Capitolo 1
L’infermiere e la bioetica
Nella moderna concezione del lavoro che compete all’infermiere, risulta
inevitabile ed essenziale considerare la bioetica e le principali conseguenze ad
essa connesse. Infatti, la professione infermieristica è iniziata come vocazione
sino a giungere ai giorni nostri nei quali l’infermiere non deve assistere la
persona malata esclusivamente per la patologia che presenta, ma deve assisterlo
tenendo presente la persona nella sua totalità e quindi deve cercare di soddisfare
tutte le necessità del paziente.
L’etica infermieristica è focalizzata sul principio di “prendersi cura delle persone”
e ciò significa assistere coloro che hanno bisogno di cure (adulti e bambini) senza
giungere mai a considerare costoro degli “oggetti”. Uno dei più problematici
dilemmi etici del lavoro dell’infermiere si presenta nel momento in cui il
professionista si trova a dover utilizzare le tecnologie, poiché la moderna
tecnologia può comportare una riduzione di attenzione alla persona. Basti
pensare ad alcuni campi molto specializzati (la terapia intensiva neonatale, la
rianimazione pediatrica, il comparto operatorio) dove il professionista è obbligato
a valorizzare maggiormente le cure al fine di raggiungere e migliorare la salute
delle persone e a svalorizzare, involontariamente, la relazione o “caring” centrato
sulla persona.
Nel Patto Infermiere Cittadino del 1999 è scritto che l’infermiere si impegna a
rimanere vicino al cittadino nei seguenti momenti particolari della sua vita:
quando soffre, ha paura e soprattutto quando la medicina e la tecnica non sono
sufficienti.
1.1. Ruolo dell’infermiere
La professione infermieristica che è nata come vocazione, è in continua
evoluzione, la prima assistenza ai malati era fornita da religiosi ed era intesa
come “carità”, successivamente si tentò di dare un concetto ed una impronta alla
professione infermieristica affermando che tale professione non era statica ma si
sviluppava di pari passo con la società da una parte e con la medicina dall’altra.
Negli anni subisce varie evoluzioni sino ad arrivare al 1992: in quest’anno la
formazione infermieristica viene introdotta in un percorso universitario grazie al
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Dlgs. 30 dicembre 1992 n°502 e successivamente modificato con il Dlgs. 7
dicembre 1993 n°517.
La professione infermieristica in questi anni ha subito notevoli cambiamenti dal
punto di vista formativo, culturale e normativo.
Dal 1977 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha fatto della “Salute per
tutti entro l’anno 2000” la pietra angolare delle sue strategie nazionali,
affermando che i sistemi sanitari efficienti dipendono da personale sanitario la cui
formazione di base e continua sia basata sui reali bisogni della comunità, ed ha
più volte raccomandato di pianificare programmi di formazione che motivino i
laureati ad affrontare i bisogni sanitari; ha cercato quindi di evolversi in questa
direzione, per cui anche il ruolo dell’infermiere è andato via via modificandosi.
L’infermiere di oggi quindi deve:
• essere capace di interpretare i bisogni emergenti della realtà in cui opera;
• essere in grado di identificare i bisogni di salute delle persone;
• acquisire maggiore flessibilità e responsabilità nel pianificare, attuare e
valutare gli interventi opportuni;
• possedere maggior senso critico;
• avere maggior coscienza della propria autonomia professionale.
A tal proposito basti pensare al contenuto del Codice Deontologico, che negli anni
è stato rivisto varie volte sino all’ultima revisione del 2008: in occasione del XV
Congresso Nazionale tenutosi a Firenze, Fortezza da Basso 26-27-28 Febbraio
2009, è stato presentato il Nuovo Codice Deontologico dell’Infermiere 2009.
Anche se gli infermieri sono stati tradizionalmente educati a supportare il modello
di cura medico, anche in base al mansionario, ora, alla luce dei nuovi profili e
quindi delle nuove responsabilità professionali, devono programmare ed attuare
piani di assistenza e fare ricerca infermieristica.
Il profilo professionale dell’infermiere, D.M. 739 del 14 settembre 1994, prevede
che lo stesso sia il responsabile dell’assistenza infermieristica e che abbia:
• funzioni proprie nella prevenzione, nell’assistenza e nell’educazione
sanitaria;
• che sia un professionista che possiede una metodologia d’intervento
autonoma e responsabile;
• che debba possedere ulteriori conoscenze teorico-pratiche fornite con la
formazione complementare.
Secondo il progetto del collegio IPASVI l’infermiere specializzato è un infermiere
che, attraverso un percorso di formazione complementare, ha acquisito avanzate
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competenze professionali (gestuali, comunicative ed intellettive) per lavorare in
qualunque ambito operativo (domicilio, servizi territoriali ed ospedalieri) in cui sia
necessario gestire strategie assistenziali infermieristiche globali, continue,
tempestive e di elevata qualità.
1.2. Codice Deontologico e bioetica
Il Codice Deontologico è sempre stato considerato, e lo è tuttora, la guida per
una corretta crescita dell’identità professionale dell’infermiere e per l’assunzione
di un atteggiamento eticamente accettabile. Esso rappresenta uno strumento di
mediazione tra principi nel clima del relativismo etico che oggi caratterizza la
nostra realtà complessa e multietnica.
