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numerosi Autori, il dolore non va considerato una sensazione specifica variabile solo per la
sua intensità. Alla sua definizione quali-quantitativa concorrono fattori non strettamente
sensoriali ma soggettivi, individuali come la personalità dell’interessato, l’insieme delle sue
caratteristiche emozionali ed intellettive, il suo assetto psicologico che ne forniscono la
particolare coloritura. È riscontro non infrequente, d’altronde, come individui in condizioni
di ansia o di depressione manifestino una più ridotta soglia di tollerabilità al dolore di cui
esibiscono anche una esteriorizzazione abnorme con sviluppi, soprattutto nella forma
cronicizzata, spesso esasperati e prolungati. Viceversa, in queste persone, una condizione
dolorosa incruenta alimenta gli stati di ansia e depressione (Fig. 1).
Figura 1. Alterazione del dolore nel sistema limbico
Questo insieme di considerazioni sottolinea, in definitiva, il contributo della dimensione
emozionale-affettiva, accanto a quella fisiologica-discriminativa, all’elaborazione
dell’esperienza dolorosa. Ma il fenomeno non si esaurisce ancora in questi confini: nel
processo di elaborazione che porta un individuo a riconoscere un segnale come doloroso e a
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definirlo tale, concorrono altri fattori oltre a quelli sensoriali ed emozionali. È importante,
infatti, la collocazione che il segnale stesso riceve all’interno delle esperienze personali del
soggetto, il tipo di rapporti che questi ha stabilito con gli altri, con l’ambiente e la situazione
contingente. Ogni individuo si è costruito un suo particolare atteggiamento mentale nei
confronti del dolore, secondo un processo di sviluppo maturativo, avviato sin dall’età
infantile, quando incomincia a riconoscere gli stimoli, distingue quelli dannosi e ne valuta
l’importanza.
Le esperienze della vita passata, delineate nelle loro caratteristiche qualitative e quantitative
e collegate fra loro in un intricato complesso, vengono registrate nel ricordo con un processo
di memorizzazione che fa riferimento ai modelli educativi e comportamentali propri del
nucleo familiare e sociale di appartenenza, da cui ognuno viene condizionato. Il dolore viene
avvertito e manifestato secondo il proprio vissuto, il modo cioè in cui è stato iscritto
nell’esperienza passata; viene percepito proporzionalmente al significato che gli viene
attribuito, con un livello di tolleranza ed espressione più o meno accentuato, in relazione alle
innumerevoli variabili personali, situazionali, sociali. Ammessa l’influenza di una
dimensione cognitivo-valutativa nella elaborazione complessiva del dolore appare più
comprensibile l’efficacia attribuita per il suo controllo a procedure o a “farmaci”
obbiettivamente sprovvisti di proprietà terapeutiche precise; è questo il caso del placebo, una
sostanza inerte qualsiasi che in una buona percentuale di individui si dimostra in grado di
rimuovere il dolore con un effetto paragonabile a quello di accertati analgesici. Il placebo
racchiude in sé tutti gli elementi di rassicurazione che occorrono ai molti che, vivendo
un’esperienza di dolore, vogliono essere soddisfatti nelle loro attese. Con questa ampia
premessa si giunge alla considerazione finale che il dolore deve essere visto come un
fenomeno a forte componente individuale, che non si esaurisce nella sola componente
sensoriale. A un segnale di danno nella sede di una lesione, all’insorgenza cioè di uno
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stimolo nocicettivo, fa riscontro l’attivazione di trasduttori chimici e nervosi; questi ultimi, i
nocicettori, sono terminali di fibre nervose sensitive che trasferiscono centralmente
l’informazione. È a questo livello che, mediante un’operazione di integrazione, di sintesi con
complessi processi mentali e comportamentali la nocicezione diventa una esperienza di
dolore (Ferri, 1985).
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II
DOLORE ACUTO E CRONICO
Per dolore acuto si intende un dolore di breve durata ed inizio recente causato da un danno
tissutale che viene visto come un segnale fisiologico per la salvaguardia dell’integrità
somatica. Il dolore acuto svolge infatti una duplice funzione:
può essere un segnale d’allarme per evitare all’organismo un danno maggiore (come
ad esempio quando lo obbliga a tenere a riposo la parte traumatizzata)
oppure essere un sintomo precoce di richiamo per giungere ad una diagnosi.
Questo dolore si esaurisce quando cessa l'applicazione dello stimolo o ripara il danno che
l'ha prodotto. Esempi sono il dolore post-operatorio, le coliche viscerali (renale, biliare,
eccetera) ed il dolore traumatico. Una caratteristica fondamentale del dolore acuto è quello di
rispondere ad adeguate misure antinocicettive: questa caratteristica è condivisa dal dolore
persistente ma non dal dolore cronico. Il dolore acuto va considerato pertanto un sintomo che
segnala un danno tissutale attuale o incombente (Novelli, 1999).
