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Come abbiamo accennato, la produzione cinematografica
degli ultimi anni presenta un incremento di film che tematizzano
la temporalità deformandola in forme non consuete. Vogliamo
leggere in ciò un segnale (niente di più, ma neppure niente di
meno) di una nuova imprecisata sensibilità riguardo
all’argomento. Imprecisata, anche perché sembra mancare una
netta presa di coscienza in questo senso dei registi, che solo in
alcuni casi puntano decisamente all’approfondimento della
questione, preferendo più spesso un galleggiamento più
rassicurante: è per questo motivo che in apertura abbiamo
parlato di attenzione superficiale. Rimandiamo alla parte
centrale del lavoro le valutazioni su ogni singolo apporto,
limitandoci qui a tentare alcune ipotesi sulle motivazioni
implicate. Premettiamo che ci si limiterà a considerazioni
generali, dato che l’eterogeneità del campione non
consentirebbe una contestualizzazione più precisa.
Innanzi tutto, è indubbio che l’età che stiamo vivendo
impone un rapporto con il tempo radicalmente diverso da quello
di una generazione fa. I progressi tecnologici e l’accresciuto
benessere hanno modificato in maniera decisa la scansione
stessa del tempo: giornalmente, con una differenziazione ed una
elasticità sempre più diffuse degli orari di lavoro;
settimanalmente, con la mutata visione del rapporto lavoro –
tempo libero, e con la maggiore legittimazione di quest’ultimo;
annualmente, con una simile mutazione del rapporto reciproco
lavoro – tempo libero. Il tempo dell’attività, in origine scandito
dai ritmi della natura e successivamente sottomesso ad orari
comuni imposti, ora si avvia verso una più libera gestione
personalizzata, caratterizzata da una forte idea di possesso del
proprio tempo. Ciò comporta, a volte, nuovi eccessi in direzione
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opposta: basti citare l’ossessione dello sfruttamento del tempo
libero, che diventa un’autoimposizione di orari e ritmi non
adeguati. La macchina del tempo può essere interpretata anche
come proiezione di questo possesso del proprio tempo, del
controllo su di esso.
In tale direzione lavora anche il progressivo
allontanamento del sentire comune dalle ideologie, laiche o
religiose che siano. L’affrancamento da una prospettiva
superiore ed esterna cui si delegava la valutazione delle proprie
scelte porta con sé una maggiore responsabilizzazione
individuale, non adombrata dal fatalismo: ci si sente più padroni
del proprio tempo, ma contemporaneamente aumenta l’onere
delle decisioni sbagliate. Una delle maggiori attrattive della
macchina del tempo è infatti la facoltà di ritornare indietro nella
propria vita per affrontare le scelte decisive con il senno di poi,
dando una direzione diversa ad un’esistenza deludente.
In direzione opposta, il viaggio nel futuro tenta dare una
risposta originale all’inquietudine per un avvenire che si
avvicina a ritmo vertiginoso. Se, fino a qualche decennio fa,
l’ideazione di mondi futuri poteva sembrare un’innocua
stravaganza narrativa riferita a qualcosa di possibile e
lontanissimo, ora la sensazione è di essere esattamente sulla
soglia d’ingresso negli universi immaginati e descritti nelle
prime opere di fantascienza; la rapidità del progresso
tecnologico e scientifico, inoltre, accorcia drasticamente la
gittata delle previsioni evolutive. Non è insensato affermare
che, diversamente da prima, anche il futuro prossimo, quello
cioè che coincide in parte con l’arco della propria vita, ha un
volto indecifrabile: il viaggio nel futuro è parte frutto di questa
apprensione, in parte tentativo di risposta.
