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esplicito della dignità autonoma della colonna sonora e della sua capacità di
entrare in rapporto dialettico con le immagini. Di qui in poi, capolavori come
"2001: Odissea nello spazio" e "Arancia meccanica" svilupperanno fino alle
estreme conseguenze questa concezione del suono che, pur assumendo in
Kubrick aspetti assolutamente nuovi e originali, trova radici e ispirazione in
numerosi antecedenti nella storia (e nelle teorie) del cinema.
Kubrick è sicuramente uno degli autori su cui si è maggiormente appuntata
l'attenzione di critici e studiosi, e molto è stato scritto, per esempio, circa l'uso
della musica nei suoi film. Nonostante questo, lo studio della letteratura critica
esistente dimostra che le analisi del lavoro di Kubrick sul sonoro sono spesso
incomplete. Si continua, nella maggior parte dei casi, a privilegiare una critica
di contenuti o un approccio esclusivo alla sfera musicale. Tutto questo a scapito
di un indagine strutturale che prenda in esame tutti i diversi elementi che
compongono la colonna sonora, e che approfondisca il problema dei rapporti
formali tra suono e immagine. Queste carenze ci sembrano particolarmente
gravi se si considerano (come noi facciamo, confortati dall'esempio della
letteratura critica) i film di Kubrick come degli oggetti privilegiati per una
analisi sonora, in virtù dello "spessore" degli elementi sonori utilizzati e della
trasparenza dei procedimenti tecnici ed espressivi. Abbiamo quindi deciso di
dedicare la maggior parte di questo studio all'esame dettagliato degli "oggetti
sonori" di maggiore rilievo tematico, sforzandoci di adottare un criterio che
garantisse l'omogeneità e la chiarezza dell'esposizione.
Dopo aver esaminato il complesso dell'opera di Kubrick, abbiamo deciso di
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isolare quattro elementi fondamentali e di distribuirli in altrettanti capitoli
corrispondenti ad un ideale ordine ascendente dei fenomeni sonori: il Silenzio,
il Respiro, la Voce e la Musica. Ogni singolo capitolo sarà preceduto da
un'introduzione che illustra l'approccio generale ad ognuno degli elementi
trattati. Nei singoli paragrafi analizzeremo, invece, i luoghi più emblematici
della produzione kubrickiana, rivolgendoci soprattutto alla fase più matura
della carriera del regista ma cercando comunque di offrire dei rimandi a tutta la
sua filmografia.
Alle conclusioni finali è riservato, infine, il compito di tracciare un quadro
riassuntivo dell'approccio di Kubrick al sonoro e fornire un'interpretazione dei
rapporti fra suono e immagini nel suo cinema.
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1.2 Cenni biografici e filmografia
Stanley Kubrick, nato a New York nel 1928, è unanimemente considerato uno
dei registi viventi più importanti ed originali. Di formazione completamente
autodidatta, la sua carriera non contempla alcun periodo di apprendistato
presso uno studio o al seguito di altri registi.
Nel 1951, avendo saputo che la RKO investe un budget considerevole nella
produzione dei documentari della serie March of Time, noleggia una macchina
da presa e gira il suo primo cortometraggio: Day of the fight (Il giorno del
match). Il film, descrizione della giornata-tipo di un pugile alla vigilia di un
combattimento, viene acquistato dalla RKO a prezzo di costo, e viene affidata a
Kubrick la produzione di un altro short: Flying Padre (Il parroco volante, 1951).
Kubrick gira nel 1953 un altro breve documentario, The seafarers (I
navigatori), quindi esordisce lo stesso anno, a sue proprie spese, con il primo
lungometraggio: Fear and desire (Paura e desiderio). Di questo film Kubrick
ritirerà in seguito tutte le copie esistenti in circolazione, bollandolo come una
messa in scena dilettantesca e presuntuosa di un soggetto pesantemente
allegorico. In effetti la trama e i dialoghi, (riportati parzialmente in KAGAN
1972, pp.9-17), risultano alquanto intellettualistici e artificiosi: quattro soldati,
dispersi in un bosco durante una guerra imprecisata, incontrano e uccidono i
componenti di una pattuglia nemica salvo poi accorgersi, ad azione ultimata, di
aver ucciso dei propri sosia (interpretati dai medesimi attori).
