hanno portato all’attuale situazione politica. Nella parte centrale si
analizzano le tappe dell’ingresso della Turchia in Unione Europea, un
processo ormai iniziato da molto tempo ma ancora non giunto alla fine.
L’analisi prosegue concentrandosi su tre questioni ancora da risolvere, la
cui non soluzione intralcerebbe il processo in atto: il problema dell’isola di
Cipro e i rapporti con le minoranze armene e curde.
Il quarto capitolo passa in rassegna la situazione storica e attuale della
Croazia, seguendo lo stesso schema adottato per l’analisi della Turchia,
ovvero una breve introduzione alla storia del paese e una parte finale sui
rapporti tra l’Unione Europea e la Croazia, al fine di fornire un quadro
generale di un paese che, si spera, a breve entrerà a far parte della
comunità.
Il quinto capitolo analizza in maniera più approfondita, caso per caso, la
situazione storica e i rapporti tra Albania, Montenegro, Macedonia e
Unione Europea, rilevando aspetti positivi e problemi che ostacolano il
lungo cammino dell’integrazione europea degli Stati presi in
considerazione.
Il sesto capitolo presenta uno studio di caso sull’Euroregione adriatica,
un’associazione senza scopo di lucro di giurisdizione croata, che riunisce
al suo interno i rappresentanti delle regioni degli Stati che affacciano sul
Mar Adriatico. Lo studio di caso vuole presentare un esempio di
promozione e di sviluppo dei rapporti tra i paesi dell’area. Al fine di
approfondire al meglio il ruolo e l’utilità dell’Euroregione, anche per
quanto riguarda il tema principale della tesi, ovvero l’allargamento
dell’Unione Europea ai Balcani, si riporta un’intervista effettuata al
consigliere della regione Molise, tra le promotrici dell’iniziativa, Francesco
Cocco, uno dei principali esperti riguardo la storia, le iniziative attuali e le
prospettive future dell’associazione.
Volontariamente non si è affrontato il tema dell’ingresso nell’Unione
Europea della Serbia, la cui complessità meriterebbe una trattazione a
parte, soprattutto per quanto riguarda il nodo del Kosovo, e che solo
recentemente, con l’abolizione dei visti per l’area Schengen e lo sblocco
dell’Accordo di stabilizzazione e associazione con Bruxelles, ha potuto
presentare, il 22 dicembre 2009, domanda d’ingresso nell’Unione
Europea. Rimane inoltre irrisolta la spinosa questione della cattura di
Ratko Mladi!, ex capo militare dei Serbi di Bosnia tuttora latitante
assieme al leader serbo-croato Goran Had"i!, entrambi accusati di crimini
di guerra e contro l’umanità.
I
La questione dei Balcani: un’introduzione storico-
politica
L’allargamento a est dell’Unione Europea rappresenta la realizzazione di
un obiettivo ambizioso che la comunità si era posta nella prima metà
degli anni novanta, in altre parole si voleva riunificare l’Europa in un
quadro di stabilità e sicurezza.
Dalla caduta del muro di Berlino, la volontà manifestata dagli stati
membri della comunità si è tradotta in numerosi strumenti: dalle prime
liberalizzazioni degli scambi, agli accordi europei d’associazione, ai
negoziati e agli accordi d’adesione. Tutto ciò al fine di accompagnare i
paesi dell’Europa centrale e orientale lungo il percorso di una transizione
difficile e senza precedenti, nel passaggio da un’economia centralizzata a
una di mercato.
