3
percorsa. Leggendo in questi il progetto politico della modernità
ci si rende conto che l’ultimo, la fraternitè, proviene da molto
lontano, ha una lunga storia, ricca e significativa. La fratellanza
rivoluzionaria è del tutto simile a quell’amicizia categoria
ordinante della convivenza nella πόλις e non può ugualmente
non richiamare alla memoria l’altra fratellanza, quella cristiana.
Come mai quindi accostare questo termine agli altri due,
certamente differenti e distanti? Mi è sembrato allora opportuno
andare alla ricerca, alle origini di quel nome così evocativo. Le
tre sezioni del lavoro rappresentano appunto un percorso
(diacronico) che evidenzia lo spirito dell’amicizia quando ha a
che fare con lo spazio comune della politica; i tre momenti
scelti incarnano tre particolari ambiti dove è stata decisiva la
teoria e la prassi dell’amicizia e sono stati allo stesso tempo
decisivi dello spirito della nostra civiltà. La scelta di queste tre
tappe (mondo classico, Cristianesimo e Rivoluzione) come
effettivamente significative circa la forza politica e comunitaria
dell’amicizia non sono i soli momenti in cui ciò è
storicamente avvenuto. Si potrebbero così citare il modello
epicureo e quello filantropico dello Stoicismo; la fraternità di
Francesco e le confraternite medioevali; il pensiero erasmiano e
quello di Campanella fino ai socialisti utopistici e al
comunitarismo. Questi rappresentano certamente esempi di
notevole interesse, ma i tre momenti a cui è stata dedicata
l’attenzione sono le situazioni paradigmatiche e teoricamente
fondanti del tema di un’amicizia che si fa politica.
La lingua non ci tradisce se in essa leggiamo l’origine dei
significati. Politico, politica nasce con e dentro la πόλις e
all’interno di essa la concordia (οµονόια) è coniugata con un
solo vocabolo: filia. Essa risulta più importante della giustizia
perché il suo meccanismo di solidarietà orizzontale è alla base e
costituisce le fondamenta della Città come della Repubblica.
4
Il secondo momento è quello in cui la rivelazione del
Cristo fa conoscere al mondo un dio che è uomo, salvatore e
fratello tra i fratelli. Anche se è la caritas l’idea cardine di
quella rivelazione, le due pratiche relazionali, le due sensibilità
sono vicine poiché perseguono un fine del tutto simile. In
questo il Cristianesimo è insieme rottura della classicità e
garante della sua persistenza nella storia perché sia nell’uno che
nell’altro il fine inteso teleologicamente e metafisicamente è il
bene comune: comune perché in esso tutti gli appartenenti ad
una comunità si ritrovano e si riconoscono in una specifica
identità e nel perseguire il fine le modalità sono comuni. È
questo anche il disegno della virtuosa repubblica giacobina che
vive nella forza dell’oratoria di Saint-Just e negli eventi
rivoluzionari.
La questione dell’amicizia non si esaurisce e non potrebbe
essere altrimenti in queste tre riflessioni-descrizioni, ma esse
rendono certamente giustizia al tema, alla sua varietà semantica
come alla sua complessità teorica e alle sue manifestazioni
empiriche. L’intento dello studio è quello di proporre un
paradigma che pare aver esaurito la sua forza. E in questo la
nostra sensibilità c’è certamente d’impaccio essendo oramai
l’amicizia una pratica al di fuori di ogni virtù raziocinante,
relegata ad ambiti non pubblici né istituzionali ma intesa
soprattutto nelle sue sfumature più private. A tale proposito è
importante sottolineare che anche nelle grandi riflessioni
sull’amicizia qui presentate gli aspetti più intimi e affettivi dei
sentimenti amicali non sono mai né tralasciati né emarginati ma
anzi acquistano ancora maggiore significato proprio per la
collocazione dell’amicizia come somma virtù etica e razionale
della persona che la coinvolge interamente e dà senso alla sua
complessità e totalità.
5
CAPITOLO I
Φιλία e Πολιτική
6
I. LINGUA E STORIA: Φίλος
“Nella natura propria dell’amicizia
allo stadio antico delle società dette
indoeuropee, il sentimento non si separa
da una coscienza viva dei gruppi e delle
classi”
1
.
