Introduzione 2
Una maggiore affidabilità è assicurata anche rispetto ai razzi bi-propellente di
tipo liquido, a paragone dei quali gli ibridi contano su un singolo sistema di
alimentazione riducendo, in tal modo, la complessità costruttiva e le
probabilità di avarie.
Figura 1.1: Schema di propulsore ibrido diretto, inverso.
Durante il funzionamento del propulsore, l’ossidante viene dapprima
trasferito, in forma liquida o gassosa, tramite una serie di condotti e valvole,
all’ interno di una camera di precombustione ( preburning chamber ) posta
immediatamente a monte del grano di combustione solido.
La funzione della camera di precombustione è quella di atomizzare, tramite
un apposito iniettore, l’ossidante (se di tipo liquido) e miscelarlo in modo
omogeneo per spingerlo attraverso la singola o multipla perforazione ricavata
nel grano di combustibile solido, dove reagisce ed ha luogo la combustione.
In ogni perforazione, durante la combustione, la superficie del grano solido
vaporizza, rendendo disponibile combustibile per le reazione chimiche e
dunque regredisce .
La reazione di combustione avviene all’interno dello strato limite in una
regione molto sottile appena al di sopra della superficie del grano.
L’energia rilasciata dalla combustione innalza la temperatura dei gas ed
alimenta il processo di ablazione del combustibile solido.
Variando la portata di ossidante cambia la produzione dei gas combusti e,
quindi, la portata totale che fluisce attraverso l’ugello di scarico, fatto questo
che consente la possibilità di regolare la spinta. Inoltre, dotando il motore
di un opportuno sistema di accensione riutilizzabile, è possibile lo
spegnimento e la riaccensione del motore stesso.
Altro aspetto molto rilevante è collegato all’ impulso specifico.
Con impulso specifico si definisce il rapporto fra la spinta erogata e la portata
in peso di gas fluente attraverso l’ugello :
Introduzione 3
I
sp
=
S
w&
(1.1)
Il valore di questo parametro di merito, per un sistema ibrido, risulta superiore
a quello che caratterizza i motori a propellenti solidi (Tabella 1.1).
Tabella 1.1: valori tipici dell’impulso specifico
In conclusione, i sistemi ibridi hanno il vantaggio di avere costi di produzione
relativamente bassi ed un più basso impatto ambientale, questo grazie al più
frequente utilizzo di ossidanti in genere meno inquinanti dei sistemi solidi.
1.2 Obiettivi
Obiettivo di questo lavoro è stato quello di analizzare l’ influenza della
pressione sulla velocità di regressione in un microcombustore a propellente
ibrido, utilizzando come combustibile dell’ HTPB
2
e come ossidante
una miscela gassosa di 50% O
2
+50%
di N
2
.
A tale scopo è stata svolta una campagna di prove in cui sono stati
utilizzati grani di combustibile a base di HTPB, investiti da un flusso
stabilito. Tramite tecnica ottica si è potuto risalire alla misura della velocità
durante della velocità durante ogni singola prova.
Le prove di combustione corrispondono ai grani di combustibile solido
sintetizzati; Queste sono state raggruppate in una batteria, comprendente
sette prove con grani di composizione chimica identica dal punto di vista
del legante (figura 1.2).
La caratterizzazione balistica è stata ottenuta mantenendo costante il flusso
di ossidante (pari a 30 Nl/min) e variando la pressione nell’intervallo 4÷13 bar.
2
Dall’acronimo inglese Hydroxil Terminated Polybutadiene, Polibutadiene a terminazione idrossilica
tipo di propellente Impulso specifico ,s
Ibrido 275÷350
Solido 200÷270
Liquido 300÷450
Introduzione 4
Figura 1.2 : Stampo (o batteria) con sei dei sette grani di combustibili
1.3 Piano di presentazione
La presentazione dell’analisi, svolta interamente presso il Laboratorio
Propulsione Spaziale del Politecnico di Milano (SPLab), è articolata come
segue:
Capitolo 2 : viene descritto lo stato dell’arte nella propulsione
ibrida, esaminando le teorie sviluppate per descrivere questa
particolare modalità di combustione.
Capitolo 3 : sono esposte proprietà e caratteristiche degli
ingredienti utilizzati nella preparazione del combustibile e
del relativo ossidante.