Dopo la fine del mondo bipolare, i conflitti esplosi nella penisola
balcanica, si pensi alla Bosnia, al Kosovo e alla Macedonia, hanno rivelato
la debolezza politica dell’Unione Europea troppo concentrata sulla sua
politica funzionalista di carattere strettamente economico commerciale e
poco attenta all’unione politica vera e propria. Ora sono tre i Paesi
Candidati all'adesione: Croazia, Turchia e l’ex Repubblica iugoslava di
Macedonia. I negoziati per l'adesione di Croazia e Turchia sono stati
avviati il 3 ottobre 2005, mentre quelli per la Macedonia, paese candidato
all'adesione all'UE dal 17 dicembre 2005, non sono ancora stati avviati. A
tutti gli altri paesi dei Balcani Occidentali ovvero Albania, Bosnia-
Erzegovina, Montenegro, Serbia e Kosovo
1
, sono state garantite le
6
1
Si veda la risoluzione 1244 dell’ONU.
prospettive d’adesione all'UE non appena avranno soddisfatto i “Requisiti
essenziali”, questi sono considerati tutti “Paesi Candidati Potenziali”. Con
tutti i paesi dei Balcani occidentali, l'Unione Europea ha avviato un
processo noto come “Processo di Stabilizzazione e d’Associazione”, teso
ad avvicinarli progressivamente all’UE. È proprio grazie ad esso che i
paesi possono già fruire del libero accesso al cosiddetto mercato unico
per la quasi totalità delle loro esportazioni, come anche dei finanziamenti
comunitari per le riforme in atto. Il fulcro di questo processo è l’Accordo
di Stabilizzazione e d’Associazione che sancisce il rapporto contrattuale
tra l'UE e ogni singolo paese dei Balcani Occidentali, da cui scaturiscono
diritti e obblighi reciproci. Al 2008 tali accordi sono stati firmati da tutti i
potenziali candidati prima elencati, è sono già in vigore.
7
La geografia politica dei Balcani
Da sempre l’uomo ha bisogno di ridurre in categorie la realtà che lo
circonda, al fine di renderla più semplice e conoscibile, per questo nel
1808 un geografo tedesco di nome Zeune decise di assegnare come
definizione, a quelle terre che vanno dal Peloponneso al Danubio, il
termine “Balkan”, nome turco che sta a indicare “montagna”, prendendo
spunto dalla catena montuosa che va dal Mar Nero fino alla frontiera tra
Bulgaria e Jugoslavia attraverso 550 chilometri
2
.
Una volta affermato nel secolo successivo il toponimo Balcani, l’area
sottostante alla definizione è rimasta invece dibattuta, a causa della non
sempre accettata appartenenza a essa delle popolazioni coinvolte, e alla
difficoltà di delimitare confini precisi che invece sono molto spesso
fluttuanti.
Definire i confini territoriali della penisola balcanica non è semplice:
pensiamo ad esempio alla Grecia, questa è situata senza dubbio
all’interno della penisola, ma appare molto più mediterranea, ciò
porterebbe a pensare all’esistenza di una penisola Greca e a un’Europa
danubiana più che a un'unica formazione territoriale
3
. Gli stessi Bulgari e
Rumeni godono ora di una designazione geografica centro-europea,
mediterranea.
La complessità di climi diversi è molto forte, come d’altronde la
morfologia geologica e la vegetazione. Non meno complessa appare la
geografia culturale, un elevato frazionamento etnico spesso terreno di
caccia dei vari nazionalismi, un crogiolo di culture che presenta però
anche dei tratti comuni a tutta la regione. Oggi nella nostra società è
forte la coincidenza fra luogo e cultura, è uno dei cardini del pensiero
occidentale moderno, ciò determina l’acquisizione dell’idea di nazione e di
8
2
Si veda a proposito G. Prévélakis, I Balcani,Il Mulino, Bologna 2003.
3
Si veda M. Derruau, L’Europe, Hachette, Bruxelles 1958.
territorio nazionale. Questo concetto a noi appare, ormai, come un dato
naturale dell’organizzazione sociale; siamo portati a immaginare la
nazione in termini omogenei e territorialmente radicati
4
, purtroppo a
volte questo tentativo di far corrispondere una cultura a un luogo ben
delimitato, è un’illusione, come, infatti, è accaduto nella penisola
balcanica: il mosaico balcanico, conteso da sempre da imperi cui non
importava affatto la presenza di culture diverse nel territorio, si presta
difficilmente a un’attribuzione regionale immediata. Nonostante ciò, il
modello dello stato-nazione è stato perseguito con accanimento, basta
pensare alla Jugoslavia di Tito, o alla “Grande Albania”.