La lingua ha un posto fondamentale, quasi predominante, nel
percorso che si compie per scoprire i sensi, i significati e i
molteplici valori che si nascondono dietro una parola o un
concetto. Nella lingua omerica leggiamo sovente un aggettivo che
indica relazione di affetto, sentimento, è φίλος. È da questo
termine che prende avvio una ricerca che ci porterà lontano non
solo nella dimensione del tempo, degli eventi che accadono e si
succedono, ma anche in quella del senso; una dimensione questa
in cui spesso i significati si perdono per poi ritrovarsi con altre
sfumature e accezioni; è tutto questo in contesti storici, sociali,
economici del tutto differenti.
Lo studio dal quale traiamo importanti riferimenti per una
breve storia semantica, è quello del linguista Emile Benveniste
2
sulle società indoeuropee. La considerazione iniziale di
Benveniste parte da una stretta connessione tra termini che
significano “amico” e altri che indicano in vario modo il possesso.
1
E. Benveniste Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, 1 Economia, parentela, società /
2 Potere, diritto, religione a cura di Maria Antonia Liborio, Torino, Einaudi, 1976.
2
E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, op. cit. pag. 260.
7
Questa traccia è fortemente presente nelle opere omeriche.
Φίλος (nel significato di amico) ha a che fare con φιλότης e
quindi con i rapporti amicali, ma è altresì utilizzato come semplice
possessivo riferendosi indistintamente alla prima, alla seconda o
alla terza persona. In quest’ultima accezione il nostro aggettivo è
una marca di possesso che non implica alcuna relazione
amichevole, né sentimentale. È un contrasto semantico che non
lascia in superficie nessuna riconciliazione fra i due sensi.
Su quale sia il motivo di questa dicotomia gli studiosi e i
linguisti si sono divisi. Due sono state le strade percorse. Una
parte degli studi ha posto l’accento sulla probabile derivazione di
φίλος da un antico pronome lidico, con funzione di possessivo. Ma
in effetti la difficoltà di comprendere, in quella lingua così male e
poco studiata, il nostro aggettivo ha indotto a rivolgersi ad altre
interpretazioni. Quella a cui ha contribuito anche il Benveniste
vuole un necessario rapporto di correlazione tra φίλος e l’intera
sfera dei rapporti amicali, affettivi, assumendo quindi come
secondario l’uso come possessivo che l’aggettivo ricopre
largamente sia nell’Iliade che nell’Odissea. Una prova a favore di
questa tesi verrebbe dal significato del verbo φιλειν: non solo
amare, provare amicizia, ma anche, da sempre, baciare, da cui il
derivato φίληµα (bacio). In questa prospettiva φίλος è inserito a
pieno titolo nell’orizzonte delle relazioni sociali tra i membri di
una medesima comunità. A questo proposito si legge nella sezione
dedicata all’aggettivo : “Il vocabolario dei termini morali in
Omero è fortemente impregnato di valori non individuali ma
relazionali. Ciò che noi consideriamo, con sensibilità moderna,
terminologia psicologica, morale, affettiva, indica in realtà le
relazioni dell’individuo con i membri del suo gruppo”
3
.
3
E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, op. cit. pag. 261.
8
Per comprendere a pieno l’orizzonte di senso qui apertosi,
bisogna calarsi nella società nella quale questi termini trovano
senso e dimora. L’αγαθός (l’uomo arcaico greco), il capo
guerriero, valoroso e coraggioso, di stirpe superiore quasi divina è
il titolare dei rapporti di φιλότης con tutto ciò, uomini e cose, che
si relaziona a lui formando un circolo di φίλοι. Verso di lui ritorna
una sommatoria di affetti che positivamente lo circondano in
maniera tale da fargli recepire, come un’eco, il sentimento della
propria esistenza e della pienezza del suo vivere. Di conseguenza è
riscontrabile un’importante aspetto oggettivo, pressoché
“giuridico”, dell’antica amicizia: l’essere in gran parte costituita
da comportamenti attesi e conformi ad una regola sociale. Il
momento soggettivo, l’intenzione e il sentimento individuale,
retrocedono così sullo sfondo in cui si staglia in primo piano una
collettività nella quale la tradizione ha codificato l’azione amicale.
Per corroborare la sua tesi il Benveniste porta alla nostra
attenzione un altro termine: αιδώς (rispetto, pudore, vergogna).
