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esempio, l’insegnamento del solfeggio; oppure ci viene fatto credere che la
musica sia quella scritta sui libri, di storia o di teoria che siano, i quali certamente
danno la possibilità di effettuare, ad esempio, una contestualizzazione o di
diffondere la musica, creando uno scambio fra i compositori, ma danno poche
opportunità per l’apprendimento oggettivo della musica come evento
caratterizzato da suoni, ritmi, melodie, ecc..
L’insegnamento della musica poi consiste spesso unicamente in una
trasmissione di sapere, non contestabile ovviamente, ma che non ha come
obiettivo l’apprendimento effettivo del bambino. Nella scuola contemporanea,
infatti, regna una sorta di addomesticamento che vede appunto l’insegnante in una
posizione autoritaria rispetto al bambino, quindi non egualitaria. In realtà il ruolo
dell’adulto dovrebbe essere appunto di “aiutante” del bambino il quale, con
l’esperienza diretta, dovrebbe scoprire e sviluppare quelle che sono le proprie
attitudini; l’insegnamento informale ha, difatti, il potere di coinvolgere
maggiormente il bambino, in quanto si vengono a creare un ambiente e tutta una
serie di situazioni più consone alla sua realtà e al suo modo di approcciarsi al
mondo.
A tal proposito è illuminante il pensiero di Edwin E. Gordon, ricercatore,
docente, autore, editor e conferenziere nel campo dell’educazione musicale, il
quale, dopo oltre 40 anni di ricerche ha delineato una “teoria dell’apprendimento”,
la Music Learning Theory, che oltre ad analizzare in profondità le modalità e i
tempi di apprendimento da parte del bambino, contiene numerosi suggerimenti
per quanto riguarda appunto l’approccio metodologico.
Gordon, infatti, oltre a parlare della funzione dell’educatore,
soffermandosi sul ruolo di quella che egli definisce “guida informale”, mette in
primo piano il bambino il quale non viene più considerato come un essere avente
esclusivamente bisogni di natura fisiologica, ma una persona in grado di
relazionarsi con gli altri e di apprendere autonomamente: una persona a tutti gli
effetti che però ha bisogno di rapportarsi attraverso i suoi modi e i suoi tempi che
sono appunto a misura di bambino. Per quanto riguarda la guida informale, essa
deve intervenire specificatamente nel periodo che va dalla nascita (o anche dalla
gravidanza) ai 36 mesi, considerato proprio il momento più fecondo per quanto
riguarda l’apprendimento.
11
Negli ultimi anni l’educazione musicale ha subito un progressivo
abbassamento dal punto di vista qualitativo e, secondo Gordon, questo è dovuto
proprio al fatto che i bambini non ricevano un’adeguata educazione musicale
prima di giungere alla scuola dell’infanzia o alla prima elementare. Spesso, infatti,
quasi tutte le teorie metodologiche prevedono l’introduzione del bambino alla
conoscenza della musica verso i 5-6 anni, troppo tardi affinché avvenga
un’acculturazione che gli permetta di avere una consapevolezza globale della
musica, la quale arriva ad essere considerata come un momento noioso e poco
piacevole e non come un mezzo in più per esprimere se stessi.
Ovviamente ci devono essere delle figure che accompagnino il bambino
verso l’assimilazione della sintassi musicale ed esse sono, primi su tutti, i genitori
i quali devono “diventare” musica per il bambino, rispettando i suoi tempi e non
chiedendo i sempre più frequenti saggi di competenze acquisite in poco tempo.
Un’altra figura con cui il bambino si relazionerà sarà l’insegnante di musica il
quale dovrà essere un adulto attento, e appunto un educatore più che un
intrattenitore musicale. Spesso difatti ciò che gli insegnanti e genitori fanno è
utilizzare la musica per intrattenere o per “calmare” il bambino, e tendono a
spingerlo ad imitare in modo inconsapevole gli atteggiamenti musicali dell’adulto
stesso, con l’obiettivo di raggiungere in poco tempo dei risultati che ne dimostrino
l’apprendimento.