La prima unificazione dei Balcani è avvenuta sotto l’Impero romano, il
quale ha avuto il merito di costruire strade e città lungo le vie
commerciali. Con lo spostamento della capitale a Costantinopoli, sotto
l’imperatore Costantino, e dopo il crollo di Roma e dell’impero romano
d’occidente, aumenta l’importanza militare, politica ed economica dei
Balcani, la cui storia viene quasi a coincidere con quella bizantina
5
.
Dopo l’impero Bizantino verrà il turno di quello Ottomano, il quale
conserverà molti elementi dell’impero precedente, che rimarrà in piedi
fino alla fine del diciassettesimo secolo, periodo in cui diventerà oggetto
della cosiddetta “questione d’oriente”. Proprio durante il periodo di
sottomissione all’impero ottomano, si sviluppa quel rifiuto ad accettare il
potere politico centrale dello stato da parte dei cittadini, influenzati
dall’esempio della cattiva amministrazione durante l’epoca di decadenza
dell’impero
6
.
9
4
Si veda a proposito E. Squarcina, E. dell’Agnese, a cura di, Geopolitiche dei Balcani,
luoghi percorsi, narrazioni, Milano, Unicopli 2002.
5
Si veda a proposito G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, Torino
1986.
6
Per ulteriori informazioni riguardo l’Impero ottomano si veda R. Mantran, Storia
dell’Impero ottomano, Lecce 1999.
Il declino dell’impero Ottomano dalla fine del diciassettesimo secolo è
caratterizzato da una serie di sconfitte e disordini interni. La guerra
d’indipendenza greca, cominciata nel 1821, causata dalla rivolta dei capi
guerrieri locali, rappresenta la prima comparsa di un’ideologia nazionale
7
.
Ancora prima era stata concessa l’autonomia alla Serbia nel 1815, ma le
truppe ottomane ne abbandoneranno il terreno solo nel 1867.
Il primo Stato Jugoslavo è nato nel 1918, con la scomparsa dell’impero
austroungarico e ottomano in seguito al primo conflitto mondiale, come
regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni sotto Alessandro I
Karadjordjevic
8
. Il progetto jugoslavo s’ispirava a una concezione
prettamente universalista volta alla creazione di uno stato comprensivo di
tutte le nazionalità slave del sud. Nella Jugoslavia erano presenti realtà
molto eterogenee quanto a regime politico, estensione territoriale e
nazionalità coinvolte. Fin dalla nascita dello stato, il problema principale
fu lo scontro fra la decentralizzazione, sostenuta da Slovenia e Croazia, e
l’accentramento basato sul ruolo unificatore della Serbia. Divenuto Regno
di Jugoslavia
9
nel 1929, lo stato dei serbi, degli sloveni e dei croati
s’ispirò a uno stato unitario e avviò un processo di serbizzazione, non
senza contrasti violenti: basti pensare all’organizzazione terroristica
Croata “ustascia” che ne chiedeva l’indipendenza
10
. Gli scontri fra i
nazionalisti serbi e croati hanno portato durante la seconda guerra
mondiale al verificarsi d’atrocità da entrambe le parti. Con la sconfitta
10
7
Per informazioni a riguardo si veda N. Narciso, La prima guerra d’indipendenza
greca ed il movimento filellenico (1821-1832).
8
Per informazioni a riguardo si veda I. Pellicciari, Tre nazioni, una costituzione:
storia costituzionale del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (1917 – 1921), Rubbettino 2004.
9
Si veda a proposito U. Ademollo, I confini politici del regno di Jugoslavia, Roma
1932.