Tale vocabolo chiarisce il senso proprio di φίλος. Difatti a partire
dalla famiglia fino alle associazioni più vaste a cui un uomo si
relaziona l’αιδώς definisce il rispetto individuale dinanzi ai
membri della stessa comunità. In un ambito per così dire
“politico” esso è definibile anche come il sentimento dei superiori
verso gli inferiori (pietà, misericordia, rispetto della sfortuna), ed
anche come movimento opposto e circolare, onore, lealtà, doveri e
convenienza collettiva. Parenti, alleati, domestici, sudditi, tutti
coloro che sono uniti da doveri reciproci di αιδώς sono chiamati
φίλοι . Grazie ai comportamenti sopra sottolineati questi
esprimono la coscienza di appartenere ad una comunità attraverso
sentimenti di cooperazione e solidarietà.
Oltre ad una norma a cui conformarsi riguardo ai membri
della propria comunità , l’uomo greco che Omero rappresenta ha
un altro dovere, quello dell’ospitalità verso uno straniero.
9
Difatti la situazione dello ξένος, dell’ospite in visita in un
paese straniero, privo di sussistenza, di diritti, sarebbe difficile se
egli non trovasse accoglienza e ospitalità presso qualcuno con cui
stringere un rapporto di φιλότης, un patto. È lo stesso verbo φιλειν
che esprime l’obbligatorietà dell’accoglienza dello straniero; nelle
diversità delle situazioni la lingua non ha mutato registro
comunicativo. Ad esempio nell’Odissea, Calipso quando racconta
ad Ulisse di avere accolto presso di sé un naufrago, avendogli dato
ospitalità, utilizza appunto il verbo φιλειν. Continuando lungo una
strada in cui non ci si aspetterebbe di leggere questo verbo, si
scopre come un rapporto di amicizia può essere anche stabilito tra
due duellanti che trovano un accordo per decidere come debba
svolgersi il combattimento o se altresì debba cessare. Anche in
questo caso, i soggetti in questione sono definiti φίλοι. È evidente
che lo spettro semantico di uso dell’aggettivo come del verbo sia
veramente vasto in un’epoca che possiamo definire come alba
della nostra civiltà e cultura. L’obbligatorietà e la reciprocità sono
caratteri essenziali di una socialità istituzionalizzata nella quale chi
nasce o diventa φίλος accede alla sfera dei rapporti
interindividuali. Anche il significato di baciare attestato dal verbo
φιλειν assicura maggiore certezza a questa linea interpretativa.
L’atto di baciare ha da sempre un posto principale nel rituale
dell’amicizia in Grecia, nella Grecia omerica e poi in quella
classica; in Asia come nell’Occidente cristiano il bacio è simbolo
visibile di affetto e riconoscimento sociale.
Basti pensare a Cristo e ai suoi discepoli o alle cerimonie
d’investitura dove è il gesto che consacra il cavaliere o il
dignitario.
È altresì consequenziale che tali manifestazioni generino
forme di sentimento e affetto fra i compartecipi della φιλότης. In
Omero è annesso un robusto valore affettivo dell’aggettivo che
diventa epiteto o termine appellativo per quanti ci circondano.
10
Ed è a questo punto che si colloca lo sviluppo più singolare di
questa storia semantica. Esso caratterizza specificamente la lingua
e lo stile omerico. L’uso di φίλος, superando completamente la
sfera delle relazione umane, giunge a comprendere oggetti di varia
natura, ai quali non si aspetterebbe fosse applicato. Ed è in questo
contesto che non denota niente più che un rapporto di possesso e
diventa l’equivalente di un semplice possessivo. Come possessivo
è utilizzato nelle nozioni più direttamente legate alla persona:
anima, cuore, vita o parti del corpo. Poi con termini che designano
luoghi cari, come la terra natale, o con altri vocaboli che sembrano
non comportare nessun valore affettivo: abiti, letto, doni ecc.
Questo bivio semantico rappresenta senza dubbio un
problema ancor per molti versi oscuro. Ed è a questo bivio che la
nostra ricerca, la nostra breve incursione in problemi linguistici ha
una pausa per non superare gli obiettivi del nostro studio e per
tenere presente alcuni nodi teorici raggiunti. La lingua omerica,
così carica di complessità e ricca di significati, ha evidenziato
come φίλος rivesta una funzione affettiva e un’altra in cui è
utilizzato come possessivo. La prima dimensione, che è quella che
più ci interessa e compete, va però compresa in un orizzonte
ulteriore che è quello della relazionalità e della socialità fra i
membri della società arcaica e tradizionalista che leggiamo in
Omero. Coloro i quali si definiscono reciprocamente φίλοι
all’interno delle comunità familiari, o del villaggio o dell’esercito,
sono tenuti a comportamenti codificati istituzionalmente, come
vere e proprie istituzioni. Sono istituzioni che poggiano su un
costume ancestrale. Attraverso i doveri della reciprocità e
dell’obbligatorietà i contraenti del patto rispettano i propri ruoli
sociali; e l’intera struttura comunitaria è retta anche da forti legami
di solidarietà.