Capitolo 4 : sono presentate la procedura operativa per la
realizzazione del combustibile e le caratteristiche del prodotto
finito.
Capitolo 5 : viene descritta in dettaglio la linea sperimentale.
Capitolo 6 : si espongono i risultati ottenuti dal lavoro di
indagine sul combustibile.
Capitolo 7 : vengono tratte le conclusioni e si forniscono
indicazioni sugli sviluppi futuri.
2.1 Evoluzione storica
2.1.1 Le origini
La storia della propulsione ibrida ebbe inizio nei primi anni trenta del ‘900.
Il primo razzo ibrido fu sviluppato dai russi Sergei P.Korolev e Mikhail K.
Tikhonravov, denominato GIRD-09 e fu lanciato 17 agosto del 1933
raggiungendo un’ altitudine di 1500 metri. I combustibili usati erano gasolio
gelatinizzato, supportato da una griglia di metallo, ed ossigeno liquido.
Il motore ( 7 in diametro per 8 ft di lunghezza ) garantì una spinta di 500 N
per 15 s .
Nel 1937 Leonard Andrussow di Farben [1], un cavaliere russo ufficiale
durante la prima guerra mondiale, ideò un motore a razzo come
combinazione di un propellente solido ed uno fluido. Soluzione questa che
venne denominata litergolo
3
da W. Noeggerath. I primi esperimenti furono
condotti nei laboratori di Farben a Ludwigshaven in Germania su un
motore in cui il combustibile solido era costituito da una pila di dischi
cilindrici di carbone multi perforati attraverso i quali fluiva ossido nitroso
gassoso(figura 2.1).
Figura 2.1 : Schema del motore ibrido utilizzato nei laboratori di Farben
3
Dal greco” Lithos” solido, “ergon” lavoro e “oleum” olio
Rassegna Bibliografica 6
Come in seguito riportato da Lutz[ 2], mediante tale motore fu possibile
ottenere un consumo uniforme lungo la superficie del combustibile rivestendo
i fori dei dischi con celluloide misurando spinte tra 500 e 1000 Kg in prove
della durata di 40-120 s .
Negli anni 1938-1939 in Austria, H. Oberth eseguì alcuni test utilzzando
ossigeno liquido e una miscela di catrame, legno e salnitro[ 2 ].
Circa nello stesso periodo, negli Stati Uniti, la Californian Pacific Rocket
Society effettuò esperimenti utilizzando ossigeno gassoso e delle barre di
carbonio scanalate come combustibile solido.
Con questa configurazione si raggiunse un impulso specifico massimo
di 160 s con una pressione in camera tra i 100 e 300 psi.
Nel 1946, al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, H. Bartel e
W.Rannie esaminarono l’uso del carbonio come combustibile solido di un
ramjet ed elaborarono la prima teoria sulla combustione in un motore a
propellente ibrido. Il loro modello assumeva, come parametro di controllo
della velocità di regressione, la diffusione dell’ ossigeno verso la superficie del
combustibile. Pur essendo un modello pioneristico esso fu capace di predire,
con discreta approssimazione, i dati sperimentali dell’epoca.
Nel 1951, ancora la Pacific Rocket Society, lanciò un razzo sperimentale
avente come propellenti ossigeno liquido e gomma che raggiunse una quota
di 9 km . Tra il 1951 ed il 1956, Moore e Berman eseguirono alcuni test con
propellenti costituiti da polietilene e perossido di idrogeno (H
2
O
2
) al 90% .
Tutti questi studi ebbero carattere puramente sperimentale e dimostrarono
la fattibilità della propulsione ibrida. Inoltre, essi misero in luce la carenza di
teorie affidabili ed il fatto che la realizzazione di un’applicazione concreta
di questo nuovo concetto dipendeva fortemente dalla capacità di colmare tale
lacuna, comprendendo il complicato processo della combustione ibrida. Di
fatto, fu osservata una complessa dipendenza della velocità di regressione
dalla portata di massa dell’ossidante e dalla geometria della porta del
combustibile solido, il che precludeva approcci di tipo empirico applicati,
invece, con successo nella ricerca su altri sistemi di propulsione chimica.