Ciò che invece Gordon ha come obiettivo è promuovere una relazione
adulto – bambino nella quale “l’uno possa rivolgersi all’altro per comunicare non
più solo attraverso le parole e il racconto, ma anche con il canto e l’ascolto
musicale.”13
Viste le grandi difficoltà che troppo spesso intercorrono nella
comunicazione tra le persone, saper manifestarsi attraverso la musica, linguaggio
universale per eccellenza, può forse fornire una chiave in più per migliorare se
stessi e la qualità dei rapporti.
Egli poi suggerisce che gli strumenti didattici da utilizzare nella relazione,
debbano essere la voce e il corpo in movimento poiché
13
A. Apostoli, E. E. Gordon, 2005: 6
12
“il modo migliore per aiutare il bambino a scoprire la propria voce cantata è quello
di cantare per lui: così come prende a modello l’adulto che si serve della voce
parlata, farà lo stesso con la voce cantata.”14
Anche le altre metodologie mettono al centro delle loro impostazioni il
canto e il movimento, ma spesso i canti impiegati sono quelli denominati
“dell’infanzia”, i quali sono particolarmente semplici dai punti di vista armonico,
melodico e ritmico, non stimolando quindi l’apprendimento; e il movimento è
spesso troppo coordinato (un esempio sono le marce), non valorizzando la
spontaneità, straordinaria qualità che appartiene ad ogni bambino, e quindi da
rispettare.
“I luoghi dell’infanzia […] sono spesso caratterizzati da un “tutto pieno” di suoni,
forme e colori che poco spazio lasciano all’assorbimento dei linguaggi, secondo i
tempi e i bisogni del bambino.15”
Questo “tutto pieno” porta spesso ad una confusione da parte del bambino
il quale si sente eccessivamente stimolato nella scoperta e non portato a prendere
piena coscienza di ogni singolo oggetto musicale; ecco perché, da parte di Gordon
c’è una forte esigenza di suggerire all’adulto di relazionarsi con il bambino
attraverso l’esecuzione di brani che abbiano determinate caratteristiche e che
siano adatte al suo mondo: essi devono essere innanzitutto brevi in quanto
l’eccessiva durata sposterebbe la sua attenzione verso altro; devono essere poi
caratterizzati da varietà e complessità, che risultano essere una forte attrazione per
il bambino; e ovviamente i brani devono essere ripetuti più volte, con pause ben
definite, affinché il piccolo possa assimilare meglio e avere la possibilità, se lo
ritiene opportuno, anche di poter rispondere.
Franco La Rocca, in un suo articolo, afferma che
“senza educazione il vagito non diventerebbe canto e parola, ma urla, ululato nella
tenebra dell’insignificanza. Senza educazione lo sguardo curioso del bimbo invece
che illuminarsi via via a movenze di rapide intuizioni di vero, languirebbe fisso nel
vuoto spettrale di un caleidoscopio evanescente.”16
1.2 La Music Learning Theory
La Music Learning Theory, sviluppatasi attraverso anni di ricerca e di
osservazione, può essere definita come
14
A. Apostoli, E. E. Gordon, (1990), 2003: 5
15
A. Apostoli, E. E. Gordon, 2005: 5
16
F. La Rocca, 1995
13
“una teoria che studia le modalità di apprendimento musicale del bambino a partire
dall’età neonatale fondata sul presupposto che la musica si possa apprendere
secondo gli stessi procedimenti del linguaggio parlato.”17
Questo perché “la musica, pur non essendo propriamente una lingua, ha
contenuti e sintassi che possono essere paragonati alle parole e alle regole di un
idioma.”18
Il suo quindi non è un “metodo” e neanche una “teoria dell’insegnamento”,
ma una “teoria dell’apprendimento”, da cui deriva un’attività educativa che ne
applica i principi fondamentali. La peculiarità di questa teoria è che esprime sia un
modello di apprendimento che un modello di insegnamento:
“il modello di apprendimento ha un fondamento teorico, mentre quello di
insegnamento un fondamento pratico, a sua volta basato sul modello di
apprendimento: entrambi hanno per oggetto un processo e non un prodotto.”19
Si è già messo in evidenza il concetto secondo cui l’apprendimento
musicale si compie attraverso meccanismi analoghi a quello linguistico.
