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1936-’38- sia in quello attuale, riconducibile al Testo unico bancario del 1993 e agli
interventi disciplinari successivi.
L’obiettivo del presente lavoro è sostanzialmente quello di delineare e illustrare l’attuale
regolamentazione dei rapporti partecipativi fra banche e imprese industriali, alla luce dei
più recenti sviluppi che hanno impresso un nuovo “corso” al fenomeno, dal momento
che hanno comportato il definitivo superamento, a livello normativo, del principio di
separatezza.
In particolare, il primo capitolo è dedicato all’analisi dell’iter evolutivo seguito dal
rapporto banca-industria -e dalla relativa regolamentazione- nella duplice prospettiva in
cui il rapporto si articola, quello della partecipazione bancaria nell’industria e quello della
partecipazione industriale nella banca.
A tal fine, risulta inevitabile il ricorso all’analisi storica, fondamentale per inquadrare i
mutamenti verificatisi e per comprendere il contesto attuale, soprattutto quando si
affronta un tema come quello dei rapporti fra banche e imprese, in cui l’approccio
storico risponde alla necessità di verificare se la disciplina vigente sia o meno adeguata
alle specifiche e concrete esigenze poste dalla realtà; a ciò si aggiunge l’imprescindibile
riferimento all’evoluzione seguita dalla legislazione bancaria generale, della quale la
regolamentazione del rapporto banca-industria rappresenta un aspetto particolare, ed
indubbiamente tanto delicato quanto controverso da assurgere ad oggetto specifico di
tutto il presente lavoro.
In questa prospettiva, dopo aver fornito una panoramica sulla situazione economica
generale e su quella particolare del sistema bancario nei primi decenni successivi
all’unificazione nazionale, in cui si mette in evidenza il ruolo svolto dalle banche nella
forma del credito mobiliare e, soprattutto, in quella della banca mista nel favorire il
“decollo” dell’industria italiana, si illustrano le ragioni che portarono all’affermazione del
principio di separatezza, sostanzialmente riconducibili alle degenerazioni della banca
mista e alla pericolosa commistione con il settore industriale che, amplificando gli effetti
delle numerosi crisi di quegli anni, ma soprattutto della grande crisi del 1929-’30,
determinarono una ridefinizione di tutto il sistema creditizio, secondo l’assetto disegnato
dalla riforma del 1936.
L’analisi prosegue attraverso la descrizione del concreto atteggiarsi del rapporto banca-
industria nella lunga vigenza della legge bancaria del 1936-’38, in cui il principio di
separatezza non venne mai messo in discussione a livello normativo, per arrivare alle
7
rilevanti trasformazioni che, a partire dagli anni Ottanta, hanno caratterizzato in maniera
ampia e incisiva, il nostro sistema bancario -e finanziario- e che sono sfociate, com’è
noto, nell’emanazione del Testo unico bancario. Quest’ultimo, pur dimostrando di
prendere atto dell’esistenza di una realtà economica profondamente mutata rispetto a
quella in cui fu emanata la legge bancaria del 1936, conferma le scelte del passato e
sancisce il principio di separatezza fra banca e industria.
All’esame del complesso quadro regolamentare del rapporto banca-industria è dedicato
il secondo capitolo; tale esame passa innanzitutto attraverso l’illustrazione della
disciplina comunitaria, che costituisce la necessaria cornice di quel quadro, in virtù
dell’appartenenza dell’Italia al novero degli Stati membri dell’Unione Europea; tale
disciplina non contempla alcun principio di separatezza, consentendo una libera
determinazione dei rapporti partecipativi fra banche e industrie, pur nel rispetto di
precisi limiti imposti, in via prudenziale, in vista della salvaguardia della sana e prudente
gestione degli enti creditizi. La possibilità, riconosciuta ai singoli ordinamenti nazionali,
di adottare disposizioni più severe di quelle minime armonizzate, ha consentito al
legislatore italiano di continuare a mantenere un certo grado di separazione tra proprietà
bancaria e proprietà industriale, attraverso limiti più stringenti di quelli comunitari,
imposti a livello primario, per quanto riguarda le partecipazioni delle imprese industriali
nel capitale bancario, e a livello secondario, per le partecipazioni bancarie nelle imprese
industriali. L’analisi prosegue attraverso l’illustrazione delle regole e dei vincoli attraverso
i quali si articola la regolamentazione interna del rapporto banca-industria.
