ma palpita ancora forte nei suoi aspetti più laterali, geograficamente
marginali, culturalmente emarginati.
La mia analisi si propone di approfondire brevemente questa realtà
di contrasto, in particolare in un suo momento di esplosione : i moti
che hanno colpito le banlieue di Parigi nel 2005. Si tratta, in ogni
caso, di una situazione difficile da analizzare, in quanto lo scenario
in cui è immersa è continuamente soggetto a cambiamento. E del
resto gli episodi dell’autunno 2005 non possono certo considerarsi
isolati. Risalgono al 2007 gli ultimi “moti” che hanno attirato
l’attenzione della cronaca su Villiers-le-Bel. Non è una realtà statica,
bensì una serie di caratteristiche insieme territoriali e demografiche
(dunque geografiche e sociali) che mutano velocemente.
Le differenze a riguardo tra Italia e Francia sono piuttosto evidenti.
La Francia è da sempre uno stato nazione, e da sempre ha
collegamenti con l’esterno. Questo la porta ad essere inevitabilmente
un centro nevralgico a livello europeo e in un certo senso mondiale,
attirando migranti non solo dall’Europa intera, ma anche dall’Africa.
E’ questo che spesso dà alle banlieue un carattere così particolare da
rivelarsi difficilmente traducibile. Certo, il termine banlieue trova in
parte uno specchio nel termine “periferia”, ma non si tratta
veramente di un concetto identico. Il francese possiede infatti anche
il termine “périphérie”, che però risulta meno usato e in un certo
senso più povero. Per conservare questo valore aggiunto che il
termine straniero possiede (e che assume l’aspetto di una
4
connotazione negativa, devalorizzante, degradante
1
), ho deciso di
non tradurlo, preferendo, invece, renderlo comprensibile al lettore
attraverso una spiegazione della sua origine storica e della sua
evoluzione. Confidando nel fatto che il lettore contemporaneo abbia
una certa familiarità con un termine che anche la stampa italiana ha
usato largamente senza ricorrere a traduzione.
In che campo di studi
Questa ricerca si sviluppa in un’ottica che prima di tutto è
geografica. Il primo legame è, infatti, quello con il filone di ricerca
dei “margini urbani”, quelle zone difficili da definire in teoria e da
identificare in pratica, che spesso corrispondono a dei confini fluidi
tra la città e quello che c’è oltre. Si tratta di spazi che integrano
l’urbano ed il rurale, ma che sempre più si avvicinano alla città,
facendo si che il confine slitti oltre. E’ qui il caso di chiedersi, allora,
se la dualità continuerà ad esistere, oppure se l’urbano “divorerà” il
tessuto rurale fino a creare una “metapolis”
2
.
In un luogo particolare come i margini urbani, concetto generale che
comprende in sé anche le banlieue, la posizione geografica è anche
indicatore della posizione sociale, per questo uno studio in merito
può essere considerato appartenere al campo della geografia sociale
3
.
1
Ignacio Ramonet « Une révolte française » in Manière de voir 89 oct/nov.2006
2
F.Ascher, 1995
3
Didier Desponds, 2005
5
I lavori sulle questioni urbane e sui problemi ad esse legati (e da esse
generati) sono stati fino ad oggi classificati come sociologici, più che
come geografici. Con un veloce sguardo agli scaffali di una qualsiasi
biblioteca ci si rende conto di come nel settore “Geografia” non
figurino numerosi titoli che rimandano alle interazioni tra città e
persone, e dunque ai problemi che si possono generare in queste
interazioni e che possono coinvolgere anche la periferia.
Tra i primi ad affrontare questi problemi con approccio scientifico,
gli appartenenti alla “Scuola di Chicago”, sociologi come R.E. Park,
E.W. Burgess, H. Hoyt. Si parlava, allora, della città come fenomeno
naturale, adattando ad essa degli strumenti concettuali di un’analisi
di tipo ecologico. R.E. Park vedeva la metropoli come “un
gigantesco meccanismo di scelta e filtraggio che seleziona
infallibilmente nell’insieme della popolazione gli individui che
meglio possono vivere in un settore o in un ambiente particolare”
4
.
Chicago era ovviamente un vero e proprio laboratorio, esempio
concreto di “super organismo” (sistema) in cui sperimentare le
proprie tesi sulla città e sui suoi abitanti.
