tratta di un'operazione complessa, come dimostra la presenza di numerosi paradigmi e
contributi provenienti da diversi ambiti disciplinari.
La ricostruzione proposta in questa sede ha come oggetto di discussione le
trasformazioni dei partiti politici occidentali. Le trasformazioni riguardano le linee di
evoluzione dei modelli di partito, dall'inizio del secolo fino ad oggi. Qui il riferimento
imprescindibile è il partito di massa, inteso non solo come tipo di partito ma anche come
elemento che racchiude e sintetizza una serie di peculiarità che hanno caratterizzato la sfera
politica: dalla partecipazione di massa, alla funzione di integrazione sociale, passando
attraverso l'organizzazione su base ideologica dei comportamenti elettorali.
Con l'aggettivo “occidentali”, invece, si vuole circoscrivere il campo d'indagine ai partiti
politici che, nonostante differenze specifiche, sono legati da una base comune di proprietà.
Per offrire un'indicazione di massima, si può dire che tale qualificazione permette di
mantenere uno sguardo privilegiato su quei paesi occidentali (membri dell'Ocse) la cui
democratizzazione si è compiuta tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX. In
realtà, maggiore attenzione è prestata all'esperienza europea, sebbene siano inevitabilmente
presenti dei richiami al mondo anglosassone, le cui novità hanno spesso fornito
un'anticipazione di ciò che è avvenuto oltreoceano. Se questo sia avvenuto per un processo
di imitazione o per la presenza di condizioni simili nella struttura dei sistemi politici è
ancora da verificare. Resta comunque il dato – registrato grosso modo negli ultimi trent'anni
– di una convergenza delle logiche e delle pratiche politiche verso un modello dominante
che ha negli Stati Uniti il suo epicentro e che ha prodotto un fenomeno non a caso definito
“americanizzazione” della politica.
Riassumere i cambiamenti recenti sotto un'unica etichetta, tuttavia, sarebbe riduttivo.
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Per questa ragione, la discussione che segue cerca di prendere in considerazione più punti di
vista, in modo da offrire una visione ampia. Le trasformazioni dei partiti politici vengono
così osservate sulla base di tre prospettive, dalle quali emerge una raffigurazione
impressionistica e piuttosto sintetica, ma al tempo stesso – si spera – sufficiente per fare
chiarezza su un tema così vasto. A questo proposito, si è optato per una ripartizione in tre
capitoli.
Nel primo si passano in rassegna le principali riflessioni sui partiti in relazione ai
momenti storici e sociali che ne hanno accompagnato gli sviluppi. Lo spazio dedicato a
questa parte è piuttosto ridotto ed ha la scopo di fornire uno sfondo generale sul quale
innestare la presentazione dei modelli che riassumono e scandiscono il percorso dei partiti
dalla politica di massa a quella attuale (era digitale, postmoderna, ecc.). Gli idealtipi e i
concetti vengono così esposti per fornire una griglia analitica di riferimento.
Nel secondo capitolo il focus si sposta sulla società e più precisamente sugli
indicatori statistici che riguardano alcuni degli elementi centrali dei comportamenti politici
collettivi. I dati sull'affluenza alle urne, sulla volatilità elettorale e sulle identificazioni
partitiche, offrono una misura importante di cui bisogna tenere conto per almeno due
ragioni: consente di quantificare una serie di tendenze in atto, scendendo dal piano teorico a
quello empirico; traccia le condizioni generali che bisogna considerare nel momento in cui
si osservano da vicino le scelte dei partiti.
Nel terzo capitolo, infine, si guarda ai partiti come organizzazioni e si leggono le
trasformazioni attraverso questa lente specifica. Questo punto di vista integra i precedenti,
dal momento che il primo si sofferma sui concetti e sulle caratteristiche comuni sulla base
delle quali i partiti sono analizzati e classificati, mentre il secondo quantifica i macro
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fenomeni sociali. L'analisi organizzativa scende più in profondità e si muove all'interno del
singolo partito, includendo tutte quelle variabili inevitabilmente trascurate negli altri
approcci (rapporti di forza ed equilibri interni, relazione leadership-membri, incentivi per la
partecipazione, ecc.). Nel fare questo, restituisce all'oggetto di studio l'immagine di insieme
complesso dotato di tensioni e dinamiche proprie che risultano importanti ai fini
dell'indagine sulle cause che producono i cambiamenti.
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CAPITOLO PRIMO
Le trasformazioni dei partiti politici
1. I partiti politici
La letteratura sui partiti politici è caratterizzata dalla presenza di numerosi paradigmi
interpretativi che non consentono di operare all'interno di un framework condiviso. Sin dalle
prime riflessioni sull'argomento, sono emersi diversi approcci che hanno progressivamente
raffinato l'analisi apportando concetti e strumenti metodologici. Non è un fenomeno nuovo
se si considera che la scienza politica si nutre della multidisciplinarietà, nonostante con
fatica si tenti ogni volta di fissare i confini di un campo così esteso ed eterogeneo. Diventa
però complesso quando l'oggetto di studio si trova in una posizione che attraversa
continuamente gli steccati disciplinari, rendendo ostico l'esercizio di inquadramento teorico.