La Federazione Nazionale Collegi IPASVI nel 2008 ha deciso di rivedere il Codice
Deontologico, stilando così una bozza provvisoria, successivamente affidata ai
Collegi IPASVI Provinciali, i quali a loro volta hanno delegato tale incarico a tutti i
professionisti che volevano parteciparvi. Il fine della Federazione Nazionale era
quello di coinvolgere tutti i professionisti spingendoli verso una più approfondita
riflessione su questioni di rilevanza e di sensibilità di carattere etico, questo per
permettere un approccio più idoneo a problematiche morali sempre più articolate
che si presentano quotidianamente durante lo svolgimento dell’operato
dell’infermiere. Quindi l’obiettivo finale non era quello di porre delle regole, ma di
fornire dei suggerimenti per affrontare con più responsabilità le questioni etiche
che si presentano, permettendo all’infermiere di mettere in atto tutte le sue
capacità comportandosi secondo scienza e coscienza.
Infatti, la sfida etica che viene lanciata nel Nuovo Codice Deontologico è riferita
al rapporto tra paziente e la figura professionale ed al rispetto dell’autonomia e
della dignità della persona, in questo caso persona malata.
Sebbene nel Nuovo Codice Deontologico non vengano enfatizzati, la bioetica
definisce dei limiti importanti, ad esempio quando si fa assistenza mirata, o per
l'accanimento terapeutico ecc., che si possono cogliere tra le righe ad esempio
leggendo l’art. 5 “Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici
della professione è condizione essenziale per l’esercizio della professione
infermieristica”; oppure all’interno dell’art. 8 “L’infermiere, nel caso di conflitti
determinati da diverse visioni etiche, si impegna a trovare la soluzione attraverso
il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una richiesta di attività in contrasto con i
principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di
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coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita
dell’assistito”.
Da qui si spiega l’importanza della presenza del corso di bioetica all’interno del
percorso formativo universitario per continuare successivamente nella
formazione professionale continua.
Si spiega pure l’importanza che ha la presenza dell’infermiere all’interno dei
Comitati Etici, poiché egli può esprimere liberamente ciò che pensa.
L’infermiere è la figura professionale che trascorre più tempo a stretto contatto
con la persona malata, ed è colui che può evidenziare meglio le problematiche,
non solo di tipo sanitario, che circondano il paziente e dalle quali si dovrà partire
per l’analisi di quel determinato caso. È l’infermiere che può formulare delle
ipotesi allo scopo di fornire le basi per poter ricavare delle probabili soluzioni sino
a formulare, all’interno dell’èquipe, una soluzione che non è detto sia in assoluto
la migliore o la più saggia.
Sicuramente sarà la migliore per quel determinato caso e per quella determinata
persona malata.
L’infermiere che partecipa ai lavori all’interno dei Comitati Etici esprime la sua
opinione, che viene presa in considerazione sia in positivo sia in negativo, ed ha
la validità a tutti gli effetti.
In alcune realtà tutto questo sembra ancora una utopia, ma spetta alla volontà
del gruppo infermieristico cercare di impegnarsi per adeguarsi alle richieste della
persona malata e quindi di mettere in atto ciò che è riportato nel Codice
Deontologico, e quindi di pianificare tutte leattività nelle quali troviamo presente
l’infermiere.
Naturalmente questo percorso richiede all’infermiere di “andare contro corrente”
in quanto è più facile agire da semplici esecutori “operatori di bassa
manovalanza”, lamentandosi continuamente con i colleghi e con il coordinatore
infermieristico; non serve "piangersi addosso" e poi accettare quello che
succede: i primi a crederci devono essere gli infermieri, mettendosi in una
posizione critica sia nei confronti di altre figure professionali che di certe
tematiche.
Tutti quanti dovrebbero lavorare come in una grande squadra, svolgendo ognuno
il proprio ruolo, rispettando il professionista collega, per un unico fine: “Il bene
del paziente”.
In questo modo si ha maggior autostima di se stessi, si assumono maggiori
responsabilità e si ha rispetto reciproco attraverso un confronto costruttivo tra
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colleghi e altre figure professionali: infatti, l’interscambio di idee con la
motivazione delle proprie, porta ad accrescere il proprio sapere.
1.3. Comitati etici
L’etica è sempre esistita anche prima che il termine stesso venisse coniato, come
la riflessione della coscienza umana che ogni individuo coltiva e cura
relazionandosi con il mondo che lo circonda calando ogni idea, pensiero e
situazione in un ben preciso contesto sociale, con evidenti conseguenze per
quanto riguarda le prese di coscienza collettive e la morale umana. Solo nel 1971
troviamo un articolo scritto dal dottore Van Rensslaer Potter, oncologo, il quale,
in seguito ad una sua ricerca pubblicò il libro “Un ponte verso il futuro”, nel quale
dichiara che:
• la bioetica è la scienza della sopravvivenza dell’uomo nell’ecosistema,
• la salute dell’uomo è direttamente proporzionale alla salute
dell’ecosistema.
In seguito, nel 1978 il termine bioetica venne rivalutato dal Prof. Warren Reich
nella sua “Encyclopedia of Bioethics”.
Reich definisce la bioetica come lo studio sistematico del comportamento umano
nell’ambito della scienza della vita e della cura della salute, poiché tale
comportamento è esaminato alla luce dei valori e dei principi morali.
Reich, nella sua enciclopedia ha descritto le aree disciplinari nelle quali si può
dividere la bioetica:
• Etica medica: intesa come problematica morale legata a tutte le professioni
sanitarie, quindi non solo alla figura del medico, ma viene allargata a tutti i
professionisti sanitari rapportati al paziente;
• Etica sperimentale: viene estesa a tutta la ricerca biomedica con la
necessità di trovare regole etiche non solo ai fini della ricerca ma anche per la
pratica clinica;
• Etica operativa: comprende un ampio ventaglio di problematiche sociali,
come, ad esempio, medicina del lavoro, sanità pubblica, etica delle relazioni
pubbliche;
• Etica che va oltre la salute e la vita umana: prendendo in considerazione
la vita animale e vegetale la quale trova regole per la tutela ambientale e per
la sperimentazione con gli animali.
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