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Prefazione
Non posso negare che fin dall’infanzia mi si illuminavano
gli occhi pensando al cavaliere medievale. In quegli occhi di
ragazzino passavano in veloce rassegna tutte le immagini
proposte dal cinema, dalla televisione e da alcuna letteratura
per l’infanzia a proposito di prodi condottieri, belli, alti e
ricchi, che sfoderata la spada difendevano a costo della vita il
debole di turno, assicurandosi senza ombra di dubbio la vittoria
ed ottenendo, grazie a questa, svariati onori e la desiderata
preda: la pulzella pronta ad effusioni amorose. In altri casi il
cavaliere mostrava le sue impareggiabili doti in un torneo e
anche qui amore e onore erano tutti per lui. In questa
generalizzazione mediatica, finivano accomunati mito e realtà:
Carlo Magno con Re Artù, Robin Hood con Riccardo Cuor di Leone.
Questi cavalieri non avevano età, non avevano tempo, non
nascevano e non morivano: erano dei miti.
Devo confessare, non senza un velo di vergogna, che con il
passare del tempo la situazione non migliorò poi di tanto. Per
l’uomo comune, infatti, non è affatto facile levare le gambe da
questa melma, da questa massa informe e indecifrabile che è
diventata lo stereotipo della cavalleria. Per capirci qualcosa è
assolutamente necessario uno studio approfondito. Ho avuto la
fortuna di affrontare questo passo grazie al professor Lorenzo
Paolini e alle sue lezioni di storia medievale presso la Facoltà
di Lettere a Bologna. Ritengo che la fortuna di affrontare temi
storici da un punto di vista “letterario” sia molteplice. Da un
lato certamente si dovrà mettere in secondo piano la cronistoria
dei fatti, senza peraltro dimenticarsela, ma dall’altra si potrà
avere l’onore di studiare e di approfondire, non solo la data, i
vincitori e gli sconfitti della tale o tal’altra battaglia, ma
si potrà anche cercare di approfondire le psicologie dei
protagonisti – e anche delle comparse – di questa storia. Solo
in questa maniera si potranno veramente capire gli accadimenti
storici di una data epoca.
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In questa mia tesi sulle origini, la chiusura sociale e le
funzioni della cavalleria medievale ho tentato di fare proprio
questo. Ho tentato di liberare la “piantina” della verità sulla
cavalleria dalle sterpaglie di falsità e stereotipi che la
attanagliano. Vi sono riuscito in parte, sia perché queste
sterpaglie sono difficili da sradicare sia perché la cavalleria
– ed è forse questo il principale motivo del fascino che essa ha
sempre esercitato e continua ad esercitare – rimarrà in parte
sempre coperta da questo alone di mistero, sulla sua origine,
sulla sua funzione e su coloro che ne facevano parte.
Devo confessare, con orgoglio, che non ho fatto questo tentativo
da solo. Mi hanno aiutato due capisaldi come Marc Bloch e
Georges Duby e non da ultimo il preziosissimo lavoro di Jean
Flori, che ha avuto la funzione di canovaccio alla stesura di
questa tesi. Notevole è stato anche l’influsso di altri autori
che si trovano in bibliografia. Altrettanto fondamentali sono
stati i consigli del professor Lorenzo Paolini.
Il problema rimane complesso, ma ho compiuto questo lavoro sulla
cavalleria medievale con passione e impegno per cercare di
chiarirlo almeno a me stesso. Forse l’esito non sarà stato
eccelso, magari poco chiaro, ma se ciò è accaduto è a causa dei
miei limiti tecnici, non certo per mancanza di volontà.
Tutto sommato avrò almeno ottenuto di non parlare di un
argomento senza conoscerlo, pratica quanto mai diffusa in questo
nostro mondo globale.
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Introduzione
Sulla cavalleria medievale è stato ormai scritto tutto.
