5
Questo mio lavoro, parte proprio dalla descrizione del benessere organizzativo
proprio, perché deve essere questo a mio avviso l'obiettivo principale a cui tutti
devono tendere, i lavoratori pretendendo equità, riconoscimento, partecipazione,
gli utenti elogiando, quando un lavoro è ben fatto e, non solo sottolineando,
giustamente, gli eventuali errori ma, soprattutto deve essere un obiettivo
prioritario per coloro che hanno la possibilità di rendere un ambiente sereno,
puntando sempre e più a rendere una organizzazione in uno stato di benessere.
Gli infermieri per primi, in quanto professionisti sempre più qualificati, devono
essere consapevoli della complessità e ricchezza di sfaccettature della qualità
della loro vita professionale, per sapere bene cosa esigere dalla dirigenza
professionale e aziendale. Devono altresì tenere presente che la riduzione dello
stress a livelli accettabili, anzi, addirittura stimolanti, dipende anche dal loro
impegno, da una motivazione sempre rinnovata e da un lavoro su se stessi che
tenda alla costante ricerca di equilibrio e maturità.
Gli stessi coordinatori hanno il duplice compito di ricercare la loro stessa
soddisfazione e di contribuire a garantire quella del personale di cui hanno il
coordinamento o la direzione. Tutti quanti, infine, hanno il diritto di essere
considerati come una autentica ed essenziale risorsa umana, una risorsa non
soltanto da utilizzare, ma di cui aver cura con tutti i mezzi.
Il Benessere Organizzativo è un dono che non appartiene soltanto al singolo. E’
un prezioso bene che si costruisce con la collaborazione, con il gruppo, con
l’appartenenza al gruppo stesso e all'organizzazione poi.
Nel quarto capitolo parlo del coordinamento di un reparto di degenza geriatrico
sottolineando le difficoltà e le complessità di questo lavoro, il quale è fisicamente
e psicologicamente “pesante” per antonomasia.
Lavorare con gli anziani rappresenta una continua mediazione tra motivazione,
professionalità e spettro del burn out. Certamente per lavorare con gli anziani
bisogna amare il proprio lavoro e l’utente, in maniera diversa, forse più profonda.
Ho deciso di dedicare questo capitolo a quanto ho visto durante il mio percorso di
tirocinio, effettuato proprio in un reparto di degenza geriatrico, perché mi ha
colpito, il modo naturale e sereno degli operatori di rapportarsi con il loro
paziente geriatrico.
"Se si lavora in uno stato di benessere, si può produrre benessere".
6
CAPITOLO I
IL BENESSERE ORGANIZZATIVO: SVILUPPO STORICO
"La salute organizzativa"
1
Il benessere organizzativo rappresenta la capacità di un'organizzazione di
promuovere e di mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e
sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione
1
. Ma ancora meglio si può
definire, come l'insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche
organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro,
promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di
benessere fisico, psicologico e, sociale delle comunità lavorative
2
.
I concetti di benessere e di emotività positiva non hanno avuto sempre la stessa
importanza all’interno della ricerca psicologica, soprattutto in considerazione che,
sia le scienze della salute fisica che quelle della salute psichica hanno in passato
privilegiato, piuttosto, la malattia e la sua cura. Solo di recente l’attenzione è
stata focalizzata sullo studio dei fattori in grado di favorire la promozione e il
mantenimento dello stato di salute, da tutelare anche attraverso l’elaborazione di
specifiche politiche sociali
3
.
L’interesse verso la salute del lavoratore è relativamente recente: agli inizi del XX
secolo, a seguito delle modifiche che le rivoluzioni industriali avevano prodotto
sull’assetto sociale ed economico, e delle novità introdotte dalle nuove ricerche
tecnologiche, si era definita l’immagine di un lavoratore paragonabile ad una
appendice della macchina, che lavora in simbiosi con lei, e che non può
esplicitare bisogni diversi da quelli connessi alla tecnologia di cui l’azienda si
avvale. Unico scopo dell’azienda era quello di conseguire il miglior risultato,
inteso in termini di costi e benefici economici, senza minimamente prendere in
considerazione né l’ambiente di lavoro, né lo stato di salute del lavoratore,
valutato solo come un attore passivo da motivare con incentivi economici,
ritenuti gli unici elementi importanti nella sua vita psichica
4
.
