della propria prestazione tenendo presente comunque che la
preparazione psicologica non è la bacchetta magica per diventare
campioni, ma permette la realizzazione delle potenzialità
dell’atleta nel loro complesso tramite un costante impegno
dell’allenamento fisico accompagnato da una personalità
equilibrata (Faggioli, 2001).
1. Che cos’è la psicologia sportiva?
La psicologia dello sport è una vasta disciplina dove
confluiscono diverse pratiche di ricerca (psicologia, medicina,
psichiatria, sociologia, pedagogia, filosofia, igiene, educazione
fisica, riabilitazione, etc.) ed è pertanto un argomento di
competenza multidisciplinare aperto al contributo che ciascuno
può portare sulla base della propria preparazione specifica.
Essa si occupa:
a) dello studio dei fattori mentali e psicologici che
influenzano e sono influenzati dalla partecipazione e dalla
prestazione nello sport, nell'esercizio e nell'attività fisica;
b) della applicazione delle conoscenze acquisite attraverso
questo studio che ogni giorno viene effettuato.
La psicologia dello sport professionale è interessata a come la
partecipazione allo sport, all'esercizio ed all'attività fisica possa
accrescere lo sviluppo personale ed il benessere durante l'intero
arco della vita .
Infatti, gli psicologi dello sport che svolgono questa attività a
livello professionale s'impegnano nel comprendere i processi
psicologici che guidano la prestazione motoria, i modi attraverso
cui può venire stimolato l'apprendimento e incrementate le
prestazioni e la maniera in cui possono essere efficacemente
influenzati le percezioni psicologiche e i risultati.
Siccome ci sono molti modi in cui possiamo applicare la
psicologia allo sport e data la vasta gamma di attività che culture
differenti considerano come sport, bisogna adottare una
definizione piuttosto ampia di psicologia dello sport. Nel 1996 la
Federazione Europea di Psicologia dello Sport (FEPSAC) ha
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prodotto una tale ampia definizione che, lievemente semplificata,
dice: La psicologia dello sport è lo studio delle basi, dei processi
e degli effetti psicologici dello sport. Questa definizione usa il
termine ‘sport’ in senso ampio, inclusa qualsiasi attività fisica per
gli scopi di competizione, ricreazione, educazione o benessere
(Jarvis, 1999).
2. Chi è lo psicologo sportivo?
La domanda può essere pensata in due modi: chi può
chiamare se stesso psicologo dello sport? e cosa fanno gli
psicologi dello sport? (Jarvis, 1999).
Per rispondere alla prima domanda, si può dire che nella
maggior parte dei paesi industrializzati lo psicologo sportivo è un
professionista che ha effettuato una serie di studi accademici e
che ha, pertanto, conseguito delle competenze ed un titolo
riconosciuti. Purtroppo, in Italia la situazione è completamente
diversa: nonostante il primo Congresso Mondiale di Psicologia
dello Sport sia stato organizzato ed ospitato a Roma già nel 1965,
nel nostro Paese l'ingresso ufficiale di tale disciplina all'interno
dell'Università deve ancora avvenire. Attualmente, in Italia, non
esiste un albo ufficiale dei professionisti abilitati alla pratica della
psicologia dello sport e la formazione per tale disciplina viene
effettuata prevalentemente da centri e/o organizzazioni private,
che al massimo collaborano con strutture pubbliche.
Abitualmente, in Italia, lo psicologo dello sport è un laureato in
psicologia che ha seguito un percorso formativo specifico in
psicologia dello sport e ulteriori training nell'ambito della
psicologia clinica o delle organizzazioni. Talvolta la sua
formazione iniziale è stata in scienze motorie, in scienze
dell'educazione o in psichiatria e successivamente si è orientata in
ambito psicologico.
Riguardo alla seconda domanda, il lavoro che svolgono gli
psicologi dello sport è molto variegato. I ruoli professionali che
possono assumere dipendono, dunque, dalla sua formazione e dai
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suoi interessi. Può lavorare in ambito accademico qualora il suo
interesse sia essenzialmente quello del ricercatore. Può essere
rivolto allo sviluppo di interventi con allenatori, atleti e gruppi,
spaziando dallo sport di alto livello allo sport per tutti, dai
bambini agli adulti e agli anziani. Può lavorare con gli enti locali
e le organizzazioni sportive allo sviluppo di politiche di
promozione dello sport praticato dai cittadini e nel monitorare sul
territorio l'impatto di questi interventi.
La Federazione Europea di Psicologia dello Sport riconosce tre
compiti interrelati per gli psicologi dello sport:
1) ricerca: indagine in ogni aspetto della psicologia, sia teorica
che applicata;
2) educazione: istruire gli studenti, gli ufficiali di gara e gli atleti
circa la psicologia dello sport;
3) applicazione: valutazione di, e intervento in, problemi
psicologici connessi allo sport. Questo può riguardare il dover agire
come consulenti per squadre intere o consultazioni individuali.