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La macchina del tempo esprime anche il corrispettivo
temporale dell’onnipresenza spaziale acquisita in questi ultimi
anni, almeno potenzialmente: dal punto di vista concreto
attraverso i viaggi, ormai alla portata di tutti e che possono
raggiungere qualsiasi destinazione del pianeta; virtualmente
attraverso la televisione e internet. La realtà geografica è ormai
pienamente raggiungibile fin nei suoi angoli più nascosti, i
limiti non si ricercano più tanto nel “dove”, quanto nel “come”:
va letto in questo senso il recente exploit degli sport estremi. Il
viaggio nel tempo dà voce a tale ansia cercando la risposta nel
“quando”: è la temporalità la nuova frontiera, con sconfinati
territori ancora da scoprire e raggiungere. Non può essere
estraneo in questa prospettiva l’attributo della velocità, forse il
più caratteristico della nostra epoca (basti pensare alla
classificazione dei computer in base ad esso): i trasferimenti
sono immediati, i tempi morti scompaiono dal tempo.
Ancora, i dispositivi di spostamento cronologico
rappresentano un mezzo straordinario di indagine storica, che
sostituisce la testimonianza diretta allo studio documentario.
Anche in questo caso si può forse rintracciare un segnale
indicativo della nostra epoca: la partecipazione diretta,
attraverso i mass-media, allo svolgersi della storia presente, con
un supporto visivo di grande impatto, determina un rapporto più
difficile con la storia passata, conoscibile solo attraverso
l’analisi paziente di documenti e testimonianze scritte o
fotografiche. Il viaggio storico nel passato rappresenta,
simbolicamente, questo interesse per la Storia, che però si
smorza davanti alle procedure tradizionali di studio,
pretendendo modalità simili a quelle dei mass-media.
D’altronde è proprio il cinema il filtro attraverso cui moltissime
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persone hanno ricevuto una immagine compiuta di epoche
passate.
Infine, la macchina del tempo consente di fare un viaggio
all’indietro nella propria vita, attraversando le età ormai
concluse; rappresenta cioè una sorta di surrogato della memoria
individuale, ed è indubbio che quest’ultima viene sempre meno
coltivata. Basta semplicemente conversare con un anziano per
rendersi conto di quante informazioni venissero immagazzinate
nella memoria quando essa era spesso l’unico archivio
disponibile. Oggi, al contrario, quasi tutto si può documentare,
fotografare, filmare, “salvare”, non è necessario memorizzare;
salvo poi scoprire che i ricordi e le emozioni hanno dei formati
incompatibili con i nostri strumenti di registrazione, e ciò che si
dimentica in quel campo è perso per sempre. La macchina del
tempo dà forma anche all’utopia di rivivere le proprie
trepidazioni, di collocarle nella categoria delle cose che possono
essere conservate.
Nel mondo della scienza, risalgono all’inizio del
Novecento i primi tentativi di approccio non tradizionale
all’idea di tempo. Indubbiamente il maggior contributo in questa
direzione viene dalla teoria della relatività di Albert Einstein,
vero e proprio scossone all’idea di tempo granitico e immutabile
fino a quel punto data per scontata. Dai nuovi presupposti la
riflessione teorica è partita verso le innumerevoli strade
apertesi. Una di queste conduce proprio al viaggio nel tempo.
Lo stesso Einstein arriva ad affermare nel 1935 che esiste la
possibilità teorica di costruire tunnel nello spazio-tempo. Non è
possibile qui ripercorrere in modo appropriato le tappe del
dibattito fino ai nostri giorni, per ragioni di spazio e di
mancanza di competenza. Ci limitiamo a rimarcare gli aspetti
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significativi per il nostro lavoro.
Innanzi tutto va segnalato che la discussione nel mondo
accademico, pur creando una netta divisione tra possibilisti e
scettici, registra negli ultimi dieci anni un incremento notevole
dell’interesse, tentando con molta cautela di allargarsi dalla
sfera teorica ad una prospettiva più sperimentale. Secondo uno
degli orientamenti più diffusi, la natura potrebbe consentire i
viaggi nel passato e nel futuro, ma solo a livello subatomico. E’
però vero che ai wormholes (buchi di verme, i già citati tunnel
nello spazio-tempo), e alla loro facoltà di metterci in contatto
con il passato, o con zone remote dell’universo, o addirittura
con altri universi paralleli, iniziano a guardare anche ambienti
estranei al mondo ristretto dei fisici teorici: sembra addirittura
che i progettisti della NASA abbiano cominciato a prenderli in
considerazione per i loro progetti più futuribili
1
.