Per dolore cronico si intende, invece, quel dolore che persiste oltre il consueto decorso della
malattia che lo ha generato oppure supera il ragionevole tempo di guarigione di una lesione,
o ancora è associato a malattie croniche dove si manifesta in modo continuo, o periodico ad
intervalli più o meno lunghi. Il persistere del dolore trasforma il dolore da “sintomo” a
“malattia” invadendo l’equilibrio psicofisico e determinando spesso modificazioni della
personalità.
Esso non rappresenta la sola estensione temporale del dolore acuto ma va considerato una
risposta da mal adattamento al dolore. Di solito la condizione patologica che provoca dolore
è nota ma non aggredibile, è persistente nel tempo e la sua presenza continua comporta
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l’instaurarsi di un circolo vizioso di depressione, ansia ed altri stimoli emotivi. A tal punto il
dolore è divenuto una sindrome autonoma con pesante impatto sulla vita di relazione e sugli
aspetti psicologici e sociali caratteristici della persona (sintomo INUTILE).
In particolare, il dolore cronico presente nelle malattie degenerative, neurologiche,
oncologiche, specie nelle fasi avanzate e terminali di malattia, assume caratteristiche di
dolore GLOBALE, legato a motivazioni fisiche, psicologiche e sociali, come evidenziato nei
documenti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) .
Una distinzione che faccia riferimento alla sola durata del fenomeno dolore è certamente
imprecisa in sé, sia per l’arbitrarietà del limite temporale sia per l’evidenza di sindromi
dolorose che condividono caratteristiche del dolore acuto e del dolore cronico: ne sono
esempi le affezioni osteologiche, le miofasciali, le viscerali. Una distinzione troppo netta
porta inoltre a trascurare la forte componente soggettiva che si evidenzia nei soggetti che
lamentano dolore cronico, proprio quei fattori psicologici, situazionali, di memorizzazione
che tanto contribuiscono all’elaborazione dell’esperienza del dolore nei suoi vari aspetti. Al
contrario, però, la contrapposizione acuto-cronico appare utile e stimolante per la
comprensione dei circuiti neuronali della nocicezione e delle aree di integrazione nonché dei
meccanismi neurochimici di modulazione operanti nei vari casi a livello periferico e centrale.
È frequente in letteratura distinguere un dolore cronico “maligno” (malignant pain, secondo
la terminologia anglosassone) da uno “non maligno”. Il primo indica sostanzialmente il
dolore neoplastico, da cancro; il secondo si riferisce a pazienti non cancerosi con normale
aspettativa,nel tempo, di vita. In questo specifico contesto si riconoscono le più disparate
sindromi dolorose:dalle cefalee (emicranie) alle nevralgie (come la post-erpetica e la
trigeminale) sino alle sindromi da deafferentazione che insorgono a distanza di tempo dopo
una lesione neurologica, chirurgica o traumatica (arto fantasma).
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Sulla base dei meccanismi fisiopatogenetici e della relativa tipologia del dolore si
distinguono:
• Dolore nocicettivo
• Dolore neuropatico
• Dolore idiopatico
Dolore nocicettivo
E’ per così dire il dolore “fisiologico”. In esso strutture periferiche finalisticamente dedicate
alla rilevazione degli insulti e dei danni tissutali, i nocicettori presenti in strutture somatiche
e viscerali, vengono attivati e trasmettono l’impulso alle strutture centrali. L’integrazione a
vari livelli della nocicezione e la percezione finale da parte del Sistema Nervoso Centrale
costituisce il dolore accusato dal paziente.
Il dolore è descritto come lancinante, penetrante, urente o gravativo se somatico ;
sordo, non localizzabile, crampiforme se viscerale ;
penetrante o lancinate se su membrane periviscerali.
Dolore idiopatico
E’ il dolore la cui origine non è conosciuta. Per estensione si può considerare il dolore il cui
livello di intensità riportata dal paziente non abbia una corrispondente immediata
motivazione organica.