L’apprendimento del linguaggio materno, come ben si sa, avviene
spontaneamente: nessuno insegna ai bambini a parlare. Esso viene acquisito in
seguito ad un percorso di assorbimento e di liberi tentativi, che ogni bambino,
durante i primi anni di vita, mette in atto. Questo processo avviene grazie
all’apporto degli adulti che, direttamente e indirettamente, essendo quindi una
guida informale, trasmettono, senza particolari forzature, i suoni della lingua: le
risposte del bambino poi consisteranno nell’emissione di piccoli vocalizzi e
balbettii che non verranno considerati errori, in quanto, col tempo, si muteranno in
parole e frasi compiute.
La fase di assorbimento della lingua, che generalmente corrisponde al
primo anno di vita, si basa essenzialmente su momenti di ascolto da parte del
bambino dei discorsi fra adulti o a lui diretti, spesso particolarmente articolati e
contraddistinti dall’uso di tutta una serie di termini spesso non “adatti” alla prima
infanzia. È stato però confermato il fatto secondo cui maggiori sono i vocaboli
ascoltati dal bambino durante la prima infanzia, e quindi durante il cosiddetto
momento di assorbimento, migliori saranno il suo vocabolario parlato, la sua
comprensione della lingua e la sua intelligenza.
17
A. Apostoli, E. E. Gordon, 2005: 17
18
G. Petta, 2007
19
A. Apostoli, E. E. Gordon, (1990), 2003: 40
14
Esiste quindi uno sviluppo sequenziale dei cosiddetti “quattro vocabolari”:
ascoltato, parlato, letto e scritto.
“Il primo dei quattro vocabolari è fondamentale per lo sviluppo degli altri tre e viene
acquisito a partire dai primi mesi di vita in un ambiente in cui i genitori e le figure
adulte di riferimento si rivolgono al bambino con un linguaggio compiuto, oltre al
fatto che egli è testimone attento di conversazioni fra adulti. Il secondo, quello
parlato, prende le mosse dai primi tentativi di interazione attraverso l’emissione di
semplici fonemi, fino alla capacità di esprimersi a parole in modo compiuto. Il terzo
e il quarto vocabolario, quello letto e quello scritto, si sviluppano a partire dall’età
scolare e consistono nell’acquisizione della capacità di riconoscere nei segni
significanti, ovvero nelle parole scritte, i significanti assorbiti in precedenza.20
Per quanto riguarda l’insegnamento della musica avviene purtroppo spesso
il processo inverso: si inizia cioè con l’imposizione al bambino, ad un’età spesso
tarda per un effettivo ed efficiente assorbimento, di tutti quegli aspetti teorici
caratteristici dell’insegnamento formale, per passare poi all’avvicinamento allo
strumento che, generalmente, avviene in modo troppo repentino. La musica deve
essere innanzitutto ascoltata con l’orecchio, sentita con il corpo e poi espressa con
la voce e con il movimento: l’uso dello strumento è un qualcosa che avverrà con
l’inizio dell’insegnamento formale, durante il quale il bambino avrà proprio la
possibilità di sviluppare i restanti vocabolari e apprendere, se lo riterrà opportuno,
tutti quegli aspetti teorici e tecnici che rafforzano ulteriormente le basi che
precedentemente sono state costruite con l’ascolto e con il canto. Prima c’è il
corpo e la sensorialità e in seguito tutto il resto.
Secondo Gordon perciò il percorso verso l’apprendimento musicale deve
avvenire passando prima per un’educazione informale, con la quale si presentano
al bambino tutti quegli aspetti “concreti” della musica (suoni, ritmi, melodie,
tonality, pattern, ecc..) che concorrono a stabilire cosa sia materialmente la
musica. Anche qui perciò c’è uno sviluppo sequenziale dei “quattro vocabolari
musicali”: ascoltato, cantato, letto e scritto, rappresentati nel seguente grafico.
20
A. Apostoli, 2008: 206
15
Il vocabolario ascoltato costituisce quindi la base per un conseguimento
dei significati musicali e del senso della sintassi musicale, che si verifica
attraverso appunto l’ascolto e l’assorbimento della musica fin dalla primissima
infanzia.