Gli anni dal 1930 sino agli inizi della seconda guerra mondiale furono segnati da
un’attenzione maggiore ai fattori che potevano essere causa di infortuni sul posto
1
. Avallone F., Paplomatas A., Salute organizzativa. Psicologia del benessere nei contesti lavorativi.
Raffaello Cortina Editori, Milano, 2005.
2.
Cfr. Avallone F., Bonaretti M., Benessere organizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle
amministrazioni pubbliche. Editore Rubbettino, 2003, pag. 24.
3.
Giornaledipsicologia.it, Vol. 2, No. 1-2, 2008 ISSN 1971-9450.
4
. Smiraglia, 1993; Sarchielli, 2003; Avallone, 2005, vedi pag. 108.
7
di lavoro. Lo Scientific Management di Taylor
5
raggiungeva il suo scopo,
producendo un incremento della produttività legato a tempi inferiori di
realizzazione; l’approccio taylorista però era criticato da quanti si rendevano
conto che il cronometraggio dei tempi di lavoro e la separazione del lavoro
intellettuale da quello manuale produceva risultati paradossali: nella ripetitività
dei compiti loro assegnati i lavoratori non solo divenivano meno sensibili agli
incentivi economici, ma logorati dalla passività della reiterazione lavorativa erano
più soggetti a “distrazioni” e ad infortuni sul lavoro, che alla fine dei conti
andavano a discapito della stessa produttività aziendale
6
. Lo studio di variabili
quali alienazione, motivazione e dinamiche di gruppo, portò a considerare in
termini nuovi le condizioni di malessere dei lavoratori, e ad apportare un nuovo
interesse verso l’elemento umano in azienda.
La rinascita industriale e sociale, conseguente alla fine della seconda guerra
mondiale, portò una nuova visione del lavoratore, considerato finalmente come
un soggetto attivo che interagisce con il proprio ambiente di lavoro. Nacquero
così le prime esperienze di Job design, e sì cominciò a prestare attenzione allo
stato di salute non solo fisico, ma anche mentale del lavoratore, considerando,
seppur ancora in termini di linearità, le conseguenze psicologiche che la
routinizzazione e l’insoddisfazione potevano portare con sé. Ma sono i
cambiamenti sociali degli anni ’70 del secolo scorso ad introdurre un’importante
novità: la salute non può essere un elemento da tenere in considerazione solo
nel momento in cui viene a mancare, ovvero quando si produce malattia, ma
sono necessarie politiche di prevenzione degli infortuni sul posto di lavoro,
proprio attraverso l’analisi dell’interazione tra lavoro, individuo e contesto.
Incomincia ad essere sempre più evidente e studiata l'influenza sulla salute oltre
che dei fattori biologici anche di quelli psicologici e sociali, così come l'importanza
della loro combinazione e interazione
8
.
Tale interesse fu molto forte negli Stati Uniti e poi anche negli altri paesi
occidentali, e portò allo studio dei cosiddetti aspetti psicosociali del lavoro.
All’approccio definito Health Protection succedeva negli anni ’80 la Health
Promotion, consistente nell’indurre le persone a scelte mirate a migliorare la loro
salute fisica e mentale. L’importanza della sicurezza sui luoghi di lavoro era ormai
un principio riconosciuto e sentito, e si cominciò a focalizzare l’attenzione più
5
. Taylor, Winslow F. Principi e gestione Scientifica. (Lo Scientific Management di Taylor) 1911.
6
. Gabassi, Psicologia del lavoro nelle organizzazioni, Franco Angeli, Milano, 2007
8
. Ilgen D.R. e Swisher S.N., An integrated approach to health in the workplace. In E. Welche (Ed.),
Workers’ compensation strategies for lowering costs and reducing workers’ suffering. Fort
Washington, PA: LPR Publications, 1989.
8
sulla prevenzione, che non sulla semplice cura. Parallelamente veniva posta
conoscenza e attenzione ai fattori organizzativi, che minacciavano la salute del
lavoratore producendo malessere psicofisico, che dall’individuo genera poi
conseguenze per l’organizzazione stessa.