11
È questa una legislazione che si può definire non scritta,
attraverso la quale si decodificano le azioni sociali sia di chi siede
ai primi scanni della gerarchia sociale, che di chi occupa posti
meno “importanti”.
In questa nostra breve ricognizione in una nascente sfera di
rapporti amicali, c’è un’assenza significativa. È un’assenza che si
fa presente proprio attraverso il silenzio di questa tradizione
appena esaminata. Nel “breve” corso di qualche secolo questa
assenza diventerà presenza primaria. Questo nome che ancora non
è stato pronunciato è φιλία. È la φιλία che si imporrà all’uomo
greco come modello morale, etico e politico a cui ispirare la
propria azione. Essa sarà altra cosa e diversa la sua storia.
12
II. LA QUESTIONE DELLA Φιλία
“Pare anche che l’amicizia
tenga unite le città e che i
legislatori si diano più
preoccupazione per essa che per la
giustizia”
4
.
Si può affermare con chiarezza che manca in Omero un
termine tecnico che compendi le realtà dell’amicizia mentre ve ne
sono solo alcuni che ne esprimono aspetti parziali; aspetti che
peraltro sono in quella realtà i più pregnanti. Il mondo guerriero e
arcaico di Omero, con i suoi eroi vicini alle divinità, ha forse
tralasciato di approfondire lo sguardo su un aspetto senza dubbio
preminente dell’essere umano. Eppure sarebbe del tutto fuorviante
pensare un confronto su questo tema tra la nostra concezione e
quella che in Omero si raffigura. Occorrerebbe un excursus
storico-sociale su come e a quali condizioni si passò da
un’amicizia e da un pensiero sull’amicizia che possiamo
classificare come arcaico ad uno più vicino alla nostra sensibilità.
Ma per le ragioni stesse della nostra ricerca, che non può essere
ricerca storica, seguiranno pochi cenni.
L’imporsi dell’amicizia personale (si chiarirà meglio in
seguito questa categoria) non cancellò del tutto i segni dei
precedenti rapporti amicali: ad esempio nelle città del V secolo si
esercitava ancora quella particolare forma di amicizia, che era
l’ospitalità dello straniero (prossenia).
4
Aristotele, Etica Nicomachea, Introduzione traduzione e commento di M. Zanetta, Milano
Rizzoli 1986, VIII,1
13
È indubbio che i nuovi tipi di legame che andavano
evidenziandosi ebbero come focolare le scuole filosofiche, che
inizialmente non erano altro che semplici riunioni di amici prima
che di filosofi, per divenire, con l’avvento del movimento dei
sofisti, luoghi di produzione del sapere e della cultura. Il termine
φιλία, per quanto se ne sa, compare per la prima volta nei versi del
poeta Teognide tra il VI e il V secolo, ma realmente è solo dopo il
magistero di Socrate che le categorie del discorso filosofico
sull’amicizia trovano la loro sistemazione definitiva in Platone e
soprattutto in Aristotele. Con questi pensatori dotati di maggiore
profondità speculativa la φιλία entra di diritto non solo nel
discorso filosofico, ma essa viene anche sistematizzata come
categoria etica e quindi politica. Alcuni studi hanno acutamente
osservato a tale proposito che la nostra civiltà abbia fatto l’
apprendistato , per così dire , delle virtù sociali
(giustizia compresa), attraverso la pratica dell’amicizia.
La filosofia greca scopre nella sapienza la più alta delle virtù,
l’esperienza culminante dell’esistenza dell’uomo ad un livello
soggettivo. Ad un livello invece intersoggettivo, relazionale, è
l’amicizia che sintetizza la perfezione del rapporto con i propri
simili. Anche il rapporto amicale peraltro non sfugge alla
“signoria” della conoscenza, della σοφία, principio guida
dell’esistenza.
È chiaro che in questa logica l’amicizia come bene, si fonda
nello scambio virtuoso tra uomini virtuosi, ed è a pieno diritto
inserita in una prospettiva aristocratica nella quale la maggioranza
degli individui rimane relegata ai margini. Inoltre se all'interno del
meccanismo dei rapporti amicali la teoresi siede sullo scanno
principale e se deve sussistere un principio di uguaglianza fra
individui che si aprono reciprocamente all’intimità del rapporto, il
femminile, la donna, è esclusa “in quanto la vita dell’uomo e della
donna percorrono binari separati”
5
.