Ovviamente un buon ascolto si costruisce grazie all’intervento di tutta una
serie di brani che abbiano determinate caratteristiche: non quindi quei brani che
generalmente si fanno ascoltare ai bambini, e che vengono definiti “dell’infanzia”,
in quanto contraddistinti prevalentemente da semplicità, realizzati cioè in ritmo
binario o ternario, e in tonalità maggiore o minore; dall’uso di testi che, oltre a
trasformare la musica in mero accompagnamento, distraggono il piccolo in quanto
lo mettono in condizione di soffermarsi maggiormente sulle parole più che sulla
musica.
Il consiglio di Gordon a riguardo è di far loro ascoltare dei brani che siano
innanzitutto brevi, in modo da non saturare la sua attenzione; non ci deve essere
poi la presenza di testi, favorendo così l’assorbimento puro della sintassi
musicale: ciò significherà che il bambino andrà a cercare istintivamente
“di abbinare parti simili, di cogliere differenze e di assorbire le relazioni di altezza e
durata dei suoni che, senza il «vestito» delle parole, si presenteranno nel loro
significato musicale.”21
I pezzi inoltre devono essere caratterizzati da varietà e complessità, che
vuol dire perciò tempi e metri ritmici diversi, oltre che i più svariati modi e
dinamiche. Spesso invece le musiche rivolte all’infanzia sono delle versioni
semplificate che non danno particolari stimoli e non contribuiscono allo sviluppo
della musicalità. Particolare rilievo, nella fase di ascolto, hanno poi il momento
21
A. Apostoli, E. E. Gordon, 2005: 6
Voc.
scritto
Vocabolario letto
Vocabolario cantato
Vocabolario ascoltato
16
della ripetizione dei brani, durante il quale si viene a creare una sorta di
“familiarità”, che dà sicurezza al bambino; e quello del silenzio, momento centrale
per l’apprendimento poiché proprio in esso avviene lo sviluppo dell’audiation 22,
termine coniato da Gordon per indicare la capacità di sentire e comprendere
internamente la musica.
C’è però da ricordare che questi brani devono essere eseguiti da genitori ed
educatori, proprio per come avviene nella trasmissione del linguaggio: essi infatti,
facendo uso della propria voce e accompagnandosi al movimento fluido e
spontaneo del proprio corpo, canteranno i brani cercando di realizzare una vera e
propria relazione musicale fatta da suoni, ritmi, ecc. Si verrà a creare quindi anche
una nuova ed esclusiva forma di comunicazione tra bambino e adulto, che
arricchirà ulteriormente la sua personalità, oltre che sviluppare le sue attitudini
musicali.
In base al vocabolario di suoni ascoltati e acquisiti fin dalla nascita, si
svilupperà poi il vocabolario cantato che
“come quello linguistico, prenderà le mosse dai primi tentativi di interazione
attraverso l’emissione di brevi vocalizzazioni o balbettii musicali, ritmici e tonali,
definiti da Gordon con il concetto generale di «music babble».23(?)
Queste prime vocalizzazioni saranno dapprima eseguite casualmente e,
successivamente, sempre più in modo consapevole e, come dice Gordon,
intenzionale.
In seguito, sulla base del vocabolario cantato si produrranno il vocabolario
letto e quello scritto che rappresenteranno proprio l’insegnamento formale che ha
inizio generalmente dopo i primi 6 anni di vita del bambino.
Anche per la musica c’è perciò un percorso sequenziale nell’acquisizione
dei vocabolari che nella MLT si traduce nella descrizione di due periodi
fondamentali: il primo, detto audiation preparatoria, è suddiviso in 3 tipi e in 7
stadi e consiste nell’acquisizione dei primi due vocabolari (quello ascoltato e
quello cantato) e nell’insegnamento informale, e il secondo, detto audiation vera e
propria, consiste nel conseguimento dei rimanenti due vocabolari (quello letto e
quello scritto) e nell’insegnamento formale.
22
Di questo argomento si tratterà nel capitolo seguente.
23
A. Apostoli, 2008: 210