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Flyak
1.1 Introduzione
In questo capitolo verrà descritta l’imbarcazione del flyak in tutti i suoi
componenti. Sarà in particolare evidenziata la diretta evoluzione che dal kayak
ha portato a questo nuovo prototipo, le differenze che intercorrono fra i due sia
dal punto di vista strutturale e componentistico che per quel che riguarda le
prestazioni. Saranno analizzati i materiali, principalmente i compositi,
utilizzati nella costruzione del kayak, nonché del flyak, e anche quelli
introdotti durante lo sviluppo del progetto stesso.
Parte della trattazione sarà dedicata alla descrizione del funzionamento dei
profili subacquei e in particolare al calcolo della portanza e delle velocità
necessarie al sostentamento.
Infine verrà citato il test eseguito come confronto fra i due tipi di imbarcazione
e diventato noto dopo la comparsa televisiva.
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1.2 Kayak
Il kayak è un tipo di canoa originariamente utilizzata dagli inuit. A differenza
della canoa canadese è stato concepito per la propulsione tramite pagaia a
doppia pala, mentre la prima sfrutta la spinta di una pagaia a pala singola.
Quello che verrà descritto in seguito è il kayak di tipo olimpico, utilizzato
nelle competizioni in acqua piatta. Sebbene esistano altri tipi di canoa
(fluviale, slalom, polo ecc.) è proprio da questo tipo di imbarcazione per acque
calme che è stato sviluppato il flyak, ed è quindi su di esso che sarà incentrata
la trattazione.
La posizione del canoista è quella seduta (ved. figura 1.2), con le gambe
semiflesse e in appoggio tramite i
piedi su di un puntapiedi nel mezzo
del quale passa un sbarretta
metallica che costituisce il timone.
Tramite dei piccoli cavi d’acciaio il
comando dato alla barra viene
trasmesso fino in coda alla barca
dove risiede la pinna del timone.
Figura 1.1 kayak olimpico da competizione
Figura 1.2 Tim Brabants (Campione
olimpico Beijing 2008)
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1.2.1 Seggiolino
Il seggiolino sul quale siede il canoista non è poggiato direttamente sullo
scafo, ma montano su di una piastra (in legno o materiale composito) che
garantisce una migliore distribuzione del peso
sulla superficie del kayak.
Su di essa sono posizionate delle corsie in
alluminio (materiale utilizzato per gran parte
delle rifiniture interne) che permettono il
blocco del seggiolino ma al contempo la
possibilità di spostarlo rapidamente e con
precisione.
Verso metà degli anni ’90 sono comparsi anche dei seggiolini rotanti, i
quali, grazie ad una piastra dotata di cuscinetti a sfera, permettono appunto
una rotazione attorno ai 130°. Questo tipo di
accorgimento è stato introdotto per
assecondare il gesto tecnico del canoista che,
durante la pagaiata, spinge alternatamente con
le gambe e ruota tronco e bacino nel contempo
(utilizzando quindi anche la parte inferire del
corpo al contrario di ciò che si pensa). Negli
ultimi anni si sta però tornando ai seggiolini
di tipo classico che garantiscono una miglior
stabilità e trasferimento della forza in acqua.
Figura 1.3 Seggiolino standard
Figura 1.4 Seggiolino rotante
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1.2.2 Puntapiedi
Il puntapiedi (o poggiapiedi) è anch’esso fissato allo scafo tramite una
piastra sulla quale sono montate delle corsie in alluminio. A differenza del
seggiolino però la forza che viene trasmessa sulla canoa è diretta
orizzontalmente e non più verticalmente. Inoltre sul puntapiedi è presente
una controspinta che , come si evince dal nome, viene sfruttata in trazione
al posto che in spinta. L’effetto combinato delle due forze si ripete
alternatamente (a causa dell’intrinseca ciclicità del gesto tecnico) causando
un notevole sforzo a fatica . Questo rende la zona di attacco del puntapiedi
considerevolmente più soggetta a rotture. La criticità di quest’ultime sta
nella possibilità che una crepa creatasi nell’area di attacco della piastra si
estenda allo scafo. Onde evitare questo fenomeno i kayak di alta qualità
presentano un ulteriore rinforzo in materiale composito (spesso kevlar e non
carbonio) che si infrappone fra il blocco del puntapiedi e l’interno dello
scafo stesso.
Figura 1.5 Puntapiedi con controspinta
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1.2.3 Scafo
Lo scafo rappresenta indubbiamente la parte strutturalmente più
interessante. Costituisce una delle due parti in cui è composto il guscio
esterno del kayak, l’altra è la coperta, che sono costruite separatamente e
poi unite in seguito.