Forse si è addirittura scritto troppo. La volontà di questo
lavoro non è, dunque, quella di scoprire qualcosa di nuovo,
bensì quella di cercare di riordinare le idee a proposito di un
argomento tanto inflazionato nell’immaginario comune quanto poco
studiato e poco conosciuto nei suoi tratti caratterizzanti. Non
si tratta solo di pigrizia o di pressapochismo. È la materia da
trattare che è difficile in se stessa. Le fonti sono scarne e
non sempre imparziali, le origini della cavalleria piuttosto
oscure, i pareri degli storici spesso discordanti. Nondimeno,
basandosi sui fondamentali studi effettuati da maestri del
genere si può giungere ad una conoscenza approfondita del
fenomeno cavalleresco in Europa tra il X e il XII secolo. Il
grande e ancora insuperato lavoro di Marc Bloch, La società
feudale, ha svolto la funzione di base per il mio studio della
società medievale nella quale comparvero i cavalieri. Stesso
ruolo fondamentale ha avuto anche Lo specchio del feudalesimo di
Georges Duby, del quale ho utilizzato, per interessantissimi
spunti, anche Guglielmo il Maresciallo. L’avventura del
cavaliere, e dove lo storico francese, ripercorrendo la vita di
questo cavaliere in particolare, getta una luce generale
sull’epoca trattata. Devo però dire che lo scheletro di questa
mia tesi sono le due importantissime e recenti opere di Jean
Flori (Cavalieri e cavalleria nel Medioevo e La cavalleria
medievale) che con tratti semplici e chiari cercano di delineare
i vari aspetti della storia dei cavalieri nel Medioevo. Per
riferimenti più precisi rimando alla bibliografia. Dalla
collazione delle opere di questi tre maestri, alcuni altri
autori per i quali rimando alla bibliografia – e magari anche
con qualche spunto autonomo – ho cercato di ottenere un
risultato il più possibile esaustivo, cercando comunque di
mantenere un livello di chiarezza tale da rendere accessibile il
mio lavoro ai più.
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Sono partito cercando di delineare le origini della cavalleria
medievale. Questo è stato senz’altro il compito più arduo,
poiché esse si perdono negli ordinamenti dell’Antica Roma, ma
soprattutto prendono spunti dalle popolazioni “barbariche” a cui
essa fece da sostrato. Ma la cavalleria così come noi la
intendiamo appare tra X e XI secolo, proprio nel momento in cui
l’Europa vede l’indebolirsi dei grandi poteri centrali a
discapito dei principati territoriali. È esattamente in questo
periodo che compaiono questi “soldati a cavallo”, che non
combattono più come gli altri, vestiti e “addobbati”
diversamente dagli altri.
Di questo ho parlato nella seconda parte della tesi, così come
ho cercato di porre l’accento su coloro che divennero, o ai
quali fu concesso diventare cavalieri. Infatti, con il passare
del tempo si denota una chiusura sociale all’ingresso nella
cavalleria, che finisce per perdere una sua peculiarità
funzionale per assumerne una sociale. In altre parole a partire
dal XII secolo la cavalleria tende a diventare un “accessorio”
della nobiltà. Non tutti i nobili sono cavalieri, ma tutti i
cavalieri sono nobili. Ho riservato poi un capitolo alla pratica
dei tornei, importante allenamento e “vetrina” per i
partecipanti e un capitolo al rapporto tra i cavalieri e il
gentil sesso, comprese le complesse strategie matrimoniali. A
questi ho ricollegato un capitolo sulla letteratura
cavalleresca, che mi pare contenere, in particolare, indizi e
testimonianze proprio a proposito di amori e giostre, anche per
sottolineare le profonde differenze che come sempre c’erano tra
mito e realtà. In altri termini spesso i testi letterari erano
dei “manuali” di comportamento per i cavalieri e la fioritura
stessa di questi manuali sta a significare a contrariis che il
reale comportamento dei milites era ben meno prode e gentile.
Nella terza parte ho cercato di fare una rassegna delle
principali funzioni della cavalleria. In primo luogo la funzione
militare, ma nondimeno ho sottolineato la fondamentale funzione
spirituale, collegando questa allo stretto rapporto con la
Chiesa, con la quale l’ordine dei cavalieri ha mantenuto una
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dialettica sempre piuttosto accesa. A questo proposito è stato
d’obbligo scrivere un capitolo sulle crociate. Ho, infine,
concluso la tesi sottolineando la “missione” della quale era
stata investita la cavalleria e quella di cui essa stessa si
sentiva portatrice e custode. Una funzione protettrice in senso
stretto, ma anche una funzione universale.
