosciuto le potenzialità di alcuni nuovi strumenti tecnologici e
le ha messe a frutto per studiare, in modo processuale e dinamico, i benefici
personali ottenuti grazie alla scrittura e riscontrabili anche nel contesto dei dialoghi e
delle interazioni naturali. Così, recentemente, il suo campo di interesse si è esteso
all’uso del linguaggio in contesti naturali e alla ricerca delle qualità del linguaggio
che possono essere correlate allo stato di salute individuale, ai traumi personali e
collettivi, alla personalità e ad altre variabili studiate da psicologi sociali e della
personalità (Loiacono, 2005).
1.2 Il paradigma della scrittura espressiva
Gli studi di Pennebaker sui benefici della scrittura, come spiega lui stesso,
(Pennebaker, 2004), cominciano nel 1983 con la tesi di master della sua allieva
Sandra Beall. Mentre Pennebaker all’epoca era interessato al rapporto fra scrittura e
salute, la Beall era curiosa di conoscere i possibili benefici psicologici derivanti
dell’espressione delle emozioni. Decisero, quindi, di condurre un esperimento che
avrebbe soddisfatto gli interessi di entrambi: avrebbero chiesto a un gruppo di
soggetti volontari - studenti universitari - di scrivere o di alcune loro esperienze
traumatiche o di argomenti privi di rilevanza personale. Inoltre i soggetti del primo
gruppo avrebbero scritto dei loro traumi in uno dei tre modi seguenti:
1. limitandosi a esprimere le loro emozioni durante la sessione di scrittura;
2. limitandosi a trattare i traumi nei loro aspetti fattuali, concreti;
3. trattando i fatti ed esprimendo le emozioni provate nell’affrontare i traumi.
Con il permesso dei soggetti i ricercatori hanno valutato il loro stato di salute
raccogliendo e confrontando le informazioni sul numero di visite per cure mediche
effettuate presso l’ambulatorio dell'università riservato agli studenti nei mesi
precedenti e successivi all’esperimento. I volontari vennero reclutati nei corsi
introduttivi di psicologia in cambio di crediti. Poiché si trattava del primo studio di
questo genere, avvertirono gli studenti che, se avessero partecipato, gli sarebbe
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potuto succedere di dover trattare per iscritto argomenti estremamente personali.
Inoltre, ogni giorno, per tutta la durata dello studio fu ricordato loro che potevano
ritirarsi in qualsiasi momento senza perdere i crediti promessi. Dei quarantasei
studenti che presero parte all’esperimento non se ne ritirò nessuno. Di fatto, soltanto
due persone non si presentarono uno dei quattro giorni di scrittura. Ognuno si recò in
laboratorio da solo e lì incontrò la Beall. Nell’incontro iniziale la studentessa spiegò
ai volontari che avrebbero dovuto scrivere ininterrottamente per quindici minuti, per
quattro giorni consecutivi, da soli all’interno di uno stanzino dello stabile di
psicologia. Poiché era essenziale che tutto restasse anonimo e confidenziale, ai
partecipanti fu chiesto di segnare sui questionari e sui loro scritti dei numeri di
codice anziché nome e cognome. In effetti, fu detto loro che, se lo desideravano,
potevano anche tenersi i loro scritti senza consegnarli. Dopo avere risposto a tutte le
domande la Beall assegnò casualmente i partecipanti a una delle quattro condizioni
di scrittura. In altre parole ognuno di loro ebbe le stesse probabilità degli altri di
dover trattare per iscritto uno dei quattro argomenti prestabiliti.
Il testo delle consegne utilizzato con chi avrebbe dovuto trattare per iscritto i pensieri
e gli stati d’animo relativi a un trauma, (Pennebaker e Beall, 1986), che venne poi
riutilizzato sostanzialmente uguale in decine di altri esperimenti, è il seguente:
“Voglio che Lei, una volta chiusa la porta dello stanzino in cui verrà
accompagnato, scriva continuamente dell’esperienza più sconvolgente o
traumatica di tutta la sua vita. Non si preoccupi della grammatica,
dell’ortografia e della struttura del periodo. Voglio che nel suo testo Lei
esamini i suoi stati d’animo e i suoi pensieri più profondi in merito a tale
esperienza. Può scrivere di qualunque argomento. Ma qualunque esso sia,
dovrebbe trattarsi di qualcosa che l’ha colpita molto profondamente.
