alleanze, tentando di inserirvi l‟alleanza saudi-americana in modo da farne quadrare
tutte le contraddizioni, ma anche individuare le caratteristiche peculiari di questo
rapporto, che ne rendono il funzionamento diverso da quello di qualsiasi altra
alleanza che presenti caratteristiche simili. La difficoltà a capire lo sviluppo di
questo specifico rapporto deriva, evidentemente, anche dai limiti dell‟analisi
teorica. La tesi investe alcuni di questi problemi, e li utilizza per mettere a fuoco le
più importanti caratteristiche dell‟alleanza: come e perché gli stati scelgono nemici
e alleati, quali conseguenze provoca la profonda disuguaglianza tra alleati, qual è il
vero ruolo del‟ideologia nella formazione delle alleanze. Una ricerca da cui emerge
quanto le differenze ideologiche tra i due paesi siano fuorvianti, sia se considerate
come l‟unico elemento che influenza la contrattazione, sia se ignorate, in ossequio
ad una tradizione realista “puritana”, che considera l‟ideologia nient‟altro che una
maschera per interessi più concreti e materiali, non cogliendo invece la genuina
“concretezza” di elementi immateriali come la legittimità, tanto più nelle anarchie
giovani, come è il teatro mediorientale. Sono tanti gli elementi, la geopolitica, la
struttura sistemica, la natura delle minacce, che si mescolano in un‟insieme di
azioni e reazioni in apparenza contraddittorie, come applicare un embargo al
proprio alleato, ma al di sotto delle quali il ricercatore deve essere in grado di
leggere, e spiegare, le ragioni strutturali di un legame duraturo. La mancanza di uno
strumento convenzionale che definisca limiti ed estensione dell‟impegno reciproco
tra i due alleati, come avviene per altre alleanze, quella tra Stati Uniti e Giappone
ad esempio, ha scaricato sul ricercatore il compito di ricostruire e schematizzare lo
scambio di benefici tra i due stati, troppo spesso liquidato con la riduttiva formula
“oil for security”. La vicinanza temporale delle circostanze è un altro fattore che
non ha mancato di creare problemi, per la scarsità di analisi comprensive, per i
troppi eventi ancora avvolti dal segreto, come il sostegno dato dall‟Arabia Saudita
alle “guerre sporche” della Cia, negli anni ‟80, o alla guerra in Iraq del 2003, o le
cause dell‟embargo petrolifero del ‟73, decisamente l‟evento che mi è stato più
difficile interpretare. Alla fine, lo scritto riesce a far rientrare tutti i tasselli di questa
intricata vicenda negli strumenti interpretativi della Teoria delle Alleanze, nel
tentativo, si spera riuscito, di spiegare anche i comportamenti più ambigui e
inaspettati.
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CAPITOLO 1. STRUMENTI DELL’ANALISI TEORICA
1. Il problema della definizione: è un alleanza?
Può sembrare sorprendente, ma la definizione di cosa sia alleanza nelle Relazioni
internazionali può essere molto diversa a seconda di chi ne scrive. Per la letteratura
realista l‟alleanza è l‟esempio classico di cooperazione tra due stati, causato dal
principale motivo che concorre ad attenuare, nelle reciproche relazioni, lo “stato di
natura hobbesiano”: la presenza di una minaccia all‟esistenza di entrambi. Il
problema, dal punto di vista scientifico, è la definizione di un indicatore, cioè un
elemento che univocamente definisca quando ci si trovi di fronte ad un‟alleanza tra
due o più stati. Pur essendo presente in numerose definizioni1, l‟elemento della
formalizzazione non sembra essere in grado di spiegare molte delle più comuni
alleanze della storia, compresa quella tra Arabia Saudita e Stati Uniti, che è bene
subito chiarire, non si fonda su un accordo formale e complessivo che ne definisca i
rispettivi impegni, e se un simile trattato esiste, è certamente segreto. La tesi da
utilizzare è invece quella degli autori che mettono in relazione l'alleanza con la
promessa2 di assistenza militare(che può essere reciproca o unilaterale). La
relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita viene a costituirsi come alleanza tanto per
le pubbliche promesse di sostegno e garanzia(che vengono più che altro da parte
statunitense), quanto per l'afflusso costante di aiuti militari che arrivano al Regno
dagli Stati Uniti. Da parte saudita, certamente, la concessione di basi, la
cooperazione al mantenimento degli equilibri regionali, la garanzia sulla continuità
delle forniture e sulla stabilità dei prezzi del greggio costituiscono una prova
sufficiente di appoggio alla politica estera americana, pur nella rarità(ma sarebbe
più corretto dire inesistenza) di esplicite dichiarazioni di sostegno alla politica
mediorientale di Washington. Questo elenco, solo esemplificativo, di elementi di
scambio, permette di definire con sicurezza che l'alleanza rientra anche nella ampia
definizione data da Walt3 di “relazione formale o informale in materia di sicurezza
tra due o più stati sovrani...che presuppone un certo livello di impegno e uno
scambio di benefici tra le parti, in cui tagliare la relazione o disonorare gli accordi
avrà presumibilmente un costo”.