Il terzo capitolo si occupa degli sviluppi che hanno caratterizzato, in concreto, i legami
partecipativi tra banche e imprese nell’ambito del quadro disciplinare definito dal Testo
unico bancario e dalla normativa attuativa delle autorità di settore. Tali sviluppi hanno
visto, in realtà, un costante ed incisivo aumento degli investimenti bancari nel capitale
industriale ma, soprattutto, della presenza industriale nel capitale bancario,
determinando incroci proprietari fra singole banche e singole imprese che hanno, nei
fatti, ridimensionato la robustezza del principio di separatezza, tant’è che i dubbi sulla
sua opportunità e le ipotesi per un suo definitivo superamento sono divenuti sempre più
concreti ed insistenti.
In questa prospettiva si muovono gli orientamenti dell’autorità di vigilanza nazionale e
l’evoluzione della disciplina comunitaria che hanno indotto dei cambiamenti
particolarmente significativi per il nostro ordinamento bancario, dal momento che, a
8
settant’anni di distanza dalla sua introduzione, hanno comportato la cancellazione della
separatezza tra banca e industria.
Dopo aver illustrato le iniziative e gli interventi normativi che hanno dato luogo a tali
cambiamenti, l’analisi prosegue con una “messa a fuoco” delle prospettive aperte dalla
fine del principio di separatezza, sia per quanto concerne le opportunità che una
maggiore integrazione tra capitale bancario e capitale industriale può offrire, sia,
soprattutto, in relazione ai possibili elementi di fragilità del sistema.
Con la cancellazione della separatezza, primario presidio a tutela dell’indipendenza della
banca nel suo ruolo di “erogatore di fondi”, i rischi di conflitto di interessi assumono
nuove proporzioni, specie se si tiene conto della possibilità ormai consentita che
l’industria possa -legittimamente- controllare la banca. L’analisi mette in evidenza che il
sistema è dotato di “anticorpi” piuttosto robusti, ma probabilmente, anzi, sicuramente,
potrebbero non essere più sufficienti. Un rafforzamento di essi, unitamente ad un
comportamento di tutti i soggetti coinvolti -banche, imprese, autorità di vigilanza-
improntato ad un forte senso di responsabilità, ad un doveroso rispetto delle regole e ad
un’effettiva consapevolezza dei rispettivi ruoli -in un’ottica di collaborazione autentica e
costante- potrebbe contribuire ad un definitivo e sereno passaggio dalla separatezza alla
commistione tra banca e industria. Si tratta di un compito piuttosto impegnativo, ma del
resto è questa la strada da percorrere se si vuole davvero che il nostro sistema
finanziario diventi parte attiva ed integrante dello scenario europeo ed internazionale.
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CAPITOLO PRIMO
Profili storico-evolutivi del rapporto banca-industria.
Sommario:1. Banche e industria nel periodo 1861-1914: la situazione economica generale e il
difficile esordio.-2.(Segue) La situazione del sistema bancario e il sostegno allo sviluppo: banca di
credito mobiliare e banca mista.-3. Crisi della banca mista ed effetti della commistione banca-
industria: verso il riassetto del sistema creditizio.-4. La legge bancaria del 1936-’38…-4.1 …e i
suoi principi informatori. In particolare: la separatezza banca-industria.-5. Il rapporto banca-
industria nella vigenza della legge bancaria del 1936-’38.
1. Banche e industria nel periodo 1861-1914: la situazione economica
generale e il difficile esordio.
All’atto dell’unificazione nazionale, avvenuta nel 1861, l’Italia era un paese a prevalente
vocazione agricola, in cui l’industria occupava una posizione ed aveva un ruolo assai
marginale, e poteva essere intesa come un paese sottosviluppato, un paese il cui grado di
sviluppo economico si attestava su livelli di gran lunga inferiori a quelli dei paesi arrivati
per primi all’economia industriale, i paesi first-comer (l’Inghilterra –la rivoluzione
industriale è per antonomasia la rivoluzione industriale inglese-, ma anche gli Stati Uniti
e la stessa Francia)
1
.
Pur nelle difficoltà di valutare le statistiche di tempi così lontani, si stima che il reddito
nazionale italiano fosse un quarto di quello inglese e un terzo di quello francese e
tedesco
2
.