Inutile concludere che, anche qui, le strade di ciò che è stato
scritto dagli araldi e di ciò che spesso è accaduto nella realtà
dei fatti, in altri termini le strade di ciò che la cavalleria
avrebbe dovuto essere nelle menti e nei cuori dell’epoca e di
ciò che essa veramente è stata, hanno spesso preso direzioni
diverse quando non opposte.
11
PARTE I.
Origini della cavalleria medievale
L’origine, o per meglio dire le origini, della cavalleria
medievale sono agli antipodi dello stereotipo che di essa ci
vogliono dare i mezzi di comunicazione moderni, ma sono anche
lontane, o comunque parzialmente lontane, dall’idea che di
queste ci danno le fonti privilegiate dell’epoca: le cronache e
le storie annotate in massima parte da ecclesiastici. Le origini
di questo “nuovo” mestiere, che ben presto diverrà una “nuova”
classe sociale, sono molteplici, di difficile rilevamento e
interpretazione e sin dagli inizi sono un sufficiente segnale
della poliedricità funzionale, sociale e strutturale della
cavalleria medievale.
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1. Militia e milites: gli “antenati” dei
cavalieri
Volendo dar retta ai cronisti medievali, non avremmo il
minimo dubbio nell’affermare l’origine romana della cavalleria
medievale; ma visto che il primo compito dello storico è quello
di controllare il peso e la veridicità delle proprie fonti, il
discorso diventa molto più complesso.
In primo luogo sarà necessario ricordare che questi cronisti
erano in grandissima parte (volendo sbilanciarsi si potrebbe
dire la quasi totalità di essi) ecclesiastici. Essi, infatti,
erano gli unici – salvo qualche rarissima eccezione – a
possedere lo strumento della scrittura (perlomeno in latino) ed
anche gli unici ad avere una capillare ed organizzata rete
(quella ad esempio dei monasteri) con il compito di registrare
gli eventi. Imbevuti di cultura latina come erano, non potrà
quindi stupire il fatto che questi autori collocassero
nell’Antica Roma l’origine di tutto, cavalleria compresa. Al
contrario, come spesso accade per fenomeni di vasta portata, sia
numerica che temporale, l’origine della cavalleria si perde
nella notte dei tempi ed è perciò di difficile interpretazione.
In realtà il termine cavalleria è più complesso e multiforme di
quanto non possa sembrare; infatti, porre l’accento sull’aspetto
puramente militare del guerriero a cavallo potrebbe portare a
confondere cavalleria e arma equestre. Jean Flori in un suo
approfondito studio1, ha provato a vedere una molteplicità di
influssi, in particolare di ordine politico, sociale e religioso
che ne hanno permesso la nascita, a partire dal III e dal IV
secolo. In questo periodo ad occupare la ribalta sono in
contemporanea l’impero romano, che costituisce il substrato
culturale e fornisce la base demografica dell’Europa
occidentale, i popoli barbarici che vi si introducono in maniera
più o meno pacifica e il cristianesimo, che da un punto di vista
1 J. FLORI, Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, Torino, 1999, pp.
5-44.
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sociale e religioso finisce per influenzare entrambi questi due
mondi.
1.1 Substrato romano e infiltrazioni barbariche
Sarebbe un errore vedere nell’ordo equestris fondato da
Augusto un progenitore della cavalleria. Semmai con questo
termine ci si riferiva ad una ben precisa classe sociale,
ovviamente di origine nobiliare, senza una particolare
distinzione funzionale. Questa classe finisce col fondersi con
l’aristocrazia senatoria fino a scomparire in essa (sotto
Costantino), formando una sorta di nobiltà ereditaria. A partire
da Costantino la separazione dei poteri civili e militari delle
epoche precedenti è rimessa in discussione e i generali
(magistri militiae) finiscono per dominare l’amministrazione
civile. L’esercito è presente ovunque e si tratta di un esercito
in cui l’elemento barbarico è sempre più importante. Questi
eserciti si sono, infatti, fortemente germanizzati, favorendo
un’interpenetrazione “pacifica” fra le due popolazioni2.