5
L. Pizzolato,. L’idea di amicizia nel mondo antico classico e cristiano, Torino Einaudi
1993, pag. 9
14
È sintomatico che la parola αρετή sia collegata con uomo
maschio (ανήρ), come del resto in latino virtus richiama alla
memoria vir. A nostro avviso la tematica del femminile non può
prescindere da una analisi sulla poca sensibilità che il mondo
greco, la filosofia in primo luogo, ha portato verso il sentimento
dell’amore: è come se vi fosse stata una mancata definizione
semantica che è sfociata necessariamente e conseguentemente in
una forte svalutazione del rapporto eterosessuale.
Di contro a questa mancanza la filosofia politica, che nasce in
seno alla problematica dell’ordine politico (nella πόλις), ha
forgiato una nozione di amicizia di formidabile spessore teorico. È
l’amicizia (meglio sarebbe dire le amicizie) il legame stesso per
una felice convivenza del consorzio umano. Le città dei filosofi
sono regolate da rapporti comunionali di amicizia, nella concordia
(οµόνοια) e sull’uguaglianza (ισότης) di quanti partecipano
all’Idea di Bene.
Il Liside è il primo trattato specifico sull’amicizia del mondo
antico che sia sicuramente attribuibile. Platone lo scrisse in età
giovanile: per la tematica, l’ambientazione e lo stile esso è molto
vicino al Carmide ed è certamente una valida introduzione ai temi
e alle aporie che solo in parte verranno sciolte nel Simposio e nel
Fedro. Se si legge il dialogo con la speranza di trovarvi una
dottrina veramente autonoma dell’amicizia, si rimarrebbe delusi.
La dottrina platonica sull’amicizia è simile a quella sull’amore,
sempre che φιλία non sia addirittura un altro nome dell’amore. Nel
dialogo che si svolge in una palestra, luogo d’incontro connotato
fortemente dalla componente maschile, trovano domicilio anche i
temi dell’amore efebico e della paideia, ma anch’essi sono
racchiusi nell’orizzonte dell’έρως. Grazie al metodo dialettico-
maieutico socratico, Platone mette in evidenza alcune
caratteristiche per un discorso sull’amicizia: la reciprocità e
l’uguaglianza del rapporto, l’affinità tra i contraenti oppure
l’attrazione basata sulla diversità, la preminenza dell’attivo o del
passivo (l’amico è colui che ama o che è amato?), i doveri degli
15
amici. Ma l’intenzione profonda che muove la ricerca del Liside,
è la scoperta di un principio nell’ottica di una fondazione
metafisica e ontologica del reale: “Non è allora necessario che
giungiamo ad un principio primo che non rimandi più ad un’altra
cosa amica, ma sia esso stesso il Primo amico, in vista del quale
noi diciamo che sono amiche anche tutte le altre cose?”
6
Se il fine della ricerca è quello di trascendere la realtà, nei
suoi svariati casi empirici, per fondarla metafisicamente, sarà
necessario allora svalutare o quantomeno prestare poca attenzione
alle modalità relazionali tramite le quali gli individui creano uno
spazio “pubblico”, o meglio comune.
Comunque per Platone, ad un livello teorico più che pratico,
la φιλία si relaziona all’έρως, cioè è comprensibile nella mutua
attrazione prodotta dall’amore come nostalgia comune per
l’Assoluto. Un’altissima dottrina dell’amore (quando si menziona
l’amore non si deve naturalmente possedere la nostra concezione
di questo sentimento) ha fagocitato quella dell’amicizia. Ad
esempio la “legge” della reciprocità è applicata da Platone anche
all’amore, al quale, in ossequio alle leggi del giusto, non può non
rispondere amore: per la nostra idea di amore, tale può essere
definito anche un sentimento non corrisposto.
Per concludere, una lunga tradizione interpretativa ha letto il
Liside come luogo preferenziale per uno studio platonico
sull’amicizia. Probabilmente per rivalutare un orizzonte che qui
sembra soccombere, sarebbe altresì necessario affidarsi per
esempio alle letture della Repubblica o delle Leggi, laddove cioè si
tenta l’elaborazione di una felice convivenza tra gli uomini.
Ma tutto questo ci porterebbe lontano dalle nostre
argomentazioni e dall’urgenza di un nome che non può più essere
rinviato.
6
Platone, Liside, 212 D, Platone, Tutti gli scritti a cura di G. Reale, Rusconi Milano 1991.