Se il giudizio di Kubrick sulla storia sembra, almeno parzialmente,
condivisibile, non altrettanto si può dire del risultato tecnico ed estetico della
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pellicola. Kubrick veniva comunque da una lunga esperienza di fotografo di
attualità per la rivista Look, e le scarse recensioni pubblicate sul film sono
concordi nel lodarne la qualità fotografica e la originalità delle inquadrature. Il
film costituisce poi una tappa importante per almeno due motivi: viene
distribuito nel circuito d'essai da Joseph Burstyn (già importatore americano di
film come Paisà, Ladri di biciclette, ecc.), ma soprattutto costringe Kubrick ad
improvvisarsi montatore, oltre che regista e direttore della fotografia,
contribuendo così a costruirgli una competenza tecnica che sarà di importanza
fondamentale nello sviluppo della sua carriera.
A Fear and desire seguirà, nel 1955, Killer's kiss (Il bacio dell'assassino), ancora
autoprodotto da Kubrick ma opera di ben altra levatura tecnica ed artistica, e
nel 1956 The killing (Rapina a mano armata), primo frutto di un accordo di
coproduzione con una grande major, la United Artists. In entrambi i film
Kubrick rivisita un genere classico holliwoodiano, il poliziesco (o più
esattamente il noir), prendendo a prestito cliché narrativi, tecniche di
illuminazione, attori-feticcio (come lo Sterling Hayden di Giungla d'asfalto), per
operarne una rielaborazione personale. The killing, in particolare, attirò
l'attenzione della critica per la complessità del procedimento narrativo: una
voce-off che rimescola e intreccia in continuazione il tempo della diegesi col
tempo dell'azione, ritardando (e poi ripetendo) all'infinito il racconto del
momento cruciale del film, la rapina. E' la prima dimostrazione importante
dell'interesse peculiare di Kubrick per i meccanismi espressivi specifici del
cinema: il montaggio, il suono, l'immagine e, alla radice, il Tempo e lo Spazio.
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La svolta decisiva arriva con Paths of glory (Orizzonti di gloria, 1958), il film
che consacra Kubrick come autore di rilievo internazionale. Da qui in poi
l'attività del regista è patrimonio comune, ma non risulterà inutile riepilogarne
a grandi linee la produzione successiva.
Dopo Orizzonti di gloria gira l'unico film di cui non abbia potuto esercitare il
totale controllo artistico e produttivo, Spartacus (idem). E' il 1960 e Kubrick,
reduce da una serie di progetti incompiuti, accetta l'invito di Kirk Douglas di
sostituire Anthony Mann (poco gradito allo stesso Douglas, principale
finanziatore del film). Nonostante lo stesso Kubrick ora ne rinneghi la paternità,
quest'opera conserva numerose tracce del suo apporto personale, soprattutto
nelle grandiose scene di battaglia fra i ribelli di Spartacus e le legioni romane. In
ogni caso gli permette di interrompere un lungo digiuno, artistico e finanziario,
e procedere alla preparazione del prossimo film.
Lolita (idem, 1962) segna, quasi involontariamente, un'altra svolta nella
carriera di Kubrick. Risoltosi a girare in Inghilterra per usufruire di alcuni fondi
della MGM non esportabili dal paese, Kubrick non tornerà più a fare film negli
Stati Uniti e finirà addirittura per trasferirsi stabilmente a Londra. La distanza
fisica con gli USA riflette in modo tangibile il desiderio di indipendenza
dall'industria del cinema e conferma l'immagine di Kubrick come "il più
europeo dei registi americani". Il film è un successo a dispetto (o forse a causa)
delle polemiche precedenti e successive alla sua realizzazione, ma proprio
questo ci appare oggi il suo maggior limite. E' probabilmente il film di Kubrick
che più risente del passare degli anni e del mutare dei gusti e della mentalità
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del pubblico, laddove i temi e lo stile delle opere più mature (ma anche di
Orizzonti di gloria) hanno conservato intatto il loro valore.
Nel 1963 è la volta della satira graffiante e surreale di Dr. Strangelove (Il
dottor Stranamore), il primo film di una ideale "trilogia del futuro prossimo"
che comprende i due più grandi successi di Kubrick: 2001: a space Odissey (2001:
Odissea nello spazio, 1968) e A clockwork orange (Arancia meccanica, 1971).