L’ideale sarebbe se scegliesse qualcosa di cui non ha parlato con nessuno nei
particolari. Ad ogni modo, è essenziale che Lei si lasci andare ed entri in
contatto con quelle sue emozioni e con quei suoi pensieri più profondi. In
altre parole, scriva che cosa è successo, come allora ha vissuto l’episodio e
che cosa prova ora al riguardo. Infine, può scrivere di traumi diversi nel
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corso di ogni sessione, oppure sempre dello stesso per tutto lo studio. Ad ogni
sessione, la scelta del trauma di cui scrivere spetta soltanto a lei.”
Le persone assegnate alla condizione in cui si doveva scrivere soltanto delle
emozioni connesse ai traumi ricevettero istruzioni identiche, tranne che per un
aspetto: ebbero la consegna specifica di non menzionare il trauma. Dovevano invece
scrivere come si sentirono in quella circostanza traumatica e come si sentivano
attualmente. I volontari a cui fu chiesto di concentrarsi sui fatti, invece, dovettero
semplicemente descrivere con cura i loro traumi, senza fare riferimento alle loro
emozioni. Infine, ai soggetti di un gruppo di controllo fu chiesto di scrivere, in ogni
sessione, di argomenti superficiali o irrilevanti. Per esempio, descrivere nei
particolari cose come la stanza dello studentato in cui i soggetti alloggiavano oppure
le scarpe che indossavano. Il gruppo di controllo servì a valutare quale fosse l’effetto
sulla salute del puro e semplice fatto di scrivere nel contesto di un esperimento. Tutti
gli studenti quindi, come si è detto, scrissero per quindici minuti al giorno per quattro
giorni consecutivi. L’ultimo giorno, dopo la sessione di scrittura, la Beall e
Pennebaker parlarono a lungo con i partecipanti delle loro esperienze e sensazioni
riguardo all’esperimento. Infine, quattro mesi dopo, i partecipanti compilarono un
questionario che misurava la loro percezione dell’esperimento a distanza di tempo.
Per gli studenti l’effetto immediato dello studio fu molto più forte di quanto i
ricercatori non avrebbero mai immaginato. Molti di loro piansero mentre scrivevano
dei loro traumi. Molti riferirono di avere fatto sogni e pensieri continui, durante i
quattro giorni dello studio, sugli argomenti trattati per iscritto. La cosa più
significativa, tuttavia, furono i testi: uno dopo l’altro rivelarono gli stati d’animo più
profondi e i lati più intimi dei loro autori.
In molte storie vennero rivelate gravi tragedie umane (Loiacono, 2005). I ricercatori
erano interessati innanzitutto ai cambiamenti di salute fisica avvenuti nel corso
dell’anno scolastico e volevano scoprire in che modo l'esperimento avesse influito
sull’umore dei partecipanti. Poiché dopo ogni periodo di scrittura i soggetti avevano
compilato delle checklist, non appena terminò lo studio, fu possibile valutare i
cambiamenti di umore. Emerse che, subito dopo avere descritto le loro esperienze
traumatiche, i soggetti si sentivano malissimo. Si sentirono molto peggio dopo avere
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scritto di traumi che non dopo avere scritto di argomenti superficiali. Questi effetti
furono più pronunciati nelle persone a cui era stato chiesto di sondare le proprie
emozioni mentre descrivevano i loro traumi. Circa sei mesi più tardi l’ambulatorio
per gli studenti fu in grado di fornire i dati sul numero di visite per cure mediche che
ogni studente aveva richiesto nei due mesi e mezzo prima e nei cinque mesi e mezzo
dopo l’esperimento. Dopo lo studio, le persone che avevano scritto dei loro
sentimenti e pensieri più profondi riguardo a un trauma avevano avuto, rispetto agli
altri gruppi, un calo impressionante nel numero di visite per cure mediche. Nei mesi
prima dell’esperimento i soggetti dei diversi gruppi si erano rivolti all’ambulatorio
per le loro malattie con la stessa frequenza. Dopo l’esperimento, tuttavia, la persona