L’innesto di queste popolazioni germaniche si comincia a far
sentire ancora di più da un punto di vista sociale, ma anche e
soprattutto nel campo delle tattiche militari e dei sistemi di
governo. Come si può notare non si può parlare di “invasione”
quanto piuttosto di interpolazione. Questi “immigrati” vivono in
numero sempre maggiore di un lavoro che i Romani non vogliono
più fare, cioè il servizio militare, per il quale oltre tutto
queste nuove popolazioni sono particolarmente portate e
addestrate fino dall’infanzia. Come già detto, quindi, non vi è
alcun legame evidente fra ordo equestris e cavalleria, poiché se
questo è una classe di ordine sociale (aristocratico), quella è
una classe di ordine funzionale (il guerreggiare a cavallo, o
comunque in una specifica maniera, come vedremo più avanti).
Proprio in questa antica aristocrazia possiamo, invece, vedere i
germi della nobiltà medievale. Tuttavia, verso la fine
dell’impero, l’interesse per la cavalleria aumenta, anche perché
2 Ibidem, pp. 7-8.
14
il confronto fra gli eserciti romani e quelli delle nuove
popolazioni aveva messo in risalto una forte inadeguatezza dei
primi nei confronti dei secondi. Vi fu, perciò, una profonda
modifica dell’equipaggiamento e della tattica militare delle
truppe romane sul modello dei barbari. In particolare gli
eserciti romani abbandonano la spada corta e la lancia corta a
discapito della spada lunga e del giavellotto; nascono anche
battaglioni di arcieri a cavallo, fino ad allora pressoché
sconosciuti ai Romani.
Nel momento della caduta dell’impero la guerra non è più un
valore essenziale per Roma, peraltro già fortemente
cristianizzata. È allora proprio nel mondo barbarico, in
particolare germanico, che dobbiamo cercare le radici profonde
della cavalleria. Bisogna considerare che quest’influsso
barbarico, del resto, non si limita solo all’ambito militare, ma
permea tutta la civiltà romana. Si assiste pertanto a una
militarizzazione della stessa amministrazione civile. Questo
punto è fondamentale, poiché proprio da questo periodo qualsiasi
funzione pubblica al servizio dello Stato verrà designata col
termine militia, termine che verrà utilizzato in epoca medievale
per indicare la cavalleria e milites saranno tutti i funzionari,
civili e militari, a servizio di questa funzione pubblica.
Dobbiamo ripetere che l’influsso barbarico sulla nascita della
cavalleria è stato molto più profondo di un semplice influsso
militare. Un influsso a livello di vocabolario, usanze, costumi
sociali e mentalità. Valga come esempio quello descritto da
Franco Cardini3 a proposito della venerazione del cavallo o
della sacralità della spada, che passano direttamente alla
tradizione cavalleresca. Presso i popoli delle steppe avevano
grandissima importanza la cavalleria pesante e i valori
guerrieri ad essa associati: culto del cavallo e della spada,
venerazione della forza fisica e del coraggio, disprezzo della
morte, etc. Del resto la principale differenza fra società
romana e barbarica era proprio la vocazione precipuamente
3 F. CARDINI, Alle radici della cavalleria medievale, Firenze,
1982, pp. 3-129.
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guerriera di quest’ultima. Dignità e potere si acquistano
esclusivamente attraverso il combattimento. Sotto molti aspetti,
la società germanica preannuncia quei valori cavallereschi,
essenzialmente guerrieri della società feudale.
