3
Lo scioglimento del contratto può essere frutto non solo di disfunzioni, ma
semplicemente di una scelta delle parti: il mutuo consenso di cui all’art. 1372
c.c
2
. La possibilità che l’accordo delle parti abbia ad oggetto l’estinzione di un
precedente rapporto contrattuale rientra nella stessa definizione normativa del
contratto di cui all’art. 1321 c.c.: «Il contratto è l'accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale».
I tre casi di risoluzione disciplinati nel Capo XIV del Titolo II sono: per
inadempimento (art. 1453 e ss. c.c.); per impossibilità sopravvenuta (artt. 1463
e ss. c.c.); per eccessiva onerosità (artt. 1467 e ss. c.c.).
Ai fini della trattazione ci si sofferma sull’analisi dell’istituto di cui all’art.
1453 c.c.
3
La risolubilità del contratto per inadempimento riguarda i contratti a
prestazioni corrispettive, nei quali la prestazione di ciascun contraente ha
causa nella prestazione dell’altro. Il difetto funzionale del sinallagma si
verifica perché una delle parti non adempie alla sua prestazione.
2
Si parla in tale ipotesi anche di mutuo dissenso: la giurisprudenza qualifica tale nuove accordo quale
«contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto eguale e contrario a quello del contratto
originario»; con la conseguenza che, dopo lo scioglimento, le parti non possono invocare cause di
risoluzione per inadempimento relative al contratto risolto, poiché ogni pretesa o eccezione può essere
fondata esclusivamente sul contratto solutorio e non su quello estinto cfr. Cass. civ. 17503/2005. Il
mutuo dissenso richiede la stessa forma del contratto revocato, in quanto ha per oggetto una vicenda
di uguale natura e importanza cfr. Cass. civ. 1998 n. 4906. Ove invece si tratti di contratto per il quale
la forma scritta non è richiesta ad substantiam ma solo ad probationem, come nel caso di contratto di
locazione di immobile, la risoluzione per mutuo consenso può risultare anche da un comportamento
tacito concludente. In tal senso Cass. civ. 2006 n. 8422.
3
Art. 1453 c.c. (Risolubilità del contratto per inadempimento): Nei contratti con prestazioni
corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta
chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.
La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l'adempimento; ma non può più chiedersi l'adempimento quando è stata domandata la risoluzione.
Dalla data della domanda di risoluzione l'inadempiente non può più adempiere la propria
obbligazione.
4
Secondo parte della Dottrina
4
la risoluzione è giustificata dall’inattuazione del
rapporto contrattuale oggettivamente considerata, sicché le ragioni che hanno
determinato l’inadempimento non possono incidere sul regime del rimedio: se
il debitore dimostra che l’inadempimento non gli è imputabile è esonerato dal
risarcimento del danno (art. 1218 c.c.) ma non può evitare la risoluzione del
contratto qualora l’interesse del creditore all’attuazione dello scambio sia stato
gravemente compromesso. Secondo questa interpretazione l’imputabiltà
dell’inadempimento – in quanto circostanza interna alla sfera del debitore –
non incide sul regime della risoluzione, ma solo sul risarcimento del danno.
Secondo altra autorevole Dottrina
5
se la prestazione diviene temporaneamente
impossibile per causa non imputabile al debitore, il contratto si risolve solo
quando il ritardo pregiudica radicalmente l’interesse del creditore (art. 1256
c.c.
6
): fino al momento in cui il creditore non perde l’interesse per
l’esecuzione della prestazione il contratto resta sospeso. Non potrà essere
sciolto né attuato
7
.
4
Si rimanda a COSTANZA, in NANNI, COSTANZA, CARNEVALI, Risoluzione per inadempimento, in
Comm. cod. civ. fondato da SCIALOJA e BRANCA, diretto da GALGANO, Bologna, 2007, sub art. 1456,
p. 63ss., sub art. 1457, p. 92.
5
TAMPONI, La risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in Tratt. contratti, diretto da Rescigno, I
contratti in generale, a cura di E. GABRIELLI, 2ª ed., II, Torino, 2006, 1794 s.; MACARIO, Le
sopravvenienze, in Tratt. contratto, diretto da Roppo, V, Rimedi-2, Milano, 2006, 568 ss.; SACCO, La
risoluzione per impossibilità sopravvenuta, in SACCO e DE NOVA, Il contratto, II, 3ª ed., in Tratt. dir
civ. diretto da Sacco, Torino, 2004, 689; ROPPO, Il contratto, in Tratt. dir. priv., diretto da Iudica e
Zatti, Milano, 2001, 1010.