Uno dei primi geografi, invece, a fare riferimento alla Scuola di
Chicago, fu Max Sorre
5
in un’opera sui rapporti tra la sociologia e la
geografia. Del resto l’opera fa parte di una diffusa corrente di studio
che dal dopoguerra osserva con curiosità crescente la città, adesso
considerata oggetto di studio anche geografico. Secondo il geografo
D. Harvey
6
negli anni ’50 del Novecento, si assiste ad un
4
R.E. Park, 1929
5
M. Sorre, 1957
6
Harvey D. « Explanation in geography » 1969
6
cambiamento dei presupposti epistemologici della geografia:
l’ambizione dei geografi non è più quella di fare chiarezza sui
rapporti dei gruppi umani con l’ambiente, ma di comprendere cosa,
nelle distribuzioni che osservano, è il frutto di giochi di mentalità,
istituzioni, meccanismi all’opera nella società. Del resto il concetto
di scienza non è più un concetto a tenuta a stagna: dei non geografi
cominciano ad occuparsi dello spazio con attenzione sempre
maggiore, mettendolo in relazione a fenomeni come la segregazione
o la conflittualità urbana. La geografia stessa si apre alle molteplici
influenze esterne, facendo uso di approcci multidisciplinari e
abbandonando il dominio di un’analisi puramente quantitativa, per
fare spazio ad una riflessione che sia anche qualitativa. Possiamo
rilevare, sulla scorta di un altro geografo, P. Claval
7
, che “ Dunque
l’opposizione epistemologica tra geografia e scienze sociali si
cancella, eliminando malintesi. […] i sociologi fanno spazio
all’ambiente e alla distanza, mentre i geografi si affacciano sui
meccanismi propriamente sociali.” Del resto, e non bisogna
dimenticarlo, le due scienze hanno in comune numerosi strumenti di
ricerca, come le tecniche di inchiesta diretta o le carte mentali.
In ogni caso un’analisi dei conflitti sul territorio delle periferie
francesi, e in particolare di Parigi, non può non avere aspetti
geopolitici. Si tratta, infatti, di un’analisi che prende in
considerazione delle rivalità tra parti opposte su uno stesso territorio,
nonostante non si tratti di tradizionali attori governativi. Del resto lo
spazio stesso, oltre che fisico, è un luogo inevitabilmente politico e
7
P. Claval in « Géographie et Sociologie » pp.57-73, in Encylopédie de
Géographie 1995
7
ideologico. Secondo H. Lefebvre
8
lo spazio è una rappresentazione
popolata di ideologie, anzi, esso “è un vero e proprio prodotto
sociale” che, secondo lo stesso autore, deriva dai gruppi particolari
che si appropriano dello spazio per gestirlo e sfruttarlo.
Un oggetto d’analisi difficile
Come vedremo anche in seguito la banlieue è un oggetto di analisi
difficile da individuare e circoscrivere.
Per quanto riguarda la città, i margini non coincidono con l’unità
amministrativa, ma piuttosto con il suo significato sul territorio. I
limiti, dunque, i margini, non vanno definiti come ciò che è al di
fuori dello spazio amministrativo della città, ma come ciò che
circonda la regione metropolitana. Si tratta di oggetti di studio dai
caratteri fluidi in quanto sempre in cambiamento, caratteristica che
genera una maggiore complessità legata al fattore tempo.
Se in passato quasi ovunque era facile distinguere l’urbano dal
rurale, oggi non è più così. Secondo la definizione ufficiale,
utilizzata in Francia dal 1846 al 1954, un comune urbano aveva più
di 2000 abitanti. Dal 1954 viene adottata una seconda definizione
8
H. Lefebvre « La production de l’espace » 1974
8
che distingue le città isolate (concentrazioni di almeno 2000 abitanti)
dalle agglomerazioni urbane (unità multicomunali)
9
.
Il “Dictionnaire de Géographie”
10
definisce così gli spazi periurbani:
“spazio rurale situato in periferia di una città e della sua banlieue e
che è l’oggetto di profonde trasformazioni paesaggistiche,
funzionali, demografiche, sociali, culturali, politiche.” Sono questi
spazi a costituire il confine incerto e sempre in modificazione
dell’insieme urbano costituito da banlieue e città centro.
Efficace il paragone di D. Desponds
11
con le nuvole, le onde o le
fiamme: tutti oggetti di analisi, che al pari dei margini, fuoriescono
dall’idea di solido, invariabile, fermo, per costituire, invece, una
realtà mutevole. Proprio in questo è il loro fascino, la loro grande
importanza.