Da questa breve analisi si evince come la salute del lavoratore non può più
essere considerata semplice assenza di malattia, ma è totale stato di benessere
psicofisico dell’individuo, che va letto attraverso un approccio di casualità
circolare. Esso si inserisce a pieno titolo fra i fattori che definiscono il costrutto
multidimensionale di benessere organizzativo
9
e, nello specifico il benessere
psicologico dei singoli lavoratori è connesso con il "clima" che caratterizza
l’organizzazione
10
.
In Italia con l'introduzione delle norme comunitarie recepite con il decreto
legislativo 626/94
11
si è assistito ad una svolta importante nel campo della
sicurezza e della prevenzione. Il modello culturale introdotto, pone
l'organizzazione al centro della gestione della sicurezza, mette in risalto aspetti
ritenuti fino ad allora secondari. Si propone, infatti, un passaggio da un concetto
di sicurezza che ha nell'ambiente fisico di lavoro e nel singolo individuo il campo
di intervento, a un concetto che porta il lavoro organizzato al centro
dell'interesse per la prevenzione. E' in base a come il lavoro è organizzato, alle
scelte e alle decisioni organizzative adottate che possono realizzarsi le condizioni
di pericolo o di rischio per il benessere fisico, ma anche psichico, dei lavoratori
12
.
La nuova normativa, ridefinisce quindi i modelli organizzativi e di gestione dei
rischi nell'impresa a sostegno dell'ipotesi che uno dei fattori determinanti nel
verificarsi degli infortuni sia da ricondurre all'organizzazione del lavoro e alla
cultura della sicurezza dell'impresa, e non esclusivamente a carenze strutturali di
macchine o impianti. Ne consegue che, coloro che si occupano di prevenzione e
tutela della sicurezza in ambienti lavorativi si trovano nella necessità di ampliare
l'ambito di intervento ponendo attenzione a un più generale benessere psichico e
sociale oltre che fisico dei lavoratori, e analizzando processi organizzativi oltre
che tecnici.
Il mondo del lavoro è profondamente mutato; cresce il benessere economico ma
aumentano le condizioni di disagio, di sofferenza e di malessere in coloro che
9
. Warr, 1994; Danna e Griffin, 1999, vedi pag. 109.
10
. Majer, V., Marcato, A., D’Amato, A. La dimensione psicosociale del clima organizzativo. Franco
Angeli, Milano, 2002.
11
. D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Testo aggiornato alla luce delle successive modifiche e in
particolare in riferimento a Il benessere psico-fisico, vedi pag. 112.
12
. Cfr. Avallone F., La convivenza nelle organizzazioni - Delega, benessere, Valutazione, Quaderni
di psicologia del lavoro, Guerrini studio, Vol. 10, 2007.
9
lavorano in alcune organizzazioni, esiste una forte domanda di salute e di
benessere nella società che non può non riguardare anche le organizzazioni nelle
quali i singoli trascorrono buona parte del proprio tempo e nelle quali investono
energie, emozioni alla ricerca di un equilibrio esistenziale di vita e di sviluppo
13
.
LA SALUTE ORGANIZZATIVA
La salute organizzativa è concepita come un processo; il sistema organizzativo e
quello sociale sono considerati agenti implicati nel mantenimento e nel
cambiamento del modo di vita dei singoli. La letteratura sulla salute
organizzativa, seppur caratterizzata dalle differenze metodologiche e di analisi
che ogni approccio propone, ribadisce che le diverse concezioni concordano nel
sottolineare la forte interdipendenza tra tre livelli di analisi:
• l’individuo, inteso come singola persona che all’interno della dimensione
lavorativa porta con sé necessità e bisogni legati anche all’ambiente
giornaliero extra-lavorativo, che influiscono sulle sue prestazioni e sul suo
vissuto al lavoro;
• il gruppo, che può essere considerato non semplicisticamente la somma delle
singole parti che lo compongono, ma un insieme all’interno del quale i singoli
componenti portano qualcosa di sé, che diventa gruppalità anche solo per il
trovarsi nella stessa dimensione lavorativa;
• l’organizzazione, portatrice anch’essa di una propria cultura, di identità e di
obiettivi istituzionali.