Il partito politico pone proprio questo tipo di problemi. Esso si colloca su un terreno
particolare, dal momento che è un attore importante nella società; svolge un ruolo che nei
sistemi politici in generale è di grande valore e lo è ancora di più nei regimi democratici. In
quest'ultimo caso è considerato, non a torto, uno dei pilastri delle istituzioni, il veicolo che
consente la mediazione tra la società civile e gli organismi di rappresentanza: il
collegamento tra governanti e governati. Ed è evidente che nell'espletamento di questa
funzione siano coinvolti diversi soggetti e vengano impiegate numerose risorse, che
costituiscono un ventaglio di elementi il cui raggio d'azione oscilla dal singolo individuo
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all'apparato statale. Da qui la difficoltà di operare attraverso categorie analitiche in grado di
tracciare un confine netto tra le parti.
Non mancano, né sono mancate, proposte per elaborare una teoria imperniata su uno
o pochi criteri, con lo scopo di fornire una rappresentazione complessiva ed esaustiva.
Dall'approccio funzionalista al modello della rational-choice, passando attraverso gli studi
organizzativi, gli sforzi compiuti in questa direzione sono numerosi e significativi. Ogni
indirizzo di ricerca privilegia un aspetto, nella consapevolezza che si tratta di una scelta
arbitraria che deve necessariamente tralasciare alcuni punti. L'approccio organizzativo, da
Michels in poi, interpreta il partito come un'organizzazione dotata di dinamiche e tensioni
che sono proprie di ogni gruppo di individui inserito in una struttura con un minimo di
coordinamento gerarchico; nel fare questo trascura le funzioni che i partiti svolgono nella
società e dunque perde di vista un aspetto essenziale. L'approccio della scelta razionale si
basa sull'analogia tra mercato economico e mercato politico, dalla quale emerge una
definizione di partito come insieme di persone il cui scopo principale consiste nella
massimizzazione dei vantaggi, da ottenere fondamentalmente attraverso la conquista di
cariche pubbliche e posizioni di potere; qui il partito è considerato un attore unitario e
monolitico sul quale i problemi interni hanno un peso residuale o addirittura nullo.
L'approccio funzionalista, al contrario, isola le funzioni svolte dai partiti (attività di input,
output, conversione e strutturazione del voto, reclutamento e comunicazione, gatekeeping,
ecc.) per ottenere un nucleo di elementi astratti e non necessariamente legati ad un contesto.
Questo metodo presenta numerosi vantaggi soprattutto sul piano della comparazione, ma
finisce molto spesso con l'ipostatizzare tali funzioni, dimenticando che la loro ricostruzione
deriva pur sempre dall'osservazione di casi concreti e storicamente determinati.1 È quanto
1 Questa osservazione critica è solo una delle tante rivolte al funzionalismo. In realtà, esistono forti dubbi sulla
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viene osservato, ad esempio, a proposito del recente dibattito sul declino che investe buona
parte delle organizzazioni partitiche, le quali non sembrano più in grado di svolgere
adeguatamente alcuni compiti che coprivano in passato. L'equivoco in questo caso deriva
proprio dalla presunta universalità di fenomeni che invece sono particolari e circoscritti,
tanto da poter dire che “le funzioni classicamente attribuite ai partiti politici [...] sono infatti
quelle che erano perlopiù associate ad un particolare tipo di partito – il classico partito di
massa, descritto da Maurice Duverger, Sigmund Neumann, e Otto Kirchheimer. E dato che
la fase del partito di massa oggi è superata in seguito al consolidamento delle democrazie, e
[...] non vi è la certezza che i partiti di massa puri possano o siano emersi nei più recenti
contesti democratici, rischiamo allora di trovarci nella situazione in cui non rimane nessun
partito in grado si soddisfare puntualmente le nostre aspettative” (Bartolini e Mair, 2001, p.
331).
Accanto ai tentativi di elaborare una teoria generale, si sono rivelate molto utili anche
quelle classificazioni e quelle tipologie che hanno permesso la comprensione dei
comportamenti, delle strutture e delle strategie dei partiti. Lo strumento cardine in questo
caso è l'idealtipo weberiano, un mezzo il cui valore euristico consiste nella capacità di
individuare, nella complessità del reale, le caratteristiche generali che connotano un certo
fenomeno. Questo non implica che i casi concreti debbano aderire completamente al tipo
così desunto, ma il confronto consente di capire in che misura il caso analizzato si avvicina
al modello di riferimento.
Come è facile intuire, le categorie offrono una indicazione di massima e riescono
possibilità di inserire questo metodo all'interno della spiegazione scientifica, poiché non è in grado di rispettare gli stessi
requisiti presenti invece nella spiegazione nomologico-deduttiva (su questo punto si veda: Carl G. Hempel, Aspetti
della spiegazione scientifica, Il Saggiatore, Milano 1986). Tuttavia, quando nella letteratura politologia si trova un
riferimento alle funzioni, spesso si indicano soltanto gli effetti o le azioni del partito (ciò che il partito fa), senza
necessariamente condividere il sostrato teorico che è proprio del funzionalismo.