Negli anni ’60 il concetto di razzo a propellenti ibridi suscitò grande
interesse nel mondo della propulsione e si sviluppò ampiamente. Numerosi
furono i contributi innovativi al suo sviluppo.
Rassegna bibliografica 7
In questo periodo, Marxman[3] ed i suoi collaboratori elaborarono un
Modello teorico quantitativo per il calcolo della velocità di regressione,
basato sullo strato limite turbolento, che tuttora viene utilizzato come
riferimento.
Tra le sue caratteristiche, questo modello aveva quella di considerare lo
effetto di bloccaggio sullo scambio termico convettivo attraverso il quale
divenne possibile spiegare le piccole variazioni della velocità di regressione
osservate, cambiando i combustibili, l’accoppiamento tra flusso termico
radiativo e convettivo e, successivamente modificato, teneva conto della
dipendenza dalla pressione riscontrata in determinati campi del flusso
di ossidante.
Con i primi anni ‘ 70 in Europa e in Italia presso il CNR di Milano e
presso l’ Istituto di Aerodinamica della Facoltà di Ingegneria si
studiarono rispettivamente gli ibridi inversi e quelli diretti.
In particolare a Napoli si condussero test al banco su un razzo a ossigeno
gassoso e polietilene, mirati alla misura della velocità di regressione con
metodi intrusivi[4] e si fecero le prime ipotesi di propellenti semi-ibridi
(ossidante liquido o gassoso e combustibile solido arricchito con una piccola
percentuale di ossidante solido al fine di migliorare la velocità di
regressione).
Da tutto ciò, emerse chiaramente che il maggiore svantaggio di tale
sistema propulsivo era costituito dalle basse velocità di regressione, circa di
un ordine di grandezza minori di quelle riscontrabili nei propellenti solidi.
Il principale obiettivo da raggiungere era, ai fini applicativi, ottenere
valori elevati della spinta. Già nel 1968 si trovò un modo per far fronte a
tale necessità utilizzando un grano di combustibile avente dodici
perforazioni, in una configurazione cosiddetta a wagon wheel (figura 2.2),
ciascuno delle quali alimentata da un proprio iniettore .
In questo modo, con un grano da 1 m di diametro, si produsse una
spinta pari a 180 kN .
Figura 2.2 : Configurazione di grani multiporta a confronto
Rassegna bibliografica 8
Migliorare le prestazioni di questi motori era, allora, la sfida da intraprendere,
storicamente, infatti le missioni spaziali sono state guidate dalle performance
a scapito dei costi, facendo, quindi, preferire gli endoreattori a propellenti
liquidi e solidi rispetto ai quali i vantaggi degli ibridi passarono in secondo
piano.
2.2 Stato attuale e prospettive
Anche sul piano della ricerca, gli anni ’80/’90 assistono ad un crescente e
Rinnovato interesse verso la propulsione ibrida dura tutt’oggi. Solo per
citare qualcuno dei campi di ricerca, alla Penn State University K.K. Kuo
ed il suo gruppo studiarono, e ancora continuano a farlo, per mezzo di un
motore bidimensionale, il comportamento di combustibili solidi che
bruciano con ossigeno gassoso nell’intento di chiarificare il processo fisico
che governa la velocità di regressione, per certi versi ancora oscuro, e la
pirolisi del combustibile solido nelle diverse condizione operative.
Alla Purdue University, invece, si conducono esperimenti con perossido
d’ idrogeno ad elevata concentrazione e polietilene. Anche nello stato di
Israele, al Rafael, ricercatori si occupano di motori ibridi con particolare
riferimento all’ applicazione ad un innovativo sistema di propulsione
spaziale in cui i piccoli incrementi di velocità sono assicurati da motori a
idrazina mentre motori ibridi inversi, che utilizzano i prodotti di
decomposizione dell’ idrazina quale combustibile gassoso, producono le
grosse accelerazioni.
2.2.1 Confronto tra diverse tipologie di propulsione
chimica
I sistemi propulsivi ibridi offrono diversi vantaggi nei confronti di quelli
solidi e liquidi che hanno portato allo sviluppo di diversi programmi
mirati al miglioramento dei sistemi propulsivi oggi disponibili.
Particolare attenzione va al progetto della NASA per la sostituzione
degli attuali boosters a solido del lanciatore dello Space Shuttle con un
equivalente ibrido(figura 2.3).