Il moderno concetto di salute, dunque, supera la separazione tra individuo e
organizzazione, evidenziando come entrambi siano parte attiva, e la
compromissione della "salute" di uno di questi due attori susciti una circolarità di
interazioni che coinvolge ed inficia anche quella dell’altro. Come hanno
evidenziato gli studi sul committment
14
, quando si rilevano condizioni di scarso
benessere organizzativo si determinano, sul piano concreto, fenomeni quali
diminuzione della produttività, assenteismo, bassi livelli di motivazione, ridotta
disponibilità al lavoro, carenza di fiducia, mancanza di impegno.
Secondo Spaltro
15
la psicologia del benessere deve essere intesa come scienza
che si dedica allo studio delle “risorse abbondanti”. L’autore si riferisce a
capacità, conoscenze, desideri, iniziativa creativa: risorse psichiche e soggettive,
13.
Cfr. Avallone F., Bonaretti M., Benessere organizzativo, Cantieri, 2003, op.cit. pag. 4.
14
. Allen e Meyer, 1990; Meyer, Stanley, Herscovitch e Topolnytsky, 2002, vedi pag. 108-109.
15
. Spaltro E., Qualità.Psicologia del benessere e della qualità della vita, Patron Editori, Bologna 1995.
10
immateriali e non quantificabili che, diversamente dal denaro, non sono destinate
ad esaurirsi, anzi crescono e si consolidano man mano che vengono sviluppate
ed usate. Diventa fondamentale per le organizzazioni imparare a valorizzare
questo tipo di risorse. Spaltro individua il luogo elettivo di valorizzazione della
soggettività degli individui (e quindi del benessere che ne consegue in termini
organizzativi) nel gruppo di lavoro, quale origine e teatro del potere soggettivo.
Oggi il concetto di benessere è legato ad una accezione prevalentemente
soggettiva, ancorché fondato sulle dimensioni oggettive e misurabili. Il cambio di
prospettiva non investe solo il campo dell’epistemologia o delle scienze sociali:
anche scienze quali l’economia puntano sull’emergere del soggetto nella
determinazione del benessere e delle motivazioni ad esso.
E’ proprio il soggetto, in quanto attivo costruttore e produttore di realtà, che
diventa “progettista di benessere”
16
.
Feldman (1989) parlava di sensemaking come processo interpretativo necessario
perché i membri dell’organizzazione potevano comprendere e condividere le idee
riguardanti specifiche caratteristiche dell’organizzazione. Per Weick
17
il
sensemaking concerne i modi in cui le persone interpretano ciò che producono,
dando senso alle situazioni in cui si trovano e a quelle che hanno creato. In base
a questo senso auto-costruito dal lavoratore, il benessere che comprende la sfera
psicologica oltre che un buono stato di salute fisica, può essere il miglior
predittore della performance lavorativa e della soddisfazione sul posto di lavoro
18
.
La qualità complessiva della vita lavorativa è data da un complesso di aspetti che
non si limitano a garantire la sicurezza e la salubrietà degli ambienti lavorativi,
ma concorrono a far sì, che l'individuo che lavora, si senta rispettato nei suoi
diritti di persona e di lavoratore e, si senta valorizzato e adeguatamente
retribuito per le sue capacità e per il suo impegno e si senta professionalmente
soddisfatto; un'organizzazione responsabile verso i propri lavoratori è un'impresa
che si pone come obiettivo quello di contribuire, direttamente o indirettamente
alla crescita e allo sviluppo delle proprie risorse umane non solo in quanto
lavoratori ma prima ancora in quanto persone. In un'organizzazione dunque la
responsabilità sociale verso il personale è legata alla qualità dell'impiego offerto,
alla garanzia dell'istruzione e della formazione lungo l'intero arco della vita
lavorativa, alla consultazione e alla partecipazione dei lavoratori, alle pari
16
. Spaltro E., Benessere buon lavoro, F. Angeli, Milano, 2002.
17
. Weick K., Senso e significato nell’organizzazione, Editori R. Cortina, Milano, 1997.
18
. Hutchinson G. A. Jr.,The relationship of wellness factors to work performance and job
satisfaction among managers. Humanities and Social Sciences, 1997.