Dolore neuropatico
Il dolore neuropatico è caratterizzato da danno o disfunzione del tessuto nervoso periferico o
centrale, che provoca stimolazioni nervose, croniche ed automantenentesi, che esitino in
alterazioni della risposta dei neuroni del sistema somatosensoriale centrale o periferico. Studi
recenti hanno dimostrato una cascata di modificazioni biologiche temporalmente correlate,
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successive al danno del sistema nervoso che alla fine sfociano in una sensibilizzazione degli
elementi nervosi coinvolti nell’elaborazione dell’ informazione. Vi è la dimostrazione di
modificazioni del sistema nervoso conseguenti ad uno stimolo nocivo protratto, che sono
diverse dalla normale elaborazione delle informazioni dolorose. Questa plasticità del sistema
nervoso si manifesta a diversi livelli del nevrasse, dal nocicettore periferico al midollo
spinale ed anche alla corteccia cerebrale (Fornara, 2008).
2.1. Fisiologia del dolore
Il dolore è un’esperienza multidimensionale e, secondo il modello sviluppato da Melzack e
Casey, si articola in 3 dimensioni:
1. sensoriale- discriminativa,
2. motivazionale- affettiva,
3. cognitivo- valutativa.
Questo evento, cioè, determina, nel soggetto in cui si verifica, un’esperienza complessa e
diversificata che include:
identificazione dello stimolo sensoriale in termini di localizzazione e di proprietà
fisiche (sistema sensoriale-discriminativo);
attivazione dei riflessi autonomici sopraspinali (ventilazione, circolazione, funzioni
neuroendocrine), tonalità affettiva sgradevole e spinta motivazionale dell’organismo
a reagire (sistema motivazionale-affettivo);
attivazione del sistema motorio (atteggiamenti antalgici, reazione di allontanamento,
fuga, ecc.);
elaborazione della stimolazione dolorosa (nocicezione) in termini di memorizzazione,
comparazione con esperienze passate, apprendimento, capacità di astrazione
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(interpretazione e significato), attenzione e vigilanza, capacità di giudizio,
intellettive, culturali, capacità di verbalizzazione (sistema cognitivo - valutativo).
Laddove i primi 3 livelli (sensoriale, motivazionale, motorio) concorrono a determinare
quello che potremmo definire "il corpo" dell’evento doloroso, l’intervento delle reazioni o
dei substrati emotivi e dei processi cognitivi ne caratterizzano l’aspetto dinamico, "il
movimento", specifico per quel soggetto in termini psichici e di modulazione fisiopatologica.
Per quanto riguarda la componente sensoriale-discriminativa dalla periferia , sede di una
lesione, l’informazione nocicettiva viene raccolta dalla fibra nervosa, assone a proiezione
periferica del neurone afferente primario (sensitivo) il cui soma si trova nel ganglio in
prossimità della radice dorsale del nervo somato-sensoriale; da questa fibra l’impulso viene
trasmesso, tramite l’assone del ganglio a proiezione centrale, al midollo spinale e da qui
all’encefalo (Sabato et al.)
E’ ormai accertato che i tipi di fibre afferenti (cioè gli assoni distali dei neuroni sensitivi
primari) che rispondono in modo massimale agli stimoli nocicettivi (potenzialmente dannosi)
sono due (Tab. 1):
1. fibre molto sottili, non mielinizzate ed a lenta conduzione, chiamate fibre C (diametro
pari a 0.3-1.1 µm ;
2. fibre sottili mielinizzate a conduzione più rapida A- delta (di diametro pari a 2-5 µm).
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Tab. 1 Classificazione e funzione dei diversi tipi di fibre afferenti (assoni distali dei
neuroni sensitivi) e sintomi associati alla loro disfunzione
TIPO DI FIBRA DENOMINAZIONEALTERNATIVA
DIAMETRO
DELLE FIBRE
(mm)
VELOCITA' DI
CONDUZIONE
(m/s)
FUNZIONE E SINTOMI ASSOCIATI
A-α, A-β II 5-20 30-70 Stimolo tattile e pressorio
Mielinizzate, di grosso calibro
A-γ Ia 3-6 15-30 Fibre afferenti al fuso neuromuscolare
A-δ III 2-5 12-30
Sottili, poco mielinizzate
B 1-3 3-15
C IV 0.3-1.1 0.5-2
Sottili, non mielinizzate; polimodali
Dolore e sensazioni termiche, stimolo
tattile somatico (dolore rapido intenso)
Sensazioni dolorifiche lente e sensazioni
termiche (dolore sordo mal localizzato)
Le terminazioni periferiche di entrambe queste afferenze primarie del dolore (recettori) sono
terminazioni nervose libere che si ramificano diffusamente nella cute e in altri organi: esse
sono ricoperte da cellule di Schwann, ma contengono poco o nulla della struttura laminata
denominata mielina. Se ne conoscono tre tipi principali:
1. nocicettori sensibili a stimolazioni meccaniche (meccanocettori),
2. nocicettori sensibili a stimolazioni termiche (termocettori)
3. nocicettori polimodali.