L’enorme evoluzione dei materiali impiegati ha permesso, nel caso della
canoa olimpica, la progressiva scomparsa di un telaio interno. Attualmente
gli unici due elementi che svolgono anche un’azione strutturale, oltre allo
scafo, sono la piastra del puntapiedi e una paratia posta subito dopo il
seggiolino (ved. Figura 1.6-1.7) che inoltre rende stagna la parte posteriore
del kayak. Questa mancanza di
componenti di irrigidimento è
dovuta principalmente a due
motivi: in primo luogo l’impiego
di materiali compositi che, come
verrà approfondito in seguito, ha
garantito la diminuzione dei pesi
Figura 1.6 Dettaglio piastra puntapiedi
Figura 1.5 Scafo in fibra di carbonio
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e un incremento significativo di
rigidezza e resistenza; in secondo
luogo il fatto che nella discipline in
acqua piatta (quelle dove viene
utilizzata la canoa olimpica) le
sollecitazioni esterne sono di bassa
entità, a differenza di quelle fluviali
dove le onde e gli impatti contro le
rocce impegnano severamente lo
scafo del kayak.
1.3 Flyak
Il flyak è nato nel 2005 da un’idea dei canoisti norvegesi Einar Rasmussen
e Peter Ribe. L’intenzione iniziale era quella di sfruttare il principio di
funzionamento degli aliscafi e applicarlo al kayak così come era già stato
fatto in altri sport (surf,windsurf, sci nautico ecc.). La prima parte dello
sviluppo è stata incentrata sulla verifica della fattibilità del progetto. E’
stato necessario infatti calcolare le velocità minime di sostentamento al
variare delle dimensioni e delle incidenze delle lamine portanti e
confrontarle con quelle raggiungibili da un canoista. Questo lavoro è stato
suddiviso in tre passaggi: prima il calcolo teorico analitico per una stima
approssimativa, poi quello numerico tramite software che utilizzano il CFD,
infine delle prove sperimentali per verificare i risultati ottenuti
precedentemente. Di questi tre processi i primi due sono stati affrontati ex
novo nello sviluppo di questa monografia e verranno esposti in seguito. I
Figura 1.7 Dettaglio della paratia stagna
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risultati dei calcoli, analitici e sperimentali, effettuati dal team norvegese
hanno confermato la fattibilità del progetto. Sono state ricavate delle
velocità di sostentamento, in funzione del peso del pagaiatore, raggiungibili
da un canoista di medio livello (ad esempio 5 m/s per un peso di 80 Kg). E’
stato quindi realizzato il primo prototipo, ricavato direttamente da un kayak
da competizione, al quale sono state aggiunte le appendici adibite al
sostentamento della canoa (ved. Figura 1.8).
In corrispondenza dei punti di attacco sono state aggiunte delle ordinate di
forza in modo tale da distribuire il carico. A questo punto il flyak è stato
testato… con successo!
Figura 1.8 Primo prototipo di flyak
Figura 1.9 Flyak in sospensione 10 cm sopra l’acqua
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Una volta verificata la bontà del progetto i canoisti norvegesi hanno deciso
di creare un’imbarcazione ad hoc. E’ stato osservato che una volta alzatosi
il flyak non necessitava più di una coperta per riparare dalle onde; si è
quindi scelto di utilizzare una tipologia di scafo scoperto già sfruttata su
alcuni tipi di kayak da mare (surf ski). Il risultato è stato una canoa del tutto
originale.
1.3.1 Prestazioni
Svariate prove effettuate in acqua calma hanno certificato l’effettiva
superiorità prestazionale del flyak nei confronti del kayak. La velocità di
sostentamento può essere raggiunta nel giro di pochi secondi e durante
questo tempo la resistenza aggiuntiva dovuta ai profili portanti sommersi
influisce in maniera poco significativa. Un volta sospeso il flyak garantisce
velocità una volta e mezza più alte rispetto al kayak. Sono stati infatti
raggiunti i 30 Km/h, mentre un canoista di alto livello riesce a tenere per
poche decine di secondi i 20 Km/h.
Figura 1.10 Flyak di ultima generazione
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1.3.2 Test
Ultimato il progetto finale del flyak, Einar Rasmussen e Peter Ribe hanno
deciso di pubblicizzare il loro prodotto eseguendo un test dimostrativo. E’
stata scelta la distanza dei 200 metri (la più corta fra le lunghezze ufficiali di
gara) in modo tale da mettere in condizioni sfavorevoli il flyak. In questa
distanza infatti la fase di partenza, quella in cui il kayak risulta più veloce,
ricopre la maggior parte del percorso. La sfida vedeva inoltre contrapposto
Andreas Gjersøe, membro della nazionale norvegese, contro quattro suoi
compagni di squadra su di un K4 (canoa a quattro posti). Il tutto è stato
documentato da Beyond Tomorrow, un programma televisivo australiano. La
vittoria è andata al flyak che a passato il traguardo con una barca di vantaggio.
Il risultato è stato ancora più sbalorditivo se si pensa che un K1 (kayak
monoposto) accusa in media un ritardo di circa 5 secondi da un K4 sulla
distanza dei 200 metri!