media che aveva scritto dei suoi pensieri e sentimenti più profondi si era rivolta
all’ambulatorio meno di 0,5 volte – un calo del 50% nella frequenza mensile delle
visite. Chi aveva scritto soltanto delle emozioni relative a un trauma o degli aspetti
concreti dell’episodio o di argomenti superficiali si era rivolto all’ambulatorio
mediamente quasi 1,5 volte (Loiacono, 2005). I volontari avevano compilato anche
altri questionari quattro mesi dopo l’esperimento: praticamente tutte le informazioni
emerse da quei questionari corroborarono i dati forniti dall’ambulatorio. Il fatto di
scrivere dei pensieri e dei sentimenti più profondi relativi ai propri traumi aveva
indotto un miglioramento dell’umore, un atteggiamento più positivo e una salute
fisica migliore. Questi risultati entusiasmarono Pennebaker che volle verificarne il
prima possibile l’attendibilità. Scrivere dei propri traumi influisce davvero sulla
salute fisica? O influisce soltanto sulla decisione di rivolgersi all’ambulatorio per gli
studenti? O, peggio ancora, i risultati erano dovuti soltanto al caso? Con la
collaborazione della psicologa clinica Janice K. Kiecolt-Glaser e dell’immunologo
Ronald Glaser, Pennebaker ebbe presto la conferma che cercava (Pennebaker, J.M.,
Kiecolt-Glaser J. E., 1988).
Con questo scopo, Pennebaker, organizzò un esperimento simile al primo studio sulla
confessione. Cinquanta studenti scrissero per venti minuti al giorno e per quattro
giorni consecutivi. Metà descrisse i pensieri e i sentimenti più profondi riguardo a un
trauma. Gli altri venticinque ricevettero la consegna di scrivere di argomenti banali.
Ma, a differenza del primo studio sulla confessione, questa volta gli studenti
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subirono tre prelievi di sangue: uno il giorno prima di scrivere, uno dopo l’ultima
sessione di scrittura e, un’ultima volta, sei settimane dopo.
Anche questa volta i volontari si aprirono completamente nei loro scritti. Le tragedie
rivelate furono analoghe a quelle del primo esperimento. Di nuovo, ogni giorno le
persone che scrissero dei loro traumi riferirono di sentirsi più tristi e più turbate
rispetto a quelle che scrissero di argomenti superficiali. Le persone che avevano
scritto dei pensieri e dei sentimenti più profondi relativi alle loro esperienze
traumatiche evidenziarono un funzionamento immunitario più intenso (aumento dei
linfociti-T in vitro, in presenza di mitogeni) rispetto a chi aveva trattato argomenti
superficiali. Anche se questo effetto risultò più accentuato l’ultimo giorno di
scrittura, esso tendenzialmente persistette sei settimane dopo lo studio. Inoltre, nelle
persone che avevano scritto dei propri traumi, le visite per cure mediche presso
l’ambulatorio calarono e risultarono inferiori rispetto a quelle di chi aveva scritto di
argomenti di poco conto. Presto Pennebaker riuscì a dimostrare che i benefici della
scrittura espressiva potevano non riguardare soltanto la salute. Il primo studio di
questo tipo riguardò una cinquantina di uomini ex impiegati che alcuni mesi prima
erano stati licenziati in giornata senza alcun preavviso. Come era avvenuto negli altri
studi, gli autori chiesero a metà degli uomini di scrivere i pensieri e i sentimenti più
profondi riguardo al licenziamento, per mezz’ora al giorno per cinque giorni
consecutivi e all'altra metà di spiegare come usava il tempo a disposizione. I soggetti
di un gruppo di controllo, composto da ventidue uomini, non scrissero niente. Gli
uomini che avevano ricevuto la consegna di descrivere pensieri e sentimenti furono
estremamente aperti e sinceri nei loro scritti. Descrissero l’umiliazione e il
risentimento per la perdita del lavoro e altri problemi più intimi – riguardanti
difficoltà coniugali, malattia e morte, denaro e paura per il futuro. A differenza degli