Flori4 rintraccia nella società germanica elementi ancora più
certi che preannunciano la società cavalleresca. Uno dei più
importanti è il compagnonnage guerriero attraverso il quale, con
la consegna delle armi, il giovane entrava di fatto a far parte
della società degli adulti. Dall’età di quattordici anni, tutti
i Germani liberi diventano guerrieri a tutti gli effetti. Ma
ancora Flori, in uno studio successivo5, ha sottolineato sulla
linea di Cardini e Duby che la presenza di questi elementi per
così dire guerrieri non è sufficiente a spiegare la cavalleria,
che è invece anche profondamente legata al vassallaggio, che si
instaura in Europa già prima della scomparsa dell’impero romano,
all’indebolimento dei poteri centrali e alla “privatizzazione”
del servizio militare. Non bisognerà tuttavia cadere nell’errore
di vedere nella società e nei valori della cavalleria medievale
un semplice surrogato delle tradizioni barbariche in generale e
germaniche in particolare. Non di secondaria importanza sono
infatti anche, assieme agli aspetti comuni, le differenze.
Ritengo che la differenza principale sia quella, per così dire
“ambientale”, tra mondo germanico e società feudale. Nel mondo
germanico tutti erano guerrieri, nella società feudale al
contrario l’ingresso nella cavalleria è riservato esclusivamente
ad alcune categorie, in particolare ad alcune categorie di
soldati prima e di uomini liberi, anzi nobili, poi. Lascio
tuttavia alle perfette parole di Marc Bloch, nel suo capitale
studio sulla società feudale, spiegare senza dubbio meglio di me
questo punto:
Tra i Germani, tutti gli uomini liberi erano guerrieri.
Non ce n’era, quindi, nessuno che non avesse diritto
all’iniziazione per mezzo della consegna delle armi: là
4 J. FLORI, Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, cit., pp. 5-44.
5 J. FLORI, La cavalleria medievale, Bologna, 2002, pp. 7-20.
16
per lo meno dove la tradizione del popolo imponeva tale
usanza, che ignoriamo se fosse praticata da tutti.
Invece, una delle caratteristiche della società feudale
fu, come ognun sa, la formazione d’un gruppo di
combattenti di professione, costituito anzitutto dai
vassalli militari e dai loro capi. L’antica cerimonia
doveva naturalmente restringersi a questi guerrieri per
eccellenza. In tale trasposizione, essa rischiava bensì
di perdere qualsiasi substrato sociale un po’ stabile.
Era servita da rito di accesso al popolo; ora, questo,
nel senso antico del termine, - la piccola città degli
uomini liberi – non esisteva più. La cerimonia
cominciava a servire di rito d’accesso a una classe; ma
questa classe era ancora priva di contorni precisi.6
1.2 L’influenza della Chiesa
Sia il substrato romano che le nuove influenze germaniche
dovettero tuttavia fare i conti con l’influenza della Chiesa,
un’influenza che, se non riuscì mai ad essere totale, fu
comunque sempre di importanza fondamentale, sin dagli albori.
L’atteggiamento della Chiesa nei confronti della cavalleria non
è privo di ambiguità, ambiguità che deriva dai rapporti, essi
stessi equivoci, della Chiesa con la guerra in generale e coi
guerrieri in particolare. Tale atteggiamento ha conosciuto una
notevole evoluzione, potremmo quasi dire una rivoluzione, nel
corso del primo millennio. I primi cristiani vivevano
nell’imminente attesa della fine del mondo e nell’attesa del
ritorno del Cristo. La predicazione degli Apostoli li spingeva a
vivere una vita terrena “distaccata” dalle contingenze
materiali, anche se nel rispetto dei poteri politici costituiti,
secondo la celebre sentenza dei Vangeli di Marco e Matteo:
reddite quae sunt Caesaris, Caesari et quae sunt Dei, Deo. I
Cristiani dovevano dunque sottomettersi al potere temporale di
chi governava, il quale agiva come rappresentante di un ordine
globalmente voluto da Dio, ma poteva disubbidirvi nel caso in
6 M. BLOCH, La società feudale, Torino, 1962, pp. 456-457.
17
cui le leggi imposte contrastassero con la legge divina. Come si
può immaginare la linea di demarcazione tra questi due
comportamenti doveva essere per forza di cosa piuttosto labile e
poteva portare a veri e propri fenomeni di “disobbedienza
civica”, in primo luogo il rifiuto del servizio militare e della
guerra in genere. A grandi linee, dunque, la Chiesa delle
origini giudicava la professione di soldato incompatibile con lo
stato di cristiano e numerosi di essi furono martirizzati
proprio a causa del loro rifiuto di combattere. D’altro canto
c’è da immaginare che il comportamento del “cristiano medio”
fosse già all’epoca molto meno eroico di quanto questi esempi
estremi stiano ad indicare. Non è questa la sede per
approfondire uno studio sull’evoluzione della Cristianità, ma
come sappiamo le cose cambiarono in fretta. Prima con Costantino
(313), poi con Teodosio (391) la religione cristiana divenne
religione di Stato. Per forza di cose, dunque, l’atteggiamento
delle autorità ecclesiastiche nei confronti della pratica
militare dovette cambiare. Chiaramente la Chiesa tenderà a
“cristianizzare” la guerra, quindi solo chi prenderà le armi a
favore della Chiesa e del suo potere, ormai anche temporale,
avrà l’avallo a poter esercitare il “mestiere” di soldato. Per
il tramite di Sant’Agostino, l’alleanza fra la Chiesa e i vari
poteri temporali si rafforza anche dopo la caduta dell’impero,
soprattutto in epoca carolingia, fino a prevedere e anzi
auspicare la guerra santa e la crociata.
Per il periodo che ci riguarda, Flori sottolinea chiaramente
come, a causa della frammentazione dei vari principati
successivi all’epoca carolingia, la Chiesa fosse direttamente
minacciata dai conflitti dell’epoca “feudale”7. Essa è
costretta, dunque, a rivedere il proprio atteggiamento nei
confronti della guerra e nei confronti dei milites, guerrieri in
generale e cavalieri in particolare, per cercare di assicurare
la propria difesa. Da un lato si mettono in pratica reazioni
indirette, come la dottrina, la scomunica e le istituzioni di
7 J. FLORI, Cavalieri e cavalleria nel Medioevo, cit., pp. 189-
249.
18
pace (di cui parleremo in seguito); d’altro canto vengono
reclutati direttamente difensori laici. Pur accettando e
codificando il servizio militare, la Chiesa cerca sempre di
limitare il più possibile l’uso delle armi e che queste siano
usate esclusivamente a suo favore. Essa tenta, dunque, uno
stretto controllo sui cavalieri, tentando di influenzare in
profondità i loro comportamenti. Questa evoluzione della Chiesa,
principale fonte di ideologia nel Medioevo, influenza
evidentemente l’etica guerriera e contribuisce alla formazione
dell’ideale cavalleresco, ad esempio per quanto riguarda il
trattamento dei vinti. È ancora Flori che ci dice che fino
all’XI secolo, il guerriero che, mentre è in servizio come
subordinato, uccide un nemico in combattimento, resta
contaminato dalla macchia del sangue versato e deve fare
ammenda8.
L’evoluzione della dottrina ecclesiastica riguardo la guerra si
accompagna con evidenza a un cambiamento di atteggiamento nei
confronti dei guerrieri in quanto individui. L’ideologia
proposta dalla Chiesa ai cavalieri si può scorgere in
particolare negli “specchi dei principi”, trattati di morale
politica composti nell’VIII e IX secolo per istruire i sovrani
sui loro compiti e sul modo di adempiere alla propria missione,
ma si può scorgere ancora meglio, e con maggiore chiarezza,
nelle esortazioni rivolte ai milites dagli scrittori
ecclesiastici. Ma questa ideologia è chiaramente affermata nei
rituali liturgici e nelle formule di benedizione legate alla
consegna delle armi ai cavalieri. In termini generali assistiamo
dunque, da parte della Chiesa, ad uno slittamento ideologico del
potere regio nelle mani dei cavalieri. Ad esempio per Bonizone
da Sutri, fra l’XI e il XII secolo, i cavalieri sono, insieme,
al servizio dei signori ai quali hanno giurato fedeltà, ma anche
al servizio della fede cristiana e dei deboli. La sua concezione
dualistica della società cristiana è gregoriana in senso puro,
subordinando tutte le funzioni all’autorità ecclesiastica.
8 Ibidem, pp. 190-191.