Ciascuna terminazione trasforma l’energia dello stimolo in un potenziale d’azione a livello
della membrana del nervo. I primi due tipi di recettori sono attivati, rispettivamente, da
stimolazioni meccaniche e termiche innocue; gli stimoli meccanici sono trasmessi sia dalle
fibre A- delta che dalle fibre C, mentre quelli termici sono trasmessi per lo più da queste
ultime. Le fibre C, per la maggior parte polimodali, sono attivate più efficacemente da
stimoli nocicettivi o in grado di provocare un danno tessutale e rispondono sia a stimoli di
tipo meccanico che di tipo termico, così come a mediatori chimici quali quelli associati a
condizioni infiammatorie. Certe fibre A-delta rispondono sia a stimoli tattili, termici e
pressori di bassa intensità che a stimoli dolorosi e sono in grado di modulare l’intensità della
loro scarica in proporzione all’intensità dello stimolo. La stimolazione delle singole fibre
dimostra che esse sono anche in grado di trasportare informazioni circa la natura e la sede
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della stimolazione. Si riesce infatti a distinguere il tipo di fibra dal tipo di dolore. Le fibre A-
delta trasmettono un dolore, denominato PRIMO DOLORE, che è rapido, acuto, di tipo
pungente o lancinante, ben localizzato e di breve durata. Le fibre C, invece, trasmettono un
dolore (SECONDO DOLORE) che è lento, progressivo, di tipo urente, non localizzato ed a
lenta scomparsa.
Primo e secondo dolore hanno finalità diverse: il primo dolore ha la finalità di allontanare la
parte lesa dalla fonte dello stimolo; il secondo dolore è l’espressione di un danno che si è già
verificato.
Si sta iniziando anche a comprendere la modalità con cui gli stimoli dolorifici sono
trasformati in depolarizzazioni elettriche nelle terminazioni nervose. Un certo numero di
molecole specializzate, quando attivate dallo stimolo dolorifico, induce l’apertura dei canali
cationici a livello della membrana della terminazione nervosa. L’apertura di tali canali, a sua
volta, attiva i canali del sodio voltaggio-dipendenti e genera un potenziale d’azione
nell’assone sensitivo.
Le fibre periferiche afferenti, sia di tipo A-delta che di tipo C, hanno i loro corpi cellulari nel
ganglio delle radici dorsali; i prolungamenti centrali di queste cellule nervose proiettano,
attraverso la radice dorsale, al corno dosale del midollo (o, nel caso di afferenze che
interessano i nervi cranici, al nucleo del trigemino, cioè al corno dorsale bulbare). Le fibre
sottili mielinizzate e non mielinizzate occupano principalmente la parte laterale della zona
d’ingresso della radice; all’interno del midollo molte delle fibre più sottili (fibre C) formano
un fascio distinto detto fascio di Lissauer. Il fatto che il fascio di Lissauer sia principalmente
una via per la trasmissione del dolore può essere dimostrato (negli animali) dall’analgesia
ipsilaterale segmentale che deriva dalla sua resezione; inoltre, esso contiene fibre proprio
spinali o della sensibilità profonda. Per quanto si parli in genere di una porzione laterale e di
una porzione mediale della radice posteriore in realtà non vi è una separazione completa in
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fasci funzionali distinti e,nell’uomo questi due fasci di fibre non possono essere interrotti
mediante rizotomia selettiva.
Corno dorsale
Le fibre dolorifiche afferenti, dopo aver attraversato il tratto di Lissauer, terminano nella
parte posteriore della sostanza grigia (corno dorsale), prevalentemente nella zona marginale.
La maggior parte delle fibre termina a livello del segmento in cui avviene il loro ingresso nel
midollo, ma alcune si estendono rostralmente e caudalmente per uno o due segmenti
adiacenti dal lato ipsilaterale e altre, attraverso la commisura anteriore, si dirigono verso il
corno dorsale del lato opposto. I neuroni di secondo ordine, a livello dei quali si attuano le
sinapsi delle fibre afferenti sensitive, nel corno dorsale sono disposti in una serie di sei strati
o lamine (Fig. 2). Il secondo neurone è capace di elaborare stimoli nocivi e non, alla base
della teoria del “gate control” sulla modulazione del dolore. I neuroni di secondo ordine sono
di due tipi: neuroni NS nocicettivi specifici (rispondono esclusivamente a fibre A-delta e C)
e neuroni WDR ad ampio range dinamico (rispondono a stimoli nocicettivi e non). La
stimolazione delle fibre C sui WDR conduce ad uno stato di scarica continua, denominata
wind up o facilitazione centrale che, serve ad ampliare la trasmissione delle afferenze.