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solo parzialmente ad afferrare la fluidità degli eventi. A questo si aggiunge una
complicazione derivante da almeno due nodi critici. Da un lato, l'eccessiva accumulazione
di tipologie che procedono secondo linee argomentative proprie, senza tener conto del
lavoro precedentemente svolto da altri autori; si è generato così nel tempo un
affastellamento di contributi che, pur presentando sfumature notevoli, condividono un
impianto di base sostanzialmente simile (si pensi, ad esempio, alla sovrapposizione di molte
categorie nei lavori di Neumann e Duverger). Dall'altro lato, per le ragioni opposte,
l'assenza di concetti adeguati per cogliere fenomeni nuovi ha prodotto un concept stretching
(Diamond e Gunther, 2003), uno stiramento semantico determinato dall'utilizzo di vecchi
termini nel tentativo di spiegare le trasformazioni in corso. Come si nota dall'uso eccessivo
che è stato fatto di concetti come il catch-all party, impiegato per indicare buona parte dei
modelli e delle tendenze comparse a partire dagli anni Sessanta, si può dire che “etichette
inappropriate sono state applicate ai nuovi partiti emergenti le cui caratteristiche si
differenziano nettamente da quelle incluse nella definizione originaria del modello di
partito” (ibid, p. 168).
Il partito politico si presenta dunque come un groviglio inestricabile di elementi che
opera su diversi piani. Tra le tante definizioni, una molto nota è quella fornita da Max
Weber, secondo la quale
per partiti si debbono intendere le associazioni fondate su un adesione
(formalmente) libera, costituite al fine di attribuire ai propri capi una
posizione di potenza all'interno di un gruppo sociale e ai propri
militanti attivi possibilità (ideali o materiali) – per il perseguimento
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dei fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali, o per
tutti e due gli scopi (1974, p. 282)
L'elemento centrale consiste nella volontà di influenzare il potere, agendo in una sfera,
quella della potenza, che si differenzia da quella economica (tipica dei ceti) e da quella
sociale (tipica delle classi). Nonostante si riferiscano ad un periodo lontano dal nostro, nel
quale era possibile leggere solo in filigrana quello che stava avvenendo, queste parole
colgono e sottolineano un punto essenziale: la caratteristica dei partiti è quella di intervenire
nella comunità con lo scopo di ottenere dei vantaggi, personali o comuni, anche contro la
resistenza di altri soggetti. Così, mentre i ceti puntavano ad una riconfigurazione del potere
territoriale, perché la loro struttura di potere era incardinata in tale sistema, i partiti hanno
come obiettivo la conquista o la modifica del potere esistente.
Posto in questi termini, il quadro che emerge lascia alcuni dubbi sulla possibilità di
poter applicare la definizione alla situazione attuale. Stesso problema si pone per altre
definizioni centrate su criteri diversi, che colgono solo una parte dell'oggetto lasciandone a
margine altre. Se a questo si aggiungono la specializzazione e la settorializzazione degli
studi, si comprende come mai si sia lentamente delineato ciò che è stato definito un
piecemeal approach. Questa consapevolezza ha spinto verso la ricerca di definizioni
“minime”, vale a dire verso la ricerca di quelle caratteristiche presenti in ogni caso
(indipendentemente dal periodo, dal luogo e dal sistema politico) e senza le quali un partito
non può dirsi tale. Secondo Sartori
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un partito è ogni gruppo politico identificato da un'etichetta ufficiale
che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le
elezioni (libere o non libere), candidati per le cariche pubbliche (1976,
p. 63)
Il riferimento alle elezioni ha almeno due vantaggi. Il primo è quello di agganciare il
partito alle istituzioni rappresentative, qualunque sia il grado di libertà con le quali queste
consentono la scelta della classe dirigente. È un punto importante perché permette di
includere anche quei regimi con elezioni formalmente democratiche attraverso le quali,
nonostante il minore peso effettivo dell'elettorato nella determinazione dei candidati, si
procede comunque attraverso un percorso che presuppone la presenza di gruppi che
competono per il potere. Gli effetti e le dinamiche a livello sistemico si snodano attraverso
un meccanismo peculiare che non può essere accostato al principio operante nelle
democrazie, tuttavia gli attori in campo – pur con significative differenze – sono gli stessi.
Il secondo vantaggio riguarda la possibilità di superare l'ostacolo in cui rischiano di
incappare le teorie che ruotano intorno ai concetti di valori/principi e interesse. Nel primo
caso si identifica il partito come un insieme di individui legato da una visione comune, un
nucleo di valori che si pone come collante per l'associazione: ci si aggrega con lo scopo di
portare avanti una disegno collettivo. Nel secondo caso, ci si riferisce al concetto di
interesse di cui il partito si fa portavoce nel tentativo di incidere sul potere per ottenere una
giusta rappresentazione. L'idea di base è che il partito, pur partendo da un insieme di
posizioni differenti, opera una sintesi tra le rivendicazioni particolari presentando un
obiettivo generale e un progetto di società ritenuto valido per tutti.
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