10
Per informazioni riguardo Ustascia si veda F. Mosca, Croazia, la resistenza negata:
tra la denigrazione di “ustascia” e quella di “titini infoibati”: il difficile rapporto tra Italia e
Croazia e la polemica Napolitano Mesic, Trieste 2007 o A. Bolzoni, Ustacha. Gli uomini di
Ante Pavelic che sognarono una Croazia libera. Edizioni settimo sigillo, Roma 2000 o C. Del
Grosso, Ustascia: patrioti idealisti o spietati assassini? Testimonianze sul soggiorno in
Valtaro degli uccisori di re Alessandro primo, Associazione ricerche storiche Valtaresi 2000.
dell’asse, si tengono elezioni che assicurano la vittoria, nel Regno di
Jugoslavia, al Fronte popolare, egemonizzato dai comunisti
11
.
A Tito si deve la nascita dello stato federale multinazionale Jugoslavo,
uno Stato a economia pianificata, totalitario, capace di essere punto di
raccordo fra i due blocchi contrapposti nell’epoca della guerra fredda,
perché leader del gruppo dei paesi non allineati. Tito riuscì effettivamente
a raggiungere uno sviluppo socio-economico non trascurabile, cercando
di contenere le varie spinte nazionalistiche all’interno della federazione,
che poi esplosero con la sua morte nel 4 maggio del 1980
12
.
Dopo la morte di Tito nacque il problema della difficile successione, vi fu
una presidenza collettiva a rotazione
13
.
I croati e gli sloveni tentarono la via del distacco, opponendosi al
centralismo trionfante dei comunisti Serbi appoggiati dai dirigenti
sovietici.
Nel dodicesimo congresso della Lega dei comunisti, si discusse della crisi
economica e della bancarotta, a capo del governo vi era Plancic, il quale
cercò di nascondere il debito delle varie repubbliche federali, ma
l‘esercito non riuscì a mantenere un dialogo fra le parti efficiente.
Intanto in Kosovo veniva arrestato Villasi, esponente del partito
comunista locale, accusato di secessionismo dal partito centrale.
Nel 1987 andò al potere il serbo Milo!evi"
14
, il quale impose la riduzione
dell’autonomia della regione kosovara, occupando militarmente il
territorio e sciogliendo il parlamento e il governo kosovari. Venne votato
clandestinamente il distacco dalla Serbia.
11
11
Si veda J. B. Tito, La lotta per la liberazione della Jugoslavia, Kultura, Zagabria
1950.
12
Si veda R. West, Tito and the rise and fall of Jugoslavia, Sinclair Stevenson, Londra
1994.
13
Si veda J. Krulic, Storia della Jugoslavia: dal 1945 ai giorni nostri, Bompiani, Milano
1999.
14
Per quanto riguarda Milosevic si veda A. LeBor, Milosevic: a bioghraphy,
Bloomsbury, Londra 2002.
Anche la Slovenia nel 1989 attuò una revisione costituzionale per istituire
il diritto di recessione dalla federazione.
Nel 1990 scompare la Lega dei comunisti: dirigenti Sloveni e Croati
propongono una trasformazione della Jugoslavia in senso confederale,
ma ciò non viene accettato dai dirigenti Serbi.
Nel 25 Giugno del 1991, Slovenia e Croazia proclamarono l’indipendenza,
con la conseguente reazione di Belgrado che portò allo scontro armato
prima con Lubiana e poi con Zagabria.
La situazione in Croazia era più difficile, a causa di una forte minoranza
serba.
In Bosnia si vide un conflitto fra il Partito democratico serbo di Raskovic e
la musulmana Azione Democratica, che preferiva un’unione della Bosnia
con la Croazia più che una “grande Serbia”.
Con l’ulteriore secessione di Serbia e Montenegro si costruì una più
piccola federazione Jugoslavia
15
.
La Slovenia giunse all’armistizio e alla secessione definitiva il 25 Ottobre
1991, grazie alle pressioni internazionali.
Con la presidenza di Kucan, la Slovenia assunse i caratteri dell’economia
di mercato e adottò un sistema proporzionale con soglia di sbarramento
in cui le tre camere precedenti vennero sostituite da un’Assemblea
nazionale
16
.