Nell’analisi dei moti che si sono susseguiti nelle banlieue,
soprattutto di quelli che hanno sconvolto la Francia nell’autunno del
2005 il fascino di un concetto di tipo geografico, come quello dei
margini urbani, si viene a fondere con una caratterizzazione di tipo
sociologico. I luoghi in esame occupano un’ingombrante spazio
mentale, situandosi al grado più basso della gerarchia metropolitana.
Sono le cosiddette “zone di non diritto”
12
, definite dalla popolazione
e dai media “quartieri proibiti” o “selvaggi”.
9
Per queste definizioni : D.Noin Y. Chauviré , 2004
10
P. George e F. Verger « Dictionnaire de géographie », 2000 p.346
11
D. Desponds 2005 egli cita M. Sorre :” Sia il bordo di una nuvola, insieme
nuovo da considerare, sia il limite di una sfumatura, luce colorata, sia la frontiera
dell’onda, che, nell’infrangersi della risacca lascia il ciottolo solido alla spiaggia. Il
volume solido non è che uno stato dell’evoluzione, essa stessa fluida.” [ M. Serres
« Le passage du Nord-Ouest » 1980 p.45]
12
In proposito il discorso del Presidente francese N.Sarkozy in occasione della
presentazione di un piano per le banlieue, 8/02/2008
9
Parigi nell’Île-de-France
Il vasto territorio francese ricopre un’area di 547.030 kmq, che lo
rende il terzo stato europeo per dimensione. Eppure l’intero territorio
è abitato da 61,538 milioni di abitanti (secondo un’inchiesta
statistica de l'INSEE
13
del 1 gennaio 2007), non molti se paragonati a
quelli di altri paesi europei più densamente popolati. Soprattutto non
molti se si pensa che la popolazione della sola regione dell’Ile de
France arriva a ben 11,49 milioni di abitanti, ovvero il 19%
dell’intera popolazione (al primo gennaio 2006 secondo l’INSEE),
distribuita su appena 12.012 km². Da considerare, anche, che l’80%
del territorio “Francilien” è rurale
14
, nonostante i 1281 comuni che
sorgono sul territorio. All’alba del XIX secolo questa regione
contava appena 1353000 abitanti, meno del 5% del totale
nazionale
15
.
L’Ile de France è dunque non solo la regione più densamente abitata,
ma anche quella che più di tutte attrae popolazione, con una crescita
demografica che tra il 1999 e il 2006 è stata dello 0,70% contro lo
0,64% di media nazionale.
All’interno di questo scenario spicca la città di Parigi, metropoli
abitata da 2 125 246 milioni di abitanti (censimento del 1999 a cura
dell’ INSEE), che con l’area urbana circostante arriva a più di 11
milioni., quasi l’intero numero degli abitanti dell’Ile de France.
13
Institut National de la Statistique et des Etudes Economiques (Istituto nazionali
di statistica e di studi economici)
14
Mostra Pavillon de l’Arsenal
15
Soulignac F., 1993
10
Eppure solo chi abita entro le porte di Parigi si può dire a pieno titolo
un Parisien. Gli altri sono banlieuesards, abitanti delle banlieue, e
Francilien, aggettivo che definisce coloro che risiedono ancora più
lontano dalla capitale, ma nella stessa regione.
La città di Parigi ha preso la sua forma attuale a seguito di una serie
di “inclusioni” di parti di territorio che si trovavano all’esterno. Le
ultime mura di cinta risalgono alla metà del XIX secolo (1840-1845)
e dal 1860 impediscono un ulteriore allargamento, l’ultimo
rimanendo quello con il quale la città annette undici comuni e tredici
frazioni di comuni circostanti (che andranno a costituire gli
arrondissement dal tredicesimo al ventesimo nella ridefinizione
amministrativa del gennaio 1860
16
).
E’ dopo la costruzione di queste mura, alla fine del 1800, che Parigi
conosce la più grande crescita industriale e commerciale, legata allo
sviluppo di una grande rete ferroviaria e metropolitana. Proprio
questa crescita, però, sarà alla base della grande crisi degli alloggi
che seguirà la prima guerra mondiale e che darà origine ad ondate
progressive di “esodi” proiettati all’esterno, che incrementeranno la
crescita delle banlieue.
Sono dell’inizio del Novecento i primi piani urbanistici e di
pianificazione regionale. Importante sarà soprattutto il Piano Prost-
Dautry (1934), diretto ad organizzare razionalmente la città e il suo
ambiente, anche attraverso una protezione delle zone boschive e di
altri siti di valore.
16
Soulignac F., 1993
11