1.4 Materiali
In questo paragrafo saranno analizzati i diversi tipi di materiali impiegati nella
costruzione del kayak nonchè del flyak. Verranno evidenziate principalmente
le caratteristiche meccaniche, i tipi di produzione e l’impiego all’interno della
canoa. Particolare attenzione sarà data ai materiali compositi (Carbonio e
Kevlar) che data la loro anisotropia costituiscono un’ulteriore difficoltà
nell’implementazione numerica tramite software di calcolo FEM. Saranno
infine descritti i materiali aggiuntivi introdotti nello sviluppo della tesi, in
particolare il Magnesio e i Sandwich (utilizzati per il collegamento dell’ala
portante con lo scafo).
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1.4.1 Fibra di carbonio
La fibra di carbonio è una struttura
organizzata in fili, estremamente sottili
(ved. Figura 1.11), per l’appunto di
carbonio con cui vengono realizzate
svariate tipologie di materiali chiamati
compositi. Il nome deriva dal fatto che
le fibre sono unite ad una matrice,
speso resina, la cui funzione è quella di mantenere in posizione i filamenti
in modo tale che siano orientati nella giusta direzione. Oltre a ciò la matrice
protegge le fibre dagli agenti esterni e conferisce una forma agli oggetti
realizzati in composito. Per realizzare strutture con questo materiale i
filamenti di carbonio vengono dapprima intrecciati in modo tale da creare
veri e propri tessuti (ved. figura 1.12) e, una volta messi in posa, immersi
nella matrice.
I compositi prodotti in questa
maniera presentano un’elevata
resistenza meccanica (dai 2 ai 7
GPa), superiore a quella
dell’acciaio, e una densità
decisamente bassa (1,75
Kg/dm3). Queste caratteristiche
rendono la fibra di carbonio uno
dei materiali a più alto
incremento di utilizzo, soprattutto
nel campo dell’aerospazio, nel
Figura 1.11 Confronto fra un capello e
una fibra di carbonio
Figura 1.12 Tessuto in fibra di carbonio
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quale è rivolta particolare attenzione al contenimento dei pesi.
Il grande svantaggio nell’adottare materiali compositi è la loro spiccata
anisotropia. Il modulo elastico e la resistenza meccanica possono infatti
variare anche di un ordine di grandezza fra direzione parallela e
perpendicolare alle fibre. Questo problema ha portato nel corso degli anni
alla creazione di tessuti con fibre intrecciate con angoli diversi da 90° (le
più utilizzate sono a +15° -15° e +45° -45°) ed in generale ad una
particolare attenzione verso l’orientazione dei filamenti. Si vedrà in seguito
come durante lo sviluppo dell’ala portate diverse configurazioni e
abbinamenti di fibre abbiano portato a risultati notevolmente differenti.
Nel caso specifico del profilo progettato è stato scelto di utilizzare un
composito di carbonio in matrice epossidica di nome T-300. Sono riportate
di seguito le principali caratteristiche meccaniche in direzione parallela alle
fibre:
I valori del modulo elastico in direzione perpendicolare alla fibre sono
invece il 10% di quelli riportati in tabella, mentre il coefficiente di poisson
varia da ~0.3 a ~0.4.
Tipo Massa
volumica
ζR
[MPa]
E
[MPa]
Allungamento
a rottura
[%]
Diametro
[μm]
T-300 1,8 3200 230 1,4 7,0
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1.4.2 Kevlar
Il kevlar, detto anche twaron, è una fibra sintetica polimerica scoperta dalla
studiosa Stephanie Kwolek nel 1965. E’ stato brevettato nel 1973 dalla
Dupont. Fin dai primi esperimenti è risultato essere un materiale
promettente, garantendo una resistenza a rottura due volte superiore
all’acciaio. Con l’evoluzione e il perfezionamento di questo si è arrivati a
rapporti di 5:1. Come per i compositi in carbonio anche quelli in kevlar
sono organizzati in fibre intrecciate a formare il tessuto che viene poi
immerso nella matrice (anche in questo caso spesso costituito da resine
epossidiche). A differenza del carbonio viene anche utilizzato senza
matrice; l’esempio più noto è l’impiego nei giubbotti antiproiettile. Nel
settore aerospaziale viene spesso accoppiato alle leghe leggere, sempre
nell’ottica della riduzione dei pesi. Modernamente il kevlar è utilizzato per
la realizzazione di materiali compositi denominati FRP (Fiber Reinforced
Polymers), che vengono impiegati per il consolidamento statico di edifici in
muratura e cemento armato.
Nei kayak questo materiale viene
più che altro utilizzato in zone
altamente sollecitate come
rinforzo aggiuntivo. Raramente si
possono trovare degli scafi
realizzati con fibre alternate di
carbonio e kevlar. Ne viene fatto
largo impiego nella costruzione di
pagaie da canoa polo o discesa
(fluviale) data la sua resistenza
agli urti.
Figura 1.13 Tessuto in kevlar