Proprio in questo periodo di massima creatività Kubrick comincia a diradare
ogni rapporto con la stampa e la critica. La capacità di raggiungere ed
interessare un pubblico sempre più vasto si accompagna ad un rifiuto di
spiegare il "messaggio" contenuto nei propri film. Dietro delle motivazioni
ufficiali che non brillano certo per originalità
("[...] non amo particolarmente le interviste: ci si sente sempre obbligati a
dare un riassunto spirituale e brillante delle proprie intenzioni [...]
Quanto a questo ci sono dei critici che lo fanno molto bene..." CIMENT
1976, p. 167)
affiorano questioni ben più complesse. Noi crediamo che il silenzio di Kubrick
serva soprattutto a salvaguardare quel particolare fascino che deriva alle sue
opere dall'essere enigmatiche, inquietanti, aperte a svariate e spesso
contraddittorie interpretazioni. E' esemplare a questo proposito una
dichiarazione del 1980, resa durante la lavorazione di Shining:
"Di questa storia non voglio dare alcuna spiegazione razionalizzante.
Preferisco utilizzare termini musicali e parlare di motivi, variazioni,
risonanze. [...] Amo questi campi del racconto dove la ragione è
scarsamente d'aiuto." (CIMENT 1980, pp. 192 e 196)
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E un enigma, a suo modo, è stato anche Barry Lyndon (idem, 1976). Oggetto
di accoglienze disparate al momento della sua uscita, questo grande affresco è
stato rivalutato ed apprezzato soprattutto nel lungo periodo. Probabilmente il
ritmo disteso e solenne, la minuziosa ricerca storica ed iconografica, il controllo
costante del tono emotivo del racconto hanno deluso quanti si aspettavano di
nuovo il Kubrick rutilante e provocatorio di Arancia meccanica; ma il film
smentisce, ad una lettura più attenta, la sua presunta estraneità al corpus del
cinema kubrickiano. Nella storia dell'ascesa e la caduta di Redmond Barry
ritroviamo i topoi ricorrenti dell'opera di Kubrick: l'odissea dell'eroe nel
mondo; il conflitto edipico individuale e collettivo; lo scontro tra istinto e civiltà,
ragione e passione, tra l'ordine e il Caos. Il tutto è semplicemente trasposto in
un altro stile, narrato nella cornice e nei modi del XVIII secolo, con una
operazione mimetica non dissimile da quella che aveva prodotto la freddezza
futuristica di 2001 o la sensuale frenesia visiva di Arancia meccanica.
Il 1980 è l'anno di The shining (Shining), ennesima incursione nell'universo
dei generi holliwoodiani. L'horror è ancora una volta, come la fantascienza o la
guerra, un occasione per parlare dell'uomo e delle forze oscure che ne
governano il comportamento. L'interesse di Kubrick sembra rivolgersi sempre
di più allo studio degli aspetti irrazionali e primordiali dell'animo umano, ed è
quasi una logica conseguenza che alla follia individuale di Jack Torrance faccia
seguito una nuova riflessione sulla follia collettiva della guerra. Kubrick
affronta con il suo ultimo film quello che è stato definito "il western degli anni
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'80", un filone appena nato ma che già vanta una serie di titoli illustri: il
Vietnam.
Full Metal Jacket (idem, 1987) è atteso come una summa, la chiosa di un
"maestro" sul genere, la risposta ad "Apocalypse now" (film che, fra l'altro,
denuncia una forte ascendenza kubrickiana). Ma il confronto fra i due autori
non avviene a colpi di napalm e foreste in fiamme, come forse il grande
pubblico si sarebbe augurato. Il viaggio all'inferno dei soldati di Kubrick, se non
è meno interiore e simbolico di quello del capitano Willard, concede però molto
meno all'azione e allo spettacolo. La guerra non è più per Kubrick soltanto una
cosa ingiusta (come in Orizzonti di gloria), o un rituale incomprensibile gestito
da un gruppo di folli (Il dott. Stranamore): la guerra è innanzitutto
annientamento dell'individuo, meccanizzazione del soldato, soppressione di
ogni residuo di umanità.
Il racconto è spogliato di tutto il repertorio consueto dei film bellici. Spazzati
via la giungla, il cameratismo, l'empatia con i personaggi, sottratto alla vista
anche il nemico, allo spettatore è negata ogni facoltà di partecipazione o di
giudizio morale. Quasi venti anni dopo 2001, quest'ultimo film di Kubrick si
chiude su una nota di cupo pessimismo: alla fine del viaggio iniziatico dei
marines c'è solo un cuore di tenebra, non più quella speranza di rigenerazione
che attendeva gli astronauti ai confini del sistema solare.