studenti di college, questi uomini riferirono di sentirsi meglio ogni giorno subito
dopo avere scritto. Nell’arco di tre mesi il 27% dei soggetti del gruppo sperimentale
riuscì a procurarsi un lavoro, contro il 5% degli altri due gruppi. Alcuni mesi dopo
l'esperimento il 53% di coloro che avevano descritto pensieri e sentimenti aveva
trovato un lavoro, contro il 18% dei soggetti assegnati alle altre due condizioni. Un
aspetto dello studio particolarmente sorprendente è che gli uomini di tutte e tre le
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condizioni avevano avuto esattamente lo stesso numero di colloqui di lavoro. L’unica
differenza fu che a quelli che avevano scritto i loro sentimenti venne offerto un
lavoro. A fronte quindi di tutti i risultati evidenziati sopra, si consolidò il paradigma
della scrittura espressiva, (espressive writing), che può essere definita come un
intervento messo a punto per migliorare la salute e il senso di benessere psicologico
attraverso il potenziamento dell’elaborazione cognitiva ed emotiva di eventi
traumatici (Smyth, Pennebaker, 1999); (Lepore, 1997).
1.3 Scrittura espressiva e salute: una rassegna della letteratura
La maggior parte degli studi che utilizza il paradigma della scrittura espressiva è
condotta con studenti universitari relativamente sani e in condizioni controllate di
laboratorio, sebbene siano in aumento ricerche con popolazioni cliniche, così come
quelle che implicano l’utilizzo della scrittura in un ambiente naturale. In generale, i
soggetti ai quali è richiesto di scrivere in modo emotivo dei loro traumi o delle loro
esperienze di vita stressanti hanno migliori risultati rispetto a quelli che scrivono di
argomenti emotivamente più neutri o che non scrivono affatto. Per esempio, quando i
partecipanti vengono intervistati nei mesi successivi all'esperimento di scrittura,
dicono regolarmente frasi come “l’esperimento ha cambiato il modo in cui penso
all’evento [o agli eventi]” o “mi ha fatto capire perché mi sono sentito in quel modo”
(Pennebaker e Graybeal, 2001).
In modo specifico i parametri di esito considerati dalle ricerche e sui quali la scrittura
espressiva ha avuto effetto sono:
- Riduzione delle visite mediche in particolare: riduzioni che durano due mesi
dopo la scrittura (G, 1998); (Pennebaker J. W., 1996); riduzioni che
persistono 6 mesi dopo la scrittura (Pennebaker J. W., 1996); riduzioni che
persistono da 1 a 4 anni dopo la scrittura.
- Misure immunologiche e sierologiche a lungo termine: per esempio livelli
degli anticorpi nell’epatite B (• Petrie K., Booth R., Pennebaker J. W., 1995).
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- Indicatori fisiologici ovvero cambiamenti immediati nell’attività autonomica
e muscolare: per esempio conduttanza cutanea e/o frequenza cardiaca (Petrie
K.P., 1998).
- Indicatori comportamentali per esempio reimpiego in seguito a perdita del
lavoro (Spera S.P., 1994).
- Self-report in particolare: sintomi fisici, di stress, disturbi emozionali o
depressione (Greenberg, M.A., Wortman, C.B., & Stone, 1996).
Nel 1998 Smith ha condotto la prima meta-analisi sulla scrittura espressiva su 13
studi che prendevano in considerazione 800 soggetti sani dal punto di vista sia fisico
che psicologico.
Dalla meta-analisi emerge come la tecnica della scrittura è stata efficace in termini
generali con una misura dell’effetto media (0,47); la tecnica è risultata efficace su
salute riferita (d=. 42), benessere psicologico (d=. 66), funzionamento fisiologico (d=
.68), funzionamento generale (d= .33); non risulta invece efficace su comportamenti
connessi alla salute.
E’ emerso inoltre che il malessere psicologico subito dopo l’intervento aumentava in
modo notevole (d= .84), ma questo non aveva comunque alcuna relazione
significativa con gli effetti positivi a lungo termine.