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2. Sulla genesi delle alleanze: anarchia e sicurezza
Questo paragrafo indaga sul perché gli stati sentano il bisogno di cooperare in
materia di sicurezza. Innanzitutto lo stato è, secondo l'assunto realista, un agente di
auto-difesa, e preferisce svolgere da sé quante più funzioni possibili4, a cominciare
dal mantenimento della propria sicurezza. Contrarre un alleanza significa mettere
nelle mani di qualcun altro almeno una piccola parte (e non di rado la gran parte)
della propria capacità di difesa, ed esserne, anche in minima parte, condizionati,
dipendenti e limitati. È evidente che un rischio così grande, in un ambiente
competitivo, deve avere un incentivo altrettanto rilevante. Occorre, innanzitutto,
indagare le radici profonde del fenomeno dell'aggregazione nei sistemi multipolari,
servendosi dello studio sviluppato da G.H.Snyder5 attraverso la teoria dei giochi.
Egli non solo si chiede perché gli stati si alleino, ma cerca di dimostrare che per
ciascun attore è inevitabile, prima o poi, collocarsi all'interno di un alleanza, pur di
evitare l'ipotesi dell'isolamento. I pochi casi che vanno in senso contrario(Svizzera,
Finlandia, Svezia) sarebbero frutto di condizioni e ambienti geopolitici irripetibili, e
pertanto non farebbero che confermare la regola. Questa ipotesi, definita il
“dilemma primario delle alleanze”, segue la logica del tipico dilemma del
prigioniero a N-persone. Scrive Snyder:
“Ogni stato si trova ad avere l'alternativa tra due posizioni, può cioè cercare alleati o astenersi dallo
stringere alleanze. Nell'ipotesi che tutti gli stati siano ugualmente forti, e che siano interessati
unicamente alla sicurezza[leggi:sopravvivenza e integrità territoriale], conviene a tutti astenersi dal
formare alleanze......[perché] un'alleanza comporta vari costi..... Ciononostante si formeranno delle
alleanze e questo per due ragioni: a)alcuni stati possono non accontentarsi di una sicurezza modesta
quando possono aumentarla in modo decisivo stringendo alleanze , se gli altri si astengono dal farlo;
b) alcuni stati, temendo che gli altri stati non si astengano[come nell'ipotesi a], formeranno alleanze
onde evitare l'isolamento o impedire al[potenziale] partner di stringere alleanze a loro ostili.”.6
Questa ipotesi, come sostiene più avanti lo stesso autore, non spiega comunque tutti
i dilemmi di una politica delle alleanze, e naturalmente, non è utile a spiegare nello
specifico la formazione dell'alleanza saudi-americana. Come già Snyder afferma, le
alleanze e il rafforzamento intrinseco(economico, territoriale ma soprattutto
militare) sono le due facce di una stessa medaglia, il “grande gioco” della sicurezza
internazionale. Gli stati, “ingabbiati” dal dilemma della sicurezza, aggregano
3
potenza nelle alleanze per aumentare la loro sicurezza, quantomeno quella
percepita. Per quanto riduttiva ai fini della nostra analisi, questo assunto mostra il
fondamentale legame tra alleanze e sicurezza, ed ancora di più, tra alleanze e
sicurezza percepita. Le alleanze sono, per quanto possano essere arricchite da
elementi ideologici e cerimoniali, comunità di sicurezza7. Secondo la teoria realista,
la fonte dell‟insicurezza è l‟anarchia, elemento strutturale per eccellenza.