In definitiva, per quanto, in meno di un secolo e nonostante limiti evidenti, quali la
particolare morfologia del territorio e le connesse difficoltà di trasporto e di
comunicazione, la mancanza di materie prime essenziali, com’è stato storicamente il
carbone, l’Italia sia riuscita ad effettuare il “grande salto”, ad avvicinarsi “dalla periferia al
centro”
3
, essa fa parte, insieme ad esempio alla Germania o alla Spagna o al Giappone, di
1
In proposito cfr. F. BELLI, Legislazione bancaria italiana(1861-2003), Torino, Giappichelli, 2004, pp. 43
ss.
2
Cfr. R. DE BONIS, La banca, Roma, Carocci, 2008, pag. 11.
3
Dal titolo di un noto lavoro di V. ZAMAGNI, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica
dell’Italia(1861-1990), Bologna, Il Mulino, ult. ed. 2003.
11
quel gruppo di paesi che arrivarono in ritardo allo sviluppo industriale in epoche
successive (paesi late-comer), peraltro secondo percorsi e modalità differenti
4
.
In Italia, pertanto, l’avvio dello “sviluppo economico moderno” non è avvenuto
contestualmente all’unificazione politica e, soprattutto, non è stato un processo
immediato
5
.
A tale processo si è associato poi un fattore rilevante, divenuto una caratteristica
fondamentale dello sviluppo industriale italiano, e cioè il fatto che il difficile esordio, la
necessità di recuperare il ritardo con il quale l’Italia è giunta all’appuntamento con
l’industrializzazione si sia concretata, fin dall’inizio, in un enorme sforzo che, a sua volta,
si è tradotto in una forzatura di rilievo del processo di accumulazione e che ha visto
come principali agenti, variamente intrecciati secondo moduli di volta in volta diversi di
divisione del lavoro, lo Stato e il sistema bancario
6
.
L’impresa e gli imprenditori italiani sono dunque cresciuti all’ombra di due istituzioni
che ne hanno determinato a lungo scelte, successi e insuccessi.
2. (Segue) La situazione del sistema bancario e il sostegno allo sviluppo:
banca di credito mobiliare e banca mista.
Al momento dell’unificazione, il sistema creditizio italiano risultava fortemente
frammentato ed arretrato e conservava poche tracce dell’antico splendore
7
.
A dominarne la scena erano sostanzialmente due tipi di banche, sorte nella prima metà
dell’Ottocento, identificabili nelle Casse di risparmio
8
da una parte, e nelle Banche di
emissione
9
dall’altra.
4
E’ indiscutibile che, specie se confrontata con le performance di un altro late-comer, e cioè la
Germania, l’Italia abbia rappresentato un caso “meno brillante” di sviluppo a partire da condizioni di
arretratezza.
5
Il primo ventennio di storia unitaria fu caratterizzato da una situazione di ristagno, o comunque di
moderata crescita, come dimostra il più “ottimista”e probabilmente il più accurato degli indici della
produzione industriale –quello di S. Fenoaltea- , con un breve ma significativo momento di accelerazione
dello sviluppo industriale all’inizio degli anni Ottanta. Solo a partire dal 1896, l’indice della produzione
industriale ebbe una nuova impennata che, benché smorzatasi dopo la crisi del 1907, durò sino a buona
parte del primo conflitto mondiale. Per maggiori approfondimenti su questo argomento, cfr. V.
ZAMAGNI, Dalla periferia al centro, op. cit., pp. 103 ss.
6
L’aver iniziato lo sviluppo in condizioni di arretratezza relativa ha reso diverso, rispetto ad altri casi,
e molto più incisivo il ruolo dello Stato e dell’intermediazione finanziaria nel processo di
industrializzazione, fornendo così delle coordinate iniziali –una sorta di DNA- che si sono riverberate a
lungo, e che si riverberano ancora oggi per alcuni tratti, sugli assetti istituzionali della nostra economia. Sul
punto, cfr. F. BELLI, Legislazione bancaria, op. cit., pag. 55.
7
Nonostante il nostro paese avesse “inventato” l’attività bancaria nel Medioevo, il declino economico
iniziato nel ‘600 aveva coinvolto anche l’attività creditizia. Cfr. R. DE BONIS, La banca, op. cit., pag. 12.