E’ significativo, inoltre, che l’argomento abbia una
grandissima attrattiva sul grande pubblico dei non specialisti,
per il quale vengono pubblicati articoli di impronta divulgativa
con una certa frequenza: l’esempio appena citato del mensile
Focus (v. nota precedente), rivista sicuramente non indirizzata
ad una nicchia di specialisti, ne è la dimostrazione.
L’incremento della discussione nel mondo scientifico e la
sua divulgazione in ambiti non specializzati fungono
indubbiamente da stimolo ulteriore allo sfruttamento della
tematica nel mondo cinematografico, aggiungendosi a quelle più
generiche e “congiunturali” viste all’inizio del capitolo.
Prima ancora che la scienza attentasse alla sacralità del
1
A. PARLANGELI, C’è un buco nello spazio-tempo! su Focus, n° 26,
Ottobre 2000, pp. 24-30.
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tempo, già nel campo della letteratura i primi prodotti di un
nuovo fermento erano apparsi. Nel penultimo decennio
dell’Ottocento compaiono infatti i primi articoli e racconti
basati su un viaggio nel tempo.
Secondo le ricerche più recenti, pare che il primo
racconto sull’argomento sia The Clock That Went Backward
(“L’orologio che andava all’indietro”), scritto da Edward Page
Mitchell, ma pubblicato anonimo sul “Sun” di New York il 18
settembre 1881. Se questa è la data di nascita del sotto-genere,
indubbiamente il primo successo del filone è stato The Time
Machine (“La macchina del tempo”) di Herbert George Wells.
Comparso nella sua versione definitiva nell’anno 1895, ha
influenzato tutta la produzione successiva in materia.
2
Non è difficile immaginare come l’argomento si presti ad
essere trattato in maniera molto diversa dal mezzo
cinematografico e da quello letterario. Nonostante ciò, e
nonostante l’inevitabile brevità dell’accenno, è importante
rimarcare come la produzione cinematografica oggetto della
nostra analisi abbia alle spalle una tradizione letteraria matura,
lunga almeno cento anni.
Il cinema non tarda molto a sfruttare il filone dei viaggi
nel tempo, sulla scia della produzione letteraria. Il primo film
che se ne occupa è A Connecticut Yankee in King Arthur’s
Court nel 1921, traendo spunto da un romanzo di Mark Twain.
Nel corso degli anni si susseguono con sempre maggiore
2
Una rapida ma precisa panoramica sulle opere narrative in materia
si trova alla nota 3 del capitolo VI, p. 257, del saggio di R. GIOVANNOLI
La scienza della fantascienza, Bompiani, Milano, 1991. L’intero capitolo
VI (pp. 213-261) è dedicato ai viaggi nel tempo e ha il grande pregio di
affrontare questo mondo con un approccio scientifico, analizzando in
particolare le implicazioni logiche delle deformazioni temporali.
UNA NUOVA PERCEZIONE DEL TEMPO 12
frequenza le uscite di opere costruite sul viaggio nel tempo,
soprattutto d’origine statunitense. I titoli non lasciano dubbi
sulla centralità dell’argomento: Journey to the Center of Time
(che possiamo tradurre in “viaggio al centro del tempo”), The
Time Machine (“la macchina del tempo”), The Time Travelers
(“i viaggiatori del tempo”), Turn Back the Clock (“riportare
indietro le lancette”), solo per citarne alcuni.
3
L’elenco, volutamente vago e indicativo, vuole
semplicemente confermare la comparsa precoce nella storia del
cinema di opere riconducibili al sotto-genere da noi analizzato.
Il fatto rilevante che si riscontra negli anni ’80 e ’90, da noi
scelti come terreno d’indagine, è dunque un incremento
quantitativo di tale produzione, che ha comunque alle spalle una
tradizione consolidata. La nostra ipotesi di lavoro, escludendo a
priori lo studio dell’evoluzione del sotto-genere, si concentrerà
sull’indagine dei rapporti che legano tale categoria di film con il
particolare momento storico.
3
La selezione di titoli, puramente indicativa, è un estratto
ridottissimo di una ricerca effettuata nel sito IMDB.COM attraverso la
parola chiave “time-travel” (viaggio nel tempo).