L‟anarchia post-westfaliana è caratterizzata dalla suddivisione completa delle terre
abitabili in entità territoriali giustapposte e mutualmente esclusive; pertanto lascia
"in eredità” a queste entità, gli stati, proiettati alla realizzazione dei propri obbiettivi
di politica estera, congiuntamente carenze intrinseche nei mezzi8, e la possibilità di
colmarle sfruttando le capacità possedute da altri stati. Per meglio chiarire può
essere utile il concetto di “conformità”, teorizzato da Cesa, riassumibile come
“l‟adesione” di uno stato ad alcuni scopi di politica estera dei propri alleati.
Sostiene Cesa:
“Proprio perché gli stati si muovono in un ambiente anarchico, in cui le risorse sono disperse,
ognuno di essi ha bisogno, sia pure in modo diverso, della collaborazione altrui per perseguire
quegli obbiettivi che più gli premono – compresa la sicurezza- e farà quindi ricorso alle risorse di
cui dispone per ottenere la “conformità [altrui]” 9
È importante non cadere nell‟errore di considerare le risorse, militari, energetiche,
economiche ecc., che vengono messe a disposizione dell‟alleato, come una sorta di
“moneta di scambio” per ottenerne la conformità. Essi sono, in se stessi, la nostra
“offerta di conformità” all‟alleato, che si servirà di quelle stesse risorse per
realizzare la sua politica estera in una logica di scambio.
3. Le alleanze e l’equilibrio
Risolto questo “dilemma primario”, sostiene Snyder, allo stato non resta che
affrontare il “dilemma secondario”, cioè decidere “quanto strettamente impegnarsi,
e quanto sostegno [dare all'alleato] nelle specifiche situazioni”. Uno degli assunti
del neorealismo(e di tutta la tradizione realista) è che l'unione di più stati sottenda
la sfida a questi portata da una minaccia, o il perseguimento di un fine, comuni ad
entrambi. Questo modello, definito “dell'aggregazione di potenza”, prevede che
4
l'unione di più stati in un alleanza si realizzi in modo da “bilanciare” un potenziale
sfidante alla sicurezza di entrambi. Su cosa, in sostanza, identifichi uno stato come
minaccia ai propri interessi, cerca di rispondere una delle teorie più utilizzate dai
teorici che si occupano di medio-oriente: la classica balance of power theory, che
qui descriveremo servendoci del modello waltziano10. La teoria si aspetta che si
formino tra gli stati ricorrenti equilibri di potenza. Il pericolo primario per gli stati
nel sistema di “auto-difesa” è l'emergere di un attore, o una coalizione di attori, che
potrebbe imporre la propria egemonia11 sulla coalizione o l'attore più svantaggiati.