Dato che la psicologia dello sport è attualmente un campo
così ampio, sta diventando impossibile per gli psicologi dello
sport stare al passo con tutti gli aspetti della loro disciplina.
Oggigiorno, si può vedere che molti psicologi dello sport sono
diventati altamente specializzati. Per esempio, uno psicologo può
specializzarsi nell’area della motivazione. Può effettuare ricerche
nella motivazione, istruire gli allenatori circa la motivazione
oppure lavorare con gli atleti di una squadra sportiva per
migliorare la loro motivazione (Jarvis, 1999).
3. La squadra sportiva
Una squadra sportiva si può considerare un gruppo secondo la
definizione di Kurt Lewin (1935), ossia come un sistema
dinamico i cui membri condividono un unico destino nonché il
raggiungimento di uno stesso scopo, non in modo autonomo ma
attraverso l’interazione e lo scambio reciproco, sviluppando un’
identità collettiva..
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Da qui vediamo che le caratteristiche presenti in un gruppo
sono l’interdipendenza, lo scopo comune e l’identità collettiva,
elementi sempre presenti non solo negli sport di squadra, ma
anche in quelli individuali, poiché spesso questi vengono condotti
come fossero sport collettivi. Infatti un’ altra caratteristica che
definisce un gruppo è l’interazione tra i soggetti che lo
compongono nella consapevolezza l’uno dell’altro.
Spesso i gruppi vengono classificati in primari e secondari in
base al motivo per cui si sono formati. Il gruppo primario si
forma per adesione spontanea e si basa su bisogni individuali,
emotivi e sociali; nel gruppo secondario lo scopo è invece
raggiungere degli obiettivi specifici vincolando ciascun membro
a un ruolo preciso e predefinito.
Il gruppo sportivo può essere considerato un gruppo primario
volontario con connotazioni di gruppo secondario. All’interno di
un gruppo sportivo si possono considerare le variabili più
significative che lo caratterizzano. Tra queste vanno menzionate:
a) le variabili costitutive (motivazione, morfologia, tipo di
organizzazione, complesso di norme e valori),
b) le variabili evolutive (nascita, crescita e trasformazioni
nel tempo),
c) le variabili produttive ( rendimento del gruppo in base
alle aspettative e agli obiettivi).
Ma possiamo anche studiarne i processi interni riferendoci per
esempio al modello di Mc Grath (1984) che indaga sui fattori che
influenzano o sono influenzati dalle interazioni tra i componenti
del gruppo.
L’analisi di un qualunque sport di squadra ci mostrerebbe che
tra i membri del gruppo ci sono relazioni di vario tipo
rintracciabili in tutti gli sport collettivi. La caratteristica di base
della squadra sportiva è il legame tra i compagni, la forza di
aggregazione che li tiene insieme, cioè la coesione. La coesione
della squadra porta a ragionare in termini di gruppo, a superare la
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realizzazione individuale per arrivare all’obiettivo comune
attraverso la cooperazione e l’integrazione degli sforzi.
I fattori che determinano la coesione sono molteplici e sono di
tipo affettivo, sociale e operativo. Alcuni fattori sono:
1) lo scopo comune, che fa confluire le energie interne
verso un’unica direzione;
2) la comunicazione, che permettendo la libera espressione
migliora la comprensione reciproca;
3) la conoscenza tra i componenti, che porta alla
confidenza;
4) l’autogoverno, che comporta l’accettazione volontaria
delle regole;
5) l’esperienza comune, che attraverso la condivisione di
problemi, momenti di vita, fatiche, ecc. aumenta l’unione;
6) il divertirsi insieme, che porta al miglioramento delle
prestazioni attivando in modo piacevole l’attenzione e le capacità
fisiche.
In ogni gruppo sportivo però sorgono anche conflitti e lotte
interne, specialmente nella fase iniziale di formazione del gruppo.
Questi conflitti sono destinati ad attenuarsi procedendo verso una
stabilità di base che si forma mediante l’assunzione di ruoli
all’interno del gruppo; così si definisce il leader, il vice-leader, il
gruppo dei gregari, il “mistico”, il buffone, il capro espiatorio, il
sindacalista, ecc. Ognuno nel gruppo ha la sua funzione o quale
portavoce, o come persona che sa come alzare l’umore della
squadra, o sulla quale scaricare l’aggressività collettiva, ecc.
In particolare il leader occupa lo status più agognato, il posto
gerarchico più alto: è colui che propone idee, influenza il gruppo,
ne dirige il comportamento, la persona in cui gli altri si
identificano. Il leader è in genere il compagno più carismatico,
non sempre il più abile, con un forte ascendente sugli altri; sa
creare una rete tra i compagni, sa stimolarli e alimenta lo spirito
di squadra. Conoscere e confrontarsi con il leader del gruppo
sportivo è molto importante per colui che gestisce la squadra:
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