In Croazia le cose sono andate in maniera diversa: vi è stata una vera è
propria guerra in Krajina e in Slavonia con i serbi tra il 1991 e il 1992,
finita con un armistizio e con la dichiarazione dell’indipendenza della
Croazia, mentre la Krajina, in cui prevaleva la minoranza serba, ha deciso
di unirsi alla Bosnia-Erzegovina.
Il 3 Marzo 1992 vi fu la dichiarazione d’indipendenza della Bosnia-
Erzegovina, ciò scatenò le ostilità militari che si aprirono il mese
12
15
Si veda M. Cermel, La transizione alla democrazia di Serbia e Montenegro: la
costituzione della Repubblica federale di Jugoslavia, Marsilio, Venezia 2002.
16
Si veda a proposito E. Vrsaj, La Repubblica della Slovenia tra l’Europa e i Balcani,
Franco Angeli, Milano 1993.
successivo.
In Bosnia-Erzegovina si scatenò una guerra civile inter-etnica, in cui si
scontrarono serbi bosniaci contro musulmani bosniaci, e croati erzegovini
contro musulmani e serbi. I serbi riuscirono a tenere sotto controllo la
maggior parte del territorio, perché maggioranza etnica più forte.
Infine per quanto riguarda la Macedonia, il processo di costituzione si
concluse nel 1991, con la nascita di uno stato sovrano indipendente
17
.
13
17
Per ulteriori riferimenti riguardo si veda A. Biagini, Mezzo secolo di socialismo
reale: l’Europa centro – orientale dal secondo conflitto mondiale all’era post comunista.
Giappichelli, Torio 1997 o N. Janigro, L’esplosione delle nazioni: le guerre balcaniche di
fine secolo, Feltrinelli, Milano 1999.
Dal 1991 a oggi: breve storia della prospettiva europea dei
Balcani Occidentali
Nel 1991 la comunità europea si trovò impreparata alle dichiarazioni
d’indipendenza di Slovenia e Croazia. L’attenzione era più focalizzata
sugli effetti della caduta del muro di Berlino e sulle implicazioni della
guerra del Golfo, causata dall’invasione Irachena del Kuwait.
L’impreparazione della Comunità Europea a fronteggiare i nuovi problemi,
appare evidente nel periodo che va da Giugno a Novembre del 1991, in
questi cinque mesi vennero concordate dodici tregue, tutte violate, e
discussi quattro piani di pace, tutti falliti.
Nel periodo che va dalla fine del 1991 all’Ottobre del 1995, il ruolo di
Bruxelles perse di valore e credibilità, scalzato dalle Nazioni Unite cui fu
affidata la leadership del processo di pacificazione
18
. Anche la Nato, gli
Usa e il cosiddetto Gruppo di contatto
19
svolsero un ruolo importante
mentre l’UE si concentrò nel campo degli aiuti umanitari.
La conclusione degli accordi di Dayton
20
, il 21 Novembre del 1995, segnò
la fine della guerra in Bosnia Erzegovina e l’avvio di una nuova fase:
quella della ricostruzione materiale e politica dell’intera regione.
14
18
Ciò avviene con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
numero 721 del 27/11/1991, con questa risoluzione si autorizzava l’invio di truppe
dell’ONU sul territorio, ciò certificava politicamente, il fallimento dei tentativi di risolvere la
crisi da parte di Bruxelles, perché si delegava la soluzione del problema a New York.
19
Il gruppo di Contatto fu fondato nel Febbraio del 1994, a seguito di un’iniziativa
russa per rafforzare il processo negoziale in merito alla Bosnia-Erzegovina. Ne erano
membri Stati Uniti, Russia, Germania, Francia e Gran Bretagna. Inizialmente esclusa, l’Italia
entrò a farne parte in un secondo momento.
20
Si veda M. R. Saulle, Gli accordi di Dayton ad oltre cinque anni dalla conclusione, La
Sapienza, Roma 2001.