6
Art. 1256 c.c. (Impossibilità definitiva e impossibilità temporanea): L'obbligazione si estingue
quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se
l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo
nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in
relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto il debitore non può più essere ritenuto
obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla.
7
«In definitiva, la circostanza che il ritardo non sia imputabile al debitore posticipa la risoluzione,
differendo nel tempo il momento in cui il creditore può tornare libero di operare sul mercato»: DELLA
5
In giurisprudenza si afferma che l’inadempimento deve essere imputabile al
debitore: in difetto di tale requisito si applica l’art. 1463 c.c.
8
La Corte di cassazione offre indicazioni in ordine all’ulteriore requisito perché
si possa ricorrere al rimedio risolutorio, cioè l’importanza dell’adempimento
di cui all’art. 1455 c.c.: « Il contratto non si può risolvere se l’inadempimento
di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra ».
Nell’applicazione dell’articolo summenzionato trovano integrazione criteri di
giudizio oggettivi e soggettivi: l’interprete deve valutare sia l’entità obiettiva
dell’inadempimento, sia in quale misura questo leda l’interesse del creditore:
per essere di non scarsa importanza l’inadempimento deve compromettere
l’attuazione del programma contrattuale, pregiudicando gravemente l’interesse
del creditore alla realizzazione dello scambio. Conseguenza di questa
ricostruzione è che se l’inadempimento di una prestazione di rilevanza
marginale riferita al complesso del rapporto contrattuale non giustifica la
risoluzione, ma il solo risarcimento del danno, il non adempimento di una
prestazione essenziale e primaria soddisferà il requisito richiesto dall’art.
1455 c.c.
9
CASA, Inadempimento e risoluzione: del contratto un punto di vista della giurisprudenza, in Danno e
responsabilità, 2008.
8
V., tra le molte, Cass. 6 febbraio 2007, n. 2553, in Contratti, 2007, 965, con nota di FONTANELLA;
Cass. 2 maggio 2006, n. 10127, in Rep. Foro it., 2006, Contratto in genere, 620; Cass. 11 febbraio
2005, n. 2853, in Rep. Foro it.,2005, Contratto in genere, 595; Cass. 27 ottobre 2003, n. 16096, in
Nuova giur. civ., 2004, I, 687, con nota di DELLACASA; Cass. 3 luglio 2000, n. 8881, in Rep. Foro it.,
2000, Contratto in genere, 577; Cass. 17 novembre 1999, n. 12760, in Rep. Foro it., 1999, Contratto
in genere, 541.
9
Cfr. Cass. 23 gennaio 2006, n. 1227, in Rep. Foro it., 2006, Contratto in genere, 609; Cass. 18
novembre 2005, n. 24460, in Contratti, 2006, 645, con nota di MANCINELLI; Cass. 29 aprile 2005, n.
8983, in Giust. civ., 2006, I, 133; Cass. 1 ottobre 2004, n. 19652, in Arch. Loc., 2006, 301, con nota di
DE TILLA. La risoluzione può essere determinata anche dall’inadempimento di un’obbligazione
accessoria, inserita nel regolamento contrattuale per effetto di integrazione legale (art. 1374 c.c.). La
6
Il comma secondo dell’art. 1453 c.c. dispone che: « La risoluzione può essere
domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata
domandata la risoluzione ».
La prima parte del comma in esame deroga il principio processuale che vieta
la proposizione di domande nuove (artt. 183 e 345 c.p.c.): domanda di
risoluzione e domanda di adempimento differiscono per il petitum.
La giurisprudenza in tale ipotesi asseconda lo ius variandi ammettendolo nelle
fasi più avanzate dell’iter processuale
10
; la Dottrina mette in evidenza come
l’eccezionale ius variandi accordato al creditore sia giustificato dalla condotta
del debitore, che una volta convenuto in giudizio permanga inadempiente.
L’inadempimento che si rinnova nel corso del processo giustifica il
sopravvenuto interesse del creditore per la risoluzione del contratto.
Proponendo domanda di adempimento, il creditore manifesta il suo attuale
circostanza che la prestazione ineseguita non sia stata espressamente pattuita dalle parti, ma trovi il
suo fondamento in una norma di legge, non esclude la gravità dell’inadempimento, se lo stesso
pregiudica seriamente l’interesse del creditore cfr. Cass. civ. 2007 n. 4433: ai sensi dell’art. 4 l. 5
novembre 1971, n. 1096, l’appaltatore che intraprende una costruzione in cemento armato deve
denunciarla all’ufficio del Genio civile competente per territorio, depositando i relativi calcoli;
l’inadempimento di tale obbligazione determina la risoluzione del contratto, in quanto in assenza del
controllo del competente ufficio sussiste il rischio che l’opera realizzata dall’appaltatore sia instabile o
irregolare sotto il profilo urbanistico.