La teoria non si aspetta che uno stato forte si associ con un altro stato forte per
accrescere la propria potenza sugli altri, poiché nessuna grande potenza può
permettere che un suo alleato emerga come leader a suo discapito. Gli stati minori
invece, se liberi di scegliere, si assoceranno alla coalizione più debole(la
“coalizione anti-egemonica”), poiché è la coalizione più potente a minacciane la
sicurezza. Questo processo si osserverebbe indipendentemente dalla volontà o
meno degli stati di formare un equilibrio12, ma il risultato finale è stato spesso lo
stallo tra due coalizioni di eguale potenza, situazione che salvaguarda la libertà e la
sicurezza di tutti. La teoria dell'equilibrio di potenza ha certamente grandi meriti
teorici, soprattutto nello spiegare le alleanze settecentesche e ottocentesche, ma
anche grandi limiti. In particolare si lega troppo strettamente il fenomeno delle
alleanze con quello dell'aggregazione di potenza ai fini bellici, non tenendo in
considerazione le asimmetrie di potere e di obbiettivi tra i membri, assumendo cioè
che l'unico e comune obbiettivo di un'alleanza sia “dissuadere gli avversari
dall'attacco”. L'alleanza tra Arabia Saudita e Stati Uniti, infatti, solo in parte può
essere letta sotto questa luce, e soprattutto, deve essere letta avendo sempre ben
presente che ne fanno parte uno stato di medie dimensioni(ad oggi nonostante la
forte crescita demografica, la popolazione saudita è di circa 20 milioni di abitanti) e
con interessi regionali, ed una superpotenza che gestiva e gestisce le varie alleanze
regionali come parti di una strategia autenticamente globale. Entrando nel merito,
alle origini dell'alleanza, negli anni '40, ci fu la volontà saudita di assicurarsi un
protettore esterno che potesse diversificare l'offerta di sicurezza fornita dalla Gran
Bretagna (all'epoca vera potenza egemone della regione), contro le monarchie
hashemite e filo-britanniche di Iraq e Transgiordania13. Allo stesso modo gli Stati
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Uniti, sfruttando le buone relazioni instaurate con la famiglia reale fin dal
1933(firma del primo accordo per l'estrazione di greggio da parte della Socal14), si
servirono della posizione geografica della penisola per le operazioni aeree e navali
della seconda guerra mondiale, questo senza che l'Arabia Saudita fosse
particolarmente minacciata dall'asse italo-tedesco, con il quale era anzi, come gran
parte del mondo arabo, in buoni rapporti. Non si spiegano poi, ad esempio,
l'appeasement adottato fino al '57 dall'Arabia Saudita nei confronti dell'Egitto,
potenza in ascesa con chiari progetti di leadership regionale, o il duro confronto con
l'Iran Khomeinista negli anni '80, attuato soprattutto sostenendo una potenza
militare regionale e revisionista come l'Iraq di Saddam Hussein. La teoria
dell'equilibrio di potenza è adottata da molti politologi per leggere l'alleanza saudi-
americana15, ed è molto probabile che se ne faccia uso anche in questa tesi, tuttavia
essa va arricchita con alcuni elementi che non si trovano al livello di analisi
strutturale. Non si intende qui ripercorrere un dibattito sull'importanza di
individuare il corretto rapporto tra i livelli di analisi16, ma bisogna prendere atto che
il neorealismo è stato concepito per rendere conto di macro-fenomeni
internazionali, e non sorprende, dunque, che esso non sia in grado di cogliere tutte
le sfaccettature presenti nell'alleanza17. È opportuno dunque valutare le spiegazioni
forniteci da teorie che elaborano anche variabili interne, come gli interessi
nazionali, l'ideologia, la politica interna e la natura dell'aggregazione politica, le
percezioni delle elite, la personalità dei leader, i fattori storici soggettivi. La
variante più significativa nel solco neorealista è certamente la balance of threat
teory di S.Walt. Secondo Walt infatti, è la percezione che l‟apparato di governo ha
sulla presenza di una minaccia esterna alla propria sicurezza, ancor più che il
semplice dato relativo al potere dei propri vicini, a portare lo stato minacciato a
cercare l‟appoggio di uno o più alleati. Elementi interni quindi(la percezione, la
mentalità, la memoria storica dei leader), manipolano gli elementi esterni,
restituendo una politica delle alleanze coerente con le proprie esigenze di sicurezza
percepite. Tra questi elementi, che vanno ad aggiungersi al potere militare dei vicini
nella costruzione di una percezione di minaccia18, l‟ideologia è certamente di
estrema rilevanza in un ambiente immaturo come quello mediorientale. Ad
eccezione della statualità persiana, infatti, l‟attuale assetto territoriale dei paesi che