Smith ha preso in considerazione anche le caratteristiche dei campioni dalle quali si
evince che gli effetti sono stati maggiori nei maschi in modo globale ma non negli
ambiti specifici del benessere psicologico o del funzionamento fisiologico; l’età non
influisce e gli effetti sono stati migliori per gli studenti ma non in maniera
significativa.
Per quanto riguarda la durata e il numero di sessioni non ha mostrato alcun effetto,
così come non vi sono differenze in termini di effetti globali attribuiti all’istruzione
di scrivere traumi passati rispetto a traumi recenti o ad entrambi (Solano, 2007).
Più recentemente nel 2004 è stata condotta un’altra meta analisi di 9 studi i cui
autori: Frisina, Borod e Lepore, (Frisina, Borod, & Lepore, 2004), si sono concentrati
specificamente sugli indicatori di salute in persone con disturbi di tipo fisico o
mentale.
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Dalla loro meta-analisi si osserva una misura dell’effetto di (d= .19), relativamente
modesta rispetto alla precedente meta-analisi condotta da Smith (d=. 47).
I risultati hanno messo in evidenza che la scrittura espressiva si è rivelata efficace nel
migliorare la salute non solo per quei disturbi in cui il rischio di mortalità è
relativamente basso (come l’asma e artrite), ma anche per tre popolazioni con cancro
(renale, alla prostata e al seno) per i quali il rischio di mortalità è molto più elevato.
La scrittura si è inoltre rivelata efficace in modo differente su vari indicatori di
salute, più specificatamente per quanto riguarda la salute fisica ma non per quella
psicologica e di conseguenza neanche per la popolazione psichiatrica. Una delle
possibili spiegazioni di tale piccola misura dell’effetto (d=. 19) potrebbe essere a
causa dell’eterogeneità del piccolo campione utilizzato (Frisina, Borod, & Lepore,
2004).
Rimane da citare la meta analisi di Frattaroli del 2006 la quale ha incluso 146 studi
sperimentali raggruppati in varie categorie relative al funzionamento fisiologico, alla
valutazione della salute, alla salute psicologica, ai comportamenti riguardanti la
salute, al funzionamento generale e al possibile impatto soggettivo delle sessioni di
scrittura.
Anche la meta-analisi di Frattaroli ha confermato l’efficacia della scrittura espressiva
con una misura dell’effetto significativa di .075.
Inoltre, da questo importante lavoro è stato possibile individuare una serie di
elementi moderatori: la misura dell’effetto sembra infatti essere maggiore per i
partecipanti con problemi fisici di salute e per i soggetti con storia di traumi o stress;
al contrario altre variabili si sono dimostrate non correlate con la misura dell’effetto,
tra le quali l’età dei partecipanti, (variabile evidenziata anche nella meta analisi
precedente di Smith del 1998), i criteri di salute psicologica, il gruppo etnico dei
partecipanti, il livello di istruzione, il tempo, (variabile evidenziata precedentemente
anche da Smith) e la modalità della scrittura espressiva (Frattaroli, 2006).
Nel 2005 Epstein, Sloan e Marx, analizzano la questione della scrittura espressiva
mettendola in relazione al sesso dei partecipanti. In questo caso l’obiettivo della
ricerca era quello di analizzare la questione esaminando le differenze di genere e i
cambiamenti fisici e psicologici associati alla scrittura espressiva.
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La metodologia è la seguente: n=48 maschi e n=46 femmine, studenti universitari,
sono stati assegnati rispettivamente alla condizione sperimentale della scrittura
espressiva e alla condizione di controllo.
I partecipanti appartenenti alle due condizioni, quella sperimentale e quella di
controllo, hanno scritto per tre giorni consecutivi per 20 minuti ogni sessione. La loro
frequenza cardiaca fu misurata durante ogni sessione di scrittura insieme al contenuto
linguistico dei loro scritti. I partecipanti hanno completato la misurazione dei loro
parametri di salute fisica e psicologica nella condizione base e successivamente un
mese più tardi.