10
Si è ritenuto, infatti, che il mutamento della domanda possa avvenire nel giudizio di primo grado in
sede di precisazione delle conclusioni e quando la causa è rimessa al giudice istruttore; in sede di
gravame; in seguito al passaggio in giudicato di una sentenza di condanna all’adempimento o alla
mancata opposizione a un decreto ingiuntivo, purché il debitore permanga inadempiente; in seguito
all’esercizio di un’azione esecutiva sui beni del debitore che non comporti il soddisfacimento del
credito vantato dall’attore. In alcune occasioni, si è ammesso il mutamento della domanda anche
nell’ambito del giudizio di rinvio cfr. Cass. civ 26 aprile 1999, n. 4164 in, Mass. Giur. it, 1999.
In sintonia con questo orientamento favorevole all’esercizio dello ius variandi, oggi si afferma che il
creditore su istanza del quale è stato emesso un decreto ingiuntivo può chiedere la risoluzione
proponendo domanda riconvenzionale nel successivo giudizio di opposizione (Cass. 28 aprile 2006, n.
9941).
7
interesse per l’esecuzione della prestazione, e questo può essere interpretato
dalla controparte come una rinuncia implicita agli effetti risolutori
dell’inadempimento pregresso; «come è evidente, tuttavia, la medesima
domanda non può comportare la rinuncia a far valere gli effetti risolutori
dell’inadempimento che – stante la perdurante inerzia del convenuto – si
rinnova dopo di essa. La facoltà di mutare la domanda di adempimento in
quella di risoluzione, pertanto, non lede un affidamento meritevole di
tutela»
11
.
La scelta della risoluzione è invece irreversibile, perché suppone una
valutazione definitiva di disinteresse per l’adempimento. L’esercizio del
diritto potestativo di risolvere il contratto ha anche l’effetto di modificare la
posizione giuridica della controparte, la quale non può più essere tenuta ad
adempiere.
Interessante una pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite dove si pongono
a confronto l’azione di adempimento con quella di risoluzione: «in tema di
risoluzione del contratto per inadempimento, mentre con l’azione di
adempimento la parte chiede la prestazione dovutale, in base all’accordo
concluso con il soggetto divenuto inadempiente, con quella di risoluzione
chiede lo scioglimento del rapporto». Il Supremo Collegio evidenzia che
nonostante la diversità di petitum entrambe le azioni tutelano lo stesso diritto
alla prestazione, «con la conseguenza che la proposizione della domanda di
adempimento ha effetto interruttivo della prescrizione anche con riferimento al
11
DELLA CASA, Inadempimento, op. cit.
8
diritto di chiedere la risoluzione del contratto, il quale potrà essere esercitato
fino a quando il termine prescrizionale non sarà nuovamente decorso per
intero»
12
.
Ai sensi dell’art. 1453, comma 3 c.c., «dalla data della domanda di risoluzione
l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione».
Nella pratica accade che pur essendo maturato un ritardo grave il creditore non
domandi la risoluzione del contratto, restando inerte; benché a causa del
ritardo abbia perso interesse per l’attuazione del rapporto contrattuale, è
probabile che il creditore sia riluttante ad esercitare l’azione di risoluzione per
i costi e i tempi che il relativo processo comporta. Nell’ottica degli operatori
economici, inoltre, è probabile che il dilatarsi del ritardo non giustifichi
l’esercizio di un’azione giudiziale, se non per il recupero della prestazione
eseguita: decorso un ragguardevole periodo di tempo dalla scadenza del
termine di adempimento, si assume che il programma contrattuale non possa
essere attuato e ci si orienta in altre direzioni, senza intraprendere alcuna
iniziativa giudiziaria. Per queste ragioni o per semplice trascuratezza, accade
spesso che - quando non ha interesse ad ottenere la restituzione della
prestazione eseguita a favore della controparte - il contraente fedele si astenga
dal domandare la risoluzione.
Ci si chiede, allora, se la prestazione tardivamente offerta dal debitore possa
essere rifiutata benché il creditore non abbia (ancora) proposto domanda di
risoluzione.
12
Cass. civ. Sez. Un., 1995 n. 4126