I risultati mettono ancora una volta in evidenza i maggiori benefici fisici e
psicologici riportati dai partecipanti assegnati alla condizione sperimentale rispetto a
quelli assegnati al gruppo di controllo. In questo caso invece, al contrario di quanto
affermato da Smith nella sua meta-analisi, non si evidenziano differenze di genere
significative tra i partecipanti assegnati alla condizione sperimentale ovvero quella
della scrittura espressiva. In aggiunta, sebbene siano stati riscontrati cambiamenti
nella reattività della frequenza cardiaca quando i soggetti si accingevano ad utilizzare
parole che esprimevano rispettivamente emozioni positive, emozioni negative o
valutazioni cognitive, ancora una volta non sono state rilevate differenze di genere
in queste variabili tra gli individui assegnati al gruppo della scrittura espressiva.
Le conclusioni mettono quindi in evidenza come la scrittura espressiva sia associata
a miglioramenti significativi sia nella salute fisica che in quella mentale in misura
uguale nel sesso maschile e in quello femminile. Inoltre, le differenze di genere non
si evidenziano neanche nei cambiamenti nella reattività psicologica e nell’utilizzo di
parole durante le sessioni di scrittura (Epstein E.M., MA, Sloan M.D., PhD, And
Marx P. B., 2005).
Un altro articolo più recente del 2009, scritto da Smith, Stone, & Hurewitz che si è
occupato della relazione tra artrite reumatoide-asma e scrittura espressiva, conferma
come lo scrivere in merito ad esperienze stressanti possa ridurre i sintomi nei pazienti
affetti da codeste patologie.
Nello specifico in questo studio sono stati selezionati 112 pazienti che ricevevano il
trattamento; dei quali 61 erano asmatici e 51 erano affetti da artrite reumatoide. A
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completare lo studio vi erano 107 soggetti che non ricevevano invece alcun
trattamento: di questi 58 erano collocati nel gruppo dei soggetti asmatici e 49 nel
gruppo dei soggetti affetti da artrite reumatoide.
I dati emersi da questo studio hanno messo bene in evidenzia come i pazienti con un
problema di asma o di artrite reumatoide da lieve a moderato - severo a cui è stato
chiesto di scrivere in merito alle loro esperienze di vita stressanti hanno rilevato
cambiamenti clinicamente significativi nel loro stato di salute addirittura anche a
distanza di 4 mesi rispetto al gruppo di controllo.
E’ bene sottolineare, inoltre, che questi risultati positivi si sono verificati al dì là
delle cure mediche che tutti i pazienti ricevevano indipendentemente. Rimane ancora
non noto se questi effetti positivi riscontrati relativamente al loro stato di salute
dureranno oltre i 4 mesi e se si rivelerà efficace anche in altri campi. Nonostante ciò,
questo studio rimane comunque uno dei primi a dimostrare che lo scrivere circa
esperienze stressanti relative alla propria vita migliora gli indici oggettivi di gravità
della malattia nei pazienti affetti da malattie croniche (Smyth, Stone, & Hurewitz,
1999).
Proseguendo la rassegna, nello studio di Richard del 2000, effettuato su pazienti
detenuti per reati sessuali, si evidenzia che venivano effettuate meno visite
ambulatoriali nei soggetti appartenenti al gruppo di scrittura emotiva rispetto ai
partecipanti appartenenti al gruppo di scrittura neutra o al gruppo di controllo
costituito da soggetti in lista d’attesa (Richards et al.,2000).
La scrittura espressiva riporta benefici anche nei pazienti affetti da HIV, (Petrie, K.J.,
Booth, K.J., Pennebaker, 1998), diminuendo il carico virale e incrementando
l’attività immunitaria, anche se questo risultato non emerge in modo coerente in tutti
gli studi (cfr., per esempio, Rivkin et al., 2006).
E’ stato condotto un altro studio da Petrie e colleghi sempre inerente a pazienti affetti
da HIV con l’obiettivo di verificare ulteriormente se il fatto di scrivere riguardo ad
argomenti carichi emotivamente rispetto allo scrivere su argomentazioni neutre
possa arrecare benefici andando ad incidere sui linfociti CD4+ e quindi su un
eventuale aumento delle